LA
REGOLA DI SANT'ANTONIO IL GRANDE
Antoine Mokbel
Estratto da "
Parole de l'Orient", vol. 2, n° 2
(1966) -
Université Saint-Esprit, Kaslik [Libano].
INTRODUZIONE.
Alla fine del terzo secolo,
e per tutto il quarto secolo, ci fu in Egitto una vera diffusione di anacoresi
tra gli individui di tutte le classi. Questa corsa verso il deserto è legata
alla figura di Sant'Antonio, il padre dei monaci. Antonio, dopo aver ascoltato
la voce del Signore, lasciò tutti i suoi averi e si ritirò nel deserto. "Se il
monaco va nel deserto, spinto dallo spirito di Dio, è esattamente per lo stesso
motivo per cui, secondo i Vangeli, Cristo stesso è andato lì: per essere tentato
dal diavolo; più precisamente, per essere messo alla prova dallo stesso, per
provare lì vittoriosamente le sue forze, le forze della grazia divina, contro di
lui ”
[1].
La fama di Antonio, avendo
raggiunto questo obiettivo ed avendo ottenuto la vittoria sul diavolo, si
diffuse durante tutta la sua vita in tutto l'Egitto. Così narra Atanasio
[2] nella "Vita di Antonio": "molti volevano imitare il suo
ascetismo ... monasteri sorsero sulle montagne ed il deserto fu popolato da
monaci"
[3] e, dopo la sua morte, si diffuse in tutta la cristianità.
Secondo sant'Atanasio fu il Cristo che gli rivelò: "Farò che tu venga ricordato
dovunque"
[4].
Nel Medioevo anche in
Occidente l'influenza di Sant'Antonio nel movimento monastico fu grande
[5]. In Oriente questa influenza fu così grande che la
tradizione orientale considerava ogni monaco come un monaco di Sant'Antonio
[6]. Diversi Ordini furono chiamati "Antoniani" sebbene non
seguissero la Regola di Sant'Antonio
[7]. I monaci maroniti non solo erano soddisfatti del nome
"Antoniani", ma nel 17° secolo seguirono la Regola che porta il nome di
Sant'Antonio, poiché credevano che fosse opera del "Padre dei monaci" ed i
riformatori del monachesimo maronita nel 1695 attinsero, per comporre le
Costituzioni, da questa Regola e dalla vita di Antonio che era coerente con la
vita cenobitica.
Ma quale era il pensiero
personale di Sant'Antonio sulla vita monastica? Conosciamo la figura di Antonio
dalla famosa Vita che scrisse
sant'Atanasio. L'autore lo presenta come un modello di santità monastica. Ma è
difficile sapere esattamente fino a che punto l'arcivescovo di Alessandria abbia
introdotto le sue proprie concezioni in questo contesto.
Le sette lettere pubblicate
da Gérard Garite
[8] sotto il nome di Sant'Antonio, e che tutti gli autori
ritengono autentiche, ci raccontano il pensiero personale di Antonio. Hanno
avuto un'influenza sul monachesimo copto, arabo e georgiano
[9]. Ma queste lettere non costituiscono un sistema
determinato sulla vita monastica, sono piuttosto esortazioni e consigli da cui è
difficile trarre una visione chiara e sintetica della pratica monastica di
Antonio.
I manoscritti contengono
una Regola attribuita a Sant'Antonio. È autentica? Sant'Atanasio non dice nulla
al riguardo. Afferma addirittura che "Antonio non voleva imparare le lettere,
per evitare la compagnia di altri ragazzi"
[10]
e che era analfabeta, da cui i critici hanno concluso che
era impossibile attribuirgli un'opera letteraria. Questo argomento, di per sé
può essere considerato valido contro l'autenticità della regola, ma non è
decisivo. Dobbiamo sapere in quali circostanze sant'Atanasio disse che Antonio
era analfabeta e cosa intendesse con questa affermazione. Essa si situa nella
descrizione di un incontro con dei filosofi che vennero a trovare Antonio,
"pensando di deriderlo perché era illetterato"
[11]; quindi questi sono filosofi e non cultura elementare;
"Essere letterati" significa avere una cultura letteraria e filosofica ellenica.
