REGOLA PER I MONACI
DI
S. BASILIO DI CESAREA
INCOMINCIA LA PREFAZIONE DI RUFINO,
PRESBITERO DI AQUILEIA,
ALLA REGOLA DI S. BASILIO, DIRETTA ALL'ABATE URSEO
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1. Molto volentieri, carissimo fratello
Urseo, tornando dalle regioni d'Oriente, e ormai desiderosi della convivenza
comune dei fratelli, siamo entrati nel tuo monastero, che, posto sul ristretto
dorso di un passaggio sabbioso, è bagnato da una parte e dall'altra da un mare
inerte e incerto; 2. solo qualche raro pino fa conoscere da lontano quei luoghi
nascosti, e da questo acquistò un nome celebre per il mondo anche
il Pineto. 3. Ci siamo soprattutto
rallegrati del fatto che non ti sei subito soffermato, come si è soliti fare, a
informarti dei luoghi o delle ricchezze dell’Oriente, 4. ma hai voluto conoscere
quale fosse in quelle parti l’osservanza dei servi di Dio, quale fosse la virtù
propria dei loro animi e quali norme si seguissero nei monasteri. 5. À tale
richiesta, per esporti qualche cosa meno indegnamente, non dico di quanto si fa,
ma di quanto si dovrebbe fare, feci conoscere le istituzioni dei monaci di S.
Basilio, vescovo di Cappadocia, uomo molto celebre per fede, per opere e per
ogni genere di santità. 6. Egli le compose come risposte di un diritto sacro ai
monaci che gli ponevano delle domande. 7. Preso d’ammirazione per gli argomenti
e le sentenze del Santo, mi hai chiesto con insistenza di tradurre quest'opera
in latino, promettendomi che se queste sacre e spirituali istituzioni dell’Uomo
santo e pio fossero conosciute in tutti i monasteri dell’Occidente, tutto il
progresso, procurato nei servi di Dio da queste norme, avrebbe apportato anche a
me un poco di grazia e di ricompensa per i loro meriti e orazioni.
8. Ho dunque assolto, come potevo, il mio compito. 9. Ora
completa tu l’opera, e così anche voi tutti che leggete e constatate la
dottrina, in modo che, agendo e pregando come stabiliscono queste istituzioni,
vi ricordiate anche di me. 10. Voglia poi tu stesso prenderti la cura di
diffondere le copie anche negli altri cenobi, cosicché, sull’esempio della
Cappadocia, tutti i monasteri vivano secondo le stesse istituzioni e osservanze,
e non ne seguano altre diverse.
Termina
la prefazione di Rufino.
INCOMINCIA LA REGOLA PER I MONACI
DI S. BASILIO VESCOVO
DI CAPPADOCIA
Proemio
Dio, che ama il genere umano e
insegna all’uomo la sapienza, proprio a quelli che ha dotato del dono
dell’insegnare prescrisse per mezzo dell'Apostolo di essere perseveranti
nell’insegnamento; 2. e a quelli che hanno bisogno di essere confermati nelle
istituzioni divine dichiara per mezzo di Mosé, affermando:
Interroga il padre tuo e te lo
narrerà, i tuoi anziani e te lo diranno (Deut.
32,7).
3. E’ dunque necessario che
noi, cui è stato esplicitamente affidato il ministero della parola, siamo in
ogni tempo preparati e solleciti all’istruzione e al perfezionamento delle
anime: 4. e alcuni argomenti affermarli solennemente nella pubblica sala della
chiesa a tutti insieme intorno ai comandamenti del Signore; 5. altri poi
svilupparli in privato per quelli che hanno raggiunto maggiore perfezione e
manifestarli a quelli che li ricercano; 6. e in fine a quanti vogliono
interrogare intorno alla fede e alla verità del Vangelo di Nostro Signore Gesù
Cristo, e alla maniera di vivere più perfetta, offrire l’abbondanza della nostra
parola e la possibilità di diventare perfetti e completi uomini di Dio. 7. A voi
poi conviene di non trascorrere mai del tempo nell’ozio, perché oltre a tutto
ciò che imparate in comune con tutta la Chiesa, vi dedichiate anche a quanto vi
è di più eminente e perfetto; 8. cosicché passiate ogni periodo della vostra
vita nella ricerca delle cose migliori e nell’apprendimento di quelle più utili.
