La regola “Libellus De Regularibus Obseruantiis” o "Largiente Domino"


COLLEZIONE DELLE REGOLE MONASTICHE E CANONICHE

RACCOLTE UN TEMPO DALL’ABATE S. BENEDETTO D’ANIANE

Volume secondo

Secondo l’edizione di Luca Holstenio,

Augusta 1759


APPENDICE V

ANTICA REGOLA MONASTICA

Considerazione critica

(Libera traduzione dal latino)

Link al testo latino con italiano a fronte della Regola

Questa è una antica Regola che fu scritta prima di settecento anni fa; come ha testimoniato il molto insigne Edmund Martène (1654-1739), che la estrasse all'inizio di questo secolo dal MS. Colbertino di ottima qualità, ma senza il nome dell'Autore. Forse fu composta molto prima del secolo decimo, anche se fu ignota a San Benedetto Anianense, nel suo Regularum Codex edito da Lucas Holstenius, dove anche manca la Regola di Giovanni di Biclaro (Iohannes Biclarensis, 540 - circa 621), vescovo di Girona, scritta circa nel 589. Su questa omissione investigò lo studioso Jean Mabillon (1632 – 1707), poiché quella antica Regola conteneva la perfezione della vita Monastica. Il celebre Martène stima che l’autore di questa Regola non sia vissuto molto dopo dei santi Isidoro e Fruttuoso, poiché cita le loro Regole, partendo dalle quali, tuttavia, non si può assegnare un determinato tempo all’origine di questa Regola. Possiamo affermare una cosa sola, che questa Regola contiene la saggezza dell’antichità, ma è stata scritta quando il Monachesimo fioriva ovunque e nessun Monaco aveva iniziato ad allontanarsi dalla primitiva istituzione. L'autore esorta ed ammonisce i Monaci in tutti i quindici capitoli ad osservare i suoi precetti, prendendo come modello le vite dei primi Legislatori Monastici, soprattutto di Giovanni Cassiano, San Benedetto, Isidoro e Fruttuoso.


Antica Regola Monastica

di autore Anonimo

 

CAPITOLI

.

I. COSA DOBBIAMO FARE LA DOMENICA MATTINA.

II. COME SI CELEBRANO GLI UFFICI DIVINI DALLA SANTA PASQUA FINO ALLE CALENDE DI OTTOBRE.

III. COME SI CELEBRANO GLI UFFICI DIVINI E COME SI DEVE LAVORARE NELLE ORE NOTTURNE E DIURNE DALLE CALENDE DI OTTOBRE FINO ALLA SANTA PASQUA.

IV. IL DIGIUNO.

V. LA QUOTIDIANA REFEZIONE.

VI. LA MISURA DEL CIBO.

VII. LA MISURA DELLA BEVANDA.

VIII. IL SILENZIO.

IX. LA PREGHIERA.

X. L’IMPEGNO NELLA LETTURA.

XI. IL LAVORO MANUALE.

XII. LA MEDIOCRITA’ DEGLI INDUMENTI.

XIII. L’OSPITALITA’.

XIV. LA GLORIA UMANA.

XV. LA PERSEVERANZA NELLE BUONE OPERE.

 


 

CAPITOLO I. COSA DOBBIAMO FARE LA DOMENICA MATTINA.

Come disse Isidoro: “Gli Apostoli resero sacra la domenica come festa religiosa perché in essa il nostro Redentore risorse dai morti, ed è chiamata domenica proprio affinché, astenendoci dalle attività terrene e dalle lusinghe del mondo, ci dedichiamo unicamente al culto divino, tributando a questo giorno onore e rispetto a causa della speranza, che abbiamo in esso, della nostra risurrezione" (Isidoro. Gli uffici ecclesiastici, L. I, cap. 24). Si legge infatti così nella lettera di Leone Papa riguardo al sacramento della Domenica: "Il mondo ebbe il suo inizio in questo giorno ed in esso, tramite la resurrezione del Signore, la morte incontrò la sua fine e la vita il suo principio. Fu in questo giorno che gli Apostoli ricevettero l'incarico di predicare il Vangelo a tutti i popoli e di donare al mondo intero il sacramento della rigenerazione (del battesimo) (Mt 27,40). In questo giorno, come attesta il beato Giovanni Evangelista, entrò il Signore a porte chiuse in mezzo all'assemblea dei discepoli e, soffiando su di essi, disse: "Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati" (Gv 20,22-23). E così questo giorno vide la discesa dello Spirito Santo promesso dal Signore agli Apostoli" (Leone Papa, Epistola 9). Inoltre in questo giorno, come dalla parola e dall'esempio dei nostri Padri ci viene insegnato, non bisogna fare nulla, se non dedicarsi solo alla preghiera, alla lettura e alla predicazione.

 

CAPITOLO II. COME SI CELEBRANO GLI UFFICI DIVINI DALLA SANTA PASQUA FINO ALLE CALENDE DI OTTOBRE.