Inoltre Sant'Antonio disse ai suoi discepoli: "i Greci vanno lontano e
attraversano il mare per imparare le lettere"
[12]. È chiaro che si tratta della ricerca della saggezza
[13]. Antonio poteva avere una formazione di grande valore in
Copto. E quando Atanasio afferma che "né scritti né saggezza profana né arte
resero famoso Antonio, ma solo la pietà verso Dio"
[14] ci lascia pensare che Antonio abbia lasciato opere
letterarie anche se non di grande valore. In ogni caso, il silenzio di
sant'Atanasio rimane un argomento negativo contro l'autenticità di questa
regola.
Un fatto più consistente si
oppone all'autenticità di questa Regola. Nessuno degli scrittori di quel tempo
che parlano così facilmente della persona e delle azioni di Antonio ne fanno
menzione ed il silenzio è sorprendente. San Girolamo, che fu il primo a parlarci
dell'esistenza di sette lettere scritte da Sant'Antonio per i suoi figli
spirituali
[15], non dice alcuna parola di questa Regola. Inoltre, questa
Regola cita, anche se non letteralmente, la vita scritta da sant'Atanasio in
modo che possiamo anche considerarla come un estratto di questa vita, in uno
stile ed uno scopo legislativo e normativo. Tutti questi fatti ci portano a
concludere che la stesura di questa Regola è avvenuta dopo la morte di
Sant'Antonio.
STORIA DEL TESTO.
La Regola di Sant'Antonio
non fu studiata come le altre regole monastiche. Non è stata sufficientemente
esaminata in modo approfondito da parte dei critici. Tutti coloro che hanno
parlato di questa Regola si accontentarono di parlarne di sfuggita senza
soffermarsi sui dettagli e, potremmo dire, nessuno di loro ha fatto ricorso a
manoscritti, ma piuttosto si sono basati sulla traduzione del "Codex
Regularum"
[16] o su quella di J.P. Migne
[17] e, tuttavia, questa Regola si trova in numerosi
manoscritti, tutti in arabo. Non pretendiamo di avere informazioni su tutti i
manoscritti, ma ecco una breve descrizione di quelli che abbiamo potuto
consultare.
I MANOSCRITTI. (Ndt. Ho riportato solo una parte del capitolo)
Vaticano arabo 398 (A) (XV
secolo) 26 X 17; 185 fogli.
Questo manoscritto proviene
dal Collegio Maronita di Roma. È una raccolta di regole monastiche, di apoftegmi
e di storie dei santi padri.
Vaticano siriaco 424 (D); (XVI
secolo), 19 X 17.
Questo manoscritto è di
origine giacobita. Esso racchiude due volumi: il primo contiene 168 fogli ed il
secondo 159 fogli ed è incompleto. Questo manoscritto tratta argomenti diversi.
Beyrouth 482 (B) del 22
aprile 1696, 22 x 15,5, pagine 444.
Charfé (Libano) 9 / 10,6 (C).
Questo manoscritto contiene
solo la Regola di Sant'Antonio come il manoscritto D. È senza impaginazione ma
la Regola si trova da pagina 36 a pagina 41.
La biblioteca del Cairo ha
due manoscritti che contengono la Regola di Sant'Antonio insieme ad altri
scritti.
Cairo 384 (XVIII secolo) (F)
Cairo 494 (1796) (G)
Gerusalemme 16 (1530) (J).
Parigi Siriaco 239 (P).
Questo manoscritto contiene
la Regola ed alcune esortazioni di Sant'Antonio; fogli 107v-112r.
La biblioteca dei Padri
Maroniti aleppini di Roma ha due manoscritti che contengono tutti gli scritti di
Sant'Antonio.
Manoscritto n. 44 (L), 22
novembre 1706, 27 x 19; pagine 253.
Questo manoscritto è una
copia fedele di Vaticano arabo 398
(A): stesso contenuto, stesso ordine dei capitoli. Abbiamo confrontato la Regola
ed altri testi con quelli di A ed abbiamo scoperto che non vi è alcuna
variazione tra i due testi. Ma A è scritto in caratteri arabi mentre
Manoscritto n. 44 (L) è scritto in caratteri siriaci (karchouni).
Manoscritto n. 302 (M), 22 X
16.
Questo manoscritto è senza
impaginazione. Sembra anche essere una copia di A o di L. Ma il copista ci
avverte che il manoscritto originale manca, nel mezzo, di una pagina. Questo
manoscritto è incompleto. L'ordine dei capitoli è identico a quello di A e di L.
LE EDIZIONI
La Regola di Sant'Antonio
fu tradotta per la prima volta in latino prima del 1646 da Abramo Ecchellense
[18]. Questa traduzione non fu pubblicata fino al 1661.
Inoltre, la traduzione pubblicata a Parigi nel 1646 con gli altri scritti di
Sant'Antonio, dello stesso autore Abramo, era solo la seconda
[19].
Abramo Ecchellense, aveva trovato nel Collegio Maronita due manoscritti che
si trovano attualmente in Vaticano sotto i numeri Vat. ar. 398 (A) e Vat. syr.
424 (D). Il primo contiene la Regola di Antonio con altri scritti, come abbiamo
visto, l'altro contiene solo la Regola. La Regola differisce da un manoscritto
all'altro. Infatti, il manoscritto A contiene un breve testo che sembra essere
più autentico, mentre l'altro contiene un testo più lungo.
A. Ecchellense
tradusse per il suo amico Luca Olstenio, che stava preparando in quel momento
l'edizione della famosa collezione di Benedetto da Aniane "Codex
Regularum", il testo di A, aggiungendo le varianti ed il supplemento del
manoscritto D, mentre lui stesso pubblicò il testo più lungo e meno autentico
[20].
Le due traduzioni latine
fatte dallo stesso autore sono leggermente diverse. Le differenze non possono
venire solo dai due testi originali che presentano di per sé solo piccole
varianti che a volte sono trascurabili, ma anche dal fatto che l'autore avrebbe
fatto, crediamo, queste due traduzioni indipendentemente l'una dall'altra ed in
tempi diversi. Da qui si spiega anche la differenza di disposizione e divisione
nell'una e nell'altra traduzione perché, avendo sistemato il breve testo del
manoscritto A in 35 canoni, egli organizzò quello di D, per non parlare solo del
testo comune con A, in 57 canoni.
Notiamo anche la stessa
differenza di divisione nelle parti seguenti, che in Olstenio sono divise in 13
canoni, mentre in D sono in numero di 23. Questa divisione, inoltre, è
arbitraria poiché non corrisponde ad alcun manoscritto: A, C, D, L, M non hanno
divisioni, B ne ha solo 5.
Ma Luca Olstenio morì prima
di poter pubblicare questo lavoro
[21] e quindi il nome di
A. Ecchellense è stato trasmesso in
silenzio in questa edizione; probabilmente Vitalis Mascardus, l'editore di
questa raccolta, non conosceva la fonte esatta di questa Regola che ha
pubblicato in latino.
Queste due traduzioni sono
riprodotte da Migne nel 1863 in due colonne parallele
[22].
La prima edizione in arabo
fu fatta al Cairo nel 1899 da Marco, vescovo e superiore del convento di
Sant'Antonio. Il libro è intitolato "Libro del giardino dell'anima nelle lettere
di Sant'Antonio". L'autore non dice da quale manoscritto sia partito per
l'edizione del suo libro
[23].
Non esiste un'edizione
maronita di questa regola. Padre Efrem Dirani (assistente generale dell'Ordine
dei Monaci Maroniti aleppini) ha pubblicato, nel suo libro "Il fascino della
vita monastica", la vita, le lettere e le dottrine spirituali ed i santi
consigli di sant'Antonio. Non sappiamo quale fosse il testo originale di questa
edizione.
LA REGOLA DI ANTONIO E LA
VITA DI ANTONIO.
Il nome di Antonio è reso
famoso ovunque grazie al suo biografo, sant'Atanasio, che non aveva altro scopo
se non quello di mettere nelle mani dei monaci un esempio, "per poterlo
emulare". "So anche che dopo aver sentito parlare di lui non solo voi lo
ammirate, ma vorreste imitare la sua condotta perché, per i monaci, la vita di
Antonio è sufficiente come esempio di ascetismo", scrive sant'Atanasio ai monaci
desiderosi di conoscerne la vita, l'ascetismo e la morte di Antonio
[24]. Questa vita è stata accolta fin dall'inizio come una
norma ed una regola di vita monastica.
I monasteri collegati a
Sant'Antonio si moltiplicarono nel corso dei secoli ed i monaci non si
accontentavano di avere un'intera vita come regola, ma volevano avere una regola
più precisa seguendo l'esempio degli ordini orientali ed occidentali, e così
Sant'Antonio fu messo allo stesso livello di uguaglianza con i grandi fondatori
di vita monastica, come Basilio, Benedetto, Agostino, ...
Il titolo "Regola di
Sant'Antonio" non è privo di giustificazione. L'autore, infatti, ha molto
estratto dalla vita di Sant'Antonio, cosicché possiamo considerarla, come
abbiamo detto sopra, come un estratto di questa vita. Essa è il riassunto di
tutte le virtù di sant'Antonio: una preghiera assidua e ininterrotta (cap. 3
della Vita), il digiuno e l'astinenza
senza misura (cap. 47), profonda umiltà, amore per il prossimo (cap. 56);
"Lavorava con le proprie mani… Parte del suo lavoro lo dedicava a comprarsi il
pane; il resto lo spendeva per i bisognosi" (cap. 3).
Ndt. Ho tralasciato due capitoli:
- La Regola di Antonio e gli pseudo-canoni del Concilio di Nicea
- La Regola di Antonio e la Regola di
Isaia
CONCLUSIONE.
Chi può essere l'autore di
questa regola? Ed a che tipo di monaci si rivolge?
Da quanto abbiamo appena
esposto, sembra impossibile attribuire questa Regola a Sant'Antonio. Sarebbe
piuttosto il lavoro di un monaco che sarebbe vissuto in un periodo successivo
che non possiamo determinare esattamente. L'autore si rivolge agli eremiti che
vivono separati nelle loro celle ed hanno in comune solo la preghiera
dell'Ufficio, capitolo 44 della Vita.
Ognuno di questi eremiti può avere dei discepoli. Egli è responsabile della loro
educazione, canoni 15 e 51 della Regola,
e se trova una mancanza di vocazione in uno di essi è autorizzato a cacciarlo
fuori dal monastero, canone 15. Qui la parola monastero non ha il significato
rigoroso, è l'insieme delle cellule disperse in un determinato luogo. La regola
è rigorosa per quanto riguarda la povertà. Un monaco può tenere presso di sé
solo ciò che è necessario per lui, i malati ed i deboli hanno diritto al resto,
can. 12. La povertà deve apparire dagli abiti del monaco, che deve evitare abiti
di lusso, oggetto di orgoglio per lui e scandalo per gli altri.
Anche la castità è più
rigorosa. Il monaco deve evitare tutto ciò che danneggia la castità: incontri
con una donna, presso di lui od altrove, familiarità con i bambini, can. 4, 5,
10.
Ma ci sono canoni che non
si applicano al regime eremita; per esempio, il canone 32 proibisce al monaco di
compiere qualsiasi atto, senza consultare il padre del monastero. Nel regime
eremita un discepolo ed il suo maestro non sono collegati tra di loro da alcun
legame giuridico.
L'autore non si rivolge ad
un discepolo ma piuttosto ad un monaco che ha il diritto di avere discepoli,
come emerge da tutti i canoni.
Questo padre del monastero,
che è unico, non può essere il padre spirituale, perché un monaco può averne
diversi come indicato nel canone 31.
Anche la recitazione delle
ore del servizio tutti insieme nella chiesa a orari prestabiliti è una delle
caratteristiche fondamentali della vita cenobitica.
Questa regola segna una
vita religiosa sui generis, vale a dire una vita intermedia tra puro eremitismo
e puro cenobitismo, ovvero uno stadio di transizione.
Infine, è bene notare che l'autore, nello
scrivere questa regola, non ha adottato un sistema preciso. Non c'è ordine nelle
idee. Parla della preghiera nel primo canone e poi nei canoni 6, 13, 45, carità
fraterna ed elemosina canoni 2, 7, 8, 12, 23, 40, 47 ... e così
per mortificazione e penitenza, viaggi, povertà ... Sembra che l'autore non
avesse intenzione di comporre una regola propria, voleva piuttosto mettere nelle
mani dei monaci alcuni standard di vita monastica in grado di aiutarli al
servizio del Signore.
[1]
L. Bouyer,
Les sens de la vie monastique, Éd.
Brépols, Paris, 1950, p. 83.
[2]
Sant'Atanasio
(295-373), detto il Grande, è stato vescovo di Alessandria e teologo
greco antico, ottavo Papa della Chiesa copta (massima carica del
Patriarcato di Alessandria d'Egitto) dal 328 con varie interruzioni fino
al 373. Le chiese copta, cattolica ed ortodossa lo venerano come santo.
La Chiesa cattolica lo annovera tra i 36 dottori della Chiesa. (Fonte
Wikipedia)
[3]
Sant'Atanasio,
Vita Antonii, P.G.,
t. 26, chap. 14, col. 866 B.
[4]
Ibid,,
chap. 10, col. 859 A.
[5]
Cf. J. Leclercq, St
Antoine dans la tradition monastique médiévale (Studia Anselmiana),
38, Rome, 1956, pp. 229-247.
[6]
J.-S. Assémani, Bibliotheca Orientalis
Clementino-Vaticana, t. I, p. 529.
[7]
Cf. C. Korolevskij, Antoniani, dans Encyclopédie
italienne, t. III, 1929, pp. 551-553.
[8]
G. Garitte, Lettres de saint Antoine, C.S.C.Q.
(149), Louvain, 1955.
[9] Secondo il manoscritto n. 93 del Cairo, le lettere di
Sant'Antonio - ma invece delle sette di cui parla San Girolamo,
pubblicato da G. Garitte, ne troviamo venti - furono tradotte in arabo
nel 1070 nel convento di Sant'Antonio nel deserto di at-Tarbeh, partendo
da due manoscritti copti. Le lettere 8-20 in arabo si trovano in greco e
siriaco sotto il nome di Ammon, discepolo di Antonio, ed è proprio a lui
che si riferiscono.
Cf. F. Kleina,
Antonius und Ammonas, Zeitschrift für katholische Theologie, 62
(1938), pagg. 309-348. Cf. ms. Vat. ar. (A), 20 lettere, segg. 1 v-65 v.
Cf. G. Graf, Geschichte der
Christlichen Arabischen literatur (Studi e testi), 118, Vaticano,
1944, pagg. 456-459.
[10]
Sant'Atanasio, op. cit., P.G., t. 26, cap. 1, col. 842 A.
[11]
Ibid., cap. 73, col. 946 A.
[12]
Ibid., cap. 20, col. 874 A.
[13]
Ndt. Si veda 1 Cor 1,22-23: "E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i
Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso".
[14]
Ibid., cap. 93, col. 974 B.
[15]
« Antonius monachus... misit aegiptiacas ad diversa monasteria
apostolici sensus sermonisque epistolas septem, quae in graecam
translatae surit, quarum praecipua est ad Arsinoitas. »
De viribus illustribus, P.L., t. 23, col. 731 B.
[16]
Roma, 1661, pp. 3-10.
[17]
Patrologia greca, t. 40, col. 1065-1073.
[18]
Un Maronita del Monte-Libano, formatosi nel Collegio Maronita di Roma,
fu l’interprete di Luigi XIII e professore di lingue, araba e siriaca,
all’Università di Parigi, morto nel 1664.
[19]
A. Echellense, Sapientissimi patris nostri Antonii magni Abbatis.
Regulae, sermones, documenta, admonitiones, responsiones et vita
dupplex. Omnia primum ex arabica lingua latina reddita; Parisiis
MDCXLVI.
[20]
Primi exemplairs versionem, quae correctior videbitur, commendavimus
clarissimo; atque doctissimo viro D. Lucae Holstenis Eminentissimi
cardinalis, Barberini bibliothecario, et sancti Petri in Vaticano
dignissimo canonico, hinc postremi exemplaris versionem edere coacti
sumus, quamquam haec ad calcem amplior sit. » A. Ecchellense, op. cit.,
praefatio (s.p.).
[21]
« D. Lucas Holstenius vir illustrimus, in quo nuper mortuo republica
litteraria iacturam fecit, irreparabilem... » Codex Regularum, Rome,
1661.
[22]
P.G., t. 40, col. 1065-66, 1073-74.
[23]
G. Graf, op. cit., ibid.
[24]
Sant'Atanasio, op. cit., P.G., t. 26, col. 838 A.
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15 aprile 2020 a cura
di Alberto "da Cormano"
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