9. Poiché dunque Dio ci ha riuniti anche allo scopo di attendere un poco al
silenzio e alla quiete, lontani dalla cura assidua del popolo, e di non avere lo
spirito occupato in altre opere, né di concedere di nuovo il resto del tempo al
sonno e alla rilassatezza del corpo, 10. cerchiamo di consacrare questo spazio
intermedio della notte che ci resta a un’attenta investigazione, in modo da
adempiere quello che ci è stato detto per mezzo del beato David:
Beato chi mediterà sulla legge di Dio giorno e notte
(Salmo
1,2).
Se dunque ognuno di voi ritiene
che gli manca qualche cosa riguardo alla sapienza, lo esponga nella discussione
comune. 12. In realtà se qualche cosa sembra essere difficile od oscura, si
chiarirà più facilmente in una conversazione fra più persone, poiché certamente
Dio concederà la grazia di trovare la soluzione. 13. Come dunque a noi s'impone
l'obbligo, e secondo la sentenza dell’Apostolo:
guai a me se non avessi a
predicare il Vangelo (1 Cor.
9,16), anche a voi incombe un simile pericolo, se smetteste di interrogare e
investigare, o se vi dimostraste troppo deboli o rilassati nel compiere ciò che
sarà stato trovato retto. 14. Perciò anche il Signore disse:
La parola che vi ho rivolta vi
giudicherà nell’ultimo giorno
(Giov.
12,48). 15. E di nuovo:
Il servo che non conobbe la
volontà del suo padrone, e non agì degnamente, sarà battuto con poche percosse;
16.
ma chi l’avrà conosciuta, e
avrà agito contro la volontà del padrone, riceverà molte battiture
(Luc.
12,47). 17. Preghiamo dunque la misericordia del Signore, in modo che doni a noi
un irreprensibile ministero della parola e a voi un fruttuoso apprendimento
della dottrina. 18. Come chi sa che staranno al vostro cospetto queste parole
dinanzi al tribunale di Cristo:
Ti rimprovererò e metterò tutto
in faccia a te (Salmo
49,21); 19. così rivolgete con vigilanza l’animo a quanto viene detto, e quello
che avete udito indirizzatelo con prontezza ad un'opera degna:
Poiché non sappiamo in quale
giorno e in quale ora verrà nostro Signore
(Mt.
24,42.44).
Prima questione
Interrogazione dei fratelli
1. Poiché la tua
parola ci ha offerto l'opportunità di interrogare, prima di tutto chiediamo
di insegnarci se vi è un certo ordine e concatenamento nei precetti di Dio,
cosicché uno sia il primo, un altro il secondo, e così tutti gli altri per
ordine; 2. o se tutti i comandamenti sono così connessi e uguali fra loro,
che si possa cominciare da uno qualunque di loro, come se si trattasse di un
cerchio o di una corona.
Risposta.
3. La vostra domanda non è nuova, è già proposta nel Vangelo, al punto in
cui, avvicinandosi al Signore, un dottore della legge disse:
Maestro,
qual è il primo comandamento nella legge? (Mt. 22,36) 4. E il
Signore rispose:
Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e
con tutte le tue forze, questo è il primo e il più grande dei comandamenti.
5.
Il secondo poi è simile a questo:
Amerai il tuo prossimo come te
stesso (Mt. 22,37-39). 6. Il Signore stesso dunque stabilì un
ordine ai comandamenti: affermò che il primo e il più grande comandamento è
amare con tutto il cuore e con tutta la mente, e che il secondo in ordine e
nella
successione logica
è amare il prossimo come se stessi, in modo da essere simile al primo nel
valore, e anzi da completarlo e dipendere da quello. 7. Ma anche riguardo
agli altri precetti potrai trovare altrettanto nelle sante Scritture; viene
osservato, come io credo, in tutti i comandamenti un certo ordine e una
successione delle prescrizioni.
Seconda questione
1. Poiché affermi che il primo comandamento riguarda
l'amore di Dio, illustraci questo argomento prima di tutti gli altri. 2. Che
sia necessario amare l'abbiamo sentito, e ora desideriamo imparare come ciò
si possa compiere.
Risposta. 3.