Dalla santa Pasqua alle Calende di Ottobre dopo l’Ufficio Mattutino segue subito l’Ora Prima, e fino a Terza si lavora con le mani ed allo stesso tempo con la meditazione divina. Ma dopo Terza occorre celebrare la solennità della messa: terminata questa ci si impegna nella “lectio divina”. Ma dopo Sesta, — se non è mercoledì, venerdì o sabato – ci si ristora. Dopo il ristoro della sesta ora, come san Benedetto e gli altri Padri insegnano, o ci si riposa, o si legge fino all’Ora Nona. Dopo Nona e fino al Vespro occorre lavorare e salmeggiare. Dopo l’Ufficio Vespertino è consentito mangiare a coloro che ne hanno bisogno, secondo il volere dei santi Padri. Dopo di ciò, per quanto il tempo lo permette, ci si dedica alla lettura e si dice Compieta ancora con la luce del giorno. Finita Compieta, come è scritto nella Regola dei Padri, si dice: "Poni, Signore, una guardia alla mia bocca, sorveglia la porta delle mie labbra" (Sal 140,3-4, Volg.). E quando ci si sveglia: "Signore, apri le mie labbra” (Sal 51(50),17). Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente l'altissimo, “nel tuo nome alzerò le mie mani” (Sal 63(62),5). “O Dio vieni in mio aiuto” Sal 70(69),2) III. “Le mie parole”, VIII (Sal 5,2). “Padre nostro” (Mt 6,9-13), “Io credo in Dio” (Simbolo degli apostoli). “Degnati oggi, Signore”. (inno “Te Deum”) “Tieni saldi i miei passi” (Sal 17(16),5). Di giorno in giorno Benedetto il Signore (Sal 68(67),20). “(Degnati di) dirigere e santificare, ecc” (Breviario Romano). Venga la tua misericordia" (Sal 119(118),20, Volg.). Salmi. " Signore, quanti sono i miei avversari!” (Sal 3,2). “Pietà di me, o Dio” (Sal 51(50),3). “Venite, cantiamo (al Signore)" (Sal 95(94),1).

 

CAPITOLO III. COME SI CELEBRANO GLI UFFICI DIVINI E COME SI DEVE LAVORARE NELLE ORE NOTTURNE E DIURNE DALLE CALENDE DI OTTOBRE FINO ALLA SANTA PASQUA.

Nel mezzo della notte si recita solennemente l’Ufficio, perché sta scritto: " Nel cuore della notte mi alzo a renderti grazie per i tuoi giusti giudizi" (Sal 119(118),62). In questo tempo, infatti, l’Angelo devastatore colpì i primogeniti d’Egitto. Quindi dobbiamo vigilare per non coinvolgerci nel rischio degli Egiziani. Così (dice) il Signore nel Vangelo: " Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; …. E se, giungendo alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo, li troverà così, beati loro! " (Lc 12,37-38; Mc 13,35). Infatti nel Vangelo si narra che Gesù trascorse la notte in preghiera a Dio. Nel carcere, verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i prigionieri stavano ad ascoltarli. (Cfr. At 16,25) È necessario in queste ore salmeggiare, pregare e frequentare i Santi Uffici. Fatto ciò, dobbiamo poi passare tutta la notte fino al mattino in divine preghiere. All’alba dobbiamo celebrare la solennità dei Mattutini, poiché al sorgere del giorno il Signore e Salvatore nostro è risorto dagli inferi, ed è per questo motivo che sul far del giorno si prega per celebrare la resurrezione di Cristo. Molto tempo prima, tuttavia, il Profeta Davide la preannunziò dicendo: "Al mattino mediterò su di te, perché sei stato un mio aiuto" (Sal 63(62),6; Volg.). E altrove: "Prima del mattino i miei occhi si rivolsero a te" (Sal 119(118),148; Volg.). Ed ancora: "A te io aspiro al primo apparir della luce" (Sal 63(62),1). Finito l'ufficio dei Mattutini, fino all’ora seconda del giorno ci si impegna intensamente nel segreto, in solitudine e con grande impegno alle preghiere a Dio. Anche l'ufficio dell’Ora Prima si legge che sia stato istituito dai santi Padri, perché è lo stesso Davide che dice: "Al mattino sto davanti a te e ti vedo, perché tu sei un Dio che non vuole l’iniquità" (Sal 5,4 Volg.). Ed ancora: “A te indirizzerò la mia preghiera: o Signore, al mattino tu esaudirai la mia voce” (Sal 5,3 Volg.), e molti altri. Completato l'ufficio predetto, non si allontani dalle tue mani la santa lettura fino all’ora terza del giorno. L'Ufficio di Terza sia così celebrato, poiché si legge che alla stessa ora lo Spirito Santo in lingue di fuoco scese sugli Apostoli nel giorno della santa Pentecoste, riempiendoli della grazia che Cristo aveva promesso. Completato l’Ufficio di Terza e fino all’ora sesta del giorno occorre lavorare con le proprie mani mentre si cantano divini cantici. L'ufficio dell’Ora Sesta è così celebrato poiché alla sesta ora Cristo era sofferente. Al termine dell’Ufficio dell’Ora Sesta, di nuovo come sopra, insieme con la divina meditazione ci si affretti ad esercitare con le proprie mani un qualunque lavoro fino all'Ora Nona: e tuttavia, durante l'esercizio del lavoro della mente e del corpo, ci si impegni frequentemente alla preghiera; perché, come disse Agostino, "Il Servo di Dio, mentre lavora con le mani, deve salmeggiare nel nome del Signore" (Agostino, Il lavoro dei monaci 17; Esposizione sui Salmi, Salmo 91, 3). La sopraddetta frequente preghiera deve essere intensissima e pura, non con tante parole, ma con purezza di cuore e nella compunzione del pianto. L’Ufficio di Nona è stato così istituito dai santi Padri poiché nella stessa ora, secondo l'autorità evangelica, il Signore Gesù emise il suo spirito (Mt 27,50). Anche Daniele ed i tre fanciulli, come si legge nelle divine Scritture, offrirono le loro suppliche all’ora terza, sesta e nona (Dan 14). E queste tre ore ci dimostrano la riverenza verso la Trinità. Dopo l’Ora Nona si devono celebrare le solennità della messa. Dopo di questa, si tenga in mano con compunzione di cuore la “lectio divina” fino all’Ufficio del Vespro. L’Ufficio del Vespro è anche una solenne celebrazione dell'antico Testamento: poiché in quel tempo antico c’era la consuetudine di offrire i sacrifici e di bruciare offerte sull’Altare con aromi ed incensi, come dice Davide: "La mia preghiera stia davanti a te come incenso, le mie mani alzate come sacrificio della sera" (Sal 141(140),2). Nel nuovo Testamento in quel tempo il Signore e nostro Salvatore offrì agli Apostoli che cenavano con lui il Mistero del suo corpo e del sangue, per mostrare al mondo il momento stesso del Sacrificio vespertino (Cfr. Mt 26,27-29; e altri). Di conseguenza, in onore e memoria di così grandi Sacramenti ci conviene in questi tempi stare al cospetto di Dio e celebrare il suo culto, offrendo la nostra preghiera al suo Sacrificio e nello stesso tempo esultando nelle sue lodi. Terminato l’Ufficio vespertino, dopo aver detto un inno di ringraziamento, possiamo ricevere il cibo serale di scarso valore per il sostentamento del corpo, come ha detto tra l'altro il Beato Girolamo al Presbitero Paolino: "Il tuo cibo sia di scarso valore e preso sulla sera, cioè erbaggi e legumi; qualche volta prendi alcuni pesciolini e stimali come somma delizia" (Girolamo, Epistola 58 a Paolino). Sia inoltre il tuo pasto a tavola riferito ai cibi per l'anima e il corpo, cioè, da un lato sia aperto il codice (di lettura) e dall’altra il pane: affinché la tua anima si sazi del verbo divino mentre il tuo corpo sazia del cibo umano. Perché, come sta scritto: "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4; Dt 8,3). E quando ci si alza da tavola si compiano azioni di grazia davanti all’altare di Cristo. Dopo di ciò si tenga di nuovo in mano la santa lettura fino al termine della luce del giorno. Mentre è ancora giorno si celebri Compieta. Anche l’Ufficio di Compieta è stato istituito dall'autorità divina, dato che il Profeta Davide dice: "Non entrerò nella tenda in cui abito, non mi stenderò sul letto del mio riposo, non concederò sonno ai miei occhi né riposo alle mie palpebre, finché non avrò trovato un luogo per il Signore, una dimora per il Potente di Giacobbe" (Sal 132(131),3-5), ecc. Dopo Compieta venga concesso riposo al corpo. Rifletti anche su ciò che è scritto nel Cantico dei Cantici: " Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia " (Ct 3,1). Per trovare (questo amore) che desideri e per affrettarti a raggiungerlo nella reggia celeste, ogni notte lava il tuo letto col pianto, irriga di lacrime il tuo giaciglio (Cfr. Sal 6,7). Veglia, e sii come il passero nel deserto (Cfr. Sal 102(101),8), dicendo al Signore tuo Dio: "Di notte anela a te l’anima mia, o Dio, perché i tuoi giudizi sono luce sulla terra” (Is 26,9; Vulg.). Come dice il beato Girolamo: " Ogni notte alzati fino tre volte, per rimeditare i testi della Scrittura che sai a memoria" (Girolamo, Lettera 22 a Eustochio, 37). Il tuo stesso sonno sia una preghiera, così che il tuo gesto dica: " Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore" (Ct 5,2).

 

CAPITOLO IV. IL DIGIUNO.

San Girolamo: "Ebbene, digiuna, ma in modo di reprimere l'appetito e non rallentare la tua attività nella lettura, nel canto dei Salmi e nelle veglie” (Girolamo, Lettera 130 a Demetriade, 11). “Parimenti ai digiuni di tre giorni si preferisca (l’assumere) poco cibo ed avere il ventre sempre famelico” (Girolamo, Lettera X a Furia). Il vescovo Agostino: "Diciamo che il digiuno significa tutta la mortificazione del corpo" (Agostino, La perfezione della giustizia dell’uomo, 8). Non bisogna digiunare solo dal desiderio dei cibi, ma da ogni motivo di gioia dei piaceri temporali.

 

CAPITOLO V. LA QUOTIDIANA REFEZIONE.

Dalla santa Pasqua a Pentecoste, come dice san Benedetto, occorre pranzare alla sesta ora e cenare alla sera. Di questi giorni così dice san Isidoro nel Libro degli Uffici Divini: "Dopo Pasqua e fino a Pentecoste, anche se la tradizione Ecclesiastica ha affievolito il rigore dall’astinenza dal pranzo, tuttavia, se dei monaci o delle monache desiderano digiunare, non si deve loro proibirlo: poiché leggiamo che sia Antonio, che Paolo e gli altri antichi Padri, anche in questi giorni nell’eremo si astenevano (dal mangiare) e si astenevano dall’astinenza solo la domenica" (Isidoro, Libro degli Uffici Divini L. I, cap.43). "Dalla Pentecoste fino alle Calende di ottobre, nella quarta e nella sesta feria (mercoledì e venerdì), proprio come disse santo Apollonio, non si è dispensati dal digiuno. Ma il giorno di sabato sia consacrato agli Apostoli ed ai santi Padri" (Citazione sconosciuta). Il lunedì, il martedì ed il giovedì, se così piace, si pranza alla sesta ora. Altrimenti si protrae fino alla nona ora. Dalle Calende di ottobre e fino a Pasqua, eccetto i giorni di festa, la refezione venga ritardata sino a sera.

 

CAPITOLO VI. LA MISURA DEL CIBO.

San Fruttuoso: "(I monaci) vivano solo con verdure e legumi, e raramente con pesce di fiume o di mare" (Fruttuoso, Regola per i monaci, cap. 5). Il vescovo Isidoro: "Durante tutta la settimana, i fratelli si nutrano di alimenti poveri, cioè verdure e legumi secchi" (Isidoro, Regola per i monaci, cap. 10(9)). Il vescovo Basilio: " Tuttavia ci si deve in ogni modo servire di quei cibi che si possono comprare facilmente e a minor prezzo" (Basilio, Regola per i monaci, Questione 9,24). Ed ancora: " Se dunque vi è qualche cosa che può soddisfare più presto e più facilmente questa necessità del corpo in fatto di cibi, quella è da scegliere a differenza di altre " (Basilio, Regola per i monaci, Questione 9,16). Il santo Benedetto dice: " Riteniamo che per il pranzo quotidiano, sia quando è unico, sia quando si pranza e si cena, devono bastare una libbra di pane e due pietanze cotte e, se ci sarà la possibilità di procurarsi della frutta o dei legumi freschi, se ne aggiunga una terza" (Benedetto, Regola per i monaci, cap. 39). Girolamo al presbitero Paolino dice: " Il tuo cibo sia ordinario e preso sul far della sera, cioè erbaggi e legumi; prendendo qualche volta alcuni pesciolini stimali come somma delizia. Chi desidera Cristo e si pasce del suo pane non cerca cibi raffinati che produrranno solo feci" (Girolamo, Lettera 15 (o 53 ?) a Paolino). Di nuovo Girolamo ad Eustochio: "Mangia con moderazione e non portare mai a sazietà lo stomaco. Molti, infatti, sobri nell'uso del vino, diventano come ubriachi per l'intemperanza nel mangiare. La notte, quando ti alzi a pregare, non ti venga il singhiozzo per l'indigestione, ma per lo stomaco vuoto. Digiuno quotidiano: mai cibo a sazietà. È inutile avere lo stomaco vuoto per un digiuno di due o tre giorni, se nello stesso tempo (per compensare la lunga astinenza) lo si rimpinza" (Girolamo, Lettera 22 ad Eustochio, cap. 17). Il vescovo Ambrogio: "Non fornire a te stesso la sazietà del ventre e non saziarti del sonno notturno. In questo modo porrai fine alle cose mondane e lo Spirito del Signore scenderà su di te" (Ambrogio, Trattato sulla Trinità, ?: Sentenze di Evagrio monaco, ?).

 

CAPITOLO VII. DELLA MISURA DELLA BEVANDA.

San Benedetto dice: " A tutti possa bastare un quarto di vino a testa al giorno. Quanto ai fratelli che hanno ricevuto da Dio la forza di astenersene completamente, sappiano che ne riceveranno una particolare ricompensa. Mettiamoci almeno d'accordo sulla necessità di non bere fino alla sazietà, ma più moderatamente, perché il vino fa apostatare anche i saggi". (Benedetto, Regola per i monaci, cap. 40). Girolamo: " Il vino e la giovinezza sono un doppio incendio di voluttà. Perché aggiungere olio alla fiamma? Perché alimentare il fuoco a questo piccolo corpo che arde?" (Girolamo, Lettera 22 ad Eustochio). Paolo a Timoteo: "Non bere soltanto acqua, ma bevi un po’ di vino, a causa dello stomaco e dei tuoi frequenti disturbi" (1 Tm 5,23). Guardate in quali casi è ammessa la porzione di vino, per rimediare al dolore di stomaco ed ai frequenti disturbi e, forse per non farci attrarre dalle infermità, precisa che deve essere assunto in modica quantità, secondo il consiglio di un medico piuttosto che dell’Apostolo. Poiché lo stesso Apostolo altrove ha detto di ricordarsi che: " Il vino fa perdere il controllo di sé " (Ef 5,18). Ed (anche) " Perciò è bene non mangiare carne né bere vino " (Rm 14,21). Il Vescovo Ambrogio: "Non ti rallegri il vino e neppure ti seducano le carni, per non nutrire (solo) di carne il tuo corpo e per tenere lontani da te i turpi pensieri" (Sentenze di Evagrio, ?). Non dire: "Oggi è festa e bevo vino, domani è la Pentecoste e mangerò carne" perché non c’è festa tra i monaci sulla terra, né occorre riempire il tuo stomaco. Dà il vino agli anziani ed il cibo agli ammalati, perché le carni logorano la tua gioventù. Il Vescovo Atanasio: "Fuggi la carne ed il vino, che sono come stimoli alle passioni ed incitamenti alla libidine" (Citazione sconosciuta).

