REGOLA PER I MONACI


DI S. BASILIO DI CESAREA


 

INCOMINCIA LA PREFAZIONE DI RUFINO,

PRESBITERO DI AQUILEIA, ALLA REGOLA DI S. BASILIO, DIRETTA ALL'ABATE URSEO

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Estratto dal libro "Regole monastiche antiche" a cura di G. Turbessi - Ed. Studium - Roma 1990

 

1. Molto volentieri, carissimo fratello Urseo, tornando dalle regioni d'Oriente, e ormai desiderosi della convivenza comune dei fratelli, siamo entrati nel tuo monastero, che, posto sul ristretto dorso di un passaggio sabbioso, è bagnato da una parte e dall'altra da un mare inerte e incerto; 2. solo qualche raro pino fa conoscere da lontano quei luoghi nascosti, e da questo acquistò un nome celebre per il mondo anche il Pineto. 3. Ci siamo soprattutto rallegrati del fatto che non ti sei subito soffermato, come si è soliti fare, a informarti dei luoghi o delle ricchezze dell’Oriente, 4. ma hai voluto conoscere quale fosse in quelle parti l’osservanza dei servi di Dio, quale fosse la virtù propria dei loro animi e quali norme si seguissero nei monasteri. 5. À tale richiesta, per esporti qualche cosa meno indegnamente, non dico di quanto si fa, ma di quanto si dovrebbe fare, feci conoscere le istituzioni dei monaci di S. Basilio, vescovo di Cappadocia, uomo molto celebre per fede, per opere e per ogni genere di santità. 6. Egli le compose come risposte di un diritto sacro ai monaci che gli ponevano delle domande. 7. Preso d’ammirazione per gli argomenti e le sentenze del Santo, mi hai chiesto con insistenza di tradurre quest'opera in latino, promettendomi che se queste sacre e spirituali istituzioni dell’Uomo santo e pio fossero conosciute in tutti i monasteri dell’Occidente, tutto il progresso, procurato nei servi di Dio da queste norme, avrebbe apportato anche a me un poco di grazia e di ricompensa per i loro meriti e orazioni.

8. Ho dunque assolto, come potevo, il mio compito. 9. Ora completa tu l’opera, e così anche voi tutti che leggete e constatate la dottrina, in modo che, agendo e pregando come stabiliscono queste istituzioni, vi ricordiate anche di me. 10. Voglia poi tu stesso prenderti la cura di diffondere le copie anche negli altri cenobi, cosicché, sull’esempio della Cappadocia, tutti i monasteri vivano secondo le stesse istituzioni e osservanze, e non ne seguano altre diverse.

Termina la prefazione di Rufino.

 

  

INCOMINCIA LA REGOLA PER I MONACI

DI S. BASILIO VESCOVO DI CAPPADOCIA

 

Proemio

 

Dio, che ama il genere umano e insegna all’uomo la sapienza, proprio a quelli che ha dotato del dono dell’insegnare prescrisse per mezzo dell'Apostolo di essere perseveranti nell’insegnamento; 2. e a quelli che hanno bisogno di essere confermati nelle istituzioni divine dichiara per mezzo di Mosé, affermando: Interroga il padre tuo e te lo narrerà, i tuoi anziani e te lo diranno (Deut. 32,7).

3. E’ dunque necessario che noi, cui è stato esplicitamente affidato il ministero della parola, siamo in ogni tempo preparati e solleciti all’istruzione e al perfezionamento delle anime: 4. e alcuni argomenti affermarli solennemente nella pubblica sala della chiesa a tutti insieme intorno ai comandamenti del Signore; 5. altri poi svilupparli in privato per quelli che hanno raggiunto maggiore perfezione e manifestarli a quelli che li ricercano; 6. e in fine a quanti vogliono interrogare intorno alla fede e alla verità del Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo, e alla maniera di vivere più perfetta, offrire l’abbondanza della nostra parola e la possibilità di diventare perfetti e completi uomini di Dio. 7. A voi poi conviene di non trascorrere mai del tempo nell’ozio, perché oltre a tutto ciò che imparate in comune con tutta la Chiesa, vi dedichiate anche a quanto vi è di più eminente e perfetto; 8. cosicché passiate ogni periodo della vostra vita nella ricerca delle cose migliori e nell’apprendimento di quelle più utili. 9. Poiché dunque Dio ci ha riuniti anche allo scopo di attendere un poco al silenzio e alla quiete, lontani dalla cura assidua del popolo, e di non avere lo spirito occupato in altre opere, né di concedere di nuovo il resto del tempo al sonno e alla rilassatezza del corpo, 10. cerchiamo di consacrare questo spazio intermedio della notte che ci resta a un’attenta investigazione, in modo da adempiere quello che ci è stato detto per mezzo del beato David:

Beato chi mediterà sulla legge di Dio giorno e notte (Salmo 1,2).

Se dunque ognuno di voi ritiene che gli manca qualche cosa riguardo alla sapienza, lo esponga nella discussione comune. 12. In realtà se qualche cosa sembra essere difficile od oscura, si chiarirà più facilmente in una conversazione fra più persone, poiché certamente Dio concederà la grazia di trovare la soluzione. 13. Come dunque a noi s'impone l'obbligo, e secondo la sentenza dell’Apostolo: guai a me se non avessi a predicare il Vangelo (1 Cor. 9,16), anche a voi incombe un simile pericolo, se smetteste di interrogare e investigare, o se vi dimostraste troppo deboli o rilassati nel compiere ciò che sarà stato trovato retto. 14. Perciò anche il Signore disse: La parola che vi ho rivolta vi giudicherà nell’ultimo giorno (Giov. 12,48). 15. E di nuovo: Il servo che non conobbe la volontà del suo padrone, e non agì degnamente, sarà battuto con poche percosse; 16. ma chi l’avrà conosciuta, e avrà agito contro la volontà del padrone, riceverà molte battiture (Luc. 12,47). 17. Preghiamo dunque la misericordia del Signore, in modo che doni a noi un irreprensibile ministero della parola e a voi un fruttuoso apprendimento della dottrina. 18. Come chi sa che staranno al vostro cospetto queste parole dinanzi al tribunale di Cristo: Ti rimprovererò e metterò tutto in faccia a te (Salmo 49,21); 19. così rivolgete con vigilanza l’animo a quanto viene detto, e quello che avete udito indirizzatelo con prontezza ad un'opera degna: Poiché non sappiamo in quale giorno e in quale ora verrà nostro Signore (Mt. 24,42.44).

Prima questione

Interrogazione dei fratelli

1. Poiché la tua parola ci ha offerto l'opportunità di interrogare, prima di tutto chiediamo di insegnarci se vi è un certo ordine e concatenamento nei precetti di Dio, cosicché uno sia il primo, un altro il secondo, e così tutti gli altri per ordine; 2. o se tutti i comandamenti sono così connessi e uguali fra loro, che si possa cominciare da uno qualunque di loro, come se si trattasse di un cerchio o di una corona.

Risposta. 3. La vostra domanda non è nuova, è già proposta nel Vangelo, al punto in cui, avvicinandosi al Signore, un dottore della legge disse: Maestro, qual è il primo comandamento nella legge? (Mt. 22,36) 4. E il Signore rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutte le tue forze, questo è il primo e il più grande dei comandamenti. 5. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso (Mt. 22,37-39). 6. Il Signore stesso dunque stabilì un ordine ai comandamenti: affermò che il primo e il più grande comandamento è amare con tutto il cuore e con tutta la mente, e che il secondo in ordine e nella successione logica è amare il prossimo come se stessi, in modo da essere simile al primo nel valore, e anzi da completarlo e dipendere da quello. 7. Ma anche riguardo agli altri precetti potrai trovare altrettanto nelle sante Scritture; viene osservato, come io credo, in tutti i comandamenti un certo ordine e una successione delle prescrizioni.

 

Seconda questione

1. Poiché affermi che il primo comandamento riguarda l'amore di Dio, illustraci questo argomento prima di tutti gli altri. 2. Che sia necessario amare l'abbiamo sentito, e ora desideriamo imparare come ciò si possa compiere.

Risposta. 3. Avete scelto un ottimo argomento per dare inizio alla nostra conversazione, e del tutto conveniente alla nostra intenzione. 4. Perciò con l'aiuto di Dio faremo quanto ci dite.

5. Anzitutto è necessario sapere che questo comandamento sembra essere uno solo, mentre abbraccia e racchiude in sé la forza di tutti i comandamenti, come dice lo stesso Signore: Su questi due comandamenti si fondano tutta la Legge e i Profeti (Mt. 22,40). 6. Ma non intraprendiamo a discutere singolarmente l'ordine dei precetti, altrimenti sembrerà che presentiamo tutta l'opera spezzettata. 7. Indagheremo invece quanto basta al nostro proposito, e come lo richiede il presente ordine, indicando prima d'ogni altra cosa che portiamo innate in noi stessi le energie morali di tutti i precetti ricevuti da Dio. 8. Che cioè non ci sia in noi una difficoltà così grande, come se ci venisse richiesto qualche cosa di nuovo e di estraneo a noi stessi; 9. e non sembri nemmeno che ci sia offerta una nuova occasione di orgoglio, se avessimo a credere di donare a Dio più di quanto abbiamo ricevuto da Lui secondo la nostra natura fin dalla creazione. 10. Poiché tutto ciò che ci è stato infuso da Dio, se lo mettiamo in opera con rettitudine e in maniera appropriata, questo è vivere secondo virtù. 11. Se poi avessimo a corrompere i doni naturali, questo rivela tendenza alla malizia. 12. Dunque la definizione del male è la seguente: non usare rettamente dei moti dell'anima infusi in noi da Dio. 13. E d'altra parte la definizione della virtù è questa: fare retto uso, cioè secondo il precetto di Dio e secondo la coscienza, dei moti dell'anima impressi da Dio.

14. Stando così le cose, troveremo che altrettanto vale anche riguardo alla carità. 15. Abbiamo ricevuto il precetto di amare Dio. 16. L'anima porta impressa da Dio fin dalla stessa prima creazione la virtù dell'amore; e in ciò non è affatto necessaria una prova dall'esterno, poiché ognuno ha in sé e da se stesso le prove di quanto affermiamo. 17. Ogni uomo desidera tutto ciò che è buono, e siamo attratti da un certo affetto naturale verso ogni cosa che riteniamo buona. 18. Ed anche verso i consanguinei e i più vicini secondo la carne siamo attirati dall'amore, senza che nessuno ce lo insegni; anche con quelli dai quali abbiamo ricevuto affetto e benefici siamo legati da ogni amore e dovere. 19. E quale altra cosa tanto buona si può avere quanto Dio? Anzi quale altro bene vi è se non Dio solo? 20. Quale gloria, quale splendore, quale bellezza, che per natura siamo spinti ad amare, vi è in qualunque luogo e talmente alta come è in Dio, e si deve credere che vi sia? 21. Dove si troverà mai una tale grazia? 22. Quale fiamma di amore potrebbe infondere ardore nelle parti più segrete ed interne dell'anima, come l'amore di Dio deve infiammare le profondità della mente? 23. Specialmente se l'anima è purgata da ogni lordura, tanto da poter dire con vero amore: Sono ferita dall'amore? (Cant. 4,9). 24. Sento l'amore di Dio in modo del tutto ineffabile, ed è tale che si può piuttosto sentire che esprimerlo. 25. È una luce indescrivibile: anche se la parola usasse e prendesse a paragone i fulmini o il lampo, l'udito non lo sopporterà, anzi neppure lo percepirà. 26. Se prendi i bagliori del giorno, la luminosità della luna, e la stessa luce del sole, a confronto della sua gloria sono tutti oscuri, e molto più tetri di quanto lo sia la notte priva di luce e immersa nell'oscurità di profonde tenebre, paragonata alla più brillante luce del sole di mezzogiorno. 27. Un tale splendore non si vede con gli occhi del corpo, si può solo contemplare con l'anima e con l'intelletto. 28. E questo splendore, se per caso tocca la mente e l'animo dei santi, infonde profondamente in loro uno stimolo molto ardente all'amore verso di lui. 29. Perciò (infine), come struggendosi per il fuoco dell'amore e avendo in orrore la vita presente, uno di loro diceva: Quando verrò e apparirò al cospetto di Dio? (Salmo 41,3). 30. E di nuovo diceva, ripieno del fuoco di quest'ardore: Ha avuto sete del Dio vivo l'anima mia (Salmo 41,3), e, infiammato insaziabilmente dal suo desiderio, pregava perché vedesse la volontà del Signore, e fosse protetto nel suo santo tempio (Salmo 26,4).

31. Così dunque desideriamo e amiamo naturalmente tutto ciò che è buono. 32. Nulla però, come abbiamo detto, è veramente bene sommo come Dio; e perciò abbiamo soddisfatto a questo amore che da lui abbiamo ricevuto come a un nostro dovere. 33. Se negheremo, o anche se non adempiremo, la carità verso Dio, essa ci renderà senza alcuna scusa soggetti all'ira.

34. E che dico soggetti all'ira? Poiché quale ira maggiore vi potrebbe essere, quale vendetta più grave del fatto stesso, che potrebbe accaderci, di diventare estranei all'amore di Dio? 35. Che se nei genitori è innato il naturale affetto verso quelli che hanno generato, e ciò si riscontra non solo negli uomini, ma anche negli animali privi di linguaggio, stiamo bene attenti che non abbiamo a ritrovarci più idioti e più brutali delle belve feroci, se non siamo fortemente mossi da nessun amore verso il Creatore. 36. Benché non possiamo conoscere la grandezza e la natura di lui, tuttavia, dal fatto stesso che da lui proveniamo, lo dobbiamo venerare e amare con l'affetto dovuto al proprio padre, ed essere attaccati senza posa al pensiero di lui, come fanno i bambini verso le loro madri. 37. Ma molto più profondamente e con maggiore prontezza, quanto più ci riconosciamo oggetto dei suoi immensi benefici.

38. Ritengo che quanto sopra ci è comune anche con tutti gli altri animali; anch'essi infatti ricordano se qualcuno li ha beneficati. 39. Se non credete a me, ascoltate il profeta che afferma: Il bue riconosce il suo proprietario e l'asino la stalla del suo padrone (Is. 1,3). 40. Che di noi non si abbiano mai a dire le parole che seguono: Israele non mi ha conosciuto, e il mio popolo non mi ha compreso (Is. 1,3). 41. Che se amiamo quelli che ci hanno reso qualche favore, senza che alcuno ce lo insegni, e ci sforziamo con ogni cura di esprimere loro la nostra gratitudine, per quanto è possibile, 42. come potremo essere in grado di manifestare la nostra riconoscenza per i benefici di Dio, che sono tanto grandi da non potersi ridurre a nessuna categoria, e di tale elevatezza che ne basterebbe anche uno solo per tutta la nostra vita a renderci soggetti al donatore? 43. Ometto tutte le altre cose, che sono certo grandi ed eccellenti, ma sono nascoste dalle più grandi e dalle migliori, come certe stelle dai raggi più splendenti del sole; 44. poiché non ci resta più il tempo per allargare il discorso, perché possiamo enumerare anche dalle cose più umili i benefici di Dio a nostro riguardo. Non parliamo dunque del sorgere quotidiano del sole, e dell'universo illuminato dallo splendore di un solo astro. 45. Passiamo sotto silenzio le fasi della luna, le variazioni e le modificazioni dell'atmosfera, le acque provenienti dalle nubi, i fiumi e le sorgenti della terra; 46. le profondità del mare, e l'interminabile estensione della terra, e ancora le nascite degli animali che sono generati nelle acque, e tutto ciò che mette radice o nasce in seno alla terra, ed è destinato a nostro uso e servizio.

47. Dunque tutte queste cose e altre ancora tralascio; questo solo, che non sarebbe possibile omettere nemmeno a chi lo volesse, non possiamo tacere: 48. benché si possa passare sotto silenzio la grazia, è molto più difficile parlarne degnamente e con competenza, questo, dicevo, quanto è grande il fatto che Dio ha dato la conoscenza di se stesso all'uomo, lo ha creato animale ragionevole, e gli ha concesso di godere la gioia e la bellezza di un paradiso ineffabile? 49. e non lo disprezzò affatto dopo che era stato ingannato dall'astuzia del serpente, quindi, caduto nel peccato, e, attraverso il peccato, precipitato nella morte; ma diede la sua legge in aiuto, deputò degli angeli, destinò dei profeti; 50. frenò con la severità delle minacce i tentativi della malizia; 51. stimolò i desideri dei buoni con le più splendide promesse, e fece conoscere prima lo scopo dell'una e dell'altra nostra vita con molte immagini. 52. Eppure, anche di fronte al perdurare nelle nostre cattive incredulità, dopo tutte queste cose non si è allontanato da noi, né la bontà del Signore pietoso ci ha abbandonati. 53. Anzi nemmeno con la nostra ingratitudine verso i suoi benefici abbiamo potuto allontanare e respingere la sua misericordia da noi; 54. ma siamo stati strappati alla morte e richiamati alla vita per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo, il quale, esistendo; nella forma di Dio, non ritenne questa sua uguaglianza con Dio come una rapina, ma annientò se stesso prendendo la forma di servo (Filip. 2, 6-7).

55. Prese su di sé le nostre debolezze, ha portato i nostri dolori, è stato ferito per noi, perché fossimo risanati per le sue lividure (Is. 5, 56).

56. E ci ha liberati dalla maledizione ed è divenuto maledetto per noi (Sal. 3, 13). 57. Fu anche condannato a una morte ignominiosa per richiamare noi alla vita.

58. Né gli basta ridonare la vita a noi morti, ma ci concede la partecipazione alla sua divinità, ed elargisce il dono dell'eternità; 59. e al di sopra di quanto potremmo chiedere o comprendere, a quelli che credono in lui e lo amano prepara ciò che occhio non vide né orecchio udì, né salì al cuore dell'uomo (1 Cor. 2, 9). 60. Che cosa dunque daremo in cambio al Signore per tutto quello che ci ha donato? 61. Veramente egli è tanto benigno e clemente che non reclama neppure alcuna restituzione, ma gli basta di essere amato per tutti i doni che ha concessi. 62. Chi dunque è così irrimediabilmente ingrato da non amare il donatore per tanti benefici così nobili?

63. E ora basti quanto si è detto intorno all'amore di Dio; è del resto nostro proposito, come abbiamo detto sopra, di non dire tutto, poiché è impossibile, ma di ricordare brevemente e succintamente tutto ciò che basti a infondere e destare nell'anima l'amore di Dio. 64. Viene ormai di conseguenza che trattiamo di quel comandamento che abbiamo definito secondo nell'ordine e nel valore. 65. E che proprio la legge perfeziona e abbellisce quelle virtù che sono infuse dal Creatore nell'anima l'abbiamo già detto sopra. 66. Poiché dunque ci viene ordinato di amare il prossimo come noi stessi, consideriamo se abbiamo in noi anche la forza e la capacità per l'attuazione di quest'altro comandamento. 67. E chi è che ignora che l'uomo è un animale dotato di amore e di comunicabilità, e non qualche cosa di selvatico e di feroce? 68. Niente è tanto proprio alla nostra natura che aver bisogno l'uno dell'altro, e ricercarsi reciprocamente e amare ciò che si ricerca. 69. Quindi poiché il Signore ha posto in noi i germi di queste virtù, senza dubbio richiederà anche il loro frutto, e accetterà come prova del nostro amore per lui l'amore verso il prossimo. 70. In questo, dice, riconosceranno tutti che siete miei discepoli, se vi amerete reciprocamente (Giov. 13, 35). 71. Anzi collega questi comandamenti in tutte le cose in modo tale, che riferisce a se stesso anche le opere di misericordia compiute per il prossimo. 72. Ebbi fame, egli dice, e mi deste da mangiare (Mt. 25, 35).

73. Anche tutto il resto che viene fatto a favore del prossimo afferma di averlo ricevuto lui stesso, quando aggiunge: Tutto ciò che avete fatto per uno dei miei più umili fratelli l'avete fatto a me (Mt. 25, 40).

74. Dunque attraverso il primo si adempie anche al secondo, e dal secondo si risale e si toma al primo, cosicché chi ama il Signore senza dubbio ama anche il prossimo.

75. Così infatti dice il Signore: Chi ama me osserva i miei comandamenti (Giov. 14, 15). 76. E questo è il mio comandamento, afferma, che vi amiate a vicenda (Giov. 15, 12). 77. Così chi ama il prossimo perfeziona la sua carità verso Dio, perché egli stesso riceve in sé tutto quello che è operato per il prossimo.

78. E proprio per quelli, che, iniziandosi al timore di Dio, intraprendono i primi passi nella religione, è più utile la prima formazione attraverso il timore, secondo la sentenza del sapientissimo Salomone che dice: L'inizio della sapienza è il timore del Signore (Prov. 1, 7). 79. Altrettanto si legge anche nei Salmi.

80. E voi, fratelli, che ormai avete cessato di essere fanciulli in Cristo, e non avete più bisogno di latte, ricercate cibi sostanziosi dalla solidità dei dogmi, per nutrimento e pascolo dell'uomo interiore; 81. per cui attraverso i comandamenti più alti raggiunga la perfezione, e sia confermato in ogni verità, che è in Cristo. 82. Si deve poi fare attenzione che il peso di una grazia più abbondante non abbia ad essere per noi causa di più grave condanne, se siamo trovati ingrati ai benefici del donatore. 83. Sopra ogni cosa è poi da considerare il principio, che nessun altro comandamento, neppure questo che ci viene imposto intorno all'amore di Dio e del prossimo, potrà essere osservato da chiunque, se l'animo andrà vagando dietro a svariate e diverse occupazioni. 84. Non è affatto possibile che chi troppo spesso passa da un'attività all'altra posse acquistare qualche capacità o disciplina in un'occupazione costante. 85. È quindi necessario che con ogni attenzione conserviamo intatto il nostro cuore, perché i cattivi desideri e i pensieri ignobili non allontanino e caccino dalle nostre anime il desiderio di Dio; 86. ma al contrario con assiduo ricordo e riflessione di Dio ognuno di noi imprima in qualche modo la sua forma e la sua immagine nella propria anima e con tali segni che non possa essere cancellata da nessun turbamento. 87. Proprio così in noi si accende il desiderio dell'amore di Dio, se il suo frequente ricordo illumina la mente e l'animo, e siamo spinti e animati alla pratica dei comandamenti di Dio. 88. E anche dalle opere stesse di carità viene conservato e aumentato l'amore di Dio in noi. 89. Credo che ciò appunto voglia dimostrare Dio quando dice; Se mi amate osservate i miei comandamenti (Giov. 14, 15) 90. e in altro luogo: Se fate quello che vi dico rimanete nel mio amore; come anch'io ho osservato i comandamenti del Padre mio, e rimango nel suo amore (Giov. 14, 10). 91. Con queste parole ci insegna che le considerazioni riguardo alle nostre opere devono dipendere dalla volontà di lui, cosicché, avendo lui come nostro specchio e sempre rivolti verso di lui, dirigiamo le nostre azioni con l'occhio del cuore fisso in lui. 92. Come del resto le arti che sono in questa vita rivelano una certa ispirazione della mente, e dirigono l'uso delle mani nel compimento dell'opera secondo la concezione della mente stessa, così anche in questa nostra opera ci resta solo quest'immagine, e uno solo è il termine fisso, col quale dobbiamo piacere a Dio. 93. Secondo questa visuale dunque indirizziamo l'osservanza dei comandamenti. 94. È del resto impossibile che possa avere una consistenza la forma della nostra opera, se non si avrà sempre nella mente la volontà di chi ha commissionato l'opera, 95. perché così, una volta osservata e compiuta la sua volontà con l'esecuzione diligente e competente dell'opera siamo sempre uniti a Dio, mentre siamo di continuo memori di lui.

96. Prendiamo come esempio un fabbro: nel fare una scure o una falce ha sempre presente colui che gli ha commissionato l'opera, e ricorda costantemente la grandezza, la qualità e la forma che gli è stata stabilita per eseguire la scure, 97. e, sempre intento a ciò che ricorda ordinatogli dal padrone dell'opera, dirige l'impiego delle sue mani in modo che la forma dell'opera corrisponda all'idea e alla volontà di chi l'ha ordinata; 98. se poi dimenticasse che cosa e di che specie fosse ciò che gli era stato ordinato senza dubbio farebbe qualche cosa di diverso da quello che gli era stato richiesto. 99. Così anche il cristiano deve fare ogni sforzo e ogni cura nei suoi atti per dirigere la sua attività secondo la volontà di Dio, che gli ha imposto l'opera, in modo che le sue azioni abbiano un buon ornamento ed egli possa compiere la volontà di chi ha dato il comando. 100. Allora può compiere anche ciò che è scritto: O mangiate o bevete, o qualunque altra cosa fate, compite tutto per la gloria di Dio (1 Cor. 10, 31). 101. Se uno invece si allontana dalle norme e contamina l'osservanza del comandamento, da ciò stesso si arguisce che non si cura abbastanza di Dio. 102. Molto giova del resto a custodire il ricordo di Dio anche l'abitare nel segreto e nella solitudine. 103. In realtà il vivere insieme con quelli che si comportano con negligenza riguardo al timore di Dio, e mostrano disprezzo per i suoi comandamenti è molto nocivo, 104. come anche afferma la parola di Salomone che dice: Non abiterete con l'uomo iracondo, perché non abbiate a imparare i suoi modi, e non troviate inciampo all'anima vostra (Prov. 22, 24-25). 105. E inoltre quanto è detto: Uscite di mezzo a loro, e sarete separati da loro, dice il Signore (Is. 52, 11), si riferisce a questo stesso argomento. 106. Quindi non accettiamo né per mezzo degli occhi né per mezzo degli orecchi le seduzioni a peccare, in modo che a poco a poco per lunga pratica ci attacchiamo a una pessima abitudine. 107. E inoltre per potersi dedicare alla preghiera bisogna anzitutto abitare nella solitudine. 108. In questo modo spezzeremo anche le vecchie abitudini, con le quali agivamo contro i comandamenti di Dio. 109. Non è davvero poca fatica, che uno si distacchi e si allontani da un'abitudine precedente non buona, poiché un metodo di vita, reso più radicato per il lungo tempo in cui lo si è seguito, acquista quasi una forza naturale. 110. Bisogna dunque che prima di tutto rinneghiamo noi stessi, accettiamo la croce di Cristo e così lo seguiamo. 111. E proprio in questo modo rinneghiamo noi stessi, se, dimentichi del tutto della passata abitudine, rinunziamo alla nostra propria volontà; 112. e così ci separiamo non solo dagli uomini che non agiscono con rettitudine, ma anche dai nostri stessi costumi disordinati e sconvenienti. 113. Altrimenti perché qualcuno, restando nella stessa abitudine e nel precedente modo di vita, si possa emendare e correggere è molto difficile, anzi per esser più sinceri, è del tutto impossibile. 114. Ma al fatto stesso di prendere ognuno la propria croce e di seguire Cristo è di molto impedimento la compagnia e la convivenza con coloro che conducono una vita diversa.

115. Infatti essere pronti alla morte per Cristo, mortificare le membra umane, e sopportare volentieri ogni disagio per il nome di Cristo, questo è abbracciare la propria croce. 116. Vediamo bene quale grande ostacolo ci può provenire da quelli che sono diversi da noi o nella vita o nei costumi. 117. E a tutte le altre difficoltà, che sono molte, si aggiunge anche il fatto che l'anima, osservando la moltitudine di quelli che vivono male, ne resta dapprima colpita e trova ostacolo a comprendere i suoi mali, e può così riparare con la penitenza alle colpa commesse e reprimere le cause della colpa con l'emendazione dei vizi. 118. A confronto dei più cattivi ritiene di aver compiuto già qualche cosa di grande. 119. Allora poi, trascurati ostacoli e turbamenti e preoccupazioni, che la vita consueta degli uomini suole comportare, non può curarsi del pensiero di Dio, ciò che è il bene maggiore e più prezioso di tutti. 120. Una volta escluso ed espulso questo dalla mente, non solo è priva di ogni letizia e di gaudio celeste, e deve sopportare la perdita del godimento di Dio, ma non sente la dolcezza della sua parola, in modo da poter dire: 121. Quanto sono dolci al mio palato le tue parole, o Signore! sono più dolci del miele e del favo di miele per la mia bocca (Salmo 118, 103); 122. anzi arriva fino alla trascuratezza e alla dimenticanza dei giudizi di Dio, e cade nell'abitudine del disprezzo; 123. nessun altro male si può soffrire più grande e più dannoso di questo.

 

Terza questione

1. Poiché il tuo insegnamento ci ha mostrato che è pericoloso convivere con quelli che disprezzano i comandamenti, ora desideriamo apprendere se è necessario che chi si è allontanato da un tale consorzio viva separato e solitario, 2. o invece debba associare la sua vita con fratelli che hanno lo stesso proposito e gli stessi ideali.