Avete scelto un ottimo argomento per dare inizio alla nostra conversazione,
e del tutto conveniente alla nostra intenzione. 4. Perciò con l'aiuto di Dio
faremo quanto ci dite.
5. Anzitutto è necessario sapere che questo
comandamento sembra essere uno solo, mentre abbraccia e racchiude in sé la
forza di tutti i comandamenti, come dice lo stesso Signore: Su questi due
comandamenti si fondano tutta la Legge e i Profeti (Mt. 22,40).
6. Ma non intraprendiamo a discutere singolarmente l'ordine dei precetti,
altrimenti sembrerà che presentiamo tutta l'opera spezzettata.
7. Indagheremo invece quanto basta al nostro proposito, e come lo richiede
il presente ordine, indicando prima d'ogni altra cosa che portiamo innate in
noi stessi le energie morali di tutti i precetti ricevuti da Dio. 8. Che
cioè non ci sia in noi una difficoltà così grande, come se ci venisse
richiesto qualche cosa di nuovo e di estraneo a noi stessi; 9. e non sembri
nemmeno che ci sia offerta una nuova occasione di orgoglio, se avessimo a
credere di donare a Dio più di quanto abbiamo ricevuto da Lui secondo la
nostra natura fin dalla creazione. 10. Poiché tutto ciò che ci è stato
infuso da Dio, se lo mettiamo in opera con rettitudine e in maniera
appropriata, questo è vivere secondo virtù. 11. Se poi avessimo a corrompere
i doni naturali, questo rivela tendenza alla malizia. 12. Dunque la
definizione del male è la seguente: non usare rettamente dei moti dell'anima
infusi in noi da Dio. 13. E d'altra parte la definizione della virtù è
questa: fare retto uso, cioè secondo il precetto di Dio e secondo la
coscienza, dei moti dell'anima impressi da Dio.
14. Stando così le
cose, troveremo che altrettanto vale anche riguardo alla carità. 15. Abbiamo
ricevuto il precetto di amare Dio. 16. L'anima porta impressa da Dio fin
dalla stessa prima creazione la virtù dell'amore; e in ciò non è affatto
necessaria una prova dall'esterno, poiché ognuno ha in sé e da se stesso le
prove di quanto affermiamo. 17. Ogni uomo desidera tutto ciò che è buono, e
siamo attratti da un certo affetto naturale verso ogni cosa che riteniamo
buona. 18. Ed anche verso i consanguinei e i più vicini secondo la carne
siamo attirati dall'amore, senza che nessuno ce lo insegni; anche con quelli
dai quali abbiamo ricevuto affetto e benefici siamo legati da ogni amore e
dovere. 19. E quale altra cosa tanto buona si può avere quanto Dio? Anzi
quale altro bene vi è se non Dio solo? 20. Quale gloria, quale splendore,
quale bellezza, che per natura siamo spinti ad amare, vi è in qualunque
luogo e talmente alta come è in Dio, e si deve credere che vi sia? 21. Dove
si troverà mai una tale grazia? 22. Quale fiamma di amore potrebbe infondere
ardore nelle parti più segrete ed interne dell'anima, come l'amore di Dio
deve infiammare le profondità della mente? 23. Specialmente se l'anima è
purgata da ogni lordura, tanto da poter dire con vero amore:
Sono ferita dall'amore? (Cant.
4,9). 24.
Sento l'amore di Dio in modo del tutto ineffabile, ed è tale che si può
piuttosto sentire che esprimerlo. 25. È una luce indescrivibile: anche se la
parola usasse e prendesse a paragone i fulmini o il lampo, l'udito non lo
sopporterà, anzi neppure lo percepirà. 26. Se prendi i bagliori del giorno,
la luminosità della luna, e la stessa luce del sole, a confronto della sua
gloria sono tutti oscuri, e molto più tetri di quanto lo sia la notte priva
di luce e immersa nell'oscurità di profonde tenebre, paragonata alla più
brillante luce del sole di mezzogiorno. 27. Un tale splendore non si vede
con gli occhi del corpo, si può solo contemplare con l'anima e con
l'intelletto. 28. E questo splendore, se per caso tocca la mente e l'animo
dei santi, infonde profondamente in loro uno stimolo molto ardente all'amore
verso di lui. 29. Perciò (infine), come struggendosi per il fuoco dell'amore
e avendo in orrore la vita presente, uno di loro diceva:
Quando verrò e apparirò al cospetto di Dio?