 

CAPITOLO VIII. IL SILENZIO.

Al momento della preghiera bisogna, secondo l'autorità dei Santi Padri Cattolici, cessare la conversazione umana e la lettura, a meno che non si è costretti a rinunciare per l’arrivo di ospiti: nelle restanti ore destinate all’esercizio del lavoro manuale, nel caso i tuoi aiutanti e tu stesso aveste bisogno (di parlare), con una breve vicendevole conversazione la faccenda deve concludersi: perché, secondo la testimonianza del Profeta Geremia: " È bene per l’uomo portare un giogo nella sua giovinezza. Sieda costui solitario e resti in silenzio " (Lam 3,27-28). Quando incombe la necessità di parlare, l'autorità del Santo Padre ti comanda di dire per tre volte: " Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode " (Sal 51(50),17. Dopo aver detto ciò, porgi subito la risposta prontamente, con grande rapidità e con il fervore della carità. Parla con moderazione e senza risate, umilmente e con poche e ragionevoli parole, perché sta scritto: " Nel molto parlare non manca la colpa " (Pr 10,19). Quando qualcuno bussa alla tua porta, secondo l'autorità di san Benedetto, tu rispondi: "Deo gratias". E subito, liberate le mani e lasciato incompiuto ogni lavoro, rispondi prontamente e con rapidità nel timore di Dio. Se dei cattivi pensieri giungono al tuo cuore, secondo l'autorità di san Benedetto dì col cuore e con la bocca: " Sarò senza macchia dinanzi a lui, solo se mi guarderò da ogni malizia " (Benedetto, Regola per i monaci, cap. 7,18; Sal 19(18),14). Se ti colgono uno sciocco piacere ed una risata, ricorda quel precetto Domenicale: " Guai a voi, che ora ridete, perché … piangerete ". E per contro: " Beati voi, che ora piangete " (Lc 6,21:25). E l'Apostolo: " Riconoscete la vostra miseria, fate lutto e piangete; le vostre risa si cambino in lutto e la vostra allegria in tristezza " (Gc 4,9). E Salomone: " Del riso ho detto: «Follia!» " (Qo 2,2). Ed ancora: " Guai a voi che ridete, lo stolto alza la sua voce quando ride, ma l’uomo saggio sorride appena sommessamente" (Sir 21,20). Infatti, si legge che il Signore e Salvatore nostro abbia pianto Lazzaro al suo sepolcro ed in un altro luogo abbia visto la città ed abbia pianto su di essa, dicendo: " Se avessi compreso anche tu " (Lc 19,42). Inoltre, in nessuna circostanza, per quanto riguarda l'autorità del Vangelo, si ritrova la consuetudine del ridere (smodatamente).

 

CAPITOLO IX. DELLA PREGHIERA.

San Cipriano:" Dio ci ha insegnato a pregare non soltanto a parole, ma anche con i fatti, pregando e supplicando egli stesso frequentemente e dimostrando con la testimonianza del suo esempio che cosa dobbiamo fare anche noi, come sta scritto: Egli poi si ritirò in luoghi deserti e pregò” (cfr. Lc 5, 16); ed ancora: “Salì sul monte a pregare, e passò la notte nella preghiera a Dio” (cfr. Lc 6, 12). Se pregava Lui, che era senza peccato, quanto è più necessario che noi peccatori preghiamo, e se Lui vegliando ininterrottamente per tutta la notte pregava con orazioni continue, quanto più frequentemente noi dobbiamo vegliare e pregare tutta la notte! " (Cipriano, Il Padre Nostro, 29). Il vescovo Giovanni (Crisostomo): "La preghiera della Chiesa sciolse le catene a Pietro (Cfr. At 12,5-7), ed aumentò a Paolo la fiducia nella predicazione. L’orazione estinse la fornace di fuoco, chiuse la bocca ai leoni, la preghiera domò la ribellione, la preghiera aprì (le porte del) paradiso, la preghiera ripristinò i confini del cielo, l’orazione fecondò la sterile, l’orazione di Cornelio salì al cielo, la preghiera giustificò il pubblicano" (Giovanni Crisostomo, Omelia 27 ?; Elogio della concezione di san Giovanni Battista ?). Il vescovo Isidoro: "Questo è il rimedio per colui che arde per gli stimoli dei vizi: ogni volta venga toccato da un vizio di qualunque tipo, si sottometta altrettante volte alla preghiera, poiché l’orazione frequente estingue l’assalto dei vizi" (Isidoro, Sentenze L. 3, cap. 7). San Benedetto: " Bisogna inoltre sapere che non saremo esauditi per le nostre parole, ma per la purezza del cuore e la compunzione che strappa le lacrime. Perciò la preghiera dev'essere breve e pura, a meno che non venga prolungata dall'ardore e dall'ispirazione della grazia divina" (Benedetto, Regola per i monaci, cap 20,3-4). Vescovo Atanasio: "Quando desideri celebrare una preghiera, presenta te stesso come se stessi per parlare con il Signore. Accetta di parlare con il Salmo con colui col quale vuoi parlare e gioisci di più per la compunzione d’animo, piuttosto che per la dolcezza di una limpida voce. Dio approva di più le lacrime di chi salmeggia rispetto alla voce. Credi che Dio osserva tutte le tue opere e tutti i tuoi pensieri; e fai attenzione ad evitare di essere indegno agli occhi divini nelle opere e nei pensieri" (Atanasio, Esortazione ad una sposa di Cristo, 18).

 

CAPITOLO X. L’IMPEGNO NELLA LETTURA.

San Cesario Vescovo: "Dalle divine fonti delle Scritture sgorga continuamente acqua di salvezza dell’anima, della quale acqua il Signore dice: " (Beva) chi crede in me. (Come dice la Scrittura): Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva " (Gv 7,38). L’anima santa si sforzi di ornarsi di continuo anche dei fiori del paradiso, cioè dei pensieri delle sante Scritture " (Cesario, Regola per i monaci, ?). Il vescovo Atanasio: "Amate il banchetto delle divine letture, aspirate a saziarvi di cibi spirituali e cercate preferibilmente quei cibi di cui si nutre di più l'anima che il corpo" (Atanasio, Esortazione ad una sposa di Cristo). Il presbitero Girolamo: “Leggi spesso, impara il più possibile, il sonno ti sorprenda mentre tieni in mano un codice ed una santa pagina sostenga il volto che sta reclinando" (Girolamo, Epistola 22). Quando apri il codice, prima di iniziare a leggere, è opportuno che tu dica per tre volte quel versetto dei Salmi, secondo l'autorità del padre Davide: "Signore, apri le mie labbra, e la mia bocca annunzierà la tua lode," (Sal 51(50),17). E: " Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge e la osservi con tutto il cuore" (Sal 119(118),34). E poi può iniziare la lettura con compunzione di cuore. Dopo aver completato la lettura, occorre che tu dica: " Ti loderò con cuore sincero, Signore, quando avrò appreso i tuoi giusti giudizi. Sgorghi dalle mie labbra la tua lode, perché ho scelto i tuoi precetti " (Sal 119(118),7;171;173). Se ti turberà una qualche tentazione di uomini malvagi o anche di spiriti immondi, secondo l'autorità del signore vescovo Agostino dì con la bocca ed il cuore: " Il Signore è per me, non avrò timore: che cosa potrà farmi un uomo? Il Signore è per me, è il mio aiuto, e io guarderò dall’alto i miei nemici" (Sal 118(117),6-7).

 

CAPITOLO XI. DELLE OPERE DELLE MANI.

Sant'Isidoro vescovo: " Il servo di Dio lavori sempre con le sue mani, in modo che si applichi ad ogni mestiere artigianale e ad ogni lavoro, seguendo l'Apostolo che dice: "Né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno". Ed ancora: "Chi non vuole lavorare, neppure mangi" (Cfr. 2 Ts 3, 8.10). Infatti, con l'ozio, passioni e pensieri cattivi trovano il loro cibo e crescono, mentre i vizi scompaiono completamente con l'esercizio del lavoro. In nessun modo il monaco deve disdegnare di eseguire un qualunque lavoro necessario alle esigenze del monastero. In effetti, i patriarchi pascolarono le greggi, i filosofi pagani furono calzolai e sarti ed il giusto Giuseppe, la cui sposa era la vergine Maria, fu un fabbro ferraio. E così anche Pietro, principe degli apostoli, fece il mestiere di pescatore e tutti gli apostoli facevano un lavoro materiale con il quale sostenevano il corpo. Il servo di Cristo deve lavorare con le mani per avere sempre la lode di Dio sulla bocca e con la lingua offrire salmi ed inni. È quindi necessario lavorare con il corpo, ma con l'intenzione dell'animo fissata in Dio, ed impegnare le mani nel lavoro in modo che lo spirito non si allontani da Dio" (Isidoro, Regola per i monaci, cap. 6(5)). Il vescovo Agostino: " Quanto al cantare i canti divini, può esser fatto - e con facilità - anche mentre si lavora con le mani. Anzi, è bello rallegrare così il lavoro quasi col ritmo di una celestiale cadenza. Chi dunque può proibire al servo di Dio che, mentre lavora con le mani, mediti la legge del Signore e canti salmi a gloria del nome del Dio altissimo?” (Agostino, Il lavoro dei monaci, 17,20). Il presbitero Cassiano: "Come i servi di Dio devono sottrarre al riposo una parte del tempo, così allo stesso modo devono esercitare le virtù dell’anima ed i compiti dell’uomo esteriore, per non porre fine alla meditazione spirituale(Citazione sconosciuta). Il vescovo Ambrogio: " L’Apostolo Paolo dal mattino fino al pasto della quinta ora lavorava con le mani: e poi discuteva pubblicamente fino alla decima ora" (Ambrogio, Commento alla seconda lettera ai Corinzi). Girolamo a Rustico: " Attendi a qualche lavoro manuale, perché il diavolo ti trovi sempre occupato. Se gli Apostoli di Cristo, che avevano diritto di vivere del vangelo (cfr. 1 Ts 2,9), lavoravano con le loro mani per non essere di peso a nessuno, e anzi, porgevano ristoro agli altri dai quali, in cambio dei beni spirituali, avevano diritto di cogliere i beni materiali " (Girolamo, Lettera a Rustico, 11). San Benedetto: "perché i monaci sono veramente tali, quando vivono del lavoro delle proprie mani come i nostri padri e gli Apostoli" (Benedetto, Regola per i monaci, 48,8). Quando ti è necessario esercitare il lavoro corporale delle mani, prima di iniziare secondo l'autorità di San Benedetto e Cassiano dì per tre volte: " O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto (Sal 70(69),2)., aggiungendo il Gloria al Padre", e poi, fatto il segno della croce, inizia il Padre Nostro. Così, infatti, dice San Girolamo: " Ad ogni azione, e ogni volta che ti metti per strada, fatti il segno della croce " (Girolamo, Epistola 22). Dopo aver recitato il versetto: "Dio, vieni in mio aiuto", lo stesso Cassiano nella decima Collazione lo celebra con grande lode, affermando che è consigliabile e moltissimo utile, dicendo che è di aiuto sia in ogni utilità umana, che contro il nemico invisibile (Cassiano, Collazione 10, cap.10). Terminato il lavoro, secondo l'autorità di san Benedetto si dice per tre volte davanti all’altare di Cristo: " Sii Benedetto, Signore Dio, che mi hai aiutato e mi hai consolato " (Benedetto, Regola per i monaci, cap. 35,16: Cfr. Sal 86(85),17).

 

CAPITOLO XII. LA MEDIOCRITA’ DEGLI INDUMENTI.

Sia anche di tuo gradimento la mediocrità e la spregevolezza degli indumenti, secondo gli esempi di molti dei santi Padri. San Gregorio papa: "Nessuno stimi che non vi sia peccato nella ricercatezza e nella dissolutezza delle vesti poiché, se ciò non fosse una colpa, per nessun motivo il Signore avrebbe lodato Giovanni per la ruvidezza del suo abbigliamento. Se il culto delle vesti non fosse una colpa, mai l'apostolo Pietro nella lettera avrebbe frenato le donne dal desiderio delle vesti preziose dicendo: "Non con vesti sontuose" (Cfr. 1 Pt 3,3; 1 Tm 2,9). Dobbiamo considerare seriamente che il desiderio di vesti lussuose, dal quale il pastore della Chiesa si preoccupava di allontanare le donne, è anche una colpa per gli uomini"(Gregorio Papa, Omelia sui Vangeli, Libro I, Omelia 6,3). Si legge, infatti, nei Sacri Canoni del Concilio Cartaginese, che il chierico non deve cercare l’eleganza né dei vestiti né delle calzature. Il santo Girolamo così dice: " la tunica grossolana attesti il tuo disprezzo per il mondo " (Girolamo, Lettera 125 a Rustico, cap. 7). San Benedetto così dice, a proposito del colore o della qualità da conferire agli abiti: " i monaci non devono attribuirvi eccessiva importanza, accontentandosi di quello che si può trovare sul posto ed è più a buon mercato " (Benedetto, Regola per i monaci, cap. 55,7). Cassiano inoltre (dice) così: " Per quanto riguarda la veste del monaco, è sufficiente che copra il corpo, rimuova la vergogna della nudità e prevenga la sofferenza del freddo, ma non deve nutrire i semi della vanità e dell'orgoglio " (Cassiano, Istituzioni Cenobitiche, Libro 1, cap.3). Anche San Cesario ci ammonisce di ciò dicendo: "Non desiderate possedere coperte eleganti o copriletti ricamati, e neanche stoffe decorate o altre cose simili preparate con spesa enorme ed inutili per la lussuria degli occhi " (Cesario, Regola per le monache, cap. 41 e 42). San Basilio: " Chi vuole condurre una vita devota e pia ricerchi sempre le vesti semplici e di poco pregio, cioè quelle che si acquistano con poca spesa. Per le calzature si osserverà pure il medesimo criterio: che, cioè, si scelga quanto vi è di più semplice, di più disponibile " (Basilio, Regola per i monaci, Questione 11). Pacomio così (dice): " Il vostro abbigliamento non attiri l'attenzione e non aspirate ad essere graditi per i vestiti, ma per il vostro modo di vivere " (Pacomio, Regola di Pacomio, ?: Regola del monastero Tarnantense, cap. 17) . Isidoro così dice: " (Il monaco) deve abbandonare l'eleganza delle vesti e l'ornamento degli indumenti. Il servo di Dio ha bisogno di protezione, non di delicatezza " (Isidoro, Regola per i monaci, cap 13(12). E riguardo ai vestiti che non devono essere superflui, ascolta il beato Benedetto che dice: " a ogni monaco bastano due cocolle e due tonache"(Benedetto, Regola per i monaci, cap. 55,10). E san Basilio su questo argomento così si pronuncia, dicendo:" Riguardo al numero dei vestiti non possiamo dire nulla, poiché è prescritto con chiara precisione, là dove si dice: Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non l'ha. Da ciò risulta certamente illecito avere più abiti. Dunque si può prescrivere qualche norma riguardo alla diversità degli abiti per chi non può possedere due tuniche? " (Basilio, Regola per i monaci, Questione 11, Par. 42-44).

 

CAPITOLO XIII. L’OSPITALITA’.

Cerca davvero di soddisfare l’ospitalità a seconda delle tue capacità, sorretto dai molti esempi dei Padri, per l’amore di Colui che nel giorno del giudizio dirà: "Ero straniero e mi avete accolto" (Mt 25,35), e " tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me " (Mt 25,40). Onde anche Paolo lo dice: " L’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli " (Eb 13,1-2). Quindi Pietro dice: " Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare " (1 Pt 4,9). Il beato papa Gregorio inoltre (dice): " Amiamo dunque l’ospitalità, fratelli carissimi; amiamo praticare la carità " (Gregorio papa, Omelia 23). Inoltre, san Fruttuoso martire diceva così: " Con la più grande devozione di amore e di servizio occorre prestare le attenzioni ai fratelli che sono ospiti o viaggiatori e la sera si lavino i loro piedi; se sono stanchi di un viaggio, siano unti con olio. Si forniscano loro letti, lampade e materassi morbidi e, quando se ne vanno, si riforniscano del necessario, a seconda dei mezzi del monastero" (Fruttuoso, Regola per i monaci, cap. 10(9)). Agli ospiti sono persino da lavare i piedi e, fatto ciò, secondo l'autorità di san Beenedetto si deve dire: " Abbiamo ricevuto la tua misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo Tempio ". “Agli ospiti in arrivo o in partenza”, come dice san Benedetto, "con il capo chino o il corpo prostrato a terra, si adori in loro lo stesso Cristo, che così viene accolto nella comunità. Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare. Dopo l'orazione gli si offra un bacio (di pace) e si legga all'ospite un passo della sacra Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino tutte le attenzioni che può ispirare un senso di umanità" (Benedetto, Regola per i monaci, cap 53).

 

CAPITOLO XIV. LA GLORIA UMANA.

Il Signore e Redentore nostro, nel suo Vangelo ci ricorda il detto: " State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro " (Mt 6,1), e cioè, fate bene attenzione a non ricevere vane lodi dagli uomini. Ma qualunque cosa buona faccia il Cristiano, la faccia desiderando di ottenere il regno celeste ed eserciti la carità fraterna per amore di Cristo e per la salvezza della sua anima. Coloro che fanno l’elemosina o le preghiere ed i digiuni, per ricevere la lode umana, senza dubbio si privano della bontà eterna. Di questi infatti, che quindi compiono buone cose per ricevere in questo secolo la lode dagli uomini, dice il Redentore del mondo: "In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa" (Mt 6,2). “Quando per una azione retta, come dice il santo Papa Gregorio, " si cerca una lode passeggera, si vende a poco prezzo una cosa degna di un compenso eterno” (Gregorio papa, Regola Pastorale, cap. 35). “Il servo di Dio deve cercare con ogni sforzo di fare in modo che le cose buone che ha fatto vadano in lode di Dio, da cui ha ricevuto i beni, non in sua lode" (Gregorio papa, ?). Come dice il Signore nel Vangelo: " Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli" (Mt 5,16). E l'Apostolo: "Chi si vanta, si vanti nel Signore" (2 Cor 10,17). Ed il Salmista: "Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome da’ gloria" (Sal 115(113B),1).

 

CAPITOLO XV. LA PERSEVERANZA NELLE BUONE OPERE.

La virtù delle buone opere è la perseveranza, come dice il Signore nostro Dio: " Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato " (Mt 24,13). Ascolta perché non disse: "Chi avrà bene iniziato", ma "chi avrà perseverato nel bene sarà salvato". La virtù non sta nell’iniziare (l’opera) buona, ma nel perseverare nel bene. Ci sono, infatti, coloro che bene iniziano, ma terminano male la propria conversione, come Giuda, prima apostolo e più tardi traditore del Signore. Al contrario ci sono coloro che iniziano male, ma finiscono bene, come Paolo che prima era un persecutore e poi un predicatore; prima ladro, più tardi fedele amministratore; prima lupo, in seguito agnello. Il servo di Dio, quando inizia a compiere una buona azione, deve assolutamente chiedere a Dio con pressante orazione che la conduca a termine: in modo che anche Colui che abbiamo conosciuto - grazie al dono della sua indicibile misericordia - ci conceda con la sua solita pietà di desiderare e portare a termine (le buone opere). E così, noi che non valiamo per i nostri meriti, grazie alle preghiere dei suoi Santi che gli piacquero fin dall’inizio, meritiamo di ottenere ogni tipo di perseveranza nelle buone opere. E ciò grazie a Lui che è l'alfa e l'omega, il principio e la fine, Gesù Cristo nostro Signore, che con l'eterno Padre e con lo Spirito santo vive e regna in eterno e per sempre. Amen.

 


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9 marzo 2021                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net