Risposta. 3. In molti casi credo che è utile condurre una vita in comune con quelli che hanno la stessa volontà e il medesimo proposito. 4. Prima di tutto perché anche per le stesse necessità materiali e per il servizio del cibo, ognuno di noi non basta a se stesso da solo; 5. e veramente dunque, per quanto è necessario al funzionamento della nostra vita, abbiamo bisogno del nostro reciproco aiuto. 6. Come infatti il piede dell'uomo in una cosa si serve delle proprie forze, in un'altra ha bisogno di quelle estrinseche, e senza aiuto delle altre membra non può né adempiere al suo compito, né bastare con le sue forze, 7. così anche la vita solitaria mi sembra essere vittima del fatto che non possa essere utile quanto in essa si trova, né che si possa ricevere da qualcuno quanto le manca. 8. Oltre a ciò neppure l'ordine della carità permette che ognuno ricerchi ciò che gli è comodo, poiché l'Apostolo dice: la carità non ricerca il proprio interesse (1 Cor. 13, 5). 9. Poi, neanche le proprie colpe e i propri vizi ciascuno può riconoscere facilmente, poiché manca chi li faccia notare; 10. e facilmente avviene a chi si trova in queste condizioni quanto è scritto: Guai a chi è solo, poiché se cadrà, non vi sarà nessun altro che lo rialzi (Eccl. 4, 10). 11. Ma anche i comandamenti possono essere osservati con maggiore facilità da più persone; se uno invece da solo crede di osservarne uno, non ha la possibilità di metterne in pratica un altro. 12. Per esempio, come un solitario potrà visitare un infermo?, 13. o come accoglierà un pellegrino? 14. Ma se tutti siamo un solo corpo in Cristo, e ognuno membro dell'altro, ci dobbiamo adattare con armonia ed essere insieme ben uniti come nell'organismo di un solo corpo. 15. Che se ognuno di noi scegliesse la vita solitaria, e cioè non per una determinata causa e ragione che sia gradita a Dio, o che comprenda tutti in una vera e comune generosità, 16. ma sia di soddisfazione ai propri voleri e alle proprie passioni, come potremmo, così separati e divisi, compiere e donare a tutti i membri una perfetta e reciproca concordia? 17. Chi si comporta in tal modo non gode con quelli che godono né piange con quelli che piangono, poiché, lontano e diviso da tutti gli altri, non potrà nemmeno conoscere i bisogni del prossimo. 18. E in fine uno non può bastare da solo a ricevere tutti i doni dello Spirito Santo, perché la distribuzione dei doni spirituali si compie secondo il grado di fede di ciascuno. 19. Cosicché ciò che è distribuito ad ognuno in porzioni, di nuovo si riunisca e cooperi come le varie membra alla formazione di un unico corpo. 20. A uno infatti è concessa la parola della sapienza, a un altro quella della scienza, a un altro la fede, a un altro la profezia, a un altro il carisma delle guarigioni (1 Cor. 12, 8-9), ecc.; tutti doni che ognuno riceve dallo Spirito Santo non tanto per sé quanto per gli altri. 21. È quindi necessario che la grazia di ciascuno, ricevuta dallo Spirito Divino, sia di giovamento a tutta la comunità. 22. Accade dunque che chi vive lontano e segregato, riceverà pure qualche grazia, ma la renderà inutile, poiché non compirà nulla per mezzo di essa; la seppellisce infatti in se stesso. 23. Di quanto pericolo sia tutto ciò, lo sapete tutti voi che leggete il Vangelo. 24. Se invece comunica la grazia a tutti gli altri, lui stesso gode precisamente di quella ricevuta, che anzi si moltiplica in lui mentre viene trasmessa agli altri, e lui stesso trae beneficio dalla grazia degli altri.

25. Ancora altri numerosi vantaggi presenta questa vita comune di persone venerabili, che non è possibile enumerare completamente ora. 26. Come già detto dunque, per conservare i doni dello Spirito Santo è più adatta la convivenza di molti, più che la vita trascorsa nella solitudine. 27. Ed anche contro le insidie del demonio, che vengono dall'esterno, è più sicura e più utile la compagnia di molti, in modo che più facilmente si svegli dal sonno chi per caso avesse ad addormentarsi in quel sonno che porta alla morte. 28. Anche a chi cade apparirà più chiaro il suo delitto, poiché viene accusato e notato da più persone, conforme a quanto dice l'Apostolo: Per chi ha un tale carattere basta la correzione fatta da più persone (2 Cor. 2, 6).

29. Inoltre anche nell'orazione non poco profitto proviene da più individui che pregano nella concordia e nell'umanità, cosicché si rendano grazie a Dio da molte persone, in virtù della grazia che è in noi. 30. Ma qualche volta la vita solitaria è esposta a pericolo prossimo. Prima di tutto uno è soggetto al pericolo, certamente gravissimo, di trovare compiacenza in se stesso, e non avendo nessun grado di giudicare il suo operato, gli sembrerà di aver raggiunto la massima perfezione. 31. Allora vivendo senza alcun esercizio non può accorgersi in quale difetto cada di più né in che cosa manchi alla virtù. 32. Non potrà nemmeno possedere un equo giudizio del valore delle sue opere per il fatto stesso che gli viene meno ogni occasione di operare. 33. E come metterà alla prova la sua umiltà non avendo nessuno col quale si debba mostrare umile? 34. Come dimostrerà la sua misericordia dal momento che è estraneo ad ogni compagnia e convivenza? 35. Come si eserciterà alla pazienza se non vi è nessuno che sembri ostacolare i suoi voleri? 36. Se poi qualcuno dicesse che gli basta la dottrina della Scrittura e i precetti degli Apostoli per la correzione dei suoi costumi e per la formazione spirituale della sua vita, mi sembra che faccia qualche cosa di simile a quelli che imparano in continuazione un mestiere artigianale, e tuttavia non costruiscono alcun oggetto; 37. o a quelli che costantemente vengono istruiti nell'architettura, ma non si applicheranno mai a costruire una casa. 38. Ecco, anche il Signore non ritenne bene che gli bastasse solo la dottrina della parola, ma volle darci esempi di umiltà anche con le opere, quando, cintosi di un grembiale, lavò i piedi ai suoi discepoli. 39. Tu dunque a chi laverai i piedi? a chi presterai le tue cure? 40. Di chi sarai suddito e come potrai essere l'ultimo se vivi solo? 41. Ma anche quello che è scritto: È cosa buona e gioconda convivere da fratelli insieme (Salmo 132, 1), che lo Spirito Santo paragonò all'unguento del pontefice che scende dalla testa alla barba, come lo si potrà compiere in una vita solitaria? 42. Vi è certamente uno stadio, secondo il precetto apostolico, per correggere i difetti e formarsi una vita, in cui si progredisce con l'esercizio della virtù, e in esso sempre più brilla e risplende la meditazione dei comandamenti di Dio, ed è proprio questa dimora in comune dei fratelli unanimi fra loro; 43. essa possiede in sé esattamente il modello e l'esempio, che sono riferiti dalla Sacra Scrittura negli Atti degli Apostoli riguardo a quegli uomini di santa vita: Tutti i credenti vivevano insieme, e avevano tutto in comune (Atti 4, 32).

 

Quarta questione

1. Bisogna prima d'ogni altra cosa rinunciare a tutto e così intraprendere questa vita o genere di relazioni che è secondo il volere di Dio?

Risposta. 2. Il Signore e Salvatore nostro dice: Se qualcuno viene da me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Matt. 16, 24); 3. e ancora: Chi non rinunzierà a tutto ciò che possiede, non può essere mio discepolo (Luc. 14, 33). 4. Colui che viene con l'intento di seguire il Signore, rinneghi anche se stesso e prenda la sua croce. 5. Certo è però che già prima ha rinunziato al diavolo e alle sue opere. 6. Tuttavia questo sono soliti farlo non quelli che sono già progrediti nella vita, o quelli che già tendono alla perfezione, ma coloro che sono ai primi passi della vita monastica. 7. E in questo consiste, come abbiamo detto più sopra, la rinuncia dell'uomo, cioè: se rifiuta la sua vita passata e le precedenti abitudini, o anche i suoi costumi, o i piaceri di questo mondo, 8. e rinunzia anche alla parentela secondo il sangue, specialmente a quella che può essere di ostacolo alla sua vocazione. 9. Così anche considera come suoi genitori con più facilità coloro che lo hanno generato in Cristo Gesù attraverso il Vangelo, 10. e come suoi fratelli quelli che hanno abbracciato lo stesso spirito di adozione, e riguarda come a sé estraneo tutto ciò che possiede. 11. E, per dirla in breve, colui per il quale il mondo intero è crocifisso per amore di Cristo ed egli stesso al mondo, come può diventare servo dei pensieri e delle sollecitudini del mondo, dal momento che il Signore comanda di rinnegare la stessa vita per suo amore? 12. Allora è perfetto il rinnegamento in lui, se si tiene lontano dalle passioni, mentre ancora vive nel corpo. 13. Ma tutto ciò incomincia a compierlo prima di tutto nelle cose esteriori, cioè fugga anzitutto le passioni e la vana gloria e ogni altra cosa di questo genere. 14. Proprio questo ci insegnarono gli Apostoli Giacomo e Giovanni, che abbandonarono il loro padre Zebedeo e anche la barca, nella quale si trovavano. 15. Ma anche Matteo abbandonò il luogo della riscossione delle tasse, alzandosi e seguendo il Signore; 16. egli non solo aveva abbandonato i guadagni delle imposte, ma aveva anche disprezzato il pericolo, che gli sarebbe potuto venire dalle autorità civili, per il fatto di avere lasciato la gestione delle imposte in uno stato precario e disordinato. 17. Tale fu la sua brama di seguire il Signore da non riservare più per sé alcun riguardo o pensiero di questa vita.

18. Che poi uno non debba avere nessuna considerazione né per l'affetto ai genitori, se sono contrari ai precetti del Signore, né per qualunque altro umano piacere, che potrebbe impedirgli di raggiungere quanto si è proposto, 19. lo insegna il Signore dicendo: Se uno viene a me, e non odia suo padre e sua madre, e la moglie, i figli, i fratelli e le sorelle, e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo (Luc. 14, 26). 20. Ciò è simile a quanto aveva detto, che cioè ognuno rinneghi se stesso.

 

Quinta questione

1. È necessario che chi si vuole unire ai servi di Dio lasci ai suoi congiunti indifferentemente parte dei suoi beni?

Risposta. 2. Il Signore dice: Vendi tutti i tuoi beni e dalli ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; e vieni, seguimi (Luc. 18, 22). 3. E ancora: Vendete tutto quello che possedete e datelo in elemosina (Luc. 12, 33). 4. Ritengo quindi che chi si dà al servizio di Dio, non deve condannare e abbandonare senza riflessione quello che gli appartiene, 5. ma cerchi tutti i mezzi possibili per distribuire con ogni diligenza tutto quello che è già consacrato al Signore nella maniera più ragionevole, ricordando che non è senza pericolo agire con negligenza nelle opere di Dio. 6. Se poi i suoi parenti e i genitori agiscono contro la fede, egli deve ancora ricordare le parole del Signore: 7. Non vi è chi abbia abbandonato la casa, o i fratelli, o il padre, o la madre, o la moglie o i figli o i suoi poderi per me e per il Vangelo, che non riceva il centuplo nel tempo presente, e la vita eterna in quello futuro (Matt. 19, 29). 8. E dunque egli deve dichiarare e far conoscere pubblicamente a quelli che gli negano il suo e lo ostacolano nel suo operare che incorrono nel peccato di sacrilegio, secondo il comandamento del Signore, che dice: Se tuo fratello pecca contro di te rimproveralo (Matt. 18, 15), ecc. 9. La dignità della religione vieta di contendere in giudizio intorno a queste questioni davanti a giudici civili, a causa di quanto afferma l'Apostolo: Ha forse qualcuno di voi l'ardire, se ha una qualche contesa con un altro, di farsi giudicare presso i pagani, e non davanti ai santi? (1 Cor. 6, 1) 10. E di nuovo: È già un peccato il vostro che abbiate liti fra voi (1 Cor. 6, 7).

 

Sesta questione

1. Si devono accogliere tutti quelli che vengono a noi, o con una prova previa? e di quale specie deve essere tale prova?

Risposta. 2. Dal momento che la benignità di Dio chiama tutti con le parole: Venite a me tutti voi che lavorate e siete affaticati, e io vi ristorerò (Matt. 11, 38), non è senza responsabilità il respingere chiunque si presenti a noi. 3. Però non si deve essere troppo indulgenti a far entrare chiunque nella vita monastica, come si suol dire, con i piedi sporchi; 4. ma come nostro Signore Gesù Cristo interrogò quel giovane, che si era presentato a lui, della sua vita passata, e, dopo aver sentito che era trascorsa nella rettitudine, gli consigliò di completare quanto gli mancava, e così poi lo invitò a seguirlo, 5. altrettanto dobbiamo fare noi delle ricerche sulla vita e sui costumi passati, in modo che qualcuno non entri fra noi con intenzioni nascoste e con animo falso.

6. E ciò si conosce facilmente se accetta ogni lavoro manuale, che gli viene comandato, ed è ben propenso a cambiare la sua vita; 7. o anche se, interrogato intorno a qualche sua mancanza, mostra timore di confessarlo, e ancora accetta con animo grato la medicina usata per la mancanza commessa; 8. e inoltre se si rivela disposto ad ogni umiliazione senza troppo amor proprio, e con raggiri vili e abietti, e se lo richiederà la situazione, non accetti con disprezzo di dedicarsi alla nuova vita.

9. Una volta dunque assicurato con questi singoli esperimenti che egli è di ferma intenzione, di stabile proposito e di animo pronto, allora è bene accettarlo. 10. Ma prima che sia incorporato nella comunità dei fratelli bisogna ordinargli alcuni lavori onerosi, tra quelli cioè che sono considerati umilianti tra i secolari; 11. e bisogna anche osservare se queste cose le compie volentieri, liberamente e fedelmente, e non le sopporti con grave turbamento, 12. e inoltre se lo si scopre non pigro, ma pronto nel lavoro.

 

Settima questione

1. Da quale età ci dobbiamo offrire a Dio, o quando si può giudicare più risoluta e duratura la professione della verginità?

Risposta. 2. Il Signore afferma: Lasciate che i fanciulli vengano a me (Lue. 18, 16), e l'Apostolo poi loda chi ha appreso le sacre lettere dall'infanzia, e di nuovo consiglia di educare i figli nella dottrina e negli ammonimenti del Signore. 3. Ritengo quindi opportuno ogni momento fin dalla prima età per apprendere il timore e gli ammaestramenti del Signore; 4. tuttavia la professione della verginità sarà solida proprio dal momento in cui l'età comincerà ad essere adulta, quella cioè che di solito si considera adatta e ideale per le nozze. 5. Ma è necessario che i fanciulli siano accettati con la volontà e col consenso dei genitori, anzi da loro stessi offerti, e con la testimonianza di molte persone, in modo da eliminare ogni occasione a causa degli uomini più cattivi. 6. Bisogna poi usare la più diligente premura nei loro riguardi cosicché possano essere istruiti ragionevolmente in tutti gli esercizi della virtù, nelle parole, nella mente e nelle opere. 7. Qualunque cosa si sarà istillata nell'animo ancora tenero e di giovane età, la si conserverà con più fermezza e tenacia in futuro.

8. Si devono dunque incaricare della cura dei fanciulli coloro che prima d'ogni altra qualità avranno dato serie prove di sé nella virtù della pazienza, che secondo il grado della colpa e dell'età possano usare per ognuno una certa misura nella correzione, 9. e che ancora li tenga lontani dai discorsi oziosi, dall'iracondia, e dagli allettamenti della gola, come pure da tutti i costumi meno decorosi e disordinati.

10. Se poi col progredire dell'età non si nota nei fanciulli alcun profitto nello zelo, ma avranno la mente volubile, e l'animo vuoto e gonfio anche dopo adeguati ammaestramenti sarà rimasto sterile, 11. questi tali bisogna mandarli via, e ciò soprattutto quando l'ardore giovanile è di provocazione per un'età inesperta.

12. Per quelli invece che si dànno al servizio di Dio in età già matura si deve investigare, come abbiamo detto, il genere di vita condotto precedentemente; 13. e basterebbe anche questo fatto stesso, se richiedono di dedicarsi al servizio di Dio, e anche se è vero e ardente il loro desiderio per il divino ufficio. 14. Tali ricerche le devono fare quelli che potranno trattare e provare simili argomenti con molta prudenza. 15. Dopo essere stati accettati, se per disgrazia dovessero venir meno alla loro vocazione, non si devono più nemmeno vedere, come quelli che hanno peccato contro Dio, e davanti a lui hanno trasgredito il patto della loro professione. 16. Anche se un uomo, così è detto, avrà peccato contro un altro uomo, vi saranno quelli che pregheranno il Signore per lui; ma se avrà peccato contro Dio, chi pregherà per lui? (1 Re, 2, 25).

 

Ottava questione

1. Chi si è dedicato a una vita pia e religiosa deve osservare anche la continenza?

Risposta. 2. Che la continenza sia necessaria in tutto è ben manifesto, anzitutto dal fatto che Paolo tra i frutti dello Spirito Santo nomina anche la continenza. 3. E poi dimostra che il servizio di Dio si può conservare nella sua purezza mediante essa, quando afferma: Nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni, nella castità (2 Cor. 6, 5-6). 4. E ancora altrove dice: Nella fatica e nella stanchezza, nelle molte veglie, nella fame e nella sete, nei frequenti digiuni (2 Cor. 11, 27). 5. E inoltre: Chi si appresta a lottare in una gara si astiene da tutto (1 Cor. 9, 25). 6. E di nuovo: Tormento il mio corpo e lo riduco alla servitù (1 Cor. 9, 27). 7. Tutto ciò non sembra si possa effettuare se non con la continenza. 8. Anche il fermento della gioventù e l'ardore dell'età si può ridurre e reprimere come con un freno solo per mezzo della continenza. 9. Non sono convenienti le delizie per lo stolto, secondo Salomone (Prov. 18, 2). 10. Dice l'Apostolo: Non prendetevi tanta cura della carne da svegliarne le concupiscenze (Rom. 13, 14). 11. E ancora: una vedova che si trova nelle delizie è come morta, benché ancora in vita (1 Tim. 5, 6). 12. Ma anche l'esempio del ricco che viveva nei piaceri mostra che ci è necessaria la continenza, perché anche noi non abbiamo a sentirci dire quello che dovette ascoltare il ricco: Hai ricevuto il bene nella tua vita (Luc. 16, 25). 13. Quanto sia pericolosa l'incontinenza lo insegna anche l'Apostolo, quando la attribuisce proprio a quelli che afferma si allontanano da Dio, dicendo: Negli ultimi giorni incalzeranno tempi pericolosi, poiché gli uomini saranno amanti di se stessi (2 Tim. 3, 1-2); 14. e, dopo aver enumerate molte specie di malizia, alla fine aggiunse: Malfattori, incontinenti, inumani (2 Tim. 3, 3). 15. Lo stesso Esaù ebbe a stimolo dei suoi mali l'incontinenza, egli che per un semplice cibo vendette la sua primogenitura. 16. Perfino la nota prima prevaricazione non accadde all'uomo da altra fonte che dall'incontinenza. 17. Ogni vita dei santi, e la stessa vita terrena del Signore, quali altri esempi ci propongono se non quelli della continenza? 18. Anche Mosè, dopo aver compiuto un digiuno continuato per quaranta giorni senza uscirne indebolito, si afferma che meritò da Dio di comunicare al genere umano l'aiuto della legge. 19. E così pure è detto che Elia fu ritenuto degno della visione di Dio dopo che anch'egli si era astenuto dal cibo per un uguale spazio di tempo. 20. Ma anche il merito di Daniele e dei tre giovani presso Dio, col quale riportarono trionfo su tutti i loro nemici e sullo stesso tiranno, non ebbe altra causa che la continenza. 21. Tutta la vita di Giovanni fu continenza. 22. Da essa anche il Signore rese noti i primi inizi della sua manifestazione.

23. La chiamiamo continenza non per il fatto che ci si debba astenere dal cibo del tutto, ciò che significa stroncare violentemente la vita, ma consideriamo tale quella continenza, per la quale l'uso della vita risulta non superfluo, ma necessario; 24. se evitiamo quanto è piacevole, compiamo ciò che richiede solo la necessità del corpo. 25. E, per dirla in breve, la virtù della continenza consiste nell'astenersi da tutto ciò che viene ricercato con un desiderio passionale. 26. E perciò dunque non solo nel mangiare cibi e nel piacere si riconosce la virtù della continenza, ma quando ci asteniamo da tutte quelle cose, nelle quali proviamo sì una dilettazione carnale, ma restiamo offesi nell'anima. 27. Il vero continente non desidera nemmeno la gloria umana, ma si tiene lontano dai vizi, dall'ira, dalla tristezza, e da tutto ciò che suole tenere troppo impegnate le anime incolte e imprudenti.

28. Quasi in tutti i comandamenti di Dio constatiamo; che uno è strettamente unito all'altro, ed è impossibile che uno venga osservato senza che si osservi anche l'altro. 29. E tanto si nota specialmente proprio nella continenza; poiché viene giudicato umile chi tiene a freno la superbia e rinunzia a tutti i suoi averi e secondo il Vangelo vende tutto il suo e lo distribuisce ai poveri, chi senz'altro contiene il desiderio del denaro. 30. Ma anche sarà mansueto chi contiene l'ira e respinge lo sdegno sfrenato. 31. Che cosa d'altro regola e trattiene gli sguardi instabili degli occhi, e quanto deve arrivare agli occhi, e anche l'intemperanza della lingua se non la continenza? 32. La continenza riduce a giusta misura anche il riso smoderato: come è segno di incontinenza ridere con movimenti disordinati e scomposti, mentre si dovrebbe mostrare la letizia dell'animo soprattutto col solo sorriso; 33. è indecoroso ridere sguaiatamente, accompagnando il riso con rumori striduli, ciò che certo suole accadere per incontinenza dell'animo anche a chi non lo vorrebbe, cosa questa che per lo più snerva e svigorisce la gravità e la costanza dell'animo. 34. Perciò anche Salomone dice: Il riso l'ho definito stoltezza (Eccli. 2, 2). 35. E ancora: Il riso degli stolti è come il crepitio delle spine sotto la pentola (Eccli. 7, 7). 36. E di nuovo: Lo stolto alza la sua voce nel riso, mentre l'uomo saggio riderà appena e silenziosamente (Eccli. 21, 23).

37. Anche il Signore del resto dimostra di aver avuto delle passioni proprie della carne, cioè quelle che testimoniassero della sua virtù, come la stanchezza, il pianto e l'afflizione; 38. mai però si riscontra che sia ricorso al riso smodato, per quanto possiamo conoscere dalla storia del Vangelo. 39. Ma si conosce piuttosto che compiange quelli che ridono, quando dice: Guai a voi che ora ridete, perché piangerete (Luc. 6, 25). 40. Non ci deve affatto ingannare la somiglianza del nome del riso. 41. È uso della Scrittura dare il nome di riso qualche volta alla letizia dell'anima, e ad un affetto più allegro. 42. Nella Sacra Scrittura Sara dice: Dio mi provocò col riso (Gen. 21, 6). 43. E inoltre: Beati quelli che piangono ora perché rideranno (Luc. 6, 21). 44. Anche in Giobbe è detto: La bocca dei sinceri si riempirà di riso (Giob. 8, 21). 45. Tutte queste denominazioni si intendono per la gioia dell'anima. 46. Chi dunque è libero da ogni passione e non ha nulla per eccitazione delle passioni, ma si sforza con temperanza e sobrietà contro tutto ciò che può recare danno, questo si chiama perfetto temperante, e per questo certo lo si riscontra lontano da ogni genere di peccato. 47. La concupiscenza è la trappola di ogni male; e mediante essa tutti ci lasciamo illudere e arriviamo al peccato. 48. Per essa chi se ne libera e non se ne lascia sopraffare, distrugge da se stesso tutti i peggiori germi del peccato.

 

Nona questione

1. Qual è una buona norma per la continenza?

Risposta. 2. Per quello che si riferisce ai vizi e alle passioni, astenersene del tutto e non lasciarsene vincere; 3. riguardo poi ai cibi, la loro qualità e misura sarà regolata secondo che richiedono gli usi, l'età, il lavoro, la forza del corpo o la sua debolezza. 4. Non è possibile che tutti i fratelli seguano uno stesso ordinamento o metodo e una sola regola nei cibi. 5. Ma quelli che sono sani possono tutti osservare la stessa misura nell'astinenza. 6. Si deve invece seguire un criterio di variazione per i singoli, per i quali si presenta qualche motivo di differenza, con la saggezza e la precauzione di coloro, ai quali è affidata la cura della distribuzione. 7. Non possiamo abbracciare la questione per i singoli casi, ma solo quel tanto che riguarda la regola comune e valida per tutti. 8. I superiori, a seconda della situazione e dell'ordine, procureranno un sollievo a chi prova disagio nei cibi, a quelli cioè che sono ormai stanchi a motivo dell'esercizio della continenza o per ogni altro lavoro compiuto per la religione.

9. Non si può neanche stabilire il tempo della refezione per tutti, né il metodo né la qualità del cibo, ma per tutti valga la prospettiva che non si arrivi a mangiare sino alla sazietà. 10. Riempirsi il ventre e caricarsi di cibo è molto inutile anche al corpo per compiere qualunque azione. 11. E anche perché il corpo diventa più pesante per l'eccesso del sonno e perché può essere facilmente danneggiato da tutto ciò. 12. Non bisogna neppure ricercare cose più dolci e prelibate alla fine dei pasti, ma basta appagare l'esigenza della vita, rinunziando alla lussuria. 13. Se infatti serviamo il piacere non facciamo altro che rendere dio il nostro ventre. 14. Poiché il nostro corpo invecchia e s'indebolisce, e perciò ha bisogno di essere rinvigorito e riportato allo stato di prima; 15. perciò è anche naturale il desiderio del cibo, ciò che richiede secondo un giusto ordine la stessa utilità di ristorare quanto è esausto e consumato, e questo vale tanto per un nutrimento solido come per quello liquido. 16. Se dunque vi è qualche cosa che può soddisfare più presto e più facilmente questa necessità del corpo in fatto di cibi, quella è da scegliere a differenza di altre. 17. E anche il Signore, come credo, questo ci mostra quando nel deserto ristora gli affamati; 18. perché, pur potendo distribuire loro cibi più abbondanti con un miracolo più grande, non fece nulla di questo, ma diede loro semplicemente il vitto; 19. e secondo Giovanni imbandì loro cinque pani d'orzo e due piccoli pesci; ma non vi fu neppure un cenno di bevanda. 20. Da ciò senza dubbio si mostra che a tutti potrebbe essere sufficiente e molto necessario l'uso dell'acqua, a meno che forse qualcuno non abbia a riportare danno da ciò per un'infermità corporale; 21. e questo tale, certamente, secondo il consiglio dell'Apostolo nella lettera a Timoteo, deve guardarsi da quanto è nocivo. 22. Ed anche qualunque altra cosa è chiaramente nociva al corpo si deve evitare. 23. Sembra infatti assurdo prendere il cibo per la forza del corpo, e poi procurargli una rovina proprio con i cibi, e così renderlo inutile all'osservanza delle regole. 24. Tuttavia ci si deve in ogni modo servire di quei cibi che si possono comprare facilmente e a minor prezzo, cosicché non ci avvenga di ricercare, col pretesto dell'astinenza, tutte le cose più prelibate e più difficili ad aversi, cercando di portare con la gustosità dei condimenti cibi di poco pregio per loro natura a un sapore gradevole e squisito. 25. Ma se vi è qualche cosa che nella propria regione si può comprare più facilmente e a poco prezzo, e che gli uomini comunemente usano, quella si deve riservare anche ai nostri usi, 26. e inoltre ricercare solo quanto è assolutamente necessario alla vita, come l'olio e altro del genere, 27. o anche qualche cosa che si usa per sollievo degli infermi.

 

Decima questione

1. Come dobbiamo comportarci riguardo all'ordine dei posti a tavola e dei sedili, se si presenta l'occasione?

Risposta. 2. Abbiamo il precetto del Signore che in ogni cosa ci ammaestra all'umiltà, e anche in esso tratta proprio di questo, che quando partecipiamo a un banchetto, ricerchiamo l'ultimo posto per accomodarci e non occupiamo il primo. 3. Bisogna dunque sapere che dove ci riuniamo tutti insieme con un solo intento e proposito, soprattutto se abbiamo già dato prove in molte e più importanti cose della nostra umiltà, è conveniente che ciascuno desideri di scegliere per primo un posto secondario, secondo il precetto del Signore. 4. Ma al contrario, se la questione arrivasse fino alla contesa per questo motivo, e uno tentasse di cacciare un altro da un posto inferiore, è completamente riprovevole. 5. Da ciò sorge un motivo di turbamento e d'inquietudine, se nessuno comincia a cedere all'altro; e se si provocassero liti per questa ragione, sarebbe come se si disputasse per i primi posti. 6. Perciò si deve anche in questo campo esaminare con prudenza che cosa compete a ognuno di noi, 7. oppure senz'altro avere riguardo per chi ha ricevuto l'incarico di provvedere, e ubbidire in tutte le cose, 8. e anche nel porsi a tavola osservare un ordine, in modo da adempiere quello che è stato detto: Tutte le vostre cose si facciano onestamente e in ordine (1 Cor. 14, 11).