(Salmo 41,3). 30.
E di nuovo diceva, ripieno del fuoco di quest'ardore:
Ha avuto
sete del Dio vivo l'anima mia
(Salmo 41,3), e,
infiammato insaziabilmente dal suo desiderio, pregava perché
vedesse la
volontà del Signore, e fosse protetto nel suo santo tempio
(Salmo 26,4).
31. Così dunque
desideriamo e amiamo naturalmente tutto ciò che è buono. 32. Nulla però,
come abbiamo detto, è veramente bene sommo come Dio; e perciò abbiamo
soddisfatto a questo amore che da lui abbiamo ricevuto come a un nostro
dovere. 33. Se negheremo, o anche se non adempiremo, la carità verso Dio,
essa ci renderà senza alcuna scusa soggetti all'ira.
34. E che dico
soggetti all'ira? Poiché quale ira maggiore vi potrebbe essere, quale
vendetta più grave del fatto stesso, che potrebbe accaderci, di diventare
estranei all'amore di Dio? 35. Che se nei genitori è innato il naturale
affetto verso quelli che hanno generato, e ciò si riscontra non solo negli
uomini, ma anche negli animali privi di linguaggio, stiamo bene attenti che
non abbiamo a ritrovarci più idioti e più brutali delle belve feroci, se non
siamo fortemente mossi da nessun amore verso il Creatore. 36. Benché non
possiamo conoscere la grandezza e la natura di lui, tuttavia, dal fatto
stesso che da lui proveniamo, lo dobbiamo venerare e amare con l'affetto
dovuto al proprio padre, ed essere attaccati senza posa al pensiero di lui,
come fanno i bambini verso le loro madri. 37. Ma molto più profondamente e
con maggiore prontezza, quanto più ci riconosciamo oggetto dei suoi immensi
benefici.
38. Ritengo che
quanto sopra ci è comune anche con tutti gli altri animali; anch'essi
infatti ricordano se qualcuno li ha beneficati. 39. Se non credete a me,
ascoltate il profeta che afferma:
Il bue riconosce il suo proprietario e l'asino la stalla del suo padrone
(Is.
1,3). 40. Che di noi non si abbiano mai a dire le parole che seguono:
Israele non
mi ha conosciuto, e il mio popolo non mi ha compreso (Is.
1,3). 41. Che se amiamo quelli che ci hanno reso qualche favore, senza che
alcuno
ce
lo insegni, e ci sforziamo con ogni cura di esprimere loro la nostra
gratitudine, per quanto è possibile, 42. come potremo essere in grado di
manifestare la nostra riconoscenza per i benefici di Dio, che sono tanto
grandi da non potersi ridurre a nessuna categoria, e di tale elevatezza che
ne basterebbe anche uno solo per tutta la nostra vita a renderci soggetti al
donatore? 43. Ometto tutte le altre cose, che sono certo grandi ed
eccellenti, ma sono nascoste dalle più grandi e dalle migliori, come certe
stelle dai raggi più splendenti del sole; 44. poiché non ci resta più il
tempo per allargare il discorso, perché possiamo enumerare anche dalle cose
più umili i benefici di Dio a nostro riguardo. Non parliamo dunque del
sorgere quotidiano del sole, e dell'universo illuminato dallo splendore di
un solo astro. 45. Passiamo sotto silenzio le fasi della luna, le variazioni
e le modificazioni dell'atmosfera, le acque provenienti dalle nubi, i fiumi
e le sorgenti della terra; 46. le profondità del mare, e l'interminabile
estensione della terra, e ancora le nascite degli animali che sono generati
nelle acque, e tutto ciò che mette radice o nasce in seno alla terra, ed è
destinato a nostro uso e servizio.
47. Dunque tutte
queste cose e altre ancora tralascio; questo solo, che non sarebbe possibile
omettere nemmeno a chi lo volesse, non possiamo tacere: 48. benché si possa
passare sotto silenzio la grazia, è molto più difficile parlarne degnamente
e con competenza, questo, dicevo, quanto è grande il fatto che Dio ha dato
la conoscenza di se stesso all'uomo, lo ha creato animale ragionevole, e gli
ha concesso di godere la gioia e la bellezza di un paradiso ineffabile? 49.
e non lo disprezzò affatto dopo che era stato ingannato dall'astuzia del
serpente, quindi, caduto nel peccato, e, attraverso il peccato, precipitato
nella morte; ma diede la sua legge in aiuto, deputò degli angeli, destinò
dei profeti; 50. frenò con la severità delle minacce i tentativi della
malizia; 51. stimolò i desideri dei buoni con le più splendide promesse, e
fece conoscere prima lo scopo dell'una e dell'altra nostra vita con molte
immagini. 52. Eppure, anche di fronte al perdurare nelle nostre cattive
incredulità, dopo tutte queste cose non si è allontanato da noi, né la bontà
del Signore pietoso ci ha abbandonati. 53. Anzi nemmeno con la nostra
ingratitudine verso i suoi benefici abbiamo potuto allontanare e respingere
la sua misericordia da noi; 54. ma siamo stati strappati alla morte e
richiamati alla vita per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo,
il quale, esistendo;
nella forma di Dio, non ritenne
questa sua uguaglianza con
Dio come una rapina, ma annientò se
stesso prendendo la forma di servo (Filip. 2, 6-7).
55.
Prese su
di sé le nostre debolezze, ha
portato i nostri dolori, è stato ferito per noi, perché fossimo risanati
per le sue lividure (Is. 5, 56).
56.
E ci ha
liberati dalla maledizione ed è divenuto maledetto per noi (Sal.
3, 13). 57. Fu anche condannato a una morte ignominiosa per richiamare noi
alla vita.
58. Né gli basta
ridonare la vita a noi morti, ma ci concede la partecipazione alla sua
divinità, ed elargisce il dono dell'eternità; 59. e al di sopra di quanto
potremmo chiedere o comprendere, a quelli che credono in lui e lo amano
prepara
ciò che
occhio non vide né orecchio udì, né salì al cuore dell'uomo (1 Cor.
2, 9). 60. Che cosa dunque daremo in cambio al Signore per tutto quello che
ci ha donato? 61. Veramente egli è tanto benigno e clemente che non reclama
neppure alcuna restituzione, ma gli basta di essere amato per tutti i doni
che ha concessi. 62. Chi dunque è così irrimediabilmente ingrato da non
amare il donatore per tanti benefici così nobili?
63. E ora basti
quanto si è detto intorno all'amore di Dio; è del resto nostro proposito,
come abbiamo detto sopra, di non dire tutto, poiché è impossibile, ma di
ricordare brevemente e succintamente tutto ciò che basti a infondere e
destare nell'anima l'amore di Dio. 64. Viene ormai di conseguenza che
trattiamo di quel comandamento che abbiamo definito secondo nell'ordine e
nel valore. 65. E che proprio la legge perfeziona e abbellisce quelle virtù
che sono infuse dal Creatore nell'anima l'abbiamo già detto sopra. 66.
Poiché dunque ci viene ordinato di amare il prossimo come noi stessi,
consideriamo se abbiamo in noi anche la forza e la capacità per l'attuazione
di quest'altro comandamento. 67. E chi è che ignora che l'uomo è un animale
dotato di amore e di comunicabilità, e non qualche cosa di selvatico e di
feroce? 68. Niente è tanto proprio alla nostra natura che aver bisogno l'uno
dell'altro, e ricercarsi reciprocamente e amare ciò che si ricerca. 69.
Quindi poiché il Signore ha posto in noi i germi di queste virtù, senza
dubbio richiederà anche il loro frutto, e accetterà come prova del nostro
amore per lui l'amore verso il prossimo. 70.
In questo,
dice,
riconosceranno tutti che siete miei discepoli, se vi amerete reciprocamente
(Giov. 13, 35). 71. Anzi collega questi comandamenti in tutte
le cose in modo tale, che riferisce a se stesso anche le opere di
misericordia compiute per il prossimo. 72.
Ebbi fame, egli dice,
e mi deste da mangiare (Mt.
25, 35).
73. Anche tutto il resto che viene fatto a favore del prossimo afferma di
averlo ricevuto lui stesso, quando aggiunge:
Tutto ciò che avete fatto per uno
dei miei più umili fratelli l'avete fatto a me (Mt. 25, 40).
74. Dunque attraverso il primo si adempie anche al secondo, e dal secondo si
risale e si toma al primo, cosicché chi ama il Signore senza dubbio ama
anche il prossimo.
75. Così infatti dice il Signore:
Chi ama me osserva i miei
comandamenti (Giov. 14, 15). 76.
E questo è il mio comandamento, afferma,
che vi
amiate a vicenda (Giov. 15, 12). 77. Così chi ama il prossimo
perfeziona la sua carità verso Dio, perché egli stesso riceve in sé tutto
quello che è operato per il prossimo.
78. E proprio per
quelli, che, iniziandosi al timore di Dio, intraprendono i primi passi nella
religione, è più utile la prima formazione attraverso il timore, secondo la
sentenza del sapientissimo Salomone che dice:
L'inizio della sapienza è il timore
del Signore (Prov. 1, 7). 79. Altrettanto si legge anche nei
Salmi.
80. E voi,
fratelli, che ormai avete cessato di essere fanciulli in Cristo, e non avete
più bisogno di latte, ricercate cibi sostanziosi dalla solidità dei dogmi,
per nutrimento e pascolo dell'uomo interiore; 81. per cui attraverso i
comandamenti più alti raggiunga la perfezione, e sia confermato in ogni
verità, che è in Cristo. 82. Si deve poi fare attenzione che il peso di una
grazia più abbondante non abbia ad essere per noi causa di più grave
condanne, se siamo trovati ingrati ai benefici del donatore. 83. Sopra ogni
cosa è poi da considerare il principio, che nessun altro comandamento,
neppure questo che ci viene imposto intorno all'amore di Dio e del prossimo,
potrà essere osservato da chiunque, se l'animo andrà vagando dietro a
svariate e diverse occupazioni. 84. Non è affatto possibile che chi troppo
spesso passa da un'attività all'altra posse acquistare qualche capacità o
disciplina in un'occupazione costante. 85. È quindi necessario che con ogni
attenzione conserviamo intatto il nostro cuore, perché i cattivi desideri e
i pensieri ignobili non allontanino e caccino dalle nostre anime il
desiderio di Dio; 86. ma al contrario con assiduo ricordo e riflessione di
Dio ognuno di noi imprima in qualche modo la sua forma e la sua immagine
nella propria anima e con tali segni che non possa essere cancellata da
nessun turbamento. 87. Proprio così in noi si accende il desiderio
dell'amore di Dio, se il suo frequente ricordo illumina la mente e l'animo,
e siamo spinti e animati alla pratica dei comandamenti di Dio. 88. E anche
dalle opere stesse di carità viene conservato e aumentato l'amore di Dio in
noi. 89. Credo che ciò appunto voglia dimostrare Dio quando dice; Se
mi amate osservate i miei
comandamenti (Giov. 14, 15) 90. e in altro luogo:
Se fate quello che vi dico rimanete
nel mio amore; come anch'io ho osservato i comandamenti del Padre mio, e
rimango nel suo amore (Giov. 14, 10). 91. Con queste parole ci
insegna che le considerazioni riguardo alle nostre opere devono dipendere
dalla volontà di lui, cosicché, avendo lui come nostro specchio e sempre
rivolti verso di lui, dirigiamo le nostre azioni con l'occhio del cuore
fisso in lui. 92. Come del resto le arti che sono in questa vita rivelano
una certa ispirazione della mente, e dirigono l'uso delle mani nel
compimento dell'opera secondo la concezione della mente stessa, così anche
in questa nostra opera ci resta solo quest'immagine, e uno solo è il termine
fisso, col quale dobbiamo piacere a Dio. 93. Secondo questa visuale dunque
indirizziamo l'osservanza dei comandamenti. 94. È del resto impossibile che
possa avere una consistenza la forma della nostra opera, se non si avrà
sempre nella mente la volontà di chi ha commissionato l'opera, 95. perché
così, una volta osservata e compiuta la sua volontà con l'esecuzione
diligente e competente dell'opera siamo sempre uniti a Dio, mentre siamo di
continuo memori di lui.
96. Prendiamo come esempio un fabbro: nel fare una scure o una falce ha
sempre presente colui che gli ha commissionato l'opera, e ricorda
costantemente la grandