LIBELLUS A REGULA
SANCTI BENEDICTI SUBTRACTUS
Suor Marie-Bernard Said O.S.B.
Estratto e tradotto da «Règles monastiques au féminin» – Vie Monastique, n. 33
Abbaye de Bellefontaine 1996
INTRODUZIONE
1. Contesto storico e geografico
L'opera di cui presentiamo qui una traduzione francese, il Libellus a Regula Sancti Benedicti subtractus, offre, a prima vista, poca originalità. Il suo principale interesse sembrerebbe risiedere nella sua qualità di testimone della benedettinizzazione del monachesimo spagnolo, fattore di capitale importanza nell'europeizzazione della Spagna nel X secolo, processo il cui centro politico-geografico era la Rioja, regione di confine del nordest, sulla riva destra dell'Ebro, all’epoca era stata da poco riconquistata dalla Navarra. Tuttavia, l'opera conservata presso l'Accademia Reale di Storia di Madrid con la segnatura Aemilianensis 62 e pubblicata per la prima volta nel 1973 dal professor A. Linage Conde [1] non è solo una preziosa testimonianza, “unica nel suo genere [2] ”, di questo movimento di benedettinizzazione, ma anche la prima regola monastica scritta in Spagna appositamente per le monache [3]. che mostra “un evidente desiderio di mobilitarsi per la Regola benedettina [4] ”, in un momento in cui i monasteri fondati per colonizzare i territori liberati “ (dai saraceni) si posero all'unisono con l'Europa cristiana, adottando il codice benedettino [5] ”.
Questa colonizzazione monastica sembra essere iniziata durante la prima metà del X secolo, forse già nel 923 con la fondazione da parte del re Ordoño II de Leon del monastero di Santa Coloma, a sud-est di Nâjera (Ndt.: Situata nella odierna comunità autonoma di La Rioja), la prima delle numerose fondazioni reali in questa regione. la più importante delle quali fu l'Abbazia di San Martino di Albelda, fondata il 5 gennaio 924 dal re Sancho Garcès I di Navarra, e organizzata con regio decreto “secondo la Regola di San Benedetto o secondo quanto avete appreso dai Santi Padri [6] ”. Si noterà con interesse in questa Carta fondativa il parallelismo tra la Regola benedettina e quanto trasmesso dai Santi Padri.
Nel 925, un anno dopo la fondazione di questa abbazia reale, e con la restaurazione politica della Navarra (Ndt.: Dopo le numerose vittorie di Sancho I Garcés contro i musulmani), iniziarono gli insediamenti monastici. San Martino di Albelda in particolare conobbe un lungo periodo di prosperità durante il quale l'abbazia divenne il centro di un vasto movimento della cultura spagnola. A mezzo secolo dalla sua fondazione, il monastero contava circa 200 monaci e disponeva di una ricca biblioteca, oltre che di uno scriptorium in piena attività. Questo insieme di elementi unito, da un lato al favore del re e dall'altro ad una felice situazione geopolitica, fece sì che San Martino di Albelda nel X e XI secolo fosse uno dei centri più importanti della cultura ispanica medievale. Qui è anche dove, intorno al 950, fu copiato per un pellegrino francese, il vescovo di Puy Godescalc, il testo di sant'Ildefonso di Toledo, De virginitate beatae Mariae [7].
In sintesi, si può affermare che la storia dell'Abbazia di San Martino di Albelda è quella di un monastero pre-cluniacense che conobbe grande prosperità nella regione di confine della Rioja, in un momento in cui i monasteri di questa regione avevano un ruolo importante da giocare nella politica di insediamento del re vittorioso. E se ci siamo soffermati sulla sua storia, è perché, come abbiamo visto [8]. secondo Bishko ed allo stato attuale delle conoscenze, sembra che San Martino di Albelda sia stato il primo dei monasteri della Navarra ad essere istituito sotto la Regola benedettina, fatto non privo di importanza per la storia della scrittura del nostro Libellus, opera che “assomiglia alla maggior parte delle sue sorelle maggiori, le regole pre-carolingie raccolte da Benedetto d'Aniane [9] ”, e che deve essere collocato in questo contesto monastico e politico-sociale della Navarra del X secolo, perché i fondamenti teologici di una regola dipendono non solo dalle comunità per le quali è stata scritta, ma anche dal periodo in cui è stata scritta.
2. Autore
L'importanza della storia di San Martino di Albelda e la sua influenza nel movimento di europeizzazione in quell'epoca, come centro di propagazione del monachesimo benedettino, è legata, secondo Bishko [10], ad una regola per le monache il cui autore sarebbe Abate Salvus di Albelda (953-956), regola che egli identifica con il Libellus, la prima regola monastica redatta appositamente per le monache in Spagna [11].
Tuttavia, il professor Linage Conde, nella sua presentazione dell'Editio princeps del Libellus, afferma di non aver trovato prove sufficienti per consentirne l'attribuzione all'abate Salvus [12]. A chi dunque attribuire la paternità del Libellus? La risposta non è semplice.