 

Undicesima questione

1. Qual è l'abito degno e decoroso per il Cristiano?

Risposta. 2. Poiché il discorso nelle precedenti questioni ha avuto lo scopo di insegnare come necessaria l'umiltà, in modo che chi vuole condurre una vita devota e pia ricerchi in tutto ciò che è semplice e di poco pregio, cioè quello che si acquista con poca spesa, 3. credo che si debba seguire la stessa direttiva nelle necessità temporali, perché non siano per noi occasioni di eccessive sollecitudini. 4. Credo dunque che ciò vada osservato anche nella cura degli indumenti. 5. Se dobbiamo aver cura di essere inferiori a tutti e ultimi fra tutti, è certo che anche per gli abiti ci dobbiamo ritenere al di sotto di tutti. 6. Poiché, se coloro che ricercano per se stessi la gloria anche dal fasto dei vestiti, curano abbastanza il modo per essere ammirati ricoperti di vesti preziose e magnifiche, 7. così ne viene di conseguenza che colui, il quale si sforza di piacere con mezzi più bassi e del minimo valore, cioè con straordinaria umiltà, debba scegliere ciò per cui apparisca l'ultimo e il meno pregevole di tutti; 8. come il primo al contrario brama ardentemente di apparire più illustre e più nobile servendosi dei mezzi più grandiosi e più preziosi.

9. Se gli abitanti di Corinto vengono rimproverati perché nel banchetto pubblico fanno restar confusi con la loro abbondanza quelli che non possiedono, 10. è ben certo che anche in questo modo di vestire semplice e comune per tutti, che appartiene al modo di vedere e al costume generale, se un abito è diverso dall'altro o si riscontra più prezioso, facciano arrossire chi ne è sprovvisto. 11. Per questi costumi anche l'Apostolo ha stabilito sufficientemente una regola con poche parole, affermando: Avendo vitto e vestito, di questi siamo contenti (1 Tim. 6, 8). 12. Mostra così che abbiamo bisogno dell'abito solo per coprirci, e non di pavoneggiarci con la varietà degli abiti o col loro ornamento o con la loro bellezza. 13. Tutte cose che sono state introdotte posteriormente, procurate con gli artifici propri della vita terrena e col gusto della lussuria. 14. Ma anche la prima ben nota utilizzazione dell'indumento ha questo stesso significato, quando si narra che Dio fece ai primi uomini tuniche di pelle. 15. Era del resto sufficiente l'uso di un simile vestito a coprire le parti vergognose.

16. Ma poiché il nostro intento è anche quello di riscaldarci e di proteggerci, sembra necessario regolare l'uso stesso ad ambedue gli scopi, così da coprire la nudità e difendersi dal rigore del freddo e da tutto ciò che reca danno internamente, 17. Siccome poi tra i modi di vestire alcuni sono più pregiati e altri di qualità inferiore, ne segue che noi dobbiamo scegliere quelli che consentano un uso più duraturo. 18. Così in nulla sia offesa la regola della povertà volontaria, e cioè che non abbiamo degli abiti preparati per le comparse in pubblico e degli altri per l'uso domestico, e ancora degli altri per altre ore, o alcuni per la notte e altri per il giorno; 19. ma è necessario che il vestito sia uno solo e tale che ci possa bastare in tutte le occasioni; di giorno apparisca come vestito decoroso, e di notte soddisfi, alle necessità particolari. 20. Da ciò seguirà che il nostro abito sia comune, uguale e della stessa forma per tutti, e anche il solo vederlo designi il cristiano, poiché tutte quelle cose che si fanno con lo stesso intento e con lo stesso proposito devono essere simili, anzi uguali per tutti.

21. È utile inoltre che ognuno sia notato anche dalla natura propria del modo di vestire e dell'abito stesso, e che si riconosca la sua professione dalla vita che conduce secondo Dio, in modo che sappia che anche le sue azioni. devono essere della stessa natura; 22. e che dobbiamo mostrarci coerenti anche nelle opere, a quelli che ci vedono rivestiti del nostro abito. 23. Non è così vergognoso l'agire disonestamente in chiunque altro come in quelli che professano una vita sobria anche con lo stesso abito.

24. Se qualcuno vedesse per la strada un uomo percuotere un altro, o bastonarlo pubblicamente, oppure gridare sguaiatamente, o condurre una vita vergognosa nelle taverne o in altri luoghi, neanche lo guarderebbe un tale uomo né gli presterebbe attenzione, sapendo che quel tale compie questi atti in conformità a tutta la sua vita. 25. Se invece si tratta di uno che professa una vita nobile e viene scoperto a compiere anche un minimo atto meno conveniente, tutti lo notano e lo riprovano e si spingono fino al disprezzo della religione.

26. Perciò è come una guida per i più deboli quest'abito più religioso, tanto che trattiene da opere disoneste e poco decenti anche i più ribelli.

27. In fine anche l'Apostolo raccomanda che il vescovo sia ordinato, cosa che si riferisce piuttosto all'abito. 28. Ma anche delle donne afferma che devono essere ordinate nell'abbigliamento. 29. Ordinato si chiama quell'abito del cristiano che si riconosce adatto alla sua vocazione e professione.

30. Come il soldato ha qualche cosa di proprio nella forma del vestito, ed è diverso il vestito di un senatore, e proprio da ciò si distingue tanto chi è senatore quanto chi è militare; 31. così anche il cristiano deve mostrare qualche cosa di proprio anche da un'ordinata disposizione del suo modo di vestire.

32. Per le calzature si osserverà pure il medesimo criterio: che, cioè, si scelga quanto vi è di più semplice, di più disponibile e adatto alla nostra vocazione, e sufficiente alle nostre necessità. 33. La necessità dell'uso della cintura è dimostrata anche dai santi che ci hanno preceduto. 34. Infatti è detto che Giovanni si cingeva i fianchi di una cintura di pelle, e prima di lui Elia; viene designato precisamente come un capo di vestiario a lui proprio, quando è detto: Uomo peloso e portava una cintura di pelle attorno ai suoi fianchi (4 Re 1, 8). 35. È dichiarato che anche Pietro usava la cintura, come lo sappiamo dalle parole dell'angelo, che furono rivolte a lui: Mettiti la cintura, dice, e calzati i sandali (Atti 12, 8). 36. Per la profezia di Agab sappiamo che anche Paolo portava la cintura: L'uomo di cui è questa cintura così lo legheranno in Gerusalemme (Atti 21, 11). 37. Ma anche Giobbe si sente dire dal Signore: Mettiti la cintura intorno ai fianchi come un uomo (Giob. 38, 3). 38. Sembra veramente che sia segno di una certa virtù e di animo pronto all'azione l'uso del cingolo. 39. Inoltre sembra che l'uso della cintura fosse costume dei discepoli del Signore, ai quali si proibiva di avere denaro nelle loro cinture. 40. Si può ritenere necessario che chi deve servirsi dell'opera delle mani in qualche cosa abbia la cintura, e si trovi preparato in tutto e senza alcun impedimento a compiere ogni opera buona. 41. Perciò ha bisogno del cingolo, perché la tunica sia ben stretta intorno al corpo, in modo da poter essere più favorito, se è cinto da tutte le parti, e da non incontrare ostacolo a ogni cosa che si dispone a compiere.

42. Riguardo al numero dei vestiti non possiamo dire nulla, poiché è prescritto con chiara precisione, là dove si dice: Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non l'ha. 43. Da ciò risulta certamente illecito avere più abiti. 44. Dunque si può prescrivere qualche norma riguardo alla diversità degli abiti per chi non può possedere due tuniche?

 

Dodicesima questione

 È lecito ad uno dichiarare bene quello che a lui sembra tale secondo la sua opinione, senza la testimonianza della Scrittura?

Risposta. 2. Nostro Signore Gesù Cristo dice dello Spirito Santo: Non parlerà da se stesso, ma tutte le cose che udrà, quelle dirà (Giov. 16, 13); 3. e di se stesso dice: Il Figlio non può fare nulla da se stesso (Giov. 5, 19); 4. e ancora: Non ho parlato da me stesso, ma il Padre che mi ha mandato mi ha imposto quello che devo dire e parlare; e so che il suo comandamento è la vita eterna (Giov. 12, 49 e 50). 5. Le cose dunque che dico, come il Padre me le ha dettate, così le affermo (Giov. 12, 50). 6. Chi può arrivare a tanta avventatezza da osare di dire o pensare qualche cosa da se stesso? 7. Anzi si deve sapere che tutti abbiamo bisogno dello Spirito Santo come guida del nostro viaggio, perché egli ci dirige nella via della verità, nel pensiero, nelle parole e nelle azioni. 8. È cieco e vive nelle tenebre ognuno che è senza il sole di giustizia, che è nostro Signore Gesù Cristo, che ci illumina coi suoi comandamenti, come con dei veri raggi. 9. Poiché il comandamento del Signore, come è detto, è splendente e dà luce agli occhi (Salmo 18, 9). 10. Poiché tutto ciò che intercorre fra noi negli atti come nelle parole in alcuni casi è precisato nelle divine Scritture per comando di Dio, in altri invece viene taciuto, di quanto è scritto a nessuno è data licenza alcuna di ammettere ciò che si deve proibire o di omettere ciò che è comandato; 11. così ha stabilito il Signore stesso dicendo: Custodisci questa parola che io t'ordino oggi; niente vi aggiungerai e niente ne toglierai (Deuter. 4, 40). 12. Ma è anche terribile l'attesa del giudizio e l'ardore della fiamma, che consumerà i nemici e quelli che hanno osato compiere una tale azione.

13. Per quanto poi si riferisce a cose che la Scrittura ha taciute, l'Apostolo ci ha stabilito con chiarezza una regola, dicendo: Tutto è lecito, ma non tutto conviene; tutto è lecito, ma non tutto edifica (1 Cor. 6, 12). 14. Nessuno ricerchi il proprio vantaggio, ma quello degli altri (Fil. 2, 4). 15. Perciò in tutti i modi dobbiamo compiere non ciò che è lecito a noi, ma quello che edifica il prossimo, e non piacere a noi, ma al prossimo, per la sua edificazione. 16. Infatti è scritto: Siate soggetti gli uni agli altri nel timore di Cristo (Ef. 6, 21). 17. E ancora il Signore dice: Se qualcuno vuole essere maggiore fra voi, diventi l'ultimo, e il servo di tutti (Luc. 22, 26). 18. Naturalmente chi vuole adempiere ciò sopprime i suoi voleri, imitando il Signore stesso che dice: Sono disceso dal cielo, non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato, il Padre (Giov. 6, 38). 19. E di nuovo il Signore prescrisse: Se qualcuno ti vuole obbligare a fare mille passi, va con lui per altri due (mila) (Matt. 5, 41).

 

Tredicesima questione

1. Se è doverosa l'ubbidienza a tutti e a chiunque.

Risposta. 2. La differenza o diversità di quelli che comandano non deve ostacolare il buon proposito di quelli che ubbidiscono, perché neanche Mosè si comportò smodatamente col suocero Ietro, per il fatto che dava consigli utili e giusti. 3. In realtà la diversità delle ammonizioni non è piccola: alcune sembrano essere contrarie ai comandamenti di Dio, altre sembrano spezzare a metà il comando, o contaminarlo, altre poi vengono a proposito per l'osservanza del comandamento e per l'edificazione. 4. È dunque necessario ricordare il precetto apostolico che dice; Non disprezzate le profezie; tutto mettete alla prova, ritenete quello che è buono; da ogni apparenza di male astenetevi (1 Tess. 5, 20 e 21 e 22). 5. E di nuovo: purificate i pensieri e distruggete ogni fortezza che si innalza contro la conoscenza di Dio, rendete docile ogni intelletto all'obbedienza di Cristo (2 Cor. 10, 4 e 5). 6. Se vi è dunque qualche cosa che si confà al comandamento di Dio e conviene all'anima, e ci sia stato comandato da qualcuno, lo dobbiamo accogliere come volontà di Dio prontamente e volentieri, e compiere quel che è detto: Ubbidiente nella carità di Cristo (Ef. 6, 1 senso). 7. Se poi siamo comandati da qualcuno a compiere qualche azione contraria ai comandamenti di Dio, o che sembri corromperlo o contaminarlo, è quello il momento buono per dire: Ubbidire piuttosto a Dio che agli uomini (Atti 5, 29). 8. E ricordare ancora il Signore che dice di tutti i suoi: Dell'estraneo non seguono la voce, ma fuggono da lui, perché non conoscono la voce degli estranei (Giov. 10, 5). 9. Ma dobbiamo anche ricordarci del santo Apostolo che, per nostra protezione, ha osato di non risparmiare neanche gli Angeli, dicendo: Anche se un angelo del cielo vi avesse annunziato il vangelo diversamente da come ve lo annuncio io, sia anatema (Gal. 1, 8). 10. Da ciò siamo ammaestrati che, sebbene uno ci sia molto caro, sebbene sia considerato eccellente, e sia stato proposto all'ammirazione, e ci impedisca di fare ciò che è comandato dal Signore, 11. o anche comanda ciò che il Signore ha proibito, questo tale deve essere esecrabile per tutti quelli che amano il Signore.

 

Quattordicesima questione

1. Chi serve Dio quale affetto deve avere? e anche questo stesso affetto in che cosa consiste?

Risposta. 2. Affetto o animo buono ritengo che si abbia quando vi è in noi il desiderio ardente, inappagabile e permanente di piacere a Dio. 3. Un tale affetto si mette in atto mediante la ricerca, cioè quella scienza, con la quale possiamo vedere e contemplare profondamente la magnificenza della gloria di Dio, mediante i pensieri pii e puri, e il ricordo delle cose buone donate a noi da Dio; 4. e dal loro ricordo sgorga nell'animo l'amore del Signore Dio suo, cosicché lo ami con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima, e con tutta la sua mente, secondo quel tale che diceva: Come il cervo anela alla fonte dell'acqua così l'anima mia anela a te, o Dio (Salmo 41, 2). 5. Con questo affetto dunque si deve servire il Signore, e così si adempirà ciò che è stato detto dall'Apostolo: Chi ci separerà dall'amore di Cristo? la tribolazione? o l'angustia? o la spada? ecc. (Rom. 8, 35).

 

Quindicesima questione

1. Quale sentimento deve avere di se stesso il superiore in quanto prescrive e comanda?

Risposta. 2. Precisamente davanti a Dio si deve considerare come servitore di Cristo e dispensatore dei misteri di Dio. 3. Col timore di dire o comandare qualche cosa contro la volontà di Dio o contro ciò che è prescritto chiaramente nelle Sacre Scritture, 4. e di essere trovato come falso testimonio di Dio, o sacrilego, 5. o come chi introduce qualche cosa estranea all'insegnamento del Signore. 6. Per i fratelli poi deve essere come una madre che nutre i suoi piccoli, preparato a dividere con loro, secondo la volontà di Dio e secondo quanto conviene a ciascuno, non solo il Vangelo, ma anche la sua vita, 7. memore del comando di Dio e nostro Signore che dice: Vi dò un nuovo comandamento, che come io ho amato voi così vi amiate fra voi. (Giov. 13, 34). 8. Nessuno ha un maggiore amore di questo, del dono cioè della sua vita per quelli che ama (Giov. 15, 13).

 

Sedicesima questione

1. Come rimproverare e correggere chi commette delle mancanze?

Risposta. 2. Come è prescritto dal Signore che dice: Se un tuo fratello avrà peccato contro di te, va e correggilo da solo a solo (Matt. 18, 15). 3. Se ti ascolterà, avrai guadagnato un tuo fratello (Matt. 18, 15). 4. Ma se non ti ascolterà prendi con te un'altra persona, o anche due, in modo che per bocca di due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa (Matt. 18, 16). 5. E se non ascolterà nemmeno loro, fallo sapere alla Chiesa, se poi non ascolterà nemmeno la Chiesa, diventi per te come un pagano e un pubblicano (Matt. 18, 17). 6. Può darsi che una riprensione come questa, che viene praticata da più persone, sia salutare per chi ha mancato: 7. e come ha detto l'Apostolo: Rimprovera, sgrida, consola con tutta la pazienza e la dottrina (2 Tim. 4, 2). 8. E di nuovo: Se qualcuno non ascolta la nostra parola scritta nella lettera, notatelo, affinché non abbiate alcuna relazione con lui, e senza dubbio si tratta della comunanza di mensa (2 Tess. 14).

 

Diciassettesima questione

1. E se qualcuno vorrà trattare duramente i fratelli per delle piccole mancanze, perché non sembri troppo debole e che manchi alla carità, dicendo: dovete pentirvi di ogni singolo peccato?

Risposta. 2. Poiché il Signore ha affermato: Nessun iota e nessun apice passerà della legge finché tutto sia compiuto (Matt. 5, 18), 3. e di nuovo ha dichiarato: Anche di ogni discorso ozioso che sia stato fatto dagli uomini ne renderanno conto nel giorno del giudizio (Matt. 12, 36), non si deve nulla disprezzare come piccolo. 4. Chi disprezza le piccole cose a poco a poco cade (Eccli. 19, 1). 5. Ma come si ardirà parlare di colpe piccole o di poco conto, quando l'Apostolo dice e chiaramente stabilisce: La violazione della legge rende disonore a Dio (Rom. 2, 23)? 6. Ma anche, si afferma, che il pungiglione della morte è il peccato (1 Cor. 15, 56). 7. E non ha detto di questo o quel peccato, ma di ogni peccato. 8. È dunque più spietato chi lascia andare e trascura di chi rimprovera; come chi permette che il veleno del morso di un serpente penetri profondamente è più riprovevole di chi lo estrae e lo tira su. 9. Ma anche la carità è ridotta al nulla da chi, secondo quanto è scritto, risparmiando il bastone, odia suo figlio, mentre chi lo ama lo corregge con prudenza (Prov. 13, 24).

 

Diciottesima questione

1. In qual modo si deve fare penitenza per ogni colpa commessa?

Risposta. 2. Sarà da accogliere in se stessi lo stesso sentimento provato da colui che dice: Ho odiato e aborrito l'iniquità (Salmo 118, 136). 3. Così pure accettare tutto quello che è scritto nel sesto Salmo, e in molti altri, 4. o anche quanto ha detto l'Apostolo a quelli che furono contristati secondo Dio: Quanta premura vi ha elargito, anzi quanta difesa, quanta indignazione, quanto timore, quanta emulazione, quanto zelo. In tutto avete dimostrato di essere innocenti in quella questione (2 Cor. 7, 11). 5. Ma, come fece anche Zaccheo, farà bene a compiere molte azioni contrarie alle colpe commesse.

 

Diciannovesima questione

1. Quali sono i frutti degni di penitenza? (Luc. 3, 8).

Risposta: 2. Le opere che sono contrarie al peccato, ecco i frutti della giustizia, che deve produrre colui che vuole, secondo quanto è scritto, dare buoni frutti in ogni opera buona (Col. 1, 10).

 

Ventesima questione

1. Che dire di colui che con la bocca dice di pentirsi, ma non si corregge del suo peccato?

Risposta. 2. Di un uomo tale è stato scritto: Se un tuo nemico ti pregherà a gran voce, non prestargli fede, poiché vi sono sette iniquità nella sua anima (Prov. 26, 26). 3. E altrove: Come il cane che torna al suo vomito si rende odioso, così l'uomo che nella sua malizia ritorna al suo peccato (Prov. 26, 11).

 

Ventunesima questione

1. Chi vuole confessare i suoi peccati, li deve accusare davanti a tutti, o a chiunque, oppure a determinate persone?

Risposta. 2. È ben manifesta la misericordia di Dio verso i peccatori, come è scritto: Che non vuole la morte del peccatore, ma che piuttosto si converta e viva (Ebr. 18, 23). 3. Poiché dunque il modo della conversione deve essere ben preparato, anche i frutti di chi si converte dal peccato devono dimostrarsi buoni attraverso la penitenza, secondo quanto è scritto: Producete frutti degni di penitenza (Lue, 3, 8); 4. perché a quelli che non si pentono non abbia a succedere quello che è loro minacciato con le parole: Ogni albero che non reca buoni frutti sarà tagliato e gettato al fuoco (Matt. 3, 10), 5. è quindi necessario che si accusino i peccati a quelli che hanno avuto il compito di distribuire i misteri di Dio. 6. Così del resto sappiamo che nell'antichità i penitenti si confessavano dei loro peccati alle persone sante. 7. In verità è scritto nel Vangelo che i peccati si accusavano a Giovanni Battista, 8. e negli Atti degli Apostoli è detto che altrettanto si faceva nei riguardi degli Apostoli, dai quali si riceveva il battesimo.

 

Ventiduesima questione

1. In quale condizione si trovano quelli che si sono pentiti di un peccato, e poi di nuovo sono ricaduti proprio in quello stesso peccato?

Risposta. 2. Chi pecca una volta e di nuovo cade nello stesso peccato sembra che voglia dimostrare di se stesso che non si è purificato di quel primo peccato, dal quale, come dalla più marcia radice, sono sorti gli stessi germi di prima. 3. Come uno che taglia i rami di un albero e lascia la radice, che rimane intatta, ne germoglieranno di nuovo polloni della stessa specie, così avviene per il peccato. 4. Poiché non tutti quelli che peccano cominciano dagli stessi peccati, ma qualche volta l'occasione di peccato nasce da altri. 5. È dunque necessario per chi vuole purgarsi del tutto dal peccato che tagli alla radice le vere cause della colpa. 6. Ad esempio: se si tratta di contesa o di invidia, l'occasione del peccato non comincia da ciò stesso, ma ha la sua vera radice proveniente dall'arroganza e dalla cupidigia della gloria umana. 7. Mentre infatti si cerca gloria dagli uomini si provocano liti o si invidiano le persone che agiscono rettamente, e specialmente quelli per i quali si crede di essere meno considerati e ammirati. 8. Se uno dunque riscontra in se stesso il vizio dell'invidia e della lite, e di nuovo sarà caduto nello stesso difetto, sappia che dovrà chiudere nel più intimo del suo animo quella prima causa, di cui si parlava, che produce invidia e desiderio di contese. 9. Bisogna che lui si curi con atti contrari e opposti; e cioè attraverso l'esercizio dell'umiltà. 10. Esercizi di umiltà sono quelli di sottomettersi all'adempimento di incarichi di poco conto e di dedicarsi ai servizi più modesti. 11. Poiché in questo modo potrà curarsi del difetto dell'arroganza e della gloria umana, cosicché, una volta predisposto dall'abitudine dell'umiltà, non abbia più a cadere nella colpa della prepotenza e della vana gloria. 12. Ma anche in altri singoli vizi di questa specie si usi una cura simile.

 

Ventitreesima questione

1. Con quale affetto o con quale sentimento si deve rimproverare chi risponde insolentemente?

Risposta. 2. Ci si deve rivolgere a questo tale con quell'animo che è suggerito dal beato David, che dice: Ho visto quelli che non osservavano la legge, e mi consumavo di pena, perché non custodirono le tue parole (Salmo 118). 3. Per quelli che rimproverano si deve conservare lo stesso affetto che ha il padre e il medico verso un figlio malato, e questo allora specialmente, quando la qualità della cura si prevede piuttosto dolorosa e severa.

 

Ventiquattresima questione

1. Con quale affetto si deve ricevere la correzione?

Risposta. 2. Come si comporta un figlio malato verso suo padre e verso il medico solleciti della sua vita: 3. il figlio sa bene che, pure se gli viene offerta qualche cosa di aspro o di amaro per la sua cura, né il padre può trascurare alcun rimedio per la salute del figlio né il medico può sbagliare.

 

Venticinquesima questione

1. Come si può definire chi si rattrista contro colui che gli muove rimprovero?

Risposta. 2. Chi si comporta in questo modo non conosce il pericolo del peccato, soprattutto rispetto a Dio, né il frutto della penitenza; 3. né dimostra di credere a Colui che ha detto: Chi ama corregge con zelo e premura (Eccli. 30, 1 senso). 4. Inoltre si priva del profitto che è promesso con le parole: II giusto mi correggerà per la sua pietà, e mi rimprovererà (Salmo 140, 5). 5. Anzi un tale tipo rimane tra gli altri fratelli a loro danno, poiché turba gli animi loro e li ostacola nel progresso.

 

Ventiseiesima questione

1. Quale giudizio si deve dare di quelli che difendono coloro che peccano?

Risposta. 2. A quanto mi sembra, si deve giudicare in maniera ancora più grave di quella minacciata dal Signore: È meglio per lui che gli si sospenda una macina da mulino al collo e sia precipitato nel mare, piuttosto che abbia a scandalizzare uno di questi piccoli (Matt. 18, 6). 3. In realtà non riceve una correzione per il suo miglioramento, ma una difesa a confermarsi nella sua colpa colui che ha mancato, e anzi così provoca a un male simile anche gli altri. 4. Cosicché a chi difende un colpevole conviene quanto è stato detto: Se non porterete frutti di penitenza, sarete tagliati e messi al fuoco (Luc. 3, 8). 5. O anche quello che dice il Signore: Se il tuo occhio destro avesse a scandalizzarti, cavalo e gettalo lontano da te (Matt. 18, 9). 6. Ti è meglio perdere un membro che non far gettare tutto il tuo corpo nella geenna (Matt. 18, 9).

 

Ventisettesima questione

Come ricevere chi è pentito di cuore?

Risposta. 2. Come vuole il Signore, quando dice: Invitò gli amici e i vicini e disse: Congratulatevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che avevo perduta (Luc. 15,6).

 

Ventottesima questione

1. Come comportarci verso chi non si pente della sua colpa?

Risposta. 2. Come prescrive il Signore: Consideralo come un pagano e un pubblicano (Matt. 18, 17). 3. E come insegna l'Apostolo: Tenetevi lontani da ogni fratello che agisce in maniera irrequieta, e non secondo le norme che vi abbiamo trasmesse (2 Tess. 3, 6).

 

Ventinovesima questione

1. È conveniente che chi convive con i fratelli possieda qualche cosa di proprio?

Risposta. 2. A ciò è contraria la testimonianza degli Atti degli Apostoli dove si parla di quelli che abbracciarono la fede nei primi tempi. 3. Ivi è detto così: Nessuno affermava come proprio qualche parte dei suoi beni, ma tutto era comune fra loro (Atti 4, 32). 4. Se quindi qualcuno afferma come proprio qualche cosa, senza dubbio si esclude dal numero dei chiamati da Dio e dall'amore del Signore, che con la parola insegnò e con le azioni portò a termine il suo insegnamento, e diede la sua vita per quelli che amava. 5. Se dunque Egli offrì la sua vita per i suoi amici, come potremo noi rivendicare come di nostra proprietà ciò che non appartiene alla vita?

 

Trentesima questione

1. Qualcuno potrebbe dire: né do né prendo nulla dai fratelli, ma sono soddisfatto di quanto è mio; che pensare di un tale?

Risposta. 2. Se non aderisce alla dottrina del Signore che dice: Amatevi scambievolmente come vi ho amato io (Giov. 13, 34), 3. si uniformi a quella dell'Apostolo che afferma: Togliete il male da voi stessi, in modo che non accada che un piccolo fermento corrompa tutta la massa (1 Cor. 5. 13).

 

Trentunesima questione

1. Se qualcuno può accettare qualche cosa dai congiunti secondo la carne.

Risposta. 2. È necessario che i parenti diano a quelli che si dedicano al servizio di Dio quanto è di loro spettanza, senza ritenersi nulla perché non incorrano nel peccato di sacrilegio. 3. Però non è conveniente richiedere alcuna cosa alla presenza di coloro a cui si sa che appartengono, in modo che a quelli non si dia occasione di altezzosità e di superbia e nello stesso tempo non abbia a generare mortificazione nei fratelli più poveri che seguono la stessa vita. 4. In tal modo accadrebbe quello, per cui sono rimproverati i Corinti dall'Apostolo: Voi date mortificazione a quelli che non possiedono (1 Cor. 11, 22). 5. E perciò si devono offrire tutte le cose a quelli che nei vari luoghi presiedono alle chiese, se sono distributori fedeli e prudenti, 6. imitando coloro che, come è scritto negli Atti degli Apostoli, così si comportavano: Offrendo i prezzi dei loro possedimenti, li ponevano al piedi degli Apostoli (Atti 4, 34 e 35). 7. Ma poiché non è da tutti di compiere queste distribuzioni con fedeltà, sarà bene che le offerte vengano fatte a quei tali che tutti hanno esperimentati degni di un simile compito. 8. Tuttavia, riguardo a questi beni, colui che presiede stabilirà assennatamente chi li debba distribuire.

 

Trentaduesima questione

1. Come ci dobbiamo comportare con i nostri familiari, con i parenti e con gli amici di un tempo?

Risposta. 2. Come ci mostrò il Signore allorché gli fu annunziato: Tua madre e i tuoi fratelli sono fuori, e desiderano vederti (Luc. 8, 20); 3. ai quali rispose con tono di rimprovero, dicendo: Chi è mia madre? e chi sono i miei fratelli? (Luc. 8, 21). 4. Chi avrà compiuto la volontà del Padre mio, che è nei cieli, quello è mio fratello, mia sorella e mia madre (Luc. 8, 21).

 

Trentatreesima questione

1. Se ci pregano col proposito di volerci condurre con loro nelle loro case dobbiamo acconsentire?

Risposta. 2. Si può mandare, col permesso del superiore, qualcuno che può andarvi per il bene della fede. 3, Ma se si tratta solo di un favore umano, ascolti il Signore che rispose a chi gli chiese: Maestro, permettimi prima di andare ad avvertire quelli che sono nella mia casa: Nessuno che mette mano all'aratro, e si rivolta indietro è degno del regno dei cieli (Luc. 9, 59 e 60). Se questo è stato detto per la sola ragione di dare una notizia a chi voleva andare a far sapere qualche cosa, che dire di tutti gli altri?

 

Trentaquattresima questione

1. Come mai vaga di qua e di là la nostra mente, e pensieri di diversa specie vengono al nostro cuore? 2. e come ci possiamo correggere da questi inconvenienti?

Risposta. 3. La mente vaga qualche volta anche per l'ozio quando non ci occupiamo in azioni del tutto utili; 4. ma, adagiata nella remissività e nella sicurezza, non pensa alla presenza di Dio, che scruta i cuori e le intimità dell'animo. 5. Se veramente pensasse queste cose farebbe quanto è stato detto: Avevo sempre il Signore presente dinanzi a me, perché egli è alla mia destra, affinché io non sia smosso (Salmo 15, 8). 6. Chi agisce così o in modo simile, non andrà mai vagando qua e là, né avrà il tempo di attendere a vani pensieri, né di pensare alcuna cosa che non riguardi il bene della fede o qualche utilità dell'anima. 7. Quanto più poi non avrà l'ardire di pensare niente che sia contro Dio, o che a lui non piaccia.

 

Trentacinquesima questione

1. Donde ci provengono i fantasmi disonesti e lubrici durante la notte?

Risposta. 2. Vengono in modo particolare dai moti riprovevoli e incoerenti e dagli atti dell'anima durante il giorno. 3. Se infatti ci si occupa dei giudizi di Dio, e si purifica l'anima con la meditazione della legge divina, e con lo studio della parola di Dio, 4. e vi si dedichi con cura costante, sempre alla ricerca e all'investigazione minuziosa di ciò che piace a Dio, avrà sogni degni di tali occupazioni.

 

Trentaseiesima questione

1. Con quale affetto dobbiamo servire i fratelli infermi?

Risposta. 2. Con lo stesso affetto col quale tributiamo il nostro ossequio al Signore che ha detto: Quanto avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me (Matt. 25, 40). 3. Ma perché si conservi un affetto simile nel porgere ossequio è necessario che anche quelli che ricevono l'ossequio da noi siano tali che si possa loro offrire il nostro servizio come ben meritato. 4. E perciò bisogna che i superiori abbiano cura che quelli, che sono serviti, siano tali che non indulgano troppo alle comodità corporali o all'avidità del mangiare, 5. ma piuttosto si mostrino lodevoli nel loro amore a Dio e al suo Cristo, e per la loro pazienza e per il merito della loro vita meritino i buoni servigi dei fratelli, 6. e in questo modo saranno di gloria a Dio e di obbrobrio per il diavolo, come avvenne per il santo Giobbe.

 

Trentasettesima questione

1. Con quale umiltà uno deve ricevere ossequio dai fratelli?

Risposta. 2. Come se si trattasse di un servo di fronte al suo padrone, come anche lo mostra l'apostolo Pietro, quando il Signore lo serve; 3. nel quale fatto siamo anche ammaestrati del pericolo che corrono quei tali che non vogliono ricevere ossequi dai fratelli.

 

Trentottesima questione

1. Quale carità dobbiamo avere gli uni per gli altri?

Risposta. 2. Quella che il Signore ci ha mostrato e insegnato, quando ha detto: Amatevi a vicenda come io ho amato voi (Giov. 13, 34). 3. Nessuno ha carità maggiore di colui che offre la sua vita per i suoi amici (Giov. 15, 13). 4. E se si deve offrire anche la vita, quanto più dobbiamo mostrare le nostre premure e le nostre attenzioni verso gli altri? 5. Certamente non secondo i desideri umani, ma secondo quella visuale, in cui consiste il proposito comune a tutti di piacere a Dio.

 

Trentanovesima questione

1. Come si potrà osservare la carità nei riguardi del prossimo?

Risposta. 2. Prima di tutto col timore del giudizio di chi trasgredisce un comandamento del Signore, che ha detto: Chi non crederà nel Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui (Giov. 3, 36). 3. Poi anche col desiderio di pervenire alla vita eterna, perché il comandamento di Dio è vita eterna. 4. Il primo e grande comandamento è: amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua anima (Matt. 22, 37 e 38). 5. Il secondo poi è simile a quello: amerai il prossimo tuo come te stesso (Matt. 22, 39). 6. La carità si pratica anche con la volontà di essere simili al Signore, che afferma: Vi dò un nuovo comandamento, che vi amiate a vicenda come io ho amato voi (Giov. 13, 34). 7. Ma questi sentimenti li possiamo provare anche col comune buon senso, poiché se riceviamo un beneficio da un fratello, per il fatto che lui ci ama, diventiamo suoi debitori, poiché lo amiamo perché lo merita. 8. Ma tutto questo si suole osservare anche tra i gentili, come dice il Signore nel Vangelo: Se amate quelli che vi amano quale merito avete? (Luc. 6, 32) 9. anche i peccatori e i pagani amano quelli che vogliono bene a loro (Luc. 6; 32). 10. Se qualcuno ci offende o ci avversa in qualche cosa, lo dobbiamo amare non solo per comandamento di Dio, ma anche per questo fatto stesso, in quanto appunto ci reca maggior vantaggio spirituale con la sua offesa. 11. Appunto perché crediamo alla parola del Signore: Beati voi quando vi insulteranno e perseguiteranno, e diranno ogni male contro di voi, mentendo, per causa mia, poiché grande è la vostra ricompensa nei cieli (Mt. 5, 11-12).

 

Quarantesima questione

1. Fino a che punto si può giudicare ozioso un discorso?

Risposta. 2. Generalmente ogni discorso, che non reca utilità alla grazia della fede del Cristo, è ozioso; 3. ed è tanto il pericolo di simili discorsi che, anche se sembrasse buono quanto si dice, e tuttavia non apportasse un aumento di fede, colui che avrà parlato non potrà evitare il pericolo per la bontà del discorso; 4. ma per il fatto stesso che il suo discorso non reca alcun profitto alla fede contrista lo Spirito Santo di Dio, 5. E ciò lo manifesta chiaramente il Signore col dire: Non esca dalla vostra bocca alcun discorso cattivo (Cfr. Ef. 4, 29); 6. ma se ne avete dei buoni ad edificazione della fede, diteli perché ne tragga vantaggio chi ascolta (Ef. 4, 29-, 30). 7. E ancora aggiunge: Non contristate lo Spirito Santo di Dio, nel quale avete ricevuto il sigillo per il giorno delta redenzione (Ef. 4, 30). 8. E di questo non si potrà avere nessun male più grave.

 

Quarantunesima questione

1. Chi è maledico, cioè λοιδορος?

Risposta. 2. Ogni discorso fatto per infamare o screditare o per mettere in cattiva luce qualcuno è maledico, anche se sembrerà non essere ingiurioso. 3. E ciò è chiaro dal giudizio del Vangelo, dove si parla dei Giudei. Lo maledissero dicendo: Sii tu discepolo di quel tale (Giov. 9, 28).

 

Quarantaduesima questione

1. Che cos'è la diffamazione o denigrazione?

Risposta. 2. Credo che in due casi è lecito rivelare e discutere il male altrui: 3. se qualche volta è necessario consigliarsi con gli altri, che si associano allo stesso scopo di esaminare il modo migliore per la correzione di chi ha peccato o ha commesso qualche cosa di male; 4. e ancora nel caso in cui si deve prevenire e avvertire qualcuno a non cadere nella compagnia di uno cattivo, da lui invece creduto buono. 5. L'Apostolo dice: Non vi immischiate con gente di quella specie (2 Tess. 3, 14). 6. Così pure in Salomone: Non ti accompagnare con un uomo iracondo, perché non abbia a imparare il suo modo di agire, e a legare cosi la tua anima (Prov. 22, 24-25). 7. Sappiamo che anche l'Apostolo fece altrettanto da quanto scrisse a Timoteo: Alessandro il ramaio mi ha mostrato molte cattive cose; evitalo anche tu. Si è fortemente opposto alle mie parole (2 Tim. 4, 14). 8. Oltre questi casi di necessità, chiunque dice qualche cosa contro un altro per infamarlo o per criticarlo incorre nella colpa di diffamazione, anche se sembra essere vero quello che dice.

 

Quarantatreesima questione

1. Chi dice male di un fratello o ascolta un maldicente, e lascia correre, di che cosa è degno?

Risposta. 2. Si deve scomunicare. 3. È detto infatti: Perseguitavo chi diceva male del suo prossimo in segreto (Salmo 100, 5). 4. E altrove è detto: Non ascoltare volentieri il maldicente, affinché tu non venga sterminato.

 

Quarantaquattresima questione

1. Come sarà da trattare colui che avrà detto male del superiore?

Risposta. 2. Anche in questo caso non è forse ben chiaro il giudizio dell'ira di Dio, che cadde su Maria, quando disse male di Mosè, e nemmeno la preghiera di Mosè valse a ottenere da Dio che quel peccato restasse senza punizione?

 

Quarantacinquesima questione

1. Si deve prestar fede a chi risponde con parole troppo mordaci o insolenti, e, anche ammonito, dichiara di non aver niente di male nel cuore?

Risposta. 2. Non tutte le passioni dell'anima sono note a tutti, neppure a quelli stessi che ne soffrono. 3. Come dai moti del corpo si manifestano ai medici più valenti alcuni segni nascosti e occulti, che sfuggono e sono ignoti anche a quelli che ne soffrono, così anche nell'anima vi sono alcuni vizi, anche se non se ne accorge chi pecca. 4. Ma si deve credere al Signore che dice: L'uomo cattivo trae sentimenti cattivi dal cattivo tesoro del suo cuore (Matt. 12, 35). 5. E perciò non è possibile che il cattivo esprima un buon discorso dal suo cuore cattivo, né il buono potrà proferire parole cattive dal suo cuore buono. 6. Ma qualche volta vi può essere anche una bontà finta in un cuore cattivo; ma un cuore buono non può simulare il male. 7. Così dice l'Apostolo: Cerchiamo di fare il bene non solo davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini (Rom. 12, 17).

 

Quarantaseiesima questione

1. Come si potrebbe evitare l'irascibilità?

Risposta. 2. Col ritenere che Dio vede tutto e col considerare che il Signore è sempre presente; 3. poiché nemmeno chi è soggetto al suo giudice ardisce di mostrare anche un poco della propria indignazione davanti agli occhi del suo giudice; 4. e cioè se si è convinti che non gli altri sono soggetti a noi stessi, ma ci si prepara ad ubbidire agli altri, e ciò significa stimare tutti superiori a se stessi. 5. Se non si cerca che quelli che ubbidiscono lo facciano per i propri comodi e per la propria utilità, si deve sapere che la parola del Signore insegna a ciascuno ad ubbidire e servire agli altri. Perciò, anche se si vedrà qualcuno trasgredire un comandamento del Signore non ci si muoverà ad ira, ma ci si farà guidare dalla misericordia e dalla compassione secondo colui che dice: Chi è infermo e io non sono infermo? (2 Cor. 11, 29).

 

Quarantasettesima questione

1. Chi è mansueto?

Risposta. 2. Chi non si allontana dalle sue risoluzioni, con le quali ha stabilito e si sforza di piacere a Dio.

 

Quarantottesima questione

1. Come comportarsi per non essere vinti dal piacere e dalla bramosia dei cibi?

Risposta. 2. Con la decisione di ricercare non ciò che reca diletto, ma ciò che è necessario, e quello che basti alla propria utilità, e non quello che soddisfi il piacere.

 

Quarantanovesima questione

1. Come sradicare il vizio del cattivo desiderio?

Risposta. 2. Con un desiderio più buono: e ciò si otterrà se saremo più infiammati e accesi per l'amore di Dio, secondo colui che dice: La parola di Dio lo infiammò (Salmo 104, 19). 3. E ancora: I giudizi di Dio sono veri, giusti in se stessi, più desiderabili dell'oro e delle pietre molto preziose, e più dolci del miele e del favo di miele (Salmo 18, 9-11). 4. Il desiderio di ciò che è meglio, tanto nelle cose che nelle azioni, che possiede sempre e del tutto i nostri animi, e ci spinge a lottare per godere quanto desideriamo, 5. ci fa disprezzare e respingere le cose meno elevate, come ci hanno insegnato tutti i santi, e quanto più quindi tutto ciò che è cattivo e disonesto?

 

Cinquantesima questione

1. Qual è la tristezza secondo Dio e quale quella secondo il mondo? (2 Cor. 7, 10).

Risposta. 2. La tristezza secondo Dio (2 Cor. 7, 10) si ha quando ci rattristiamo per la trascuratezza o per la trasgressione di un comandamento, secondo quanto è scritto: Mi ha assalito la tristezza a causa dei peccatori che hanno abbandonato la tua legge (Salmo 118, 53). 3. Invece la tristezza propria del mondo è quella di contristarsi di qualcuna delle cose umane o che appartengono al mondo.

 

Cinquantunesima questione

1. Quali sono le gioie nel Signore, e che cosa dobbiamo fare per avere la gioia?

Risposta. 2. Gioia nel Signore l'abbiamo se operiamo secondo il comandamento del Signore, e se compiamo azioni per la gloria di Dio, 3. o anche se per il nome del Signore abbiamo a patire o a godere qualche cosa, o se godiamo delle buone azioni degli altri.

 

Cinquantaduesima questione

1. Dobbiamo forse piangere perché possiamo meritare di raggiungere la beatitudine della consolazione?

Risposta. 2. Questa domanda è contenuta già nell'altra, nella quale abbiamo esposto qual è la tristezza gradita a Dio; 3. e cioè, se siamo addolorati per i peccati, o se compiangiamo quelli che con la trasgressione della legge disonorano Dio, o anche per quelli che sono in pericolo per il peccato. 4. Perché l'anima che avrà peccato morrà (Ez. 18, 20), secondo colui che disse: Che io abbia a piangere quelli che prima peccarono, e non fecero penitenza (2 Cor. 12, 21).

 

Cinquantatreesima questione

1. Non è proprio lecito ridere?

Risposta. 2. Poiché il Signore condanna quelli che ridono in questo mondo, è chiaro che non vi è mai tempo per un'anima fedele; 3. e questo tanto più che sono moltissimi coloro che con la trasgressione della legge non onorano Dio, e muoiono nei loro peccati, e per loro ci si deve rattristare e addolorare costantemente.

 

Cinquantaquattresima questione

1. Qual è la sollecitudine delle cose temporali?

Risposta. 2. Ogni sollecitudine dell'animo, che, sebbene non sembri contenere niente d'illecito, tuttavia se non riguarda la religione o la virtù, è sollecitudine delle cose temporali.

 

Cinquantacinquesima questione

1. Donde viene che noi ci lasciamo andare inopportunamente, e come possiamo evitarlo?

Risposta. 2. Avviene veramente di lasciarsi andare in maniera non conveniente allorché l'anima è più tiepida verso Dio e verso il ricordo di Dio, e anche quando l'ha assalita la dimenticanza dei giudizi di Dio. 3. Ma questo lo possiamo evitare se cercheremo di avere un pensiero degno di Lui e se rivolgeremo i nostri desideri al compimento della sua volontà, 4. secondo colui che disse: Non concederò sonno ai miei occhi, né quiete alle mie palpebre, né requie alle mie tempie, finché non troverò un luogo per il Signore e un'abitazione per il Dio di Giacobbe (Salmo 131, 4 e 5).

 

Cinquantaseiesima questione

1. Come uno compie tutto a gloria di Dio?

Risposta. 2. Facendo tutto per Dio e per suo comandamento, e in niente ricerchi le lodi degli uomini, 3. e in tutto si ricordi delle parole del Signore: Brilli la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre che è nei cieli (Matt. 5, 16).

 

Cinquantasettesima questione

1. Come mangiare e bere a gloria di Dio?

Risposta. 2. Questo si potrà ottenere se avremo sempre presente colui che nutre, Dio; 3. e inoltre se dimostreremo non solo con la mente, ma anche col corpo, in tutte le cose di rendergli grazie e di non mangiare senza timore, 4. ma che siamo rifocillati come operai di Dio, affinché possiamo dedicarci al lavoro e all'adempimento dei comandamenti.

 

Cinquantottesima questione

1. Come la mano destra può fare delle cose che non sappia la sinistra?

Risposta. 2. Se compiamo le opere in onore di Dio con l'animo attento e col desiderio deciso di piacere a Dio, e ci prendiamo ogni cura per non allontanarci dalla via retta e dalle opere ordinate dalla legge, 3. allora non ci accorgiamo nemmeno del pensiero di qualcuno e nemmeno di un nostro membro, ma solo di Dio e dell'opera che in suo onore stiamo compiendo.

4. Come l'artista che compone un vaso ha costantemente presente anche colui che glielo ha commissionato, e insieme segue attentamente il vaso che ha fra le mani, perché risulti secondo le buone regole dell'arte.

 

Cinquantanovesima questione

1. Quale impressione farà agli uomini chi vuol piacere loro?

Risposta. 2. Certamente alla presenza di quelli che lo possono lodare compie qualche opera buona; 3. ma se nessuno di quei tali è presente, o anche se sono presenti quelli che lo possono biasimare, è lento e pigro nelle azioni. 4. Se volesse davvero piacere a Dio sarebbe sempre e dovunque uguale, 5. e compirebbe le medesime opere, adempiendo quanto è stato detto: Con le armi della giustizia a destra e a sinistra, in mezzo alla gloria e all'ignominia, alla cattiva e alla buona fama, come seduttori eppure veritieri (2 Cor. 6, 7 e 8).

 

Sessantesima questione

1. Come evitare il pericolo di piacere agli uomini e di procurarsi la loro lode?

Risposta. 2. È bene aver per certo che Dio ci è presente, e avere una ben ferma sollecitudine di piacere a Dio, e nello stesso tempo sforzarsi di possedere un grande desiderio di tutte le beatitudini promesse dal Signore. 3. Non si deve piacere al prossimo quando siamo alla presenza di Dio, ciò che si risolve in ingiuria del Signore e in proprio danno, poiché si ha più riguardo ai voleri del prossimo che a quelli di Dio.

 

Sessantunesima questione

1. Come si riconosce il superbo e come si cura?

Risposta. 2. Si riconosce dal fatto che va alla ricerca dei posti più elevati. Si cura poi con la fede nella sentenza di colui che disse: Dio tiene testa ai superbi (Giac. 4, 6). 3. Bisogna sapere che se uno ha timore della condanna per la superbia, è impossibile che si curi di questo vizio se non si allontana e si distacca da ogni occasione di orgoglio, 4. ed è altrettanto impossibile sradicare la loquacità di qualcuno o di molti, 5. o anche un qualunque modo di ingannare, se non ci si distacca completamente e in ogni modo non solo negli atti, nelle parole e nei modo di vivere, 6. ma anche nell'ascoltare e nel vedere quelli che fanno ciò che si desidera dimenticare. 7. E ciò è da tener presente per ogni vizio.

 

Sessantaduesima questione

1. Che cos'è l'umiltà, e come la possiamo praticare?

Risposta. 2. L'umiltà è lo stimare tutti gli uomini superiori a noi, secondo la definizione dell'Apostolo. 3. E ciò lo potremo adempiere se saremo memori di quanto dice il Signore: Imparate da me, che sono mansueto e umile di cuore (Matt. 11, 29); ciò che in molte occasioni insegnò e praticò. 4. E dobbiamo anche credere a chi ci ha promesso: Chi si umilierà sarà esaltato (Luc. 18, 14). 5. Poi ancora dovremo cercare di essere sempre e senza alcuna interruzione più umili in ogni azione e in ogni nostro incarico, e a tale fine porre tutti i nostri sforzi. 6. Appena così potremo eliminare anche il ricordo della nostra arroganza precedente, e acquistare l'amore all'umiltà, come suole avvenire anche nelle nostre professioni. 7. Una stessa maniera sarà da seguire anche per ottenere tutte le altre virtù, che provengono dal comando di nostro Signore Gesù Cristo.

 

Sessantatreesima questione

1. Si deve ricercare l'onore?

Risposta. 2. Bisogna rendere onore a quelli, ai quali siamo stati ammaestrati a renderlo; 3. ma ci è vietato di andare alla ricerca degli onori, come dice il Signore: Come potete credere se ricercate la gloria gli uni dagli altri, e invece non cercate la gloria che viene solo da Dio? (Giov. 5, 44). 4. Perciò richiedere gloria o onore dagli uomini è segno di infedeltà, e di allontanamento dall'amore di Dio, 5. soprattutto perché l'Apostolo dice: Se volessi ancora piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo (Gal. 1, 10). 6. Se dunque sono tanto condannati quelli che accettano la gloria e l'onore che vengono loro offerti, di quale giudizio sono degni quelli che ne vanno alla ricerca, senza averne avuto alcuna offerta?

 

Sessantaquattresima questione

1. Come ci dobbiamo ubbidire l'un l'altro?

Risposta. 2. Come servi ai propri padroni, secondo il precetto del Signore: Chi vuole essere grande fra voi, sia l'ultimo di tutti, e di tutti servitore (Matt. 20, 27). 3. A queste parole aggiunse, per farci essere proclivi all'umiltà: Come il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire (Matt. 20, 28). 4. Ma consideriamo ancora quanto è detto dall'Apostolo: Per amore dello Spirito servitevi gli uni gli altri (Gal. 5, 13).

 

Sessantacinquesima questione

1. Fino a che punto deve ubbidire chi desidera di mettere in pratica la norma di piacere a Dio?

Risposta. 2. Ce lo mostra, l'Apostolo proponendoci come esempio l'ubbidienza del Signore: Si fece ubbidiente fino alla morte, e morte di croce (Fil. 2, 8). 3. E disse: Provate in voi i sentimenti di Cristo stesso (Fil. 2, 5).

 

Sessantaseiesima questione

1. Chi è pigro riguardo a un comando come può diventare più laborioso e vigilante?

Risposta. 2. Con l'esser certo che il Signore Dio è presente dovunque, e che tutto vede; 3. e abbia davanti agli occhi la minaccia lanciata contro il pigro, e la speranza dell'abbondante ricompensa di Dio, che per mezzo dell'apostolo Paolo ha promesso dicendo : Ognuno riceve la sua mercede secondo il suo lavoro (1 Cor. 3, 13 e 14); 4. e tenga anche presente tutte quelle esortazioni simili che si trovano nelle Sacre Scritture, e che si riferiscono all'opera della pazienza e alla sollecitudine delle opere compiute a gloria di Dio.

 

Sessantasettesima questione

1. Se qualcuno non è contento che ogni giorno gli venga ordinato qualche cosa che rientra nei comandamenti di Dio, ma vuole imparare qualche arte, di quale vizio pecca? e si deve dargli ragione?

Risposta. 2. Questo tale è presuntuoso, troppo desideroso di compiacere se stesso, e infedele, in quanto non teme la sentenza del Signore che dice: Siate preparati; perché all'ora che non pensate verrà il Figlio dell'uomo (Luc. 12, 40). Se uno è veramente nella quotidiana attesa del Signore, è sollecito e premuroso di non trascorrere oziosamente la vita presente e non si preoccupa d'altro. Se poi gli viene comandato di imparare qualche arte, si contenti di avere una ricompensa per la sua ubbidienza, e in questo piaccia a Dio, ma non si contenti di essere giudicato in ciò che a lui piace.

 

Sessantottesima questione

1. Chi si mostra molto attivo e pronto nell'osservare i comandi, ma poi agisce secondo il suo volere e non secondo quanto gli viene ordinato, quale ricompensa avrà?

Risposta. 2. La sua ricompensa sarà proprio quella di piacere a se stesso; poiché l'Apostolo dice: Ciascuno si renda gradito al prossimo per edificarlo (Rom. 15, 2). 3. E per maggiormente piegare e vincolare gli ascoltatori aggiunge: Lo stesso Cristo non piacque a se stesso; 4. e perciò ciascuno deve conoscere che il suo pericolo è proprio nel fatto di voler piacere a se stesso; e così nello stesso tempo dimostra di essere disubbidiente.

 

Sessantanovesima questione

1. È lecito a uno rifiutare con pretesti un'azione che gli viene comandata, e ricercarne un'altra?

Risposta. 2. Poiché è stabilito che il valore normativo dell'ubbidienza deve durare fino alla morte, chi evita ciò che gli è comandato e cerca altro, anzitutto è reo di disubbidienza, e dimostra chiaramente di non aver rinnegato se stesso. 3. In secondo luogo diventa causa di molti mali per sé e anche per gli altri, perché apre la porta della contraddizione a molti, e si abitua a contraddire; 4. e poiché non tutti possono distinguere e scegliere il meglio, può accadere, se si è arrivati a tanta libertà, che scelga qualche cosa di peggio. 5. E infine darà anche sospetto agli altri che sia spinto da una qualche passione o per l'opera che sceglie o per quelli coi quali dovrà lavorare. 6. Dunque, in ogni modo, non ubbidire è causa e radice di molti mali. 7. Se poi gli parrà di avere buone ragioni di scusa per l'azione compiuta, ne esponga i motivi al superiore, lasciando al suo giudizio la prova dell'esattezza della scusa presentata.

 

Settantesima questione

1. Che dire di chi, comandato di fare un'azione, avrà fatto delle contraddizioni, ma poi avrà compito l'ubbidienza di sua volontà?

Risposta. 2. Per il fatto che ha contraddetto, è da giudicare come un disubbidiente e come chi induce gli altri a un medesimo male. 3. E perciò sappia che incorre in quella sentenza che dice: Ogni persona cattiva provoca sempre contese, ma il Signore manderà contro di lui l'angelo vendicatore (Prov. 17, 11). 4. Se è certo che ubbidisce non all'uomo, ma al Signore che afferma: Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me (Luc. 10, 16); 5. e se è pentito al ricordo di questo comandamento, prima faccia la soddisfazione, e così, se gli viene permesso, compia quanto gli è stato comandato.

 

Settantunesima questione

1. E se uno, anche obbedendo, mormora?

Risposta. 2. L'Apostolo afferma: Fate tutto senza mormorazione ed esitazione (Fil. 2, 14), e quindi chi mormora sia allontanato dalla comunione dei fratelli, e le sue opere siano rigettate. 3. È chiaro che chi si comporta in tal modo pecca d'infedeltà, e non possiede una fiducia sicura nella speranza futura.

 

Settantaduesima questione

1. Se uno avrà contristato un suo confratello, come deve fare ammenda?

Risposta. 2. Se veramente avrà afflitto, secondo quanto dice l'Apostolo: Vi siete rattristati, ma in modo da non ricevere alcun male da parte nostra (2 Cor. 7, 9), non avrà da fare ammenda colui che ha procurato l'afflizione, 3. ma colui che l'ha ricevuta, il quale deve anche dare segni evidenti di quell'afflizione che è conforme alla volontà di Dio. 4. Se poi l'afflizione provocata sarà senza scopo, cioè non secondo Dio, chi l'avrà provocata si ricordi di quello che dice l'Apostolo: Se un tuo fratello si rattrista per il cibo a causa tua, tu non cammini più nella carità (Rom. 14, 15). 5. E quando avrà conosciuto di aver commesso un simile peccato, adempia ciò che è prescritto dal Signore: 6. Se mentre fai la tua offerta davanti all'altare ti ricorderai lì stesso che un tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì davanti all'altare la tua offerta, e va prima a riconciliarti col tuo fratello, e poi di ritorno offrirai la tua offerta (Matt. 5, 23 e 24).

 

Settantatreesima questione

1. Come si deve agire con chi non acconsente a fare la soddisfazione?

Risposta. 2. Ci si deve comportare con lui secondo la norma del Signore riguardo al peccatore impenitente, 3. e cioè: Se non ascolterà l'assemblea ritienilo come un pagano e un pubblicano (Matt. 18, 17).

 

Settantaquattresima questione

1. Se poi, pur avendo fatta la soddisfazione chi avrà procurato l'afflizione, non vorrà riconciliarsi chi è stato rattristato, come comportarsi?

Risposta. 2. È nota la sentenza del Signore in proposito, riferita nella parabola del servo, il quale, pregato da un suo compagno di servizio, non volle dimostrare nessuna comprensione. E vedendo ciò i compagni di servizio lo riferirono al loro padrone (Matt. 18, 31). 3. Questi adirato ritirò ogni concessione del debito già accordata, e consegnò il servo malvagio ai carcerieri fino a che non avesse pagato tutto il debito.

 

Settantacinquesima questione

1. In quale considerazione si deve avere chi sveglia i confratelli per l'orazione?

Risposta. 2. Se uno conosce il danno che proviene dal sonno, allorché non ha alcun controllo di se stesso, e comprende il grande guadagno che deriva dalle veglie, 3. e soprattutto se si veglia per glorificare Dio con l'orazione, dovrà considerare chi si assume spontaneamente il compito di svegliare chi dorme per un tale scopo come colui che gli fa acquistare meriti e doni celesti davanti a Dio, 4. tanto se lo invita e lo spinge all'orazione come pure all'osservanza di un altro precetto divino.

 

Settantaseiesima questione

1. Se poi si rattrista, o anche si adira, chi viene svegliato, che cosa merita?

Risposta. 2. In un primo tempo deve essere scomunicato e condannato a non mangiare, per provare se davvero riconosce col pentimento di quanti e quali meriti si priva, 3. e, una volta così convertito, riceva il perdono, in modo che abbia l'amore di Colui che disse: Mi sono ricordato di Dio e ne sono stato ripieno di gioia (Salmo 76, 4). 4. Se poi vorrà persistere nella sua stoltezza, mostrando di non comprendere il favore ricevuto, sia tagliato come un membro putrefatto del corpo. 5. Infatti sta scritto: È meglio che vada distrutto uno dei tuoi membri piuttosto che tutto il corpo sia condannato all'inferno (Matt. 5, 29).

 

Settantasettesima questione

1. Che cosa significano le parole: Non giudicate per non essere giudicati, non condannate per non essere condannati (Matt. 7, 11)?

Risposta. 2. Il Signore alcune volte dice: Non giudicate perché non siate giudicati, 3. altre volte invece: Fate giudizi giusti (Giov. 7, 24); e con ciò vuol dimostrare di non voler proibire in tutti i modi la facoltà di giudicare, 4. ma ci insegna a conoscere una differenza fra i giudizi, perché impariamo in che cosa si ha diritto di giudicare e in quale no. 5. Su tale argomento ci dà il suo insegnamento in modo chiaro l'Apostolo dove parla di quelle cause che devono essere lasciate alla libera decisione di ciascuno: E tu perché giudichi un tuo fratello (Rom. 14, 10)? 6. E ancora: Non ci giudichiamo a vicenda (Rom. 14, 13). 7. Per quelle azioni che chiaramente non piacciono a Dio, riprova coloro che non intervengono col loro parere, 8. e lui stesso espone con queste parole la sua opinione: Io poi, sebbene assente col corpo, ma presente nello spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui che ha commesso una tale colpa, nel nome del nostro Signore Gesù Cristo, 9. quando voi siete radunati con me presente nello spirito, per il potere del nostro Signore Gesù Cristo, un tale peccatore sia dato nelle mani di satana, perché sia annientato nella sua carne, e lo spirito sia salvo nel giorno del nostro Signore Gesù Cristo (1 Cor. 5, 3-5). 10. Se pertanto è stato posto e riservato al nostro potere e alla nostra libera decisione, non si deve giudicare il fratello in questo campo, secondo quanto dice l'Apostolo come di cose che non si conoscono: 11. Perciò non giudicate prima del tempo, finché venga il Signore, che illuminerà le oscurità delle tenebre, e renderà manifesti i consigli dei cuori (1 Cor. 4,5). 12. Ma difendere i giudizi di Dio è del tutto necessario, perché non abbiamo a essere oggetto della stessa indignazione, nel caso che, conoscendo qualche cosa del peccatore, non diciamo nulla. 13. A meno che non abbiamo il coraggio di riprendere né l'autorità di giudicare un fratello, perché siamo anche noi colpevoli, come dice il Signore: 14. Leva prima la trave dal tuo occhio, e solo allora cercherai di estrarre la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello (Matt. 7, 5).

 

Settantottesima questione

1. Come si può capire che uno sia mosso verso un fratello peccatore dallo zelo di Dio o dallo spirito della propria irascibilità?

Risposta. 2. Se per ogni peccato del fratello soffre quanto è scritto: Mi ha consumato lo zelo della tua casa, poiché i miei nemici si sono dimenticati delle tue parole (Salmo 118, 139). 3. Proprio in questo caso è ben chiaro lo zelo di Dio. 4. Tuttavia anche in queste cose bisogna tutto regolare prudentemente. 5. Se dunque un simile affetto non lo aveva nel suo animo già da prima, è bene che sappia che i suoi movimenti provengono più dalle passioni che da Dio, e che in nessun modo potrà assolvere il dovere della correzione fraterna.

 

Settantanovesima questione

1. Alcuni affermano che è impossibile che un uomo non si adiri.

Risposta. 3. Ad esempio, non è possibile a un soldato adirarsi al cospetto del suo re. 3. Ma nemmeno con ciò si potrà giustificare l'affermazione fatta. 4. Se una figura umana della stessa forma impedisce l'esplodere di una passione di un uomo contro un altro uomo a motivo dell'uguaglianza della natura, 5. quando non vi è altra diversità, al di fuori della superiorità di dignità, quanto più ciò avverrà nei riguardi di Dio, che sappiamo con certezza presente al nostro cuore e tale da conoscere tutti i nostri movimenti? 6. È noto quanto grande è la sua superiorità, anche dal fatto stesso che scruta i cuori e i reni, e vede i moti del nostro animo.

 

Ottantesima questione

1. Si può andare dove si vuole senza avvertire il superiore?

Risposta. 2. Poiché il Signore dice: Non sono venuto per fare alcuna cosa di mia iniziativa, ma in nome di colui che mi ha mandato (Giov. 6, 36), quanto più ognuno di noi non si deve permettere niente di suo arbitrio? 3. Chi dunque fa qualche cosa di sua autorità dimostra chiaramente di essere come inchiodato dalla malattia della superbia, 4. e va quindi soggetto a quella sentenza che dice: Quanto c'è di superbo negli uomini è abominevole al cospetto di Dio (Luc. 16, 15). 5. Ma si può affermare che l'agire di propria volontà e autorità in tutto è colpevole.

 

Ottantunesima questione

1. Se è bene permettere di imparare le lettere o di dedicarsi allo studio a chi lo vuole ad ogni costo.

Risposta. 2. Poiché l'Apostolo dice: Non ciò che volete dovete fare (Gal. 5, 17), in ogni caso è dannoso permettere che ciascuno agisca di sua volontà; 3. ma si deve accettare quello che è comandato dai superiori, anche se è contrario alla volontà di chi riceve il comando, 4. conforme all'esempio del Signore che dice: Padre, non sia fatta la mia volontà, ma la tua (Luc. 22, 42).

 

Ottantaduesima questione

1. Se è lecito a ciascuno di evitare le opere che sembrano più pesanti.

Risposta: 2. Chi con fedele e puro amore ama Dio, ed è certo della ricompensa del Signore, crede che non gli bastino neppure le cose che gli vengono comandate; 3. ma cerca lui stesso che gli vengano aggiunte altre opere, anzi desidera con ardore che gliene vengano affidate di quelle maggiori, anche se sembrano essere superiori alle sue forze le opere che compie. 4. Né si sente sicuro, come se avesse tutto ben compiuto, ma al contrario si sforza di agire con sollecitudine e con ansia, come se non avesse compiuto nulla degno dei precetti evangelici, ricordando quelle parole del Signore che dice: 5. E anche quando avrete fatto tutto ciò che vi comando, allora direte: siamo servi inutili; abbiamo compiuto quanto dovevamo fare (Luc. 17, 10). 6. Ma imiteremo anche l'Apostolo, che pur essendo per lui crocifisso il mondo e lui stesso al mondo, non si vergogna di affermare: Non credo di aver ancora raggiunto la conoscenza di me stesso; 7. ma mi adopero per dimenticare quello che ho dietro le spalle, mentre mi lancio a ciò che mi è davanti, e seguo il mio proposito di arrivare al premio della suprema vocazione di Dio in Cristo Gesù (Fil. 3, 13 e 14). 8. Egli che pure aveva il diritto di vivere del Vangelo che predicava dice: Ho vissuto più che mai nel lavoro e nella fatica notte e giorno. 9. Non perché non abbiamo il diritto, ma per dare a voi un esempio, cosicché imitiate noi (2 Tess. 3, 9). 10. Se le cose stanno cosi, chi è tanto stolto o sleale da credere di essere sovraccaricato di pesi più gravi del dovuto, dal momento che non può ancora compiere quanto è richiesto da una norma ben regolata?

 

Ottantatreesima questione

1. Come ci si può rendere preparati fino al pericolo per osservare i comandamenti di Dio?

Risposta. 2. Prima di tutto considerando che lo stesso nostro Signore ubbidì al Padre per noi fino alla morte, 3. ed essendo certi che i precetti del Signore sono destinati al conseguimento della vita eterna, come sta scritto. 4. E poi si dovrà credere al Signore che dice: Chiunque vorrà salvare la sua vita, la perderà, mentre chi odierà la sua vita per me e per il Vangelo la salverà (Giov. 12, 25).

 

Ottantaquattresima questione

1. Con quale affetto si deve ubbidire a colui che ci esorta a osservare i comandamenti?

Risposta. 2. Con quello stesso affetto che mostra il bambino che ha fame nell'ubbidire alla madre che lo invita a succhiare il latte; 3. o anche con quell'affetto col quale ognuno accetta da un altro quello che appartiene alla vita, e ancor di più; 4. e ciò per il fatto che è molto più preziosa la vita futura di quella presente, come ha detto il Signore: I miei comandamenti sono la vita eterna (Giov. 12, 50). 5. Come dunque la vita attuale si regge col cibo del pane, così la vita eterna si conquista con l'adempimento dei comandamenti, 6. come di nuovo dice il Signore: Mio cibo è quello di fare la volontà di Colui che mi ha mandato, il Padre (Giov. 4, 34).

 

Ottantacinquesima questione

1. Quale animo deve avere ognuno per il solo fatto che è stato ritenuto degno di compiere le opere di Dio?

Risposta. 2. Lo stesso di colui che diceva: Chi sono io, Signore, o qual è la casa di mio padre, poiché mi hai amato? (2 Re 7, 18). 3. Sarà bene che compia quello che sta scritto: Ringraziando Dio Padre, che ci ha resi adatti a partecipare alta sorte dei santi nella luce, 4. lui che ci ha anche liberati dal potere delle tenebre e trasportati nel regno del Figlio della sua gloria (Col. 1, 12-3).

 

Ottantaseiesima questione

1. Quelli che sono già avanzati nell'assiduità delle opere di Dio come devono ammaestrare ed educare quelli che da poco sono entrati?

Risposta. 2. Se sono ancora forti nel corpo per il fatto che prestano senza pigrizia e con prontezza a tutti gli uffici loro affidati, sono di edificazione per i neovenuti e danno loro un esempio utile a ogni avanzamento. 3. Se poi sono piuttosto deboli corporalmente, saranno altrettanto utili a loro mostrando di avere e pensare la presenza di Dio in tutti i loro atti e movimenti, come anche nell'aspetto, 4. e ancora di essere animati da speciale affetto per quanto l'Apostolo elenca, dicendo: 5. La carità è paziente e benevola, non è invidiosa, non è insolente, non si gonfia, non è disonesta, non ricerca il proprio vantaggio, non si irrita, non pensa il male, non gode per l'ingiustizia, ma gode della verità; tutto soffre, tutto spera, tutto sopporta; la carità non viene mai meno (1 Cor. 13, 4-8). 6. Tutto questo può essere adempiuto anche con una salute cagionevole.

 

Ottantasettesima questione

1. Se qualcuno dice: Vorrei trascorrere un poco di tempo con voi perché possa approfittare del vostro genere di vita per il mio miglioramento, si deve accettarlo?

Risposta. 2. Il Signore afferma: Non scaccerò chi viene a me (Giov. 6, 37); 3. d'altra parte tuttavia l'Apostolo dice: Per i falsi fratelli intrusi furtivamente, che si sono introdotti per indagare sulla nostra libertà, che abbiamo in Cristo Gesù, ai quali non cedemmo nemmeno per un momento, come per soggezione, affinché la verità del Vangelo restasse in mezzo a voi (Gal. 2, 4-5); 4. si può quindi concedergli l'ingresso in considerazione dell'esito incerto delle cose. 5. Alle volte può accadere che per un certo tempo faccia dei progressi, trovi diletto nella santità della vita e sia perseverante nella via intrapresa, come abbiamo potuto constatare che spesso è avvenuto. 6. Ma che sia ben manifesta la vera realtà delle nostre istituzioni, delle quali forse gli uomini hanno diversa opinione. 7. Bisogna tuttavia trattare con lui con molta cautela e diligenza, affinché la libertà delle nostre istituzioni perseveri e progredisca nella verità, e sia anche attentamente esaminata, e trovata pura e degna di approvazione. 8. Cosi dunque anche noi piaceremo a Dio, e quel tale possa progredire, se è sincero; o se è un ingannatore, ne abbia ad arrossire.

 

Ottantottesima questione

1. Si può accordare a qualcuno di fare astinenza al di sopra delle sue forze, e in modo tale che non possa adempiere ciò che gli viene comandato, per l'eccessiva astinenza?

Risposta. 2. La questione non mi sembra posta con vera esattezza. 3. Non si è affermato che la continenza consiste solo in quella dei cibi; 4. poiché questo tipo di continenza anche dall'Apostolo Paolo viene ritenuta colpevole, se non è fatta con spirito di fede e ragionevolmente, quando dice: Quelli che si vogliono astenere dai cibi, che sono stati creati da Dio (1 Tim. 4, 3). 5. Ma abbiamo affermato che è perfetta quella continenza che è praticata da chi si astiene dai piaceri precedenti. 6. Quanto poi sia pericoloso voler fare la propria volontà, e non quella di Dio, risulta certo da quanto dice l'Apostolo: 7. Facendo la volontà della carne e dei cattivi pensieri eravamo per natura figli dell'ira come tutti gli altri (Ef. 2, 3).

 

Ottantanovesima questione

1. Chi digiuna abbastanza, e nella refezione non può prendere il cibo comune con tutti gli altri, che cosa deve scegliere con preferenza: digiunare coi fratelli e mangiare insieme con loro, oppure richiedere altri cibi per poter compiere digiuni più grandi?

Risposta. 2. La misura del digiuno non deve dipendere dalla volontà di ognuno, ma dal comando e dalle regole di quelli che servono Dio in comune, 3. allo stesso modo di coloro che vengono riferiti unanimi e concordi in tutto, e che negli Atti degli Apostoli sono ricordati come quelli che avevano un cuor solo e un'anima sola. 4. Se uno dunque digiuna con fedeltà e con discernimento, riceve dal Signore anche la forza di poter resistere: È fedele chi ha promesso (Ebr. 10, 23).

 

Novantesima questione

1. Come si deve digiunare, quando il digiuno è comandato come necessario; 2. e se qualche volta la religione richiede qualche cosa, la si deve compiere per necessità o volontariamente?

Risposta. 3. Poiché il Signore dice: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia (Matt. 5, 6), tutto ciò che appartiene alla religione produce un pericolo, se non lo si compie con buona intenzione e con vera pietà, poiché al digiuno deve essere unita la devozione. 4. Che poi sia necessario il digiuno in certe determinate circostanze, e massimamente se desideriamo ottenere qualche cosa dal Signore, ce lo insegna anche il santo Apostolo, che alle altre sue virtù aggiunge anche: Spesso ho digiunato (2 Cor. 11, 27).

 

Novantunesima questione

1. Agisce con rettitudine colui che non vuole cibarsi degli stessi cibi, che mangiano i fratelli, ma ne richiede degli altri?

Risposta. 2. In particolare proprio far richiesta di cibo speciale è contro il comando del Signore, che dice; Non state a ricercare che cosa mangiate o bevete (Matt. 6, 31). 3. E perché si facesse più attenzione a quel che diceva aggiunse: Queste cose le ricercano anche i pagani (Matt. 6, 32). 4. Certamente deve essere cura del superiore l'adempiere ciò che sta scritto: Si distribuiva a ciascuno secondo quanto era necessario (Atti 4, 35).

 

Novantaduesima questione

1. Quale carattere ha chi dice che un cibo gli fa male, e si rattrista se non gli viene portato un altro cibo?

Risposta. 2. Sembra chiaro che questo tale non è ben sicuro della speranza che ebbe invece Elea(z)zaro, e nemmeno è certo della carità del superiore, che ha cura tanto di lui che di tutti. 3. Ma è assolutamente vietato ad ognuno di agire a proprio giudizio e per propria volontà sia riguardo a quello che fa male, sia riguardo a quello che giova, 4. ma si deve affidare al giudizio del superiore il provvedere a ciascuno, secondo che richiedono le circostanze o le necessità, e prima di tutto ciò deve valere per quello che giova all'anima; 5. e solo in secondo luogo si deve tutto regolare secondo la volontà di Dio per le necessità del corpo.

 

Novantatreesima questione

1. Se poi qualcuno avesse anche a mormorare a motivo del cibo, quale punizione gli si dovrà infliggere?

Risposta. 2. Quella che fu imposta a quelli che mormorarono nel deserto; 3. poiché l'Apostolo dice: Non mormorate, come alcuni di loro mormorarono e perirono per mezzo dello sterminatore (1 Cor. 10, 10).

 

Novantaquattresima questione

1. Se uno lavora di più può pretendere qualche cosa di più di quanto si è soliti concedere?

Risposta. 2. Se egli accetta il lavoro per la retribuzione di Dio, non deve richiedere una ricompensa o un riposo particolare per il suo lavoro, 3. ma proprio per mezzo di esso tendere senza indugio al conseguimento delle promesse del Signore, sapendo che il Signore come ha preparato la ricompensa per il lavoro, così anche ha pronte le consolazioni per le angustie. 4. Tuttavia i superiori osserveranno la regola che prescrive: Si distribuiva a ciascuno secondo il bisogno (Atti 4, 35). 5. Essi devono prevenire ognuno, in modo tale che il sollievo della refezione sia proporzionato anche al genere di lavoro.

 

Novantacinquesima questione

1. Con quale sentimento dell'animo si devono accettare il vestito e le calzature, qualunque sia la loro specie?

Risposta. 2. Se per caso fossero troppo piccoli o troppo grandi, si dovrebbero giudicare in base alla misura della propria statura, ma con ogni umiltà e mansuetudine. 3. Ma se ci si turba per la loro rozzezza o bassezza, o perché non sono nuovi, sarà bene ricordare il comando del Signore: È degno della sua ricompensa l'operaio, ma non chiunque (Luc. 10, 7). 4. Ciascuno esamini bene se stesso, se ha compiuto degnamente le opere di Dio, ed ha osservato tutte le cose che gli sono state comandate; 5. e allora non pretenderà altro, ma sarà premuroso di quello che gli viene, come se ricevesse più di quanto merita. 6. Del resto quanto si è detto del cibo, si può osservare nella stessa forma di ogni cosa che riguarda i bisogni del corpo.

 

Novantaseiesima questione

1. E se qualcuno sarà adirato fino al punto da non volere qualche cosa di quelle che vengono fomite per suo uso?

Risposta. 2. Questo tale è degno di non ricevere nemmeno se ne fa richiesta, finché lo voglia il superiore; 3. E quando avrà notato che un tale difetto dell'animo è stato curato, allora darà anche quello che è necessario alle utilità del corpo.

 

Novantasettesima questione

1. È necessario che tutti si radunino insieme all'ora del pranzo; ma come comportarsi con chi resta fuori e viene dopo?

Risposta. 2. Se è stato assente per necessità di luogo o di tempo dall'ordine comune, sarà compito del superiore esaminarlo e perdonare. 3. Ma, se pur potendo, non fu abbastanza sollecito ad accorrere, confessi la colpa della sua negligenza, 4. e resti senza cibo fino all'ora in cui ci si riunisce per la refezione nel giorno seguente.

 

Novantottesima questione

1. Come rimandare i poveri che si presentano alla porta a chiedere l'elemosina? 2. E ognuno deve offrire del pane o qualunque altra cosa, oppure questo compito deve essere riservato al superiore?

Risposta. 3. Il Signore ha detto: Non è bene prendere il pane dei figli e darlo ai cani, ma anche i cani volentieri accettano di mangiare le molliche che cadono dalla mensa dei servitori (Matt. 15, 16 e 17); 4. quindi chi è incaricato della distribuzione deve assolvere un tale incarico con prudenza. 5. E se qualcuno ha la presunzione di farlo contro la volontà del superiore, sia rimproverato come turbolento e indisciplinato, finché impari a stare al suo posto, 6. secondo quanto dice l'Apostolo: Ciascuno resti al posto che gli è stato assegnato (1 Cor. 7, 20).

 

Novantanovesima questione

1. È lecito a ciascuno di cedere la propria tunica vecchia o le calzature a chi vorrà, a causa della misericordia per osservare il comandamento della carità?

Risposta. 2. Offrire qualche cosa per il detto comandamento non è compito di tutti, ma di quelli che hanno ricevuto quest'incarico. 3. Così dunque chi ha il compito della distribuzione dia lui stesso il vestito, nuovo o vecchio, a chi deve essere dato, e lo riceva da chi deve essere ricevuto.

 

Centesima questione

1. Se un fratello più giovane sarà incaricato di istruire un fratello più anziano di età, come deve agire con lui?

Risposta. 2. Come uno che compie un servizio per osservare il comando del Signore, con ogni riverenza, sempre nel timore di quella sentenza che dice: Maledetto colui che compie le opere di Dio con negligenza (Ger. 48, 10); 3. faccia poi attenzione a non insuperbirsi e a non cadere nella condanna.

 

Centunesima questione

1. I pellegrini devono entrare fino ai luoghi in cui i fratelli lavorano, o anche altri dello stesso monastero, abbandonati i loro posti, possono entrare in altri luoghi?

Risposta. 2. Eccetto colui che deve andare alla ricerca di coloro che lavorano, cioè quello che è incaricato del lavoro e dell'ordinamento, 3. se qualche altro sarà trovato a fare simili azioni, sia trattato come perturbatore della disciplina e dell'ordine dei fratelli, venga escluso dalla comunità conventuale, e gli siano vietati anche i movimenti leciti. 4. Seduto in determinato luogo, stabilito dal superiore e adatto alla correzione e alla punizione, non gli sia mai permesso di allontanarsene, 5. ma sia stimolato al lavoro molto più del consueto, e sorvegliato strettamente ogni giorno, finché impari a compiere quanto dice l'Apostolo: Ognuno rimanga nell'incarico che gli è stato affidato (1 Cor. 7, 20).

 

Centoduesima questione

1. È lecito a chi conosce le arti ricevere un lavoro da qualcuno senza che lo sappia o lo permetta colui che presiede e ha la cura delle varie opere?

Risposta. 2. Chi agisse in questo modo sarebbe reo di furto, o assimilato a quelli che cooperano coi ladri.

 

Centotreesima questione

1. Quale cura devono avere gli artigiani dei ferri e degli utensili?

Risposta. 2. Prima di tutto li devono usare come oggetti di Dio, o come quelli che sono già stati consacrati a Dio. 3. E poi li devono trattare come mezzi, senza dei quali non possono acquistare meriti per il loro sacrificio e per il loro zelo.

 

Centoquattresima questione

1. Come ci si comporterà nel caso che qualche pezzo di quelli va perduto per negligenza, o si rovini per il disprezzo usato?

Risposta. 2. Chi disprezza è da giudicare come sacrilego, e così anche chi manda in rovina le cose incorre nella stessa colpa, 3. per il fatto che tutto ciò che è destinato all'uso dei servi di Dio senza dubbio è consacrato a Dio.

 

Centocinquesima questione

1. Come agire con chi vuole prestare qualche cosa di sua autorità ad altri, o vuole riceverne da un altro?

Risposta. 2. Si deve considerare come sfacciato e avventato, perché queste azioni sono propriamente doveri di coloro che comandano e hanno l'incarico della distribuzione.

 

Centoseiesima questione

1. Che fare con chi rifiutasse qualche utensile o un ferro al superiore in caso di necessità?

Risposta. 2. Chi ha consegnato se stesso e le sue stesse membra nelle mani di altri per comando di Dio, come potrà rifiutare degli utensili, soprattutto a chi ha l'incarico dei lavori del monastero?

 

Centosettesima questione

1. Se qualcuno è occupato nella dispensa, nella cucina o in altro lavoro, e non può essere presente alla salmodia o all'orazione, non avrà nulla a soffrire per la sua anima?

Risposta. 2. Ciascuno nel suo lavoro deve osservare una sua regola, come un membro del corpo, e riporterà un danno se sarà stato negligente in ciò che gli è stato affidato, 3. e ancora più si esporrà a un pericolo se sarà stato negligente in quanto riguarda il bene dei confratelli. 4. E perciò deve compiere con tutta la mente e con dedizione ciò che sta scritto: Cantate e salmeggiate di tutto cuore al Signore (Ef. 5, 19). 5. Se quindi qualcuno non può essere presente col corpo insieme con gli altri al luogo dell'orazione, compia tutto ciò che appartiene alla pietà verso Dio in qualunque luogo si abbia a trovare. 6. Tuttavia si deve essere attenti a che uno possa compiere il proprio dovere a suo tempo e quindi intervenire; 7. ma mentre vuole parlare, adduce pretesti come se fosse occupato in qualche lavoro comandato. 8. Se fa così, offre cattive occasioni agli altri, mentre egli stesso incorre nella colpa della negligenza.

 

Centottesima questione

1. Come potremo ottenere di non andar vagando con i nostri sentimenti durante l'orazione?

Risposta. 2. Con la certezza di essere davanti agli occhi di Dio. 3. Se uno vede e parla con un suo giudice o superiore, non si crede lecito di vagare con gli occhi e di guardare altrove, mentre quello parla, 4. quanto più chi si avvicina a Dio non deve muovere gli occhi del cuore, ma essere ben attento verso colui che scruta le profondità del cuore? 5. Cosicché adempirà quanto sta scritto: Alzando le mani pure senza ira e discussione (1 Tim. 2, 8).

 

Centonovesima questione

1. È possibile che un uomo ottenga che in ogni tempo e luogo la sua mente non vada vagando, o come può avvenire ciò?

Risposta. 2. Che è possibile lo dimostra colui che afferma: I miei occhi sono sempre rivolti al Signore (Salmo 24, 25). 3. E di nuovo: Avevo sempre il Signore dinanzi a me, perché egli è alla mia destra affinché io non sia smosso (Salmo 15, 8). 4. Come poi sia possibile lo abbiamo già detto, e cioè se non concederemo dell'ozio alla nostra anima, ma in ogni momento pensiamo a Dio, alle sue opere, ai suoi benefici e ai suoi doni, 5. e tutto ciò meditiamo sempre nella lode e nel ringraziamento, come sta scritto: Cantate con arte (Salmo 46, 8).

 

Centodecima questione

1. Che significa: cantate con arte?

Risposta. 2. Come ognuno in tutti i cibi col gusto riconosce il sapore che essi hanno, così anche avviene col senso della prudenza per le parole della Scrittura. 3. Il palato, è scritto, riconosce i cibi e il senso discerne le parole (Giob. 12, 11). 4. Se dunque uno rivolge tutta la sua anima alle singole parole dei salmi, come il gusto è attento alla ricerca del sapore dei cibi, egli è proprio colui che compie davvero: Cantate con arte (Salmo 46, 8).

 

Centundecima questione

1. Con quale criterio deve moderare il suo potere di distribuzione colui a cui è affidata la cura della dispensa?

Risposta. 2. Verso colui che gli ha affidato l'incarico di quella distribuzione si deve ricordare del Signore che dice: Non posso fare alcuna cosa di mia autorità (Giov. 5, 30). 3. Per tutti gli altri invece deve conoscere di che cosa ognuno ha bisogno, perché possa adempiere quello che è scritto: Si distribuiva a ciascuno secondo il bisogno (Atti 4, 35). 4. Lo stesso metodo deve essere osservato da tutti quelli che hanno ricevuto l'incarico di qualunque ufficio tanto se si tratta di servizio come di distribuzione.

 

Centododicesima questione

1. Quale punizione si dovrà infliggere al dispensiere nel caso che agisca per preferenza di persone o per spirito di discordia?

Riposta. 2. Qualche volta l'Apostolo dice: Non fare alcuna cosa per simpatia, o con inclinazione verso l'altra parte (1 Tim. 5, 21); 3. e altra volta afferma: Se qualcuno vuole sembrare litigioso, noi non abbiamo una tale usanza, né l'ha la Chiesa (1 Cor. 11, 16). 4. Se qualcuno fa queste cose sia criticato finché si corregga. 5. Tuttavia si deve ben esaminare e considerare con la massima diligenza ed esperienza l'attitudine e la situazione favorevole di ognuno per affidargli l'incarico di qualunque occupazione oppure ufficio; 6. e in questo modo né quelli che comandano siano condannati per aver incaricato di un ufficio non adatto per lui, e siano considerati cattivi organizzatori tanto rispetto alle anime che all'osservanza dei precetti del Signore, 7. né quelli stessi che sono comandati abbiano a trarre occasione di peccato da questo modo d'agire.

 

Centotredicesima questione

1. E se avrà trascurato di dare il necessario al fratello?

Risposta. 2. È evidente il pensiero del Signore stesso in questo caso, dove dice: Andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, che è preparato al diavolo e ai suoi angeli. 3. Ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere (Matt. 25, 41 e 42), con tutto quello che segue. 4. Perché è maledetto ogni uomo che fa negligentemente le opere del Signore (Ger. 48, 10).

 

Centoquattordicesima questione

1. Si può affermare che nei progressi rispetto all'osservanza dei precetti di Dio vi è una sola norma per tutti? 2. Oppure uno deve dare qualche cosa di più e un altro meno?

Risposta. 3. Che non vi sia una misura uguale per tutti, ma che ad alcuni viene affidato di più e ad altri meno, è chiaro dalle stesse parole del Signore che dice: 4. Del seme cadde sopra la terra buona, e questo è colui che ascolta le mie parole e le comprende, e porta frutti, al centuplo o al sessanta o al trenta per uno (Luc. 8, 8). 5. Altrettanto si riscontra in quelli che ricevettero il denaro da amministrare, dove è detto che fu dato a chi cinque, a chi due e a chi un talento.

 

Centoquindicesima questione

1. Bisogna avere la stessa stima di quelli che fanno maggior profitto e di quelli che ne fanno meno?

Risposta. 2. Sarà bene osservare in questo quanto il Signore stabilisce per la remissione dei peccati: Gli sono stati rimessi molti peccati perché ha molto amato (Luc. 7, 47). 3. Colui al quale si rimette poco, ama anche poco. 4. E di nuovo tenere presente quello che dispone l'Apostolo riguardo ai presbiteri: I presbiteri che amministrano bene, devono essere doppiamente onorati, specialmente quelli che sono attivi nella parola e nella dottrina (1 Tim. 5, 17). 5. Credo che altrettanto si debba osservare in tutte le questioni di questo genere.

 

Centosedicesima questione

1. Come comportarsi con chi si affligge perché è meno onorato, mentre gli sembra che gli venga preferito chi ha progredito di più nel timore del Signore?

Risposta. 2. Chi è di tale tipo certo non manca del vizio della malignità, secondo la parabola del Vangelo, in cui il Signore dice a quelli che si rattristarono perché altri erano stati onorati come loro: Che forse il tuo occhio è cattivo perché io sono buono? (Matt. 20, 15). 3. Ed è manifesta la sentenza del Signore per questi tali, quando dice per mezzo del profeta: Il malvagio al suo cospetto è ridotto a niente, ma egli onora chi teme il Signore (Salmo 14, 4).

 

Centodiciassettesima questione

1. Un'anima, dopo molti peccati e dopo molte miserie della vita, con quale timore e con quali lacrime deve smettere di peccare? 2. e con quale speranza e con quale amore deve riavvicinarsi a Dio?

Risposta. 3. Anzitutto deve odiare la sua precedente vita sospetta, averne orrore e maledirne il ricordo, poiché sta scritto: Ho odiato e detestato l'iniquità, ma ho amato la tua legge (Salmo 118, 136). 4. In secondo luogo perché abbia un maggior timore cerchi di possedere il più grande timore del fuoco eterno e della pena perpetua. 5. E inoltre impari a conoscere il tempo opportuno delle lacrime attraverso la penitenza, 6. come ha insegnato David nel salmo sesto che la purificazione dei peccati si può avere con l'abbondanza delle lacrime nel sangue di Cristo, per la potenza della sua misericordia, e per la grandezza della pietà di Dio, che ha detto: 7. Se i vostri peccati saranno come scarlatto, li farò diventare bianchi come la neve; se poi saranno come la cocciniglia, li renderò come lana candida (Is. 1, 18). 8. E dopo questo, ricevuta la forza e il diritto di piacere a Dio, dice: Hai cambiato il mio pianto in gioia; hai fatto a pezzi il mio sacco, e mi hai rivestito di letizia, perché canti te, mia gloria (Salmo 29, 12). 9. E così avvicinandosi a Dio possa cantare: Ti esalterò, o Signore, perché mi hai sollevato, e non hai rallegrati i miei nemici sopra di me (Salmo 29, 1).

 

Centodiciottesima questione

1. Sta scritto: La redenzione dell'anima di un uomo sono le sue ricchezze (Prov. 13, 8); 2. ora desideriamo sapere come potremo fare noi, dal momento che non abbiamo occasione di distribuire le ricchezze per la redenzione dell'uomo.

Risposta. 3. Se veramente vogliamo, ma non abbiamo potuto, ricordiamoci della risposta del Signore a Pietro, che, mostrando interesse a questo argomento, diceva: 4. Ecco noi abbiamo abbandonato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque sarà di noi? (Matt. 19, 27). 5. Il Signore gli rispose dicendo: Ognuno che avrà abbandonato la casa, o i fratelli o le sorelle o il padre o la madre o la moglie o i figli o i suoi campi per me, e per il Vangelo, riceverà il centuplo, e conseguirà la vita eterna (Matt. 19, 29). 6. Che se a qualcuno accade di aver tralasciato le ricchezze per negligenza, almeno in un secondo tempo si adoperi con maggior sollecitudine perché, facendo doni dal ricavato del lavoro delle sue mani, ripari di aver trascurato il suo dovere. 7. Se poi nemmeno ora ci avanza il tempo o la forza di compiere un tale servizio, possiamo trovare consolazione nell'Apostolo che dice: Non cerco le vostre cose, ma voi (2 Cor. 12, 14).

 

Centodiciannovesima questione

1. Se qualcuno, sentendo le parole del Signore, che dice: Un servo che ha saputo la volontà del suo padrone e non ha eseguito la volontà di lui, sarà bastonato molto; 2. chi poi non l'ha conosciuta, e non agì in modo degno, sarà colpito con poche percosse (Luc. 12, 47-8), trascuri e finga di non conoscere la volontà del Signore, ha qualche scusa?

Risposta. 3. Evidentemente chi si comporta così finge ignoranza, e in nessun modo potrà evitare la condanna per il peccato. 4. Se non fossi venuto, dice il Signore, e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scuse per il loro peccato (Giov. 15, 22). 5. Così dunque la santa Scrittura a tutti comunica la volontà di Dio, affinché, un tale uomo non sia giudicato fra quelli che sono ignoranti, 6. ma piuttosto con quelli dei quali sta scritto: Come vipere sorde che si turano le orecchie per non udire la voce dell'incantatore, ed essere curate dalla medicina, che è preparata da un sapiente (Salmo 57, 5 e 6). 7. Ma il superiore, che ha il compito di comunicare la parola di Dio, se avrà trascurato di farla conoscere e inculcarla a ciascuno su ogni argomento, sarà giudicato come omicida delle anime, secondo la Scrittura.

 

Centoventesima questione

1. Chi fa la volontà di qualcun altro è anche suo cooperatore e complice?

Risposta. 2. Certo, se crediamo al Signore che dice: Chi compie il peccato, è schiavo del peccato (Giov. 8, 34).

3. E di nuovo: Voi avete per padre il diavolo, e volete fare i desideri del padre vostro (Giov. 8, 44); 4. donde sappiamo che non solo si rende cooperatore e complice, ma anche suo padrone e signore, poiché compie le stesse opere di lui. 5. Ne fa testimonianza anche l'Apostolo, che dice: Non sapete che siete servi di colui, al quale vi siete offerti come servi nell'obbedire, sia del peccato che porta alla morte, sia dell'ubbidienza che porta alla giustizia? (Rom. 6, 16).

 

Centoventunesima questione

1. Se uno mostra di approvare il peccato di un altro, è anche lui reo di quel peccato?

Risposta. 2. Questa questione è chiara dalle parole che il Signore rivolse a Pilato: Chi mi ha consegnato a te, ha commesso un peccato più grande (Giov. 19, 11). 3. È evidente da ciò che anche Pilato, dando il consenso a quelli che consegnarono alla morte il Signore, abbia commesso peccato, benché minore di quelli. 4. Tutto ciò poi è dimostrato anche dal fatto che Adamo acconsentì e si accordò con Eva, che aderì alle suggestioni del serpente. 5. Infatti nessuno di loro fu giudicato innocente o ne uscì impunito. 6. Ma sta ancora a provarlo lo sdegno che Dio ebbe contro di loro. Infatti ad Adamo che per sua scusa faceva notare: La donna che mi hai data per compagna mi ha dato del frutto e io ne ho mangiato (Gen. 3, 12), rispose: 7. Poiché hai ascoltato la voce della tua donna, e hai mangiato del frutto, del quale ti avevo proibito di mangiarne, sarà maledetta la terra anche per il tuo lavoro (Gen. 3, 17).

 

Centoventiduesima questione

1. Si deve tacere con i fratelli che peccano e non occuparsene?

Risposta. 2. Che non si deve è ben chiaro dai precetti del Signore, coi quali dice nell'Antico Testamento: Rimprovera il tuo prossimo e non ti caricherai del suo peccato (Lev. 19, 17). 3. Nel Vangelo poi dice: Se un tuo fratello avrà peccato contro di te, va e riprendilo fra te e lui solo. 4. Se ti ascolterà avrai guadagnato un tuo fratello. 5. Se invece non ti ascolterà, prendi ancora con te un altro o due, affinché per bocca di due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa. 6. Se poi non ascolterà nemmeno loro, dillo all'assemblea. 7. Se poi non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano (Matt. 18, 15-17). 8. La gravità di questo peccato si conosce prima di tutto dalla sentenza del Signore, che dice: Chi non crederà nel Figlio non avrà la vita eterna, ma su di lui rimarrà l'ira di Dio (Giov. 3, 36). 9. E poi anche nelle storie narrate nell'Antico e nel Nuovo Testamento. 10. Infatti Acor, quel tale che aveva rubato il regolo d'oro, fece ricadere l'ira di Dio su tutto il popolo. 11. Eppure il popolo non conosceva il peccato che quello aveva commesso fino a che non fu rivelato, e dovette sopportare con tutta la sua casa quel tremendo e notissimo flagello. 12. E così si può affermare anche del sacerdote Eli, che, dopo aver taciuto di fronte ai figli peccatori, che erano figli di perdizione, 13. in seguito li ammonì spesso e li castigò, dicendo: Non fate ciò, figlioli; non sento dire cose buone di voi (1 Re 2, 24), ecc.; 14. egli, nonostante che rimproverasse il peccato e ammonisse del giudizio di Dio, tuttavia, poiché non represse il male e non si adirò contro di loro con uno zelo degno di Dio, 15. provocò tanto l'ira di Dio, che anche tutto il popolo fu distrutto insieme ai suoi figli, l'arca dell'alleanza fu rapita dai nemici, 16. e in fine, dopo la rovina di tutti, anche lui fu colpito da una morte degna di compassione.

17. Se dunque tanto sdegno di Dio si accese contro il popolo ignorante del peccato di una sola persona, e contro il padre che aveva rimproverato i figli per il loro peccato, 18. che cosa c'è da sperare per coloro che conoscono i delitti degli altri e li tacciono, e non rivolgono nessuna correzione? 19. A questi converrebbe osservare quello che dice l'Apostolo ai Corinti: Perché non avete piuttosto messo il lutto, finché non fosse tolto di mezzo a voi chi ha commesso un tale peccato? (1 Cor. 5, 2) ecc. 20. O anche quanto segue: Ecco dunque la vostra tristezza secondo Dio quanta premura ha prodotto in voi, anzi quanta difesa, quanta indignazione, quanto timore, quanto zelo, quanta emulazione, quanta severità? (2 Cor. 7, 11). 21. E da ciò deriva che devono molto temere, per non avere a subire la stessa morte degli antichi, quelli che agiscono allo stesso modo; 22. anzi tanto più fortemente quanto più dannoso è il disprezzare la legge di Cristo di quella di Mosè. 23. Anche a questi tali si può applicare quanto sta scritto: Caino è stato vendicato sette volte, e Lamec settanta volte sette (Gen. 4, 24).

 

Centoventitreesima questione

1. Perché alcune volte all'anima, anche se non è abbastanza attiva, pure accade di avere un certo dolore del cuore e una compunzione del cuore in modo spontaneo, 2. e invece altre volte essa è posseduta da tanta sicurezza e indifferenza che, anche se l'uomo si fa violenza, non può riuscire a provare alcun dolore o compunzione del cuore?

Risposta. 3. Una tale compunzione viene da un dono di Dio, che vuole provocare nell'anima il desiderio di gustare la dolcezza di una compunzione e di un dolore di questo genere, e provocarla ed eccitarla ad imitare una grazia così grande. 4. In questo modo si dimostra che se viene data anche a quelli che non sono abbastanza attivi, quanto più sarà data [anche] a quelli che desiderano e si adoperano di essere sempre nella compunzione del timore di Dio? 5. e così sono senza alcuna scusa coloro che perdono una tale grazia. 6. Che poi alle volte ci costringiamo, e non possiamo ottenere quanto desideriamo, si rileva dal fatto che in altri tempi abbiamo usato molta trascuratezza. 7. Non è possibile che chi non si è esercitato né nelle meditazioni né nelle istituzioni divine, arrivi immediatamente all'orazione, fino ad ottenere quanto raccomanda. 8. Ma proprio per questo si nota che una simile anima è aggravata da altri vizi e da altre passioni, che la dominano tanto da non permetterle di far uso della sua libertà, 9. conforme a quanto tratta anche l'Apostolo, che dice: Poiché io sono carnale, venduto al peccato. 10. Infatti non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio (Rom. 7, 14 e 15). 11. E ancora: Ora non sono io che opero, ma il peccato che opera in me (Rom. 7, 17). 12. Tutto ciò Dio stesso permette che ci avvenga per nostro vantaggio, affinché l'anima per queste sofferenze che subisce contro la sua volontà una buona volta si corregga, 13. e si converta a colui che può riempire di ogni bene i suoi desideri, e la sollevi dal peso delle sue colpe; 14. e così conoscerà finalmente se stessa e rinsavisca, e in fine comprenda che è trattenuta prigioniera nelle catene del diavolo. 15. In quelle catene è caduta per sua colpa, e, ormai come prigioniera agisce secondo quello che vuole, ma fa proprio ciò che odia. 16. Ma se si converte al Signore, che la liberi da questo corpo di morte, troverà subito misericordia, purché sia pentita profondamente e con tutto il cuore.

 

Centoventiquattresima questione

1. Come si diventa degni di essere partecipi dello Spirito Santo?

Risposta. 2. Nostro Signore Gesù Cristo ci ha insegnato: Se mi amate, osservate i miei comandamenti; 3. e io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Consolatore, lo Spirito di verità, che questo mondo non può ricevere (Giov. 14, 15 e 16). 4. Finché dunque non osserviamo i comandamenti del Signore, e non siamo tali che Egli possa dare di noi la testimonianza: 5. Voi non siete di questo mondo (Giov. 15, 19), non possiamo ottenere la partecipazione dello Spirito Santo.

 

Centoventicinquesima questione

1. Chi sono i poveri in spirito?

Risposta. 2. Alcune volte il Signore afferma: Le parole che vi ho rivolto sono spirito e vita (Giov. 6, 44); 3. altre invece: Lo Spirito Santo vi insegnerà e vi avvertirà di tutte le cose che vi ho dette. 4. Non parlerà da se stesso, ma vi dirà tutto quello che ode (Giov. 16, 13). 5. I poveri nello spirito sono quelli che non sono poveri per altro motivo che per l'insegnamento del Signore che dice: Va, vendi tutto quello che possiedi, e dallo ai poveri (Matt. 19, 21). 6. Se poi anche qualcuno regolerà e sopporterà la povertà che gli è stata imposta per qualunque motivo secondo la volontà di Dio, 7. come quel tal Lazzaro, anch'egli non sarà allontanato dalla beatitudine, poiché il Signore comanda: 8. Non vogliate essere solleciti per quello che mangiate o beviate, o di che vi abbiate a vestire (Matt. 6, 31).

 

Centoventiseiesima questione

1. Fino a che punto si spinge l'osservanza di un comando? o come si può compierlo?

Risposta. 2. L'osservanza di un comando arriva fino alla morte, perché anche il Signore si è fatto ubbidiente fino alla morte; 3. e si può compierlo per il fatto che ognuno ha desiderio e amore di Dio. 4. Il Signore, riprovata la sollecitudine del secolo, subito fa seguire la speranza della promessa, dicendo: 5. Sa bene il Padre vostro di che cosa avete bisogno, prima che lo domandiate (Matt. 6, 8). 6. Ma anche l'Apostolo dice: Noi stessi portiamo dentro di noi l'avviso della morte, perché non siamo troppo fiduciosi in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti (2 Cor. 1, 9). 7. Secondo il nostro proposito dunque e secondo le disposizioni dell'anima, moriamo ogni giorno, ma siamo salvati per volontà di Dio. 8. Perciò l'Apostolo diceva con tutta fiducia: Siamo come moribondi, eppure ancora viviamo (2 Cor. 6, 9). 9. A un tale proposito giova, anche riguardo ai comandamenti di Dio, un animo più ardente e un desiderio insaziabile, 10. e chi lo possiede profondamente non avrà nemmeno il tempo e l'agio di occuparsi in pratiche e azioni temporali.

 

Centoventisettesima questione

1. Se dunque non si deve avere sollecitudine per le necessità della vita, e altro è il precetto del Signore: Cercate il cibo che non perisce (Giov. 6, 27), è superfluo lavorare con le proprie mani?

Risposta. 2. Il Signore stesso in un altro passo ha chiarito il suo precetto. 3. Ivi infatti affermò che non si deve ricercare nessuna cosa per la vita, dicendo: Non vogliate cercare che cosa mangiate o che beviate, poiché questo lo ricercano i pagani di questo mondo (Matt. 6, 31); 4. e aggiunse: Cercate il regno di Dio e la sua giustizia (Matt. 6, 33). 5. E indicò anche come lo si deve cercare: dopo aver detto: Non state a cercare il cibo che perisce, aggiunge: Ma cercate piuttosto il cibo che resiste per la vita eterna (Giov. 6, 27). 6. Anche di che cosa si tratta lo mostra in un altro passo lui stesso, dicendo: Il mio cibo è di fare la volontà di chi mi ha mandato, il Padre (Giov. 4, 34). 7. La volontà del Padre è quella di dare il cibo a quelli che hanno fame, da bere a quelli che hanno sete, di coprire i nudi e tutte le altre opere di questo genere. 8. E poi è necessario imitare anche l'Apostolo che dice: Vi ho dimostrato che si devono soccorrere gli infermi col nostro lavoro (Atti 20, 35). 9. E in altra occasione insegna: Ognuno di voi lavori di più, operando con le sue mani quello che è bene, affinché possa donare a quelli che soffrono nella necessità (Ef. 4, 28). 10. Poiché dunque il Signore ci offre questi ammaestramenti tanto nel Vangelo che attraverso l'Apostolo, è chiaro che non dobbiamo essere solleciti né lavorare per noi stessi, 11. ma per l'adempimento del comando del Signore e per i bisogni del prossimo abbiamo l'obbligo di essere premurosi e di adoperarci con molta attenzione, 12. e soprattutto perché il Signore accetta come fatto a se stesso quanto avremo compiuto a favore dei suoi servi, 13. e per tali servizi promette il regno dei Cieli.

 

Centoventottesima questione

1. Se uno pensa nel suo cuore ai cibi, e dopo si biasima e si corregge, anche lui è da giudicare come chi ripone i suoi pensieri nelle cose terrene?

Risposta. 2. Se non è proprio il tempo, in cui l'appetito ci spinge per naturale necessità a cercare i cibi, è chiaro che ciò è indizio di mente svagata e dimostra un'anima che porta con sé l'affetto alle cose presenti, e inoltre si rivela inerte e apatica verso la volontà di Dio; 3. però ha già vicina la misericordia di Dio, e per il fatto stesso di essersi biasimato e corretto, è già liberato dal marchio della colpa; 4. tuttavia stia attento agli errori dei suoi pensieri, ricordando ciò che dice il Signore : Ecco ora sei guarito, non peccare più, perché non ti accada qualche cosa di peggio (Giov. 5, 14). 5. Se poi si tratta di tempo, in cui siamo dalla natura spinti alla ricerca dei cibi, e la mente, occupata in cose migliori, disprezza e trascura quelle inferiori, non sarà da riprovare il ricordo dei cibi, ma si dovrà lodare il loro disprezzo.

 

Centoventinovesima questione

1. Si può avere una seconda tunica per la notte, o di pelo di capra o di qualunque altra specie?

Risposta. 2. L'uso del cilicio ha il suo tempo, poiché quest'indumento non è stato creato per le consuete utilità del corpo, ma per la sua afflizione, e per la mortificazione dell'anima. 3. Ma dal momento che la parola di Dio proibisce di avere due tuniche, come potremo interpretare tutto ciò se non in riferimento agli usi che sopra abbiamo ricordati?

 

Centotrentesima questione

1. È lecito a chi presta un servizio parlare con voce forte, cioè gridando?

Risposta. 2. Alla possibilità di udire deve essere commisurato il volume della voce. 3. Se dunque la voce sarà troppo debole o troppo bassa rispetto a ciò che si tratta, sarà possibile che sembri piuttosto un mormorio o un ronzio che un vero discorso. 4. Se poi fosse più forte di quanto lo richiede l'argomento, e colui al quale si parla fosse in grado di sentire, non sarebbe più semplicemente voce, ma si tratterebbe di grido, e ciò è degno di riprovazione; 5. a meno che colui che ascolta non sia per caso di udito troppo difficile, e la necessità ci spinga a parlare ad alta voce. 6. Perciò anche del Signore è scritto: Gesù esclamava ad alta voce, dicendo: Se uno crede in me, non crede in me solo, ma in colui che mi ha mandato (Giov. 12, 44). 7. Parlare ad alta voce è proprio per quelli che hanno un udito interno insensibile e otturato.

 

Centotrentunesima questione

1. Se qualcuno nel giorno in cui gli tocca il servizio di cucina, lavorasse al di sopra delle sue forze, tanto da essere impedito e da non poter nemmeno compiere la sua opera negli altri giorni, sarà bene affidargli un tale ufficio?

Risposta. 2. Più sopra abbiamo già detto che colui che ha l'incarico degli uffici e colui che è superiore deve avere la massima considerazione delle forze e delle possibilità di ciascuno, 3. e affidare i lavori secondo le attitudini, affinché non abbia a incorrere in quanto sta scritto: Egli mette il travaglio nel suo comando (Salmo 93, 20). 4. Tuttavia colui che vien comandato non deve contraddire, perché è stabilito che l'ubbidienza si deve osservare fino alla morte.

 

Centotrentaduesima questione

1. Come deve aver cura della lana chi ne ha l'incarico? 2. e come si deve comportare con quelle che la lavorano?

Risposta. 3. Tratti il lavoro della lana come opera di Dio a lui affidata; 4. riguardo poi alle sorelle, deve ordinare il lavoro, senza alcuna disputa o preferenza di persone, a ciascuna di loro secondo le attitudini e le competenze.

 

Centotrentatreesima questione

1. Se qualcuno è condannato a non ricevere il pane benedetto, e dice: se non accetto il pane benedetto, resto senza mangiare, lo dobbiamo ascoltare?

Risposta. 2. Se veramente la colpa per la quale è stato condannato è di tale portata, che sia bene privarlo anche del cibo, lo deve decidere il superiore. 3. Se poi la sua punizione riguarda solo la benedizione, ma gli si concede il cibo, si consideri però sempre condannato e disubbidiente, 4. e anche in questo deve accettare la qualifica di ostinato, e riconoscere che, cosi agendo, non si dà cura della colpa, ma rafforza la sua trasgressione.

 

Centotrentaquattresima questione

1. Con quale timore, con quale fede e con quale amore dobbiamo accogliere la grazia del corpo e del sangue di Cristo?

Risposta. 2. Proprio l'Apostolo ci insegna il timore, dicendo: Chi mangia e beve indegnamente si mangia e beve il proprio giudizio (1 Cor. 11, 29). 3. La fede poi ce la insegna la parola del Signore, che dice: Questo è il mio corpo che viene offerto per molti; questo fate in memoria di me (Luc. 22, 19). 4. E anche la parola di Giovanni che afferma: Il Verbo si è fatto carne, e ha abitato con noi, e abbiamo veduto la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità (Giov. 1, 14). 5. Ma anche l'Apostolo dice: Egli, esistendo nella forma di Dio, non considerò come rapina questo suo essere uguale a Dio, 6. ma annientò se stesso, prendendo la forma di servo, divenne simile agli uomini, e umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e morte di croce (Fil. 2, 645).

7. Quando dunque l'anima ha fede in queste parole, e considera lo splendore della gloria del Signore, 8. e ammira l'eccesso di umiltà, per cui è stato ubbidiente al Padre tanto profondamente da arrivare fino alla morte per dar vita a noi, 9. penso che possa essere stimolata all'affetto e all'amore di Dio Padre stesso, che non perdonò al suo Figlio Unigenito, ma lo offrì per noi tutti, 10. e sarà anche più eccitato all'amore del suo Unigenito chi considera che ha sopportato una morte tanto ignominiosa. 11. Come anche l'Apostolo affermava; La carità ci stringe a Cristo, giudicando che se uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti, 12. e che egli è morto per tutti, affinché chi vive non viva più per se stesso, ma per colui che è morto per loro ed è risuscitato (2 Cor. 5, 14). 13. Un tale affetto e una tale fede deve predisporre nel suo animo colui che riceve il corpo e il sangue di Cristo.

 

Centotrentacinquesima questione

1. Qual è il tesoro buono e qual è quello cattivo?

Risposta. 2. Proprio la prudenza e l'intelligenza del Cristo e la fortezza dell'animo, che ha per scopo la gloria di Dio, questo è il tesoro buono. 3. Invece la prudenza e l'intelligenza proprie della malizia, come pure il gusto di ciò che Dio non vuole, costituiscono il tesoro cattivo; 4. e da essi, secondo la parola di Dio, provengono al tempo opportuno per ciascuno frutti buoni o cattivi, tanto nelle opere che nelle parole.

 

Centotrentaseiesima questione

1. È bene tacere del tutto?

Risposta. 2. Il silenzio e lo spirito del silenzio allora sono convenienti se sono adatti tanto alle persone che al tempo, 3. come ce lo insegna la S. Scrittura, che in un caso si esprime così: Chi intende in quel tempo determinato tacerà perché è tempo cattivo (Am. 5, 13); 4. altre volte invece dice: Ho posto un freno alla mia bocca, allorché il peccatore insorgeva contro di me. 5. Son diventato come muto e mi sono umiliato, e non ho parlato neppure di cose buone (Salmo 38, 2 e 3); 6. e altrove: Se un altro che è seduto ha ricevuto una rivelazione, il primo taccia (1 Cor. 14, 30); 7. e di nuovo: Le vostre donne tacciano nelle assemblee (1 Cor. 14, 34). 8. Ma anche in altra occasione è detto a coloro che hanno una lingua senza freno: Nessun discorso cattivo esca dalla vostra bocca; 9. ma solo quello buono per l'edificazione della fede (Ef. 4, 29). 10. Però lo spirito del silenzio è necessario, finché siano distrutti i vizi che hanno la loro origine nella leggerezza della lingua e dei discorsi, 11. cosicché avvenga quanto è scritto: Il loro discorso sia condito di sale, in modo da recare grazia a chi lo ascolta (Col. 4, 6).

 

Centotrentasettesima questione

1. Nelle ore dedicate all'orazione o alla salmodia qualcuno può parlare nella casa?

Risposta. 2. Possono parlare solo quelli che sono incaricati di qualche servizio, o quelli, ai quali è affidata la cura della disciplina o della distribuzione dei lavori; 3. ma anche questi devono agire con molta prudenza, in modo da dire solo quel tanto che è strettamente necessario, 4. e anche questo lo facciano, con pacatezza e con decoro, perché non abbiano a disturbare o a procurare qualche molestia; 5. a tutti gli altri conviene osservare il silenzio. 6. Infatti se l'Apostolo dice ai profeti che insegnavano nella Chiesa: Se a un altro che è seduto sarà fatta una rivelazione, il primo taccia (1 Cor. 14, 30), 7. quanto più nel tempo dell'orazione e della salmodia conviene tacere e osservare il silenzio a tutti, a meno che, come abbiamo detto più sopra, un motivo di comune utilità non costringa a dire qualche cosa.

 

Centotrentottesima questione

1. Come possiamo temere i giudizi di Dio?

Risposta. 2. Per natura ogni attesa del male incute timore. 3. Così è che abbiamo timore delle bestie e dei principi, consapevoli che da loro sovrasta qualche cosa che riguarda il pericolo della vita. 4. Se dunque crediamo alla verità delle minacce del futuro giudizio di Dio, e ci ricordiamo di quel terribile tribunale e dell'esame che ci attende, avremo timore dei giudizi di Dio.

 

Centotrentanovesima questione

1. Quanto è larga e spaziosa la via che conduce alla morte? (Matt. 7, 13).

Risposta. 2. Il Signore nella sua grande clemenza si serve di tutte quelle espressioni e parole, che possono fare arrivare fino a noi la conoscenza della dottrina della verità. 3. Come dunque quelli che sono in viaggio, se si allontanano dal retto cammino, che è racchiuso da determinati limiti e da tracciato ben visibile, vanno vagando per molti luoghi, 4. così anche chi si sarà allontanato dalla via che conduce al regno dei cieli, cadrà in una vasta serie di errori, per la quale si arriva alla perdizione.

 

Centoquarantesima questione

1. Quanto è angusta la porta e stretta la via che conduce alla vita? (Matt. 7, 14).

Risposta. 2. Anche in questo caso l'angusto e lo stretto indica che questa via, cioè la nostra vita, è resa angusta e stretta dalle tribolazioni. 3. Siamo costretti veramente da ambedue le parti del nostro cammino, perché non abbiamo a deviare del tutto in altre direzioni. 4. E il pericolo sta proprio in questo, che si devii da una parte o dall'altra: come avviene nel passare su un ponte stretto, quando uno avesse a cadere da una parte o dall'altra, le onde di un fiume impetuoso lo strappano e lo trascinano. 5. Perciò è dunque scritto: Non deviare né a destra né a sinistra (Num. 20, 17). 6. E David dice: Mi hanno posto un ostacolo lungo la via (Salmo 139, 6).

 

Centoquarantunesima questione.

1. Entro quali limiti si può circoscrivere l'avarizia?

Risposta. 2. In base alla trasgressione del metodo stabilito dalla legge. 3. E ciò si rivela, secondo l'Antico Testamento, dal fatto che uno ami più se stesso, o sia più premuroso del denaro e di ciò che è necessario a lui che al prossimo. 4. È scritto infatti: Amerai il tuo prossimo come te stesso (Matt. 19, 19). 5. E secondo il Vangelo, se qualcuno è più sollecito della vita presente, a causa di sé e del suo corpo, 6. certamente si sentirà dire: Stolto, questa notte verranno a richiederti la tua anima; e di chi saranno le cose che avrai accumulate? (Luc. 12, 20). 7. E a ciò il Signore aggiunge: Così avverrà a chi raccoglie tesori, e non è ricco secondo il Signore (Luc. 12, 21).

 

Centoquarantaduesima questione.

1. Che significa agire in maniera inutile?

Risposta. 2. Qualunque cosa si fa non per gli usi necessari, ma per ornamento o per la magnificenza di qualcuno, questo è propriamente agire senza utilità.

 

Centoquarantatreesima questione

1. Qual è l'abito ordinato, di cui parla l'Apostolo?

Risposta. 2. L'abito ordinato è quello che si usa conforme al tenore di vita di ognuno, a seconda del luogo, del tempo o della persona. 3. Non si può fare lo stesso uso di un abito nel tempo dell'inverno e nel tempo dell'estate; 4. e non è identico l'abito di chi lavora e di chi riposa; 5. e così anche l'abito militare non è uguale a quello civile, né quello dell'uomo è come quello della donna.

 

Centoquarantaquattresima questione

1. Vi sono di quelli che rifiutano i vestiti preziosi, ma, pur usando indumenti e calzature di poco prezzo, se ne servono con tale compostezza da ricavarne un ornamenta ricercato; 2. si deve ritenere che questi tali commettono peccato o che agiscono così per un vero e proprio vizio?

Risposta. 3. Chi vuole piacere agli uomini con un abito bello, è chiaro che soffre del vizio proprio di coloro che vogliono piacere agli uomini, ed è certo che la sua mente vaga molto lontano da Dio. 4. Ma è anche questo un vizio, l'agire inutilmente, dal momento che ci si serve degli indumenti e delle calzature non per necessità, ma per solo ornamento vanitoso.

 

Centoquarantacinquesima questione

1. Che cosa significa Raca?

Risposta. 2. È un'espressione provinciale propria di un rimprovero piuttosto leggero, che si vuol dire alle persone di servizio e a quelli nei quali si ripone la propria fiducia.

 

Centoquarantaseiesima questione

1. Che cosa significa quello che dice l'Apostolo: Non ci rendiamo desiderosi della vana gloria (Gal. 5, 26), e di nuovo: Non servite all'occhio, come per piacere agli uomini (Ef. 6, 6)? 2. Chi è il bramoso della vana gloria, e chi è colui che vuol piacere agli uomini?

Risposta. 3. Credo che sia avido per vana gloria chi fa o dice qualche cosa per la sola gloria del mondo, cioè per amore di quelli che vedono e odono di lui qualche cosa degna di lode o di ammirazione. 4. Dimostra di voler piacere agli uomini colui che opera e parla secondo il volere di qualche uomo, in modo da piacergli, anche se ciò che fa è indegno e nocivo.

 

Centoquarantasettesima questione

1. Che cos'è la contaminazione della carne e quella dello spirito? (2 Cor. 7, 1). E come ce ne possiamo correggere? 2. E qual è la santificazione, e come la possiamo ottenere?

Risposta. 3. Contaminazione della carne è mettersi insieme con quelli che commettono cose illecite e abominevoli. 4. Contaminazione dello spirito poi si ha allorché ci uniamo imprudentemente con quelli che hanno un senso irreligioso della fede. 5. Possiamo liberarci da questi mali se adempiamo quanto dice l'Apostolo: Con tale gente non prendere nemmeno il cibo (1 Cor. 5, 11), e tutto ciò che di simile stabilisce. 6. O senza alcun dubbio quando soffriamo nel nostro cuore quello che dice David: Mi ha preso la tristezza alla vista dei peccatori che abbandonano la tua legge (Salmo 118, 53). 7. O se mostreremo che la nostra tristezza è come quella che manifestarono quelli di Corinto, quando furono rimproverati da Paolo, allorché si comportavano senza parzialità verso colui che aveva peccato: In tutto avete mostrato di essere innocenti in quell'affare (2 Cor. 7, 11).

8. La santificazione poi è l'adesione a Dio dal più profondo di noi stessi, ed essere solleciti in ogni tempo e senza interruzioni nel dimostrare ogni premura di piacere a Lui. 9. E, a dire il vero, nessuna cosa difettosa può essere offerta o santificata nei doni fatti a Dio; 10. né ciò che una volta è stato offerto e santificato a Dio può essere posto ad uso delle umane necessità; altrimenti sarebbe sacrilego ed empio.

 

Centoquarantottesima questione

1. Chi è puro di cuore?

Risposta. 2. Chi non ha da rimproverarsi di aver prevaricato o disprezzato o trascurato un comandamento di Dio.

 

Centoquarantanovesima questione

1. Come si può avere odio contro il peccato?

Risposta. 2. Sempre nasce negli uomini a causa di ciò che ha effetto triste e funesto un odio contro quelli che furono causa di un tale turbamento. 3. Altrettanto dunque avviene se si è convinti di quali e quanti mali sono causa i peccati; 4. istintivamente e senza alcuna spinta esteriore nasce in noi dal più intimo del cuore l'odio contro di essi, come mostra quel tale che affermava: Ho odiato e avuto in orrore l'iniquità (Salmo 118, 163).

 

Centocinquantesima questione

1. Come si possono osservare i comandamenti del Signore con l'anima e con affetto?

Risposta. 2. Per natura proviamo diletto nelle cose buone e giovevoli. 3. Se dunque crediamo nelle cose che ci sono promesse, per il fatto stesso della nostra fiducia penetrano nell'anima nostra l'affetto e il desiderio a compiere ciò, per cui possiamo raggiungere quello che è nei nostri desideri. 4. Se dunque si sarà odiata e detestata l'iniquità, ci purificheremo anche da ogni peccato; 5. e da ciò verrà di conseguenza che, come il corpo non può provare diletto nei cibi per un malore, così anche l'anima non è attratta da alcun desiderio per osservare i comandamenti di Dio a causa della malattia del peccato. 6. Se ci si ricorda che il comandamento di Dio è la vita eterna, e che per tutti quelli che lo custodiscono resta l'adempimento delle promesse, 7. proprio per tutto questo può veramente nascere nell'anima quell'affetto di cui David ha detto: Giusti e veri in se stessi sono i giudizi di Dio, più desiderabili dell'oro e delle pietre molto preziose; e più dolci del miele e del favo del miele. 8. Perciò il tuo servo li adempie; grande è la retribuzione nell'osservarli (Salmo 18, 10-12).

 

Centocinquantunesima questione

1. Qual è la giusta misura riguardo all'amore di Dio?

Risposta. 2. La vera misura è quella di spiegare sempre la propria anima al di sopra delle forze verso la volontà di Dio, avendo di mira e desiderando ciò che appartiene alla gloria di Dio.

 

Centocinquantaduesima questione

1. Come si può ottenere di possedere la carità di Dio?

Risposta. 2. Se siamo grati e fedeli verso i benefici di Dio, ciò che vediamo avvenire anche fra gli animali bruti. 3. Infatti anche i cani qualche volta amano quelli che danno loro il cibo. 4. Ma anche Isaia lo insegna quando dice nella persona del Signore: dopo aver rimproverato il popolo ingrato: Ho generato ed esaltato dei figli; ma essi mi hanno disprezzato. 5. Il bue ha riconosciuto il suo possessore e l'asino la greppia del suo padrone, ma Israele non mi ha riconosciuto, e il popolo non ha voluto intendermi (Is. 1, 2-3). 6. Come infatti nel bue e nell'asino per il beneficio di essere nutriti sorge spontaneo l'affetto per il pastore, 7. così anche noi, se accettiamo con gratitudine e con sincerità i benefici di Dio, senza dubbio amiamo Dio datore di quei benefici; 8. e senza ricevere alcun insegnamento, per un naturale istinto siamo spinti all'amore verso di Lui, purché sia ben presente la salute dell'anima.

 

Centocinquantatreesima questione

1. Quali sono gli indizi che rivelano in noi la presenza dell'amore di Dio?

Risposta. 2. Quelli che il Signore ci ha insegnati con l'affermare: Se mi amate, osservate i miei comandamenti (Giov. 14, 15).

 

Centocinquantaquattresima questione

1. Che significa amare se stesso? e come potrebbe conoscere il suo difetto colui che ama se stesso?

Risposta. 2. Molte sono le cose che si dicono impropriamente, come anche quel detto: Chi ama la sua vita la perderà; e chi la odia in questo mondo la conserverà per la vita eterna (Giov. 12, 25). 3. In greco si dice filauto colui che ama se stesso. 4. Si può spiegare in questo modo chi dimostra di esser tale; se tutto ciò che fa lo fa per se stesso, anche se sembrino compiute secondo la volontà di Dio le cose che lui fa. 5. Chi infatti permette, per salvaguardare la propria tranquillità, che manchi qualche cosa alla necessità o a ciò che è utile per un suo fratello, 6. tanto per ciò che riguarda le necessità dell'anima come anche per quelle del corpo, mostra chiaramente di essere filauto, cioè amante di se stesso; e la conclusione di un tal vizio è la morte.

 

Centocinquantacinquesima questione

1. Come si riconosce chi ama il fratello secondo la volontà di Dio, e come viene rimproverato chi non ama?

Risposta. 2. Questi due sono i segni principali della carità: se ci rattristiamo e soffriamo profondamente per le offese subite da colui che amiamo, 3. e se lo facciamo abbastanza perché si abbiano, o godiamo che si verifichino alcune cose che sono utili e giovevoli alla persona che amiamo. 4. Beato è dunque chi piange su colui che pecca, vedendo l'imminenza del pericolo per la vita, e gode invece per colui che progredisce, e considera come un suo guadagno il progresso del suo prossimo. 5. Lo conferma ciò anche l'apostolo Paolo quando dice: Se un solo membro soffre, soffrono insieme tutti i membri (1 Cor. 12, 26); e ciò lo diceva secondo la norma della carità di Cristo: se poi si onora un solo membro, ne godono tutti i membri (1 Cor. 12, 26). 6. Chi poi non ha un tale affetto verso il suo fratello, è certo che non ama il suo prossimo secondo la carità di Dio. 7. Chi poi non ama, viene rimproverato con ciò che dice Giovanni: Chi non ama, resta nella morte (1 Giov. 3, 14). 8. E di nuovo: Chi avrà le ricchezze del mondo, e vedrà che un suo fratello soffre nella necessità e gli chiuderà il suo cuore, come potrà esservi la carità di Dio in lui (1 Giov. 3, 17)?

 

Centocinquantaseiesima questione

1. Quali sono i nemici che ci si comanda di amare? 2. e come potremmo amare i nostri nemici, dando loro solo i nostri benefici o anche accordando loro il nostro affetto? 3. ed è possibile che ciò avvenga?

Risposta. 4. È proprio del nemico offendere e insidiare; e perciò ognuno che in qualunque modo offende qualcuno, si chiama nemico, e ciò vale specialmente per chi pecca. 5. Questi infatti ledono in diversi modi ciò che hanno in se stessi, e tendono insidie a quelli che li vedono o a quelli che -vivono con loro. 6. E dal momento che l'uomo è composto d'anima e di corpo, perciò amiamo secondo l'anima, rimproverando e ammonendo, e spingendo in ogni modo alla conversione. 7. Secondo il corpo poi offriamo loro i nostri benefici e la nostra misericordia, e, se ne hanno bisogno, anche il vitto; poiché nessuno dubita che la carità consiste nell'affetto. 8. Che poi tutto ciò sia possibile, ce lo ha insegnato il Signore con l'amore di Dio Padre e con la sua ubbidienza fino alla morte, che sopportò certamente anche per i nemici e per gli empi, 9. come anche l'Apostolo afferma, dicendo: Dio mostra la sua carità per noi, perché pur essendo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rom. 5, 8-9). 10. Ma anche noi esorta proprio a questo, quando dice: Siate dunque imitatori di Dio, come figli carissimi; e camminate nell'amore, come Cristo ci ha amati, e offrì se stesso come vittima e olocausto a Dio per noi (Ef. 5, 1-2). 11. Mai Dio ci avrebbe comandato, nella sua giustizia e clemenza, tutto questo, se non ce ne avesse dato anche la possibilità. 12. Che ciò sia innato alla nostra natura si dimostra anche dal fatto che anche le bestie e gli animali hanno un affetto naturale verso quelli che hanno loro fatto del bene. 13. Chi poi fa tanto bene agli amici come ai nemici? 14. Del resto per noi tutto ciò diventa causa di quella beatitudine di cui parla il Signore: Beati voi quando vi perseguiteranno e vi oltraggeranno, e diran male di voi, mentendo, contro di me; godete ed esultate, poiché grande è la mercede nei cieli (Matt. 5, 11-12).

 

Centocinquantasettesima questione

1. Che cosa significa quello che dice l'Apostolo: Adiratevi, ma non peccate (Ef. 4, 26); e ancora: Non tramonti il sole sopra la vostra ira; 2. mentre in altri passi ha detto: Ogni amarezza, ogni ira e indignazione sia lontana da voi? (Ef. 4, 31).

Risposta 3. Credo che l'Apostolo in questo passo abbia parlato ad imitazione del Signore: poiché come il Signore diceva nel Vangelo: Avete udito che è stato detto agli antichi questo o quello, ed egli aggiungeva: Ma io vi dico questo e quest'altro; 4. così anche l'Apostolo, essendosi prima ricordato dell'antichità, per il fatto che è detto: Adiratevi, ma non vogliate peccare (Ef. 4, 26), 5. poco dopo aggiunse ciò che proveniva da lui e che doveva esser conveniente per noi, dicendo: Siano lontani da voi l'amarezza, l'ira, lo sdegno e lo schiamazzo (Ef. 14,31).

 

Centocinquantottesima questione

1. Che significa: Lasciate fare all'ira? (Rom. 12, 19).

Risposta. 2. Non resistere al male, secondo quanto è scritto; ma a colui che ti avrà percosso alla guancia destra, offrire anche l'altra, e compiere tutte le cose che seguono; 3. o anche: Quando vi avranno perseguitati in una città, fuggite in un'altra (Matt. 10, 23).

 

Centocinquantanovesima questione

1. Quale differenza vi è tra amarezza, furore, ira, schiamazzo e irritazione?

Risposta. 2. Ritengo che la differenza tra furore ed ira consista nello stato d'animo e nell'emozione: 3. perché chi si adira, svolge ancora dentro il suo animo il vizio dell'ira, come si giudica dal fatto stesso che dice: Adiratevi, ma non vogliate peccare (Ef. 4, 26); 4. chi invece si abbandona al furore fa qualche cosa di più col moto incomposto. 5. È detto: Il loro furore è come quello dei serpenti (Salmo 57, 5). 6. Provocare con troppa violenza il furore si chiama irritazione. 7. L'amarezza poi è quella in cui la malizia si mette insieme e si rafforza con vera arte. 8. Lo schiamazzo anche si ha se uno, spinto dall'ira o dal furore, si fa trasportare, con indignazione della voce, fino alla bestemmia o alle maledizioni.

 

Centosessantesima questione

1. Chi è che viene dichiarato beato come pacifico dal Signore?

Risposta. 2. Chi è collaboratore di Cristo, secondo quanto dice l'Apostolo: Per Cristo, facciamo le veci di ambasciatori, come se Dio esortasse per nostro mezzo; ve ne preghiamo per Cristo, riconciliatevi con Dio (2 Cor. 5, 20). 3. E di nuovo dice: Giustificati dalla fede abbiamo pace con Dio (Rom. 5, 1). 4. Invece quell'altra pace è stata ripudiata da Cristo, che afferma: Vi dò la mia pace, io non ve la dono come ve la dà questo mondo (Giov. 14, 27).

 

Centosessantunesima questione

1. Come ci si può convertire e diventare come fanciulli?

Risposta. 2. La lettura stessa del Vangelo ci ammaestra su tutto l'argomento; ci si mostra come non ricercare la prepotenza e l'orgoglio, 3. ma di riconoscere l'uguaglianza della natura, e quindi di porci alla pari con quelli che sembrano inferiori a noi. 4. Infatti è proprio questa la caratteristica dei fanciulli: di essere uguali a quelli coi quali si uniscono non per la nobiltà, ma per l'età, 5. finché, col progredire del tempo e con la malvagità delle insinuazioni, vengono corrotti coi veleni della superbia.

 

Centosessantaduesima questione

1. Che significa: essere prudente come serpente e semplice come colomba? (Matt. 10, 16).

Risposta. 2. Veramente prudente come il serpente è quel tale che, dopo aver preveduto con circospezione e con riflessione le cose possibili e quelle oneste o utili, dispensa la sua dottrina e l'adatta con vera arte, in modo che gli uditori possano essere persuasi all'ubbidienza. 3. Semplice come la colomba è invece colui che non accoglie nemmeno nel suo intimo il pensiero di vendicarsi di coloro che recano offese; 4. ma persevera, nel fare del bene, come dice l'Apostolo: Ma voi non vi stancate di fare del bene (2 Tess. 3, 13). 5. Questo insegnava il Signore ai suoi discepoli nel mandarli a predicare, dove certo era necessaria la sapienza per persuadere quelli che venivano ammaestrati, e la pazienza verso quelli che tendevano insidie. 6. Cosicché come il serpente da se stesso comprese quale persona doveva assalire per poterla persuadere, cioè quella che si rivelava più debole ad accettare il suggerimento, per cui una volta distrattala da Dio, l'inducesse al peccato, 7 così anche noi dobbiamo ben considerare la persona e i costumi e scegliere il tempo adatto, e sistemare in tutti i modi i nostri discorsi nell'insegnamento, in modo da poter distogliere gli uomini dal peccato e avvicinarli a Dio.

 

Centosessantatreesima questione

1. Come dobbiamo raggiungere il Regno di Dio alla maniera di un fanciullo?

Risposta. 2. Se avremo, riguardo all'insegnamento del Signore, i sentimenti del fanciullo nell'imparare; 3. egli non fa contraddizioni ai maestri, non sta a mettere a confronto argomenti e parole, resistendo contro loro; 4. ma con fiducia accetta quello che gli viene insegnato, ubbidisce nel timore e dà il suo consenso.

 

Centosessantaquattresima questione

1. Il Signore dice: Chi si esalta sarà umiliato (Luc. 18, 14); e l'Apostolo comanda: Non abbiate sentimenti di superbia (Rom. 11, 20). 2. E altrove: Arroganti, superbi, tronfi (2 Tim. 3, 2). 3. E ancora di nuovo: La carità non si gonfia (1 Cor. 13, 4). Chi è orgoglioso? e chi è millantatore o arrogante? chi è superbo? e chi è tronfio o borioso?

Risposta. 4. Orgoglioso è colui che si vanta per ciò che è stato forse compiuto bene o con successo, e perciò si crede grande ed elevato, alla maniera di quel fariseo che si può chiamare anche lui altezzoso. 5. Come anche l'Apostolo rimprovera quelli di Corinto dicendo loro: Anche voi vi siete insuperbiti (1 Cor. 4, 18). 6. Millantatore o arrogante poi è colui che non acconsente a quanto è stato stabilito dai superiori e dai maggiori per utilità di tutti, 7. né è d'accordo con le parole dell'Apostolo: Abbiate gli stessi sentimenti e i medesimi ideali (Fil. 2, 2); ma va alla ricerca di una particolare vita di giustizia e di santità. 8. Superbo poi è quel tale che, pur non avendo proprio alcun grado di virtù né alcuna opera buona al suo attivo, è baldanzoso e ben eretto, e vuole apparire di essere da più di quello che vale. 9. A questo poi si può dire simile anche chi viene chiamato tronfio o borioso, secondo quanto dice l'Apostolo: Ma si è gonfiato di superbia, pur non sapendo nulla (Col. 2, 18).

 

Centosessantacinquesima questione

1. Che cosa vuol dire; la carità non diventa disonesta? (1 Cor. 13, 8).

Risposta. 2. Come se uno dicesse che non si lascia strappare dal suo stato di onestà. 3. Vi è infatti una certa onestà della carità, come vi è anche un suo abito e un suo ornamento: 4. senza alcun dubbio proprio quello che l'Apostolo ha descritto per i singoli stadi della carità; 5. e ogni singola onestà costituisce il suo ornamento.

 

Centosessantaseiesima questione

1. La Scrittura dice: Non vi gloriate né parlate con superbia (1 Re 2, 3); l'Apostolo afferma: Quello che dico non lo dico secondo Dio, ma come per pazzia, in questa materia di vanto (2 Cor. 11, 17). 2. E di nuovo: Sono diventato insipiente col gloriarmi (2 Cor. 12, 11). E ancora egli asserisce: Chi si gloria si glori nel Signore (2 Cor. 10, 17). 3. Qual è dunque il gloriarsi nel Signore, e qual è il gloriarsi colpevole?

Risposta. 4. È ben chiaro l'intento dell'Apostolo, e cioè che parlava contro i vizi, poiché non diceva ciò per suo vanto, ma per rintuzzare l'insolenza e l'arroganza di alcuni. 5. Dunque il gloriarsi nel Signore significa attribuire non a se stesso, ma al Signore tutto ciò che di bene si compie, affermando: Tutto posso, ma in colui che mi dà la forza, Cristo (Fil. 4, 13). 6. E poi il gloriarsi è colpevole, e si riconosce in due modi: o secondo quanto è detto: Poiché il peccatore viene lodato per le passioni del suo cuore (Salmo 9, 3); 7. e ancora: Perché ti glori del male, tu che sei potente nel compiere iniquità? (Salmo 51, 3) 8. o si può riconoscere anche dal come operano alcuni, che compiono qualche opera buona per essere notati dagli uomini (Matt. 6, 5), e per ciò stesso che vogliono essere lodati si gloriano di quanto hanno compiuto. 9. Ma uomini tali si definiscono anche empi, dal momento che si appropriano la grazia che è donata da Dio, e si sforzano di assegnare a se stessi la gloria dovuta a Dio.

 

Centosessantasettesima questione

1. Quale intelligenza e quale prudenza dobbiamo chiedere a Dio? o come possiamo meritarla?

Risposta. 2. Quale propriamente sia l'intelligenza lo impariamo dal Signore stesso per mezzo del profeta che dice: Il forte non si vanti della sua forza; né il ricco meni il vanto delle sue ricchezze; ma chi si gloria si glori della comprensione e della conoscenza del Signore (Ger. 9, 23 e 24). 3. E in altro luogo per mezzo dell'Apostolo dice ancora: Cercando di comprendere quale sia la volontà del Signore (Ef. 5, 17). 4. E di nuovo dice: La saggezza della carne è morte, mentre la saggezza dello spirito è vita e pace (Rom. 8, 6). 5. Possiamo meritarla in questo modo, facendo cioè quanto è scritto: Riposate e riconoscete che io sono il Signore (Salmo 45, 11); 6. e così pure se crediamo che ogni parola di Dio è vera: Se non crederete non comprenderete (Is. 7, 9).

 

Centosessantottesima questione

1. Se il Signore dà la sapienza, e da Lui proviene la scienza e l'intelligenza (Prov. 2, 6), e se veramente per mezzo dello Spirito ad uno viene dato il linguaggio delta sapienza e a un altro il linguaggio della scienza (1 Cor. 12, 8), 2. come mai il Signore rimprovera i suoi discepoli, dicendo: Perché anche voi siete ancora stolti e non capite? (Matt. 15, 16 e 17) e l'Apostolo perché incolpa i Galati come stolti?

Risposta. 3. Se uno conosce la bontà del Signore, che vuole la salvezza di tutti gli uomini, e che arrivino alla conoscenza della parola di verità (1 Tim. 2, 4), ed ha imparato il desiderio dello Spirito Santo, che distribuisce a ciascuno la grazia di Dio, 4. questo tale riconosce che la tardità dell'intelletto non proviene da colpa di chi distribuisce i doni, ma di quelli che per la loro pigrizia e infedeltà non meritano di riceverli. 5. E perciò è giustamente incolpato di insipienza o di stoltezza chi, come di fronte al sole splendente, chiude i suoi occhi per non vedere, ma per camminare nelle tenebre.

 

Centosessantanovesima questione

1. Se riceviamo qualche beneficio da qualcuno, come potremo rendere grazie in modo degno e completo a Dio e a colui che ci ha reso quel beneficio? 2. Quale misura dobbiamo avere verso l'uno e l'altro?

Risposta. 3. Credere che Dio è l'autore e il fine di tutti i beni, e riconoscere invece chi ci ha procurato qualche bene come ministro del Dio di ogni grazia e di ogni dono.

 

Centosettantesima questione

1. Che cosa è il degno o il santo, che i Greci chiamano öσιον? 2. E che cos'è il giusto?

Risposta. 3. öσιον cioè santo o degno ritengo che sia ciò che è conveniente e doveroso concedere dagli inferiori ai superiori, per lo stesso motivo, per cui sono in grado più eminente. 4. Il giusto poi è ciò che si attribuisce a ciascuno secondo il merito delle sue opere. 5. Nel primo caso invece si designa la retribuzione tanto del buono che del cattivo.

 

Centosettantunesima questione

1. Come uno dà le cose sante ai cani e le perle ai porci? 2. e come avviene quello che si aggiunge: Perché non le abbiano a calpestare, e, rivoltandosi contro di voi, vi abbiano a sbranare? (Matt. 7, 6).

Risposta. 3. Ce lo insegna chiaramente l'Apostolo da ciò che dice contro i Giudei: Tu che ti glori della legge disonori Dio con la trasgressione della legge (Rom. 2, 23). 4. Dunque proprio quest'ingiuria di cui sono accusati per la trasgressione della legge contro la parola di Dio quelli, dei quali qui si parla, il Signore la proibisce e rigetta. 5. E avviene che anche gli infedeli e i non credenti, vedendoci mancare ai precetti, disprezzano la religione e la dottrina del Signore, 6. e ci rimproverano anche di quanto è scritto nella nostra legge, fino a colpirci e offenderci con riprovazione e confusione, come violatori della propria legge.

 

Centosettantaduesima questione

1. Come mai il Signore in alcuni casi vieta di portare con sé il sacco o la bisaccia in viaggio, 2. in altri invece dice: Ma ora chi ha il sacco prenda con sé anche la bisaccia, e chi non ha la spada, venda il suo vestito e compri la spada (Luc. 22, 36)?

Risposta. 3. Lo spiega il Signore stesso dicendo: Si deve ancora adempiere in me quello che è scritto: è stato annoverato fra gli iniqui (Luc. 22, 37). 4. Alla fine, adempiuta la profezia della spada, dice a Pietro: Rimetti la spada al suo posto, poiché tutti quelli che usano la spada, di spada periscono (Matt. 26, 52) 5. Cosicché non abbia a sembrare come un comando quel che viene detto: Ora chi ha il sacco, prenda anche la bisaccia, e chi non ha la spada, venda il suo vestito, e compri la spada (Luc. 22, 36); 6. ma sia considerato come una profezia del Signore il quale prevedeva che in futuro gli Apostoli, dimentichi della grazia del Signore e della sua legge, avrebbero impugnata la spada. 7. Sembra poi che una tale profezia venga proferita in modo quasi imperativo, si trova abbastanza frequentemente negli scritti profetici, 8. com'è per il caso seguente: Diventino orfani i suoi figli, e il diavolo stia alla sua destra (Salmo 108, 9 e 6); e molti altri passi di questo tipo.

 

Centosettantatreesima questione

1. Che significa: Dacci oggi il nostro pane sostanziale (Matt. 6, 11), come ci viene comandato di dire nell'orazione?

Risposta. 2. Quando lavoriamo con le nostre mani ricordiamo le parole del Signore: Non vogliate essere solleciti per la vostra vita, per quello che mangiate o beviate (Luc. 12, 22); 3. e anche delle prescrizioni dell'Apostolo: Lavorate, in modo che abbiate qualche cosa da poter offrire a chi soffre nel bisogno (Ef. 4, 28). 4. E ciò vuol dire che se lavoriamo lo facciamo non per i propri usi, ma per comando del Signore: Poiché l'operaio è degno della sua ricompensa (Luc. 10, 7). 5. Allora chiediamo a Dio il pane sostanziale, cioè quello che dia ogni giorno forza alla nostra sostanza, e non abbiamo la presunzione di ottenerlo da noi stessi; 6. ma che soddisfi alle nostre necessità, in quanto è sufficiente, e riconosciamo colui che ci dona la possibilità di vivere.

 

Cbntosettantaquattresima questione

1. Si può essere indulgente con chi vuole andare dalle sorelle, o con determinate persone e in certe ore? 2. e quale regola seguire per gli incontri con le sorelle?

Risposta. 3. Di questi argomenti abbiamo già parlato prima a sufficienza, perché nemmeno da un uomo a un altr'uomo si può andare in qualunque modo e senza motivo di proprio arbitrio e di propria autorità, ma con ogni spirito di osservanza e con l'autorizzazione del superiore; 4. in modo tale cioè che ne abbia a trarre giovamento colui che viene visitato e ne trovi profitto il visitatore. 5. Quanto più tutto ciò è conveniente che si osservi e con la maggiore circospezione verso le donne. 6. Se dunque ci si ricorda delle parole del Signore: Di ogni discorso ozioso renderai conto nel giorno del giudizio (Matt. 12, 36), in ogni sua azione avrà timore di una tale sentenza. 7. Bisogna anche essere persuasi delle parole del santo Apostolo: Sia che mangiate o beviate o facciate qualunque altra cosa, tutto fate per la gloria di Dio (1 Cor. 10, 31). 8. E di nuovo: Tutto sia fatto ad edificazione degli altri (1 Cor. 14, 26). 9. Dunque niente va fatto in maniera oziosa o vana: ma una determinata persona deve comparire o parlare con certe persone a tempo e luogo stabiliti, cosicché non vi sia alcun motivo di sospetto disonorevole; 10. e curiamo di essere senza disistima nei riguardi di tutti, come pure di mostrarci ad ognuno per edificazione della fede. 11. Certamente nessun motivo di religione permette che ci si incontri da solo a sola. 12. È meglio infatti essere in due che in uno solo, poiché le cose si svolgono con più attenzione e con maggior sicurezza se si è insieme. 13. Guai infatti a chi è solo, perché se cadrà non vi sarà nessun altro a sorreggerlo (Eccl. 4 ,10).

 

Centosettantacinquesima questione

1. Se qualcuno ha un difetto che non riesce a correggere, e, sebbene ripreso frequentemente, va sempre peggiorando, lo si può lasciar stare?

Risposta. 2. Anche di questo abbiamo già detto che i peccatori devono essere corretti con pazienza, seguendo il metodo sopra indicato come praticato dal Signore. 3. Che se poi non gli basta per la sua correzione, come a quel tale di Corinto, nemmeno la riprensione fatta da molti, si deve considerare come un pagano e un samaritano chi si comporta in questo modo. 4. Perdonare chi è stato condannato dal Signore non è sicuro per nessuno, soprattutto dal momento che il Signore stesso dice: 5. È meglio per ognuno perdere un occhio o una mano o un piede, e così entrare nel regno (Matt. 18, 8), piuttosto che, mentre indulge a uno di questi membri, tutto il corpo venga gettato nel fuoco infernale, dove è pianto e stridore di denti. 6. Ma anche l'Apostolo di questi tali afferma: Un piccolo fermento corrompe tutta la massa (Gal. 5, 9).

 

Centosettantaseiesima questione

1. Se qualcuno si rattrista perché non gli è permesso di fare quello che non può fare con abilità e competenza, è bene che glielo permettiamo?

Risposta. 2. Anche di questo abbiamo già parlato in molte occasioni: a nessuno si deve permettere di fare alcuna cosa di propria volontà, ma secondo il giudizio e l'approvazione anche di molti e dei superiori. 3. Chi poi non ubbidisce a questi riceva la condanna dovuta ai presuntuosi e ai ribelli.

 

Centosettantasettesima questione

1. Come i fratelli più forti devono sopportare le infermità dei più deboli?

Risposta. 2. Sopportare significa sollevare e aver cura, secondo quanto è scritto: Egli ha sollevato le nostre debolezze, e ha portato i nostri mali (Is. 13, 4). 3. Non che abbia preso in se stesso le infermità, ma le ha tolte da quelli sui quali gravavano e li ha curati. 4. Così dunque anche in questo caso, con l'aiuto della penitenza, i più deboli saranno curati dalla costanza e dalla buona salute dei più forti, dei quali si dice che portano, cioè che portano via e tolgono, curandole, le debolezze di quelli che sono invalidi.

 

Centosettantottesima questione

1. Che significa: Portate a vicenda i vostri pesi? 2. e quale legge di Cristo (Gal. 6, 2) adempiremo facendo ciò?

Risposta. 3. È la stessa cosa che abbiamo illustrata più sopra. Sono veramente grandi i pesi del peccato che portano nel profondo dell'inferno, 4. e ce li toglieremo e porteremo a vicenda, cioè li porteremo via, spingendo alla conversione quelli che peccano. 5. Portare nel senso di togliere e portar via è anche un uso del linguaggio provinciale, come anch'io mi ricordo di avere spesso udito. 6. Osservare poi la legge di Cristo corrisponde a quanto egli stesso disse: Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla penitenza (Luc. 5, 32).

 

Centosettantanovesima questione

1. Il Signore ci insegna che bisogna pregare per non entrare nella tentazione (Matt. 26, 41); 2. ma bisogna pregare perché non ci vengano addosso dolori corporali, o, se avessimo a caderci, come si devono sopportare?

Risposta. 3. Non fece distinzione di qualità delle tentazioni, ma comandò in forma generale che si deve pregare per non cadere nella tentazione. 4. Se poi saremo caduti, dovremo pregare perché ci conceda la capacità di rialzarci; 5. anche perché possiamo sostenere la tentazione lo dobbiamo domandare al Signore, in modo che possiamo adempiere ciò che è detto: Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo (Matt. 10, 22).

 

Centottantesima questione

1. Chi è nostro avversario? e come dobbiamo metterci d'accordo con lui?

Risposta. 2. In modo speciale qui il Signore chiamò avversario chi tenta di portarci via qualche cosa. 3. Ci mettiamo d'accordo con lui se osserviamo il precetto del Signore che dice: Se qualcuno vorrà fare contese con te in giudizio e portarti via la tunica, cedigli anche il mantello (Matt. 5, 40). 4. Ciò si deve osservare in tutti i casi.

 

Centottantunesima questione

1. È bene stabilire per un certo tempo, ad esempio, di astenersi da questo o quel cibo o bevanda?

Risposta. 2. Il Signore dice: Non son venuto per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (Giov. 6, 38), e quindi ogni decisione di questo tipo è incoerente. 3. Sapendolo David diceva: Ho giurato e stabilito di osservare i giudizi voluti dalla tua giustizia, e non quelli della mia volontà (Salmo 118, 106). 4. E di nuovo il Signore: Non sia fatta la mia volontà, ma la tua (Luc. 22, 42).

 

Centottantaduesima questione

1. Se qualcuno avrà peccato volontariamente sarà condannato? 2. o lo sarà anche chi per ignoranza avrà detto qualche cosa non conforme alla verità?

Risposta. 3. Il giudizio di Dio è ben chiaro anche riguardo a quelli che peccano per ignoranza, quando dice: Chi non sa e farà cose non degne, sarà battuto con poche percosse (Luc. 12, 48).

 

Centottantatreesima questione

1. Se qualcuno avrà solo pensato di fare qualche cosa e non l'avrà fatta, dovrà anch'egli essere giudicato come menzognero?

Risposta. 2. Se ciò che ha pensato è secondo la legge, non sarà condannato come bugiardo, ma come disprezzatore dal Signore.

 

Centottantaquattresima questione

1. Se qualcuno sarà stato spinto a decidere di fare delle azioni che non piacciono a Dio, che cosa bisogna piuttosto rifiutare, cioè quello che era stato indebitamente deciso, o commettere il peccato per timore di essere tacciato di bugiardo?

Risposta. 2. L'Apostolo dice: Da noi stessi non siamo capaci di pensare alcuna cosa, come se venisse da noi (2 Cor. 3, 5); 3. e tuttavia il Signore afferma: Io non posso fare nulla da me stesso (Giov. 5, 19); 4. e ancora: Le parole che vi dico, non le dico da me stesso (Giov. 14, 10); 5. e in altro luogo dice ancora: Sono disceso dal cielo non per compiere la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato, il Padre (Giov. 6, 38). 6. Quindi anzitutto deve fare penitenza chi ha deciso con tanta avventatezza qualche cosa, di qualunque genere sarà quello che è stato deciso. 7. Poiché non si devono compiere neanche le opere buone di propria volontà e di proprio arbitrio; molto più poi non è lecito stabilire quelle cose che non piacciono a Dio. 8. Che poi si debba rinunziare a compiere tutto ciò che venga deciso per nostra presunzione contro i comandamenti di Dio, 9. è rivelato chiaramente nell'esempio dell'apostolo Pietro, il quale aveva stabilito alla leggera e anche detto: Non mi laverai i piedi in eterno; 10. ma, sentendo la decisa volontà del Signore: Se non ti laverò non avrai parte con me, 11. immediatamente cambiò la sua decisione e disse: Signore, non solo i piedi lavami, ma anche le mani e la testa (Giov. 13, 8 e 9).

 

Centottantacinquesima questione

1. Colui al quale è affidata la distribuzione dei doni offerti dal Signore, deve adempiere quello che dice il precetto: Ad ognuno che ti chiede da', e non mandar via chi vuole prendere da te qualche cosa in prestito? (Luc. 6, 30).

Risposta. 2. Quanto è detto: Ad ognuno che ti chiede da', e: Non rimandare chi vuole prendere in prestito da te, contiene in sé quasi un motivo di tentazione, come si dimostra da quanto segue. 3. Infatti ciò è stato comandato a causa dei cattivi, non in maniera assoluta, ma come qualche cosa che deve essere fatta per necessità, poiché il precetto principale del Signore è: Vendi tutti i tuoi beni e dalli ai poveri (Matt. 19, 21); 4. e ancora: Vendete i vostri beni e dateli in elemosina (Luc. 12, 33). 5. Ciò dunque che è stato affidato e dato in consegna non si può far passare ad altri senza colpevolezza, poiché il Signore dice: Non sono stato mandato se non alle pecorelle perdute detta casa d'Israele. 6. E non è bene togliere il pane dei figli e mandarlo ai cani (Matt. 15, 24 e 26); ma da te stesso devi giudicare quello che è giusto.

 

Centottantaseiesima questione

1. Se un fratello, che non ha niente di proprio, viene richiesto da qualcuno del suo vestito, che deve fare, specialmente se chi lo richiede è privo di ogni cosa?

Risposta. 2. Si tratti di nudo o di cattivo, cioè se ha vera necessità o inganna, o si tratti di qualunque altro caso, è stato una volta detto che il dare e il ricevere non appartiene a tutti, ma è compito solo di chi ha avuto un tale incarico. 3. Egli veramente deve compiere una tale distribuzione con ogni saggezza e cautela, cosicché ognuno possa perseverare nel posto in cui è stato chiamato.

 

Centottantasettesima questione

1. Come può accadere che uno privo di carità abbia tanta fede da trasportare le montagne, o da distribuire i suoi averi ai poveri e da consegnare il suo corpo per essere bruciato?

Risposta. 2. Può accadere se siamo memori di quanto dice il Signore: Fanno tutto per essere osservati dagli uomini (Matt. 23, 5). 3. Ma anche quello che rispose a quelli che dicevano: Signore, non abbiamo forse cacciato i demoni in tuo nome? e non abbiamo operato molti miracoli in tuo nome? (Matt. 7, 22) 4. quando disse loro: Non so donde siete (Luc. 13, 25), non perché avessero mentito, ma perché avevano usato della grazia del Signore per i propri voleri, ciò che è certamente alieno dall'amore di Dio. 5. Se dunque ci ricorderemo di queste cose, riconosceremo facilmente la verità di quanto si è detto. Che poi anche le persone indegne ricevano la grazia o il dono di Dio, non è cosa nuova né da destar meraviglia. 6. Dio del resto in questo tempo di benignità e di pazienza anche il suo sole fa sorgere sui buoni e sui cattivi (Matt. 5, 45). 7. E qualche volta anche per il profitto di quelli che sono ancora infedeli, in modo che la sua gloria sia moltiplicata, 8. secondo quello che dice anche l'Apostolo: Alcuni certo predicano Cristo per invidia e per puntiglio, altri invece con buona volontà (Fil. 1, 15); 9. e aggiunse dicendo: Tuttavia o sia per pretesto o con sincerità, purché sia in ogni modo annunziato Cristo, di questo io godo (Fil. 1, 18).

 

Centottantottesima questione

1. Chi è che viene dichiarato come colui che nasconde i propri talenti e perciò viene condannato?

Risposta. 2. Colui che possiede ogni grazia di Dio e se ne serve per le sue comodità, ma non per le necessità degli altri, questo tale deve essere condannato per delitto di aver nascosto i talenti.

 

Centottantanovesima questione

1. Che cos'è l'impurità e cosa è l'impudicizia?

Risposta. 2. La legge stessa definisce l'impurità. 3. Di questo termine si è servita la legge riguardo a quelli che, contro la loro volontà, per necessità naturale sopportavano tutto quello che gli uomini furono soliti di sopportare. 4. L'impudicizia poi a me sembra esserci se uno eccita e provoca con troppa sfacciataggine e con eccessiva inverecondia il moto naturale della libidine.

 

Centonovantesima questione

1. Che cosa è proprio del furore? 2. e che cosa è proprio del giusto sdegno? 3. e come mai alcune volte quelli che cominciano dall'indignazione finiscono nel furore?

Risposta. 4. Certo proprio del furore è la forte commozione dell'anima che medita del male contro chi eccita e spinge all'ira. 5. Invece è proprio del giusto sdegno rimproverare il peccatore con affetto o intenzione tali da allontanarci dai peccati, e quello che dispiace a noi è ciò che non è compiuto con rettitudine. 6. Che poi alle volte l'anima, pur cominciando dal bene, finisca nel male non è da far meraviglia. 7. E veramente si potrebbero trovare molti casi simili, per cui bisogna ricordarsi della Sacra Scrittura, che afferma: Mi hanno posto inciampi lungo la strada (Salmo 139, 6); 8. e di nuovo: Chi non avrà combattuto secondo le regole non sarà coronato (2 Tim. 2, 5). 9. E perciò in tutte le cose si deve osservare la giusta misura, il tempo adatto e il retto ordine, poiché da qualche motivo di questi elementi avviene che quello che sembra bene diventi male.

 

Centonovantunesima questione

1. Da quali risultati si deve provare che uno riprende il fratello peccatore per affetto?

Risposta. 2. Anzitutto da ciò che è il fattore principale, se cioè riprende perché mosso da misericordia, 3. ed ha in se stesso ciò che dice l'Apostolo: Se soffre un membro solo anche tutte le altre membra soffrono con quello (1 Cor. 12, 26): 4. o anche l'altro detto: Chi si scandalizza e io non ardo? (2 Cor. 11, 29). 5. Poi anche se in ogni peccato allo stesso modo si affligge e si rattrista, e verso tutti quelli che peccano, tanto se si manca contro se stessi come pure se nei riguardi degli altri, si rattrista e piange nel medesimo modo. 6. Un altro modo di provare l'affetto di chi fa riprensione è quello di far attenzione se egli osserva la norma dettata dal Signore, cioè, se agisce da solo a solo, o con un altro solo, o con l'aiuto di due persone. 7. Ma soprattutto è bene badare se osserva ciò che disse l'Apostolo: con ogni pazienza (2 Tim. 4, 2).

 

Centonovantaduesima questione

1. È necessario che quelli che si associano ai fratelli imparino subito qualche arte?

Risposta. 2. I superiori decidano che chiunque vorranno aggregare al complesso della comunità venga ammaestrato nelle diverse arti, secondo la possibilità e le caratteristiche del proprio tempo e della propria condizione; 3. per esempio: se uno si rivela meno adatto alla meditazione o al compimento delle cose spirituali, sia reso sollecito con occupazioni di altro genere, 4. in modo che satana non lo sorprenda esposto in qualunque modo ai suoi dardi mentre è dedito all'ozio e intorpidito; poiché l'Apostolo dice: Chi non lavora non mangi (2 Tess. 3, 10). 5. E Salomone: L'ozio è nemico dell'anima (Eccli. 33, 28-29).

 

Centonovantatreesima questione

1. Se qualcuno riprende chi pecca non per il desiderio di correggere i fratelli, ma per soddisfare i suoi difetti, come lo si dovrà correggere, se dopo molti avvertimenti rimane legato ai suoi metodi?

Risposta. 2. Questo tale sia riguardato come uno che ha di mira solo le sue comodità e desidera i primi posti, e gli si intimi la maniera della sua correzione da parte dei veri seguaci delle regole. 3. Che se poi sarà restato ancora nella sua ostinazione, è chiara la condanna che meritano quelli che non si pentono della colpa commessa.

 

Centonovantaquattresima questione

1. Quali riprensioni si dovranno impiegare tra fratelli per la correzione di quelli che mancano?

Risposta. 2. Tutto questo sia lasciato al giudizio dei superiori, tanto per il tempo come per il modo di riprendere, perché sia l'età che l'istruzione richiedono che si abbia molta differenza fra le penitenze da infliggere.

 

Centonovantacinquesima questione

1. È esatto affermare che è in causa satana in ogni peccato, o di pensiero, o di parola, o di azione?

Risposta. 2. Generalmente ritengo che satana per se stesso non possa essere causa di peccato per nessuno; 3. ma egli si serve dei moti dell'anima nostra, tanto dei naturali che di quelli derivati dal vizio per il compimento dei suoi cattivi voleri, 4. e, servendosi dei nostri moti, se non siamo molto vigilanti, ci attrae a ciò che è gradito a lui, cioè al peccato. 5. Dunque si serve dei nostri moti naturali: come quello che tentò di fare nel Signore, quando si accorse che aveva fame, e gli disse: Se sei il Figlio di Dio comanda che queste pietre diventino pani (Matt. 4, 3). 6. Si serve poi dei moti acquistati per nostro vizio alla maniera seguita riguardo a Giuda, che vide avido di denaro e malato di avarizia; 7. quindi partendo da questo suo vizio lo trascinò fino alla rovina del tradimento, per il guadagno di trenta denari d'argento. 8. Che poi il male sorga da noi stessi, lo dichiara apertamente il Signore dicendo: Dal cuore procedono i cattivi pensieri (Matt. 15, 19), eccetera. 9. Questo accade a coloro che lasciano per trascuratezza incolti e aridi i germi dei beni naturali che hanno in sé, 10. come dice Salomone: Come è l'agricoltura così l'uomo insipiente; e come la vigna così l'uomo privo di prudenza; se l'abbandoni diventerà deserta, e saliranno in essa delle spine e sarà abbandonata (Prov. 24, 30 e 31). 11. Dunque ad un'anima che sarà piena di aridità per la sua negligenza, e arriverà fino ad essere un deserto, di conseguenza si sospetterà quella condanna che dice: In te nascono spine ed erbaccia (Gen. 3, 18), 12. e che abbia a soffrire quello che è scritto: Ho aspettato che producesse uva e invece ha prodotto spine (Is. 5, 2); 13. e di essa aveva detto: Ho piantato la vigna e allora giustamente si dirà a lei ciò che è stato detto per mezzo di Geremia dal Signore: Io ti piantai come vigna fruttifera, tutta schietta, come mai ti sei cambiata in amarezza come vigna d'altri? (Ger. 2, 21).

 

Centonovantaseiesima questione

1. Se qualcuno, dopo aver abbandonato quanto è dovuto al fisco, entra tra i fratelli, e i suoi genitori vengono richiesti per il pagamento e tormentati a causa sua, questo modo di agire non comporta una qualche colpa, o a quelli che lo ascoltassero o a lui stesso che ha così agito?

Risposta. 2. Nostro Signore Gesù Cristo a quelli che lo interrogarono: È lecito o no pagare il censo a Cesare, rispose: Mostratemi un denaro: di chi reca la figura e il motto? 3. E dopo che gli ebbero risposto che era di Cesare, rispose: Date dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio (Matt. 22, 17-21). 4. Anche con queste parole dunque siamo ammaestrati che sono soggetti ai tributi a Cesare quelli che possiedono denaro col ritratto di Cesare. 5. Se perciò quel tale avrà portato con sé qualche cosa di simile al momento del suo ingresso tra i fratelli, è soggetto al pagamento del tributo. 6. Se invece, lasciato tutto il suo nelle mani dei parenti, se ne è andato, non vi deve essere alcuno scrupolo né per lui né per i fratelli.

 

Centonovantasettesima questione

1. Colui che è superiore deve parlare di qualche cosa che riguarda le vergini per l'edificazione della fede, oltre alla superiora delle sorelle?

Risposta. 2. E come si potrebbe osservare quel precetto dell'Apostolo che dice: Tutte le vostre cose siano fatte con onestà e ordine? (1 Cor. 14, 40).

 

Centonovantottesima questione

1. È conveniente che il superiore parli spesso con la superiora delle sorelle, e ciò specialmente se i fratelli avessero a risentirsene?

Risposta. 2. L'Apostolo dice: Perché la mia libertà viene giudicata dalla coscienza di altri? (1 Cor. 10, 29) 3. è bene dunque imitarlo quando afferma: Non mi sono servito della mia potestà, per non creare ostacolo al Vangelo di Cristo (1 Cor. 9, 12). 4. E, per quanto possibile, si devono visitare piuttosto raramente, e si deve stabilire un tempo piuttosto breve per la conversazione.

 

Centonovantanovesima questione

1. Bisogna che sia presente anche la superiora del monastero mentre una sorella confessa qualunque sua colpa a un sacerdote?

Risposta. 2. Mi sembra più onesto e più conforme alla religione che un sacerdote stabilisca, attraverso la madre più anziana, ciò che gli sembra opportuno, e non imponga il modo e il tempo della penitenza ad emendazione di colei che desidera correggersi dal peccato. 3. Non ritengo che sia indizio di onestà o di ordine che qualcuno, senza la testimonianza della madre che presiede, stabilisca qualche cosa o parli con poche o con molte.

 

Duecentesima questione

1. È necessario che colui che si confessa di atti turpi od osceni li dica apertamente e sfacciatamente a tutti, o a certe determinate persone, e a quali tra esse?

Risposta. 2. La confessione dei peccati si deve svolgere alla maniera con la quale si agisce per una ferita, o per una malattia del corpo, che deve essere rivelata a un medico. 3. Come dunque nessuno rivela i difetti o le ferite del suo corpo a tutti, e a chiunque sia, ma a quelli che possono dar prova di grande perizia, e conoscono la specie della cura e della medicina, 4. così anche la confessione dei peccati si deve fare solo davanti a quelli che possono curare e correggere, secondo quello che sta scritto: Voi che siete più forti, portate le infermità dei più deboli (Gal. 6, 1), cioè e toglietele e portatele via con la cura.

 

Duecentunesima questione

1. Se un sacerdote, all'insaputa della superiora, comandasse qualche cosa alle sorelle, la superiora si sdegnerebbe con ragione per il fatto di non essere stata informata?

Risposta. 2. E molto: altrimenti comanda invano al portinaio di vigilare, se un altro vuol disporre qualunque cosa nella casa. 3. Così anche Aronne, quando, in assenza di Mosè e a insaputa di lui, presume di compiere delle azioni per il popolo, fabbricando un idolo, si addossa su di sé e su tutto il popolo un grave delitto. 4. Paolo volle che fosse provveduto contro questo peccato dell'idolatria da parte di quei di Corinto, ai quali, per la correzione di quel tale che aveva violato la moglie di suo padre, 5. benché assente scrive: Riuniti voi e il mio spirito col potere di nostro Signore Gesù Cristo (1 Cor. 5, 4). 6. Anche a Timoteo, benché preposto a tutti, comanda di usare poco vino. 7. Per disposizione del superiore alcune cose possono essere ordinate da varie persone per tutta la comunità; 8. altre invece non possono essere assolutamente compiute, se non alla presenza del superiore, e massimamente nel monastero delle sorelle. 9. Avvenne anche ai discepoli, che pure operavano prodigi anche per la potenza della fortezza di Dio, di non poter cacciare lo spirito immondo da un tale, che solo il Maestro risanò dopo averlo fatto portare alla sua presenza. 10. E perché nessuna persona potente presuma di disporre qualche cosa di suo arbitrio nella comunità, senza l'autorizzazione di colui che ha la cura delle anime, 11. si deduce anche dal fatto che il Signore ha accordato guarigioni molto più raramente a persone di alto rango, come al dignitario di corte e al servo del centurione, 12. che a quelli, i quali, liberi dall'autorità di altri, vivevano a loro talento, come insegna quella donna peccatrice che da se stessa corre al medico della salute.

 

Duecentoduesima questione

1. Se satana ha il potere di impedire il buon proposito di un uomo santo, dato che sta scritto: Per una o due volte almeno io Paolo ho stabilito di venire da voi, ma mi è stato impedito da satana (1 Tess. 2, 18).

Risposta. 2. Delle cose che si compiono nel Signore alcune si fanno certo con la sola intenzione e col giudizio dell'anima, altre si eseguiscono anche col corpo, cioè, con l'attività o con la sottomissione del corpo. 3. Ma tutte le azioni che hanno la loro radice nel buon proposito dell'anima in nessun modo satana le può impedire; 4. quelle invece che si eseguiscono con l'aiuto del corpo, spesso, con la permissione di Dio, possono essere impedite per mettere alla prova chi soffre l'impedimento, perché sia chiaro che non si allontana affatto dalle buone intenzioni a motivo di quegli ostacoli. 5. Come si dice di quei tali che, seminati sulla pietra, al momento in cui hanno sentito la parola, l'hanno accolta con gioia, ma, appena sorte le tribolazioni e le persecuzioni, immediatamente se ne sono allontanati. 6. E certamente, se avranno perseverato nella buona condotta, sono degni di maggior premio, come se avessero vinto in una gara; 7. come anche lo stesso Apostolo, pur essendosi spesso proposto di partire per Roma, confessa di essere stato ostacolato, tuttavia non desistette dal suo proposito fino a che non lo ebbe portato a compimento. 8. Ma sopportò tutto con pazienza, come il santo Giobbe, che ne soffrì tante da parte del diavolo, il quale lo spingeva a pronunziare qualche empietà contro Dio, 9. eppure in nessun caso assolutamente, nemmeno nel suo modo di parlare, venne meno alle norme della devozione, così da avere per Dio altro che sentimenti pii, 10. come sta scritto di lui: In tutte le avversità Giobbe non commise nessun peccato con le sue labbra davanti al Signore, né agì stoltamente verso Dio (Giob. 1, 22).

 

Duecentotreesima questione

1. Come uno può diventare stolto nella vita di questo mondo?

Risposta. 2. Se avrà timore della sentenza del Signore che dice: Guai a quelli che sono prudenti riguardo a se stessi, e sapienti a loro giudizio (Is. 5, 21); 3. e imiterà colui che disse: Sono diventato come una bestia da soma davanti a te (Salmo 72, 23). 4. E, rigettando ogni presuntuosa abilità, non creda di avere in sé niente di buono, se non è prima illuminato per mandato di Dio, affinché comprenda che cos'è che piace a Dio, tanto nelle opere che nelle parole come nei pensieri, 5. secondo quanto disse anche l'Apostolo: Una tale fiducia l'abbiamo in Dio mediante il Cristo; non perché siamo capaci di pensare qualche cosa come se provenisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio (2 Cor. 3, 4 e 5).

 

Termina la Regola di S. Basilio vescovo.


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3 novembre 2018           a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net