Il professor Linage Conde respinge, come abbiamo appena visto, l'ipotesi di Bishko, che non è sufficientemente fondata. Tuttavia, secondo la Vita Salvi abbatis, Salvus scrisse una regola accurata e molto esigente per le vergini consacrate, Bishko riproduce testualmente il brano della Vita così come è conservato nel Codex Albeldensis [13]. Facendo un collegamento tra questa regola per le monache e il Libellus sulla base di “argomentazioni fondate su delle semplici congetture [14] ”, Bishko conclude che il peso dell'evidenza ci consente di affermare, senza alcuna esitazione, che questa regola per le monache che avevamo ritenuto persa non è altro che il nostro Libellus [15].
Infatti, sembrerebbe che, proprio per la sua natura composita, che gli conferisce a prima vista un'apparente impersonalità, una non originalità, il Libellus circolasse anonimo. L'esame del manoscritto, effettuato sia da Bishko che dal professor Linage Conde, mostra che il primo foglio, sebbene mutilo nella parte inferiore, conserva intatto l'incipit. Possiamo leggere il titolo, ma non vediamo traccia di cancellazione di quello che avrebbe potuto essere il nome di un autore [16]. Ma con il foglio 92 che chiude il manoscritto, abbiamo il colophon (Ndt.: Il colophon (dal greco kolophon, coda) è l'annotazione finale di un libro che porta il nome dello stampatore, di luogo e data di stampa, e simili) dello scriba. Qui forse troveremo una risposta alla domanda: “Chi è l'autore del Libellus?” In effetti, un sacerdote di nome Eneco Garseani, ci informa nel colophon che il 25 novembre 976 terminò la trascrizione di questa regola. Di questo sacerdote non sappiamo altro se non quello che dice di sé, cioè che è sacerdote ed ha legami con il monastero femminile dei Santi Nunilone e Alodia [17]. È il cappellano delle monache o un oblato residente in un vicino monastero di monaci, come sembra suggerire Bishko? Se è così, non è impossibile che il Libellus sia opera di uno scriptorium di monaci, rispondendo al desiderio espresso da Benedetto, vescovo di Nâjera nel 976, di promuovere questa regola nei monasteri femminili della sua diocesi [18]. Nel capitolo 30 troviamo quella che potrebbe essere un'allusione a un gruppo di monasteri femminili: «Abbiano con tutti i monasteri di sorelle tanto amore in modo che tra loro ci sia un cuore solo e un'anima sola» (cap. 30,26). Il professor Linage Conde propende per la tesi avanzata da Bishko, chiedendosi se il codice di Eneco Garseani sia l'originale o una copia [19]. Sembra che, allo stato attuale della ricerca, nulla ci permetta di decidere in una direzione piuttosto che nell'altra. Questa incertezza non facilita l'attribuzione della paternità del Libellus. Non possiamo escludere la possibilità che il testo sia opera di un monaco professo di un monastero di La Rioja vicino a Najera [20]. Tuttavia, il professor Linage Conde fa notare che solo una delle tre carte conservate nella collezione diplomatica del monastero di Albelda attesta l'osservanza della Regola benedettina in questo monastero. Questa carta risale al 955, e l'esame dell'onciale prova che il Libellus proviene dalla stessa penna [21]. Bishko è del parere che le somiglianze tra il manoscritto Aemilianensis 62 ed altri codici della scuola di Albelda permettano di ipotizzare che in quella scuola si fosse formato Eneco Garseani [22].
Cosa possiamo concludere da questa ricerca? Nulla di certo, se non che nel 976 il sacerdote Eneco Garseani trascrisse il testo del Libellus per una comunità di monache. Era lui l'autore o semplicemente il copista? Non sappiamo nulla. Ma la cosa principale non è nel nome dell'autore. È nel testo stesso.
3. Fonti
Se la ricerca del nome dell'autore non ha dato molti frutti ed è stata piuttosto arida, altrettanto non si può dire per la ricerca delle fonti. Dobbiamo iniziare caratterizzando chiaramente questa regola in relazione alle antiche regole monastiche. Come accennato in precedenza, il testo del Libellus circolava originariamente in forma anonima. D'altra parte, molte regole antiche godevano di una certa popolarità - se così ci si può esprimere - secondo la fama di santità del loro autore. Non così per il nostro Libellus. In questo somiglia a molte regole redatte in quel periodo sotto vari titoli, senza nome dell'autore, come pure a certe regole antiche come, ad esempio, la Regula orientalis, la Tarnatensis, e due regole entrambi chiamate Regula cuiusdam Patris [23]. È leggendo attentamente il Libellus che ci si rende conto di quanto esso dipenda dai suoi predecessori di epoca carolingia. Questo opuscolo, questo “libretto”, è infatti una raccolta, quasi una centonizzazione (Ndt.: La centonizzazione indica un componimento letterario risultante dall’accostamento di parole e frasi di altri autori famosi. Si vedano per esempio le Regole-centone), testimone tardivo di un genere letterario che sembra non essere più utilizzato da due o tre secoli [24]. Nella sua composizione riunisce la Regola di San Benedetto e il Commentario ad essa fatto da Smaragdo, abate di Saint-Mihiel sulla Mosa. A lungo si è pensato che questo monaco colto fosse di origine “probabilmente irlandese [25]”. Tuttavia, F. Radie, nel suo capolavoro pubblicato nel 1974, “suggerisce una provenienza dalla Francia meridionale o dalla Spagna [26] ”. È facile vedere l'interesse di questo suggerimento per il nostro scopo. Consigliere di Carlo Magno e Ludovico il Pio, Smaragdo fondò nella sua abbazia - come sappiamo - una scuola di clausura. Tra i suoi scritti ricordiamo il Diadema monachorum, opera appartenente al genere letterario delle centurie; la Via Regia, trentadue capitoli nello stile degli specchi; l'Expositio in Regulam sancti Benedicti, scritta probabilmente intorno all'820.
Il genere letterario della Via Regia è di particolare interesse per il nostro studio. Ereditato dalla Sacra Scrittura [27] e dall'antichità cristiana, esso stesso discendente dall'antichità pagana, il genere letterario dello Specchio, speculum, fu sfruttato dai Padri della Chiesa, trasmesso dagli autori dell'alto medioevo fino al XIII secolo, e conservato negli scritti dei periodi successivi. Ogni autore ha dato un simbolismo diverso a seconda che si trattasse di uno specchio istruttivo o di uno specchio normativo ed esemplare. È a questa categoria che appartiene il Libellus. Al cap. 7.13-14, possiamo leggere:
“Vogliamo che questa regola sia letta abbastanza spesso in comunità, perché nessuna sorella trovi giustificazioni nella sua ignoranza. Dice il beato Agostino: «Perché possiate osservarvi in questo libretto come in uno specchio (ut autem uos in hoc libello, tamquam in speculo possitis inspicere.), al fine di non dimenticare nulla...» " (Ndt.: Nel Libellus viene citato sant’Agostino, mentre la Regola citata è quella di Eugippo)
Questo ben si conforma al ruolo di uno specchio “che rimanda la propria immagine all'uomo che si guarda [28] ” e gli permette di vedere l'ideale – utopia? - a cui deve conformarsi, e confrontarla con la realtà concreta della sua esistenza quotidiana. Il Libellus è composto da 32 capitoli costruiti nel genere dello specchio, come lo è la Via regia, non è lì che trova la sua prima ispirazione, bensì nell'Expositio in Regulam sancti Benedicti, quest'opera di Smaragdo che, come P. Réginald Grégoire, ha scritto, “costituisce la base intellettuale e spirituale del monachesimo carolingio [29] ”.
Infatti, nel Libellus,
“Ciò che attira particolarmente l'attenzione è l'uso massiccio del Commentario di Smaragdo su San Benedetto. Attraverso questa glossa, anch'essa dipendente dalla Concordia di Benedetto d'Aniane, sono entrati nel Libellus molti frammenti di regole antiche [30] ”.
La Concordia di Benedetto d'Aniane, maestro di Smaragdo, così come il Codex regularum, sono le sue opere principali. Il Codex, come suggerisce il titolo originale, Liber ex regulis diversorum Patrum collectus, è una raccolta di regole di vari Padri destinate ad essere lette all’ora Prima nel capitolo. Ma è dalla Concordia che dipende così fortemente l'Expositio de Smaragdo. Secondo L. Bergeron, l'intenzione di Benedeto d'Aniane sarebbe quella di diffondere la conoscenza della Regola benedettina avvicinandola alle antiche regole monastiche [31]. Tuttavia, va notato che la Concordia mira a mantenere l'interesse dei monaci per le regole antiche, non a sostituirle con la Regola benedettina. Si notano, infatti, sia nel Codex e nella Concordia di Benedetto d'Aniane che nell'Expositio di Smaragdo, numerosi riferimenti, citazioni esplicite o semplici allusioni, sia scritturali che patristiche. Questa caratteristica comune si ritrova anche nel Libellus, come testimoniano i numerosi riferimenti in fondo alle pagine o al margine.
4. Influenze
Quindi questo lavoro non è omogeneo. Pur cercando di promuovere il codice benedettino, l'autore ha voluto rimanere fedele a certi usi e costumi visigoti, nonché alla tradizione latina trasmessa da Smaragdo. L'apparente non originalità del testo del Libellus, infatti, scompare non appena ci si prende la briga di rileggerlo su sfondo carolingio e pre-carolingio. Possiamo constatare la sua innegabile originalità dal modo in cui l'autore dispone materiale benedettino e smaragdiano e, attraverso quest'ultimo, materiale colombaniano, regole antiche, ispirazioni risalenti all'età del primitivo monachesimo. Dal vecchio attinge cose nuove.
Basta una rapida occhiata per mostrare che i primi due capitoli contengono una buona metà del Libellus ed insieme al terzo, ne costituiscono la parte spirituale. I capitoli 4-32 sono di natura istituzionale e riassumono alcuni elementi dell'insegnamento dato da Benedetto nei capitoli 26-73 della sua regola. Il tocco di Smaragdo è presente quasi ovunque. Ma è necessario sottolineare l'assenza di alcuni capitoli di Benedetto. Nulla si trova sull'ufficio divino, l'opus Dei, ampiamente trattato nei capitoli 8-19 della Regola di Benedetto. Questo schema è sostituito da un modello di origine mozarabica. Non troviamo nemmeno i capitoli disciplinari di Benedetto, sostituiti dal penitenziale del capitolo 30. Il capitolo 58 sull'accoglienza dei novizi è sostituito dal capitolo 26, di origine visigota. Non si parla nel Libellus di partenze dal monastero, accoglienza degli ospiti, sacerdoti - cosa normale solo in un testo destinato alle donne - decano, bambini offerti, artigiani del monastero, studi. L'assenza di quest'ultimo punto non significa che le sorelle fossero analfabete. Al contrario, la lettura delle cose divine ha il suo posto. Una lettura attenta rivela altre modifiche del codice benedettino al fine di adattarlo al carattere femminile dei destinatari del Libello.
A parte la generale femminilizzazione del vocabolario, si notano alcuni arrangiamenti di ordine materiale. L'autore riduce la porzione di vino. Dove Benedetto prevede un'emina per i monaci, per le sorelle dovrebbe bastare solo un terzo di questa misura (15,14). D'altra parte, nel capitolo 25 notiamo che è più generoso di Benedetto per quanto riguarda l'abbigliamento e le scarpe. Il nostro autore precisa “secondo l'uso del paese” (25,3), forse secondo l’usanza femminile del tempo. Inoltre, ciò sembra conforme allo spirito di san Benedetto, il quale stabilisce che i monaci “si accontenteranno di quanto si troverà nel paese dove abitano” (RB 55,7). Un attento esame del testo rivela qualche ulteriore modifica riguardante il lavoro manuale. Secondo il capitolo 16, sembrerebbe che le sorelle non lavorino nei campi ma solo “fuori”. Riguardo ai labores agrorum (RB 41,2), di cui parla San Benedetto, il Libellus dice semplicemente perinsecus lavoro, lavoro esterno (16.2). Parimenti nel capitolo 23 non si fa cenno all'obbligo per le sorelle di lavorare nella raccolta dei prodotti agricoli, come si dice in RB 48,7. Il lungo brano che san Benedetto dedica al lavoro manuale è raccolto dall'autore del Libellus in due brevi frasi: “L'ozio è nemico dell'anima. Le sorelle devono quindi dedicare alcune ore al lavoro delle mani, ed altre alla lettura delle cose divine» (23,1). Nulla si dice sull'organizzazione di questo lavoro. Nel capitolo 21 leggiamo che le sorelle, come i fratelli in San Benedetto, lavorano «in cucina, in cantina, nel forno, nell'orto - in horto - (Lib. 21,1; RB 46,1) ma, contrariamente ai fratelli, non “in qualsiasi altro luogo - in quocumque loco” -. Interessante omissione.
Più importanti di queste divergenze, che possiamo qualificare come secondarie, sono i due capitoli estranei al codice benedettino trasmessi da Smaragde:
- 26: “Sul modo di accogliere le sorelle novizie”, ed
- 30: “Ciò che le sorelle devono osservare nel monastero”.
Bishko li descrive come: “Non benedettini, non Smaragdiani”.
5. Il Patto
Il capitolo 26
(Ndt.: Relativo al modo in cui accogliere le sorelle novizie) contiene menzione di una carta pacti, un foglio del patto. Questa menzione nel rito della professione indica il contesto liturgico in cui è stato scritto il Libellus. Questa è una tradizione visigota diffusa quasi ovunque in Spagna prima dell'VIII secolo. Qual era la natura di una professione effettiva? Per rispondere a questa domanda è necessario evocare brevemente l'evoluzione del regime del patto, ed anzitutto definirlo.La definizione risale all'antichità classica [32]. Secondo Cicerone, il patto è ciò che viene concordato tra due o più persone. Si tratta di “un accordo avente forza di legge”. Questo termine del diritto romano era utilizzato anche per designare la professione monastica. Si trova in San Girolamo, ma era già in uso all'inizio del IV secolo. In Spagna, nel VII secolo, San Fruttuoso di Braga lo utilizzò nell'ambito dell'emissione della professione monastica - annotari in pacto. Verso la metà del decimo secolo si parla di un patto in uno statuto elettorale dell'abbazia. Si tratta di un abate benedettino al quale i monaci promettono di sottomettersi in obbedienza: concludono un patto hoc est pactum quod pepigimus nos omnes (questo è il patto che tutti noi abbiamo concluso). È un esempio, tra altri possibili, di una pratica comune in Spagna e che trova la sua origine nel pactum attribuito a san Fruttuoso nell'appendice alla Regula communis. Questo pactum sembra essere un prototipo, in relazione ad altre regole monastiche. Il pactum fruttuosiano termina con una lunga serie di disposizioni minacciose contro un abate che non si comporta bene.
La struttura giuridica del patto è di origine germanica e visigota. Stabilendo il legame con le strutture politico-sociali dell'epoca, notiamo che Fruttuoso le applicava all'entità sociale quale è una comunità monastica. Bishko, che suggerisce che l'abate Salvus di Albelda abbia scritto il Libellus, gli attribuisce la stessa intenzione di integrare le strutture sociali dell'epoca [33]. L'evoluzione del regime pattizio conduce a un tipo di monachesimo feudale: i monaci si donano interamente, per promessa o donazione - promissio, donatio - sotto l'autorità dell'abate. Questo sviluppo, che potrebbe essere stato soggetto ad influssi monastici, soprattutto benedettini, si tradusse quindi in un diritto, non più della comunità, ma di un abate. Tuttavia, in ogni tappa di questa evoluzione, il patto è sempre stato considerato come una consegna - traditio - che il novizio faceva di se stesso a Dio ed al suo abate. Nella regione germanica, questa consegna dell'io implicava sia una libertà, sia la perdita della libertà personale. Il monachesimo visigoto praticava, a quanto pare, il regime di consegna di sé con perdita della libertà.
È interessante notare che molto tempo fa il patto era un elenco, una sorta di registro dei nomi dei membri della comunità. Ce lo rivela il patto del monastero di Sabaricus in Spagna, curato da Dom De Bruyne e citato da Dom Henri Leclercq. Questo elenco è composto da sette gruppi di firme e contiene i nomi di tredici sorelle. Ciò significa che il monastero di Sabaricus, interamente maschile alla sua fondazione, si è poi evoluto in un doppio monastero.
Quanto appena detto sul pactum illumina singolarmente il capitolo 26 del Libellus. Dopo il periodo di prova, la novizia chiede che il suo nome sia iscritto - ut nomen eius adnotetur - con i nomi delle sorelle. Dopo essere stata ammessa alla professione, «se potrà, scriverà il proprio nome» (26,10). Aggiunge il suo nome al registro dei membri della comunità. Questo registro è la carta pacti, il foglio del patto. Quindi, ricevuto dalle mani della badessa questo foglio del patto - cartam pacti - e ratificato il suo nome - post roborationem sui nominis - si accosterà all'altare per il rito benedettino del Suscipe. La roboratio è segnalata dal fatto che la professa così soggetta al patto tocca con mano la carta, vi mette sopra la mano per ratificare quanto ha appena fatto. Dopo la ripetizione del versetto del Suscipe da parte della nuova professa, ella si prostra davanti all'altare - prosternet se ante aram -: questa è la traditio di se stessa a Dio. “Poi, alzatasi, si prostrerà ai piedi della badessa” - probolbet se pedibus abbatisse - (26,14): si consegna anima e corpo all'autorità della badessa. Non è consentito avere in proprio potere né il proprio corpo né la propria volontà: - nec corpora sua nec uolontates licet babere in propria potestate (9,4). Riconosciamo qui ciò che san Benedetto dice nel capitolo 33 della Regola, ma possiamo notare una piccola modifica che la dice lunga. Benedetto dice in propria uoluntate (33,4) (disporre liberamente), mentre l'autore del Libellus preferisce dire in propria potestate (avere in proprio potere).
6. Il penitenziale
È nel capitolo 30, “Ciò che le sorelle devono osservare nel monastero”, che troviamo il secondo grande elemento che non rientra nel codice benedettino. Il contenuto di questo capitolo suggerisce un'influenza colombaniana [34]. È pressoché identico al contenuto di due testi di origine castigliana rinvenuti alla fine di un manoscritto dell'Expositio di Smaragdo risalente alla prima metà del X secolo, forse più esattamente del 945, e proveniente dal monastero di Silos. Questi due testi: Item ex regula cuiusdam, e Quid debent fratres et sorores in monasterio servare, sono probabilmente di origine irlandese o franca. Sarebbero arrivati in Galizia nel VII secolo attraverso i circoli monastici di San Fruttuoso. Tuttavia, non sono attestati in Spagna fino al X secolo.
Questa ipotesi non sembra plausibile. Infatti, alcuni testi riconducibili a san Colombano - Regole per i monaci, Regola conventuale, Penitenziale [35] - hanno dato origine ad altri testi, di vena colombaniana senza essere direttamente suoi, destinati uno ai monaci e altri tre alle monache. Di questi tre testi ad uso delle donne, solo uno è stato conservato dal Codice di Benedetto d'Aniane. Questo testo “chiamato, in mancanza di un termine migliore, Regula Colombani ad virgines (...) pone la legislazione colombiana al femminile [36] ”. La parte del Penitenziale è importante. Questo traduce molto concretamente il desiderio, comune negli ambienti monastici franco-irlandesi, di prendere sul serio la vita che si voleva condurre per seguire Cristo. Ci si accusa, perché «l'umiltà del cuore è il riposo dell'anima [37] ». Come dice l'autore delle Libellus: «L'amarezza del pentimento fa sì che lo spirito riconosca meglio le sue colpe e ricordi i doni che Dio gli ha fatto» (cfr 2,5.2). La correzione delle carenze era considerata normale. I monaci e le monache del VII secolo ci danno l'immagine di coloro che sono protesi verso la purezza che permette loro di poter risorgere con Cristo, di raggiungere la carità perfetta attraverso la purezza del cuore: vedere Dio. Come scrive padre de Vogüé: “Le penitenze previste (...) ci stupiscono per la loro severità. Presuppongono (...) un vigore spirituale ed una generosità ammirevoli [38] ”. È questo stesso ideale che ci trasmette il Libellus. Il capitolo 30, radicato nei penitenziali di Colombano e dei suoi discepoli - le note a piè di pagina lo testimoniano ancora una volta - riassume, per così dire, questo messaggio di vigore e generosità nella dolcezza dell'amore indiviso. Questo è il vero messaggio del Libellus. Per convincersene basta notare nella parte spirituale, nei primi tre capitoli, alcuni versetti, solo a titolo esemplificativo.
Fin dall'inizio, la regola dell'amore (1,1.2) è lanciata come un invito ad amare senza riserve Dio ed il suo Cristo. E cosa vuol dire “amare Dio” se non che la mente si preoccupi di lui, che il moto profondo del cuore concepisca il desiderio ardente di godere della visione di Dio... (1,1.6). Amore di preferenza per Cristo, carità che alimenta le virtù e cancella i peccati (1,19.5-6); che rafforza energicamente la mente e custodisce con cura il cuore (1,19.13); che è una volontà retta, attaccata e inseparabilmente unita a Dio, desiderosa della contemplazione divina (1,23-9-10). La carità certo, ma anche la castità, questo frutto della mitezza (1,1.45), resa perfetta dall'umiltà e dalla purezza di cuore (1,38.11), entrambe rendono la vita amata e desiderata. È lì che le sante sorelle, le ancelle di Cristo, troveranno il dolce riposo che il Signore, Dio onnipotente, nasconde nel suo seno per coloro che lo amano (1,44.10). Infine obbedire umilmente alla badessa per Cristo (1,59,5), lui, nostra gioia, nostro riposo (2,1.15). Piangiamo dunque e gemiamo nella nostra confessione per arrivare, con gioia, alla visione di Dio Onnipotente. E lì, con nostro Signore, che ci ha dato in sé un esempio di pazienza e di umiltà, godere di quella gioia promessa a coloro che amano Dio, gioia che, per tutta l'eternità, non sarà tolta (2,12.10-13). A tal fine, pregare con pura devozione: rimanere ai piedi di Cristo che è presente. Che Lui si degni di concedere il perdono ai peccatori, Lui che, con la Passione della Croce, ha versato un rimedio per il mondo malato (3,7-9).
7. Conclusione
Come si vede, il Libellus è un testo escatologico, un testo del desiderio, del desiderio di Dio; un testo che annuncia gli scritti di un Jean de Fécamp e di un San Bernardo, colui che abbraccerà Cristo Signore con tanto amore spirituale. È a questo che tende il Libellus, un eco all'ardente desiderio di San Colombano, talvolta espresso in termini così amari e vissuto dalle sante sorelle, le monache dell'età pre-carolingia: come Fara, Telchilde, Agilberta, Bertilla, Batilde, e tante altre, conosciute o sconosciute.
Il Libellus trasmette questo messaggio d'amore, staffetta nella corsa sul cammino della vita verso l'Eterno. Il nostro testo indica la meta, precisa i mezzi per raggiungerla, tante lastre sulla via, pietre in attesa dell'edificazione, fin da quaggiù nel cuore delle serve di Cristo, del Regno dei Cieli, della Gerusalemme celeste dove il lo Sposo regna. Là possederanno la gioia eterna e riceveranno la ricompensa dell'immortalità. La sorella che rimane vigile e pronta ad uscire, senza indugio, nel cuore della notte, per incontrare lo Sposo, entrerà con lui nella camera nuziale eterna. Lì, avvolta dai suoi abbracci, vivrà nella gioia, felice per sempre (cfr. Lib 1,45.6-8).
L'autore del Libellus legifera per le monache di rito ispanico, che vivono sotto la Regola di San Benedetto. Il carattere ispanico, specifico di una regione, spiega indubbiamente la mancanza di influenza verso l’esterno di un'opera così limitata ad un periodo e ad un'area geografica. Fin dall'inizio, introducendo la parola regula all'inizio del Libro II del Commentario di Smaragdo, l'autore afferma la sua intenzione di comporre una regola [39]. Nel capitolo 26 leggiamo che l'abbadessa esorta la postulante, la nuova sorella che ha appena espresso il desiderio di essere consacrata a Dio, ad osservare questa regola - hanc regulam - con fedeltà e umiltà. Il Libellus è dunque una regola monastica, un codice di osservanza obbligatoria, ma i suoi elementi visigoti escludono ogni carattere universale. Tuttavia, abbiamo qui un prezioso documento della tradizione latina. Qui, come in altre regole pre-carolingie del monachesimo franco del VII secolo come la Regola di Donato, per citare solo un esempio, troviamo la Regola benedettina accanto ad elementi mutuati da altre regole. Notiamo anche che nel decimo secolo in Spagna, come nel settimo in Gallia, i legislatori si mostrarono molto liberi nei confronti di san Benedetto. L'autore del Libellus seleziona i passaggi che serviranno al suo scopo. Quasi certamente si può riferire a questo anonimo autore del X secolo quanto un tempo si scriveva di san Gregorio Magno, questo padre spirituale del medioevo latino:
“Egli eccelle, seguendo una tendenza che forse deve all'Oriente, nell'esprimere quella che si potrebbe chiamare la psicologia del superamento. Analizza, e trova parole per tradurla, l'ascensione che consiste nel distaccarsi da tutto ciò che è terreno, nell'elevarsi «oltre ogni apparenza, nel gustare la dolcezza di Dio” [40].
È giunto il momento di completare questa breve introduzione a “quest'opera molto modesta”. Offre solo alcuni scorci ed apre strade di approccio per ulteriori ricerche. Come sottolinea Suor Lazare de Seilhac nella prefazione, ci sono alcune ripetizioni tra questa Introduzione e la sua Introduzione Generale. Lungi dal sottolineare qualsiasi negligenza, san Benedetto non invita forse a fuggire ogni negligenza? - sono tante convergenze di un pensiero comune. L'opera che, con l'aiuto di Dio, siamo riusciti a compiere, anche se senza dubbio imperfettamente, non è stata facile. Per tutto il tempo è stata un'opera di ascetismo. Ascetismo di perseveranza, ma anche di rinuncia intellettuale per rimanere fedeli allo scopo - propositum - mettere questi testi alla portata delle nostre sorelle. Non pretendiamo di presentare uno studio completo. Bisognerebbe, ad esempio, andare oltre nella ricerca delle fonti, ed in particolare confrontare minuziosamente il Libellus con l'Expositio di Smaragdo. I tanti riferimenti in fondo alla pagina od a margine sono tanti inviti a spingere oltre la vostra ricerca personale.
A me è stata affidata la traduzione del testo latino del Libellus. Con innocente ingenuità, ho accettato questo lavoro. Questa editio princeps, stabilita su un manoscritto danneggiato, a volte lascia perplessi. Era necessario considerare delle opzioni davanti a parole o frasi il cui significato non era ovvio. Anche nella scelta del vocabolario francese è stato necessario prediligere termini che si dicevano più accessibili. Basterà un solo esempio: tradurre l'antico vocabolo tribulatio, così portatore di esperienza spirituale da secoli, spontaneamente avrei usato “tribolazione”; io ho adottato "prova". Possiamo anche notare che la traduzione del capitolo 32 ha solo quattro versetti. Il resto del testo latino è completamente corrotto. Non abbiamo ritenuto utile proporre una traduzione azzardata, più o meno errata, essendo basata solo su brandelli di testo. Né è stato tradotto il testo, importante, aggiunto prima del colophon (fo 91r-92r), che è estraneo al testo originale delle Libellus, e molto più tardivo. Ne parlano Bishko ed il professor Linage Conde, il primo a pagina 569 dell'articolo qui spesso citato, ed il secondo nella sua descrizione paleografica del testo del Libellus. pagine 94-95. Il cantiere rimane quindi aperto ad altri lavoratori. Il vocabolario monastico del Medioevo è un dizionario di vita spirituale. Come disse un autore inglese, Sir Edwyn Hoskyns: “ Immergiti in un dizionario e torna alla presenza di Dio [41].
Nella sua prefazione, suor Lazare evoca la conversazione che abbiamo avuto quando questo progetto è germogliato nella sua fertile mente. Lo ricordo e, anche oggi, ribadiamo la nostra profonda convinzione che questi antichi testi possono non solo aiutare a riscoprire la linfa della tradizione monastica femminile, ma anche riaccendere il desiderio di vivere questa tradizione con più alacrità. Potessimo essere trovate fedeli quando verrà lo Sposo. Quello stesso che San Colombano chiama “L'umilissimo e tuttavia altissimo Re [42] ”, e San Bernardo “L'umile Signore della maestà - Modestus Dominus maiestatis [43]”.
[1] A. LINAGE CONDE, Una Regla monastica Riojana femenina del siglo X: el Libellus a Regula sancti Benedicti subtractus, Universidad de Salamanca 1973 (Acta Salmanticensia Filosofia y Letras, 74), XIII-143 pp.
[2] “un testimonio unico en su genero”, ibid., p. 142.
[3] CHARLES J. BISHKO, “Salvus of Albelda and Frontier Monasticism in Tenth-Century Navarre”, in Speculum, A Journal of Medieval Studies, voi XXIII, ottobre 1948, n°4, p.570.
[4] A. DE VOGÜÉ, “Compte rendu de l’ouvrage du professeur Linage Conde”, in Revue d'Histoire de la Spiritualité 51 (1975), 205-207. [5] Ivi, p. 205. [6] “Secundum Benedicti regulam uel id quod a sanctis patribus didicisti”, BISHKO, art. cit., pag. 563- [7] Ivi, p. 564. [8] Cfr. nota 6. [9] A. DE VOGÜÉ, art. cit., pag. 207. [10] Op cit., p. 568. [11] «Regola monastica spagnola compiuta e accuratamente organizzata per l'uso delle comunità femminili», art. cit., p.570. [12] “Non abbiamo trovato prove sufficienti per mantenere la sua attribuzione all'abate Salvo di Albelda.”, op. cit., pag. 142. [13] «Salvus abba albaildensis monasterii vir lingua nitidus et scientia eruditus elegansssentiis ornatus in uerbis scripsit sacris uirginibus regularem libellum et eloquio niditum et rei ueritate prespicuum (sic)», art. cit., pag. 575. [14] "Le argomentazioni dell’esperto americano sono mere congetture", op.cit., p.136. [15] «Il peso dell'evidenza favorisce prepotentemente l'identificazione del Libellus a Regula sancti Benedicti subtractus con la Regola delle monache di Salvo di Albelda», art. cit., p.578. [16] BISHKO, art. cit., pag. 569, nota 55. [17] «Eneco Garseani, licet indignus presbiterii tamen ordine functus, in accisterio sancte Nunilonis et Olodie alitus, divino presidio fultus, huius scriptionem libri, regula nomen continente Nagela simul sanctarum Nunilonis et Olodie, perfectum est hoc opus congratulate, currente era millesima XIIII, VII calendas decembris...” [18] «Férotin, Liber Ordinum, col. 68, n. 1, assume Eneco come 'padre spirituale (si direbbe oggi il cappellano) di un monastero di monache', ma il termine 'alitus ' nel colophon può plausibilmente implicare oblatura e residenza in una comunità di uomini. La trascrizione di Aemilianensis 62 potrebbe allora essere spiegata come dovuta al desiderio di Benedetto, vescovo di Najera nel 976, di promuovere l'uso del libellus nei conventi diocesani”. art. cit. p.573, nota 69. [19] Op.cit., p. 136. [20] Ibid. [21] Ivi, p. 137. [22]. BISHKO, art. cit., pag. 577.[23] Si leggerà con interesse e profitto il convegno Sub regula vel abbate. Studio sul significato teologico delle antiche regole monastiche, tenuto da Padre DE VOGÜÉ al 2° Simposio Cistercense a Conyers (Georgia) USA, nel maggio 1970, il cui testo è apparso, in francese, in Collectanea Cisterciencia 33 (1971), p. 209-241.[24] A. DE VOGÜÉ, art. “Libellus” in DIP, V (1978) col. 640-641: “L'interesse di quest' opera molto modesta è dovuto al fatto di essere un nuovo rappresentante. e pressoché l'ultimo, di un genere letterario che sembrava concluso, press’a poco, da due o tre secoli.”[25] R. GRÉGOIRE, art. “Smaragde”, in DS, XIV, col. 959-961.[26] Ibid., col. 959.[27] Cfr. ad esempio Sap 7,26; 1Cor 13,12; Gc 1.23.[28] M. SCHMIDT, art. “Miroir”, in DS, V, col.1290-1303.[29] R. GRÉGOIRE, art. cit., col. 960. [30] Cfr. nota 4. [31] L. BERGERON, art. “Benoît d'Aniane”, in DS, I, col. 1438-1442. [32] H. LECLERCQ, art. "Pacte", in DACL, XIII, Parigi 1937, col. 232-236. [33] “È nel trattare l'accoglienza dei convertiti, tema intimamente legato all'organizzazione strutturale della comunità, che Salvo rivela con la massima enfasi la sua adesione ad alcuni principi fondamentali del costituzionalismo monastico spagnolo”, art. cit., pag. 579, citato dal professor Linage Conde, op. cit., pag. 123, nota 4. [34] Lo attestano le note a piè di pagina. [35] A. DE VOGÜÉ, Règles..., p. 19. [36] Ivi, p. 20. [37] R Col M, IX,14, ibid., p. 69. [38] A. DE VOGÜÉ, ibid., p. 32. [39] Expositio: «... ita sunt et bonorum monachorum apta et spiritalia multarum virtutum instrumenta, quibus et in praesenti pulchre et secundum Deum eorum componitur vita...» Expositionis liber secundus, c. IIII Quae sunt instrumenta bonorum operum Éd.. Corpus Consuetudinum monasticarum, vol 8.Libellus : "... ita sunt et bonorum monacorum apta et spiritalium uirtutum instrumenta, si [...] [...] regula est sequenda, per quam in presenti et secundum Deum earum componitur uita...''.
[40] JEAN LECLERCQ e JEAN-PAUL BONNES, Un maestro di vita spirituale nell’ XI secolo. Jean de Fecamp, Parigi, 1946, p. 105. [41] Sir Edwyn Clement HOSKYNS (1884-1937), sacerdote e teologo anglicano, fu il pioniere del movimento di teologia biblica in Inghilterra. [42] Instructio, X, ed. G.S.M. WALKER, S. Colombani Opera, Dublino 1957, p. 104, citato da JEAN LECLERCQ, La spiritualità del Medioevo, Aubier, Parigi, 1961, p. 51. [43] Sermo in Vigilia Nativitatis, IV,10, ed. JEAN LECLERCQ, S. Bernardi opera, Roma, 1966, Editiones Cistercienses, p. 227, riga 24.
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22 aprile 2023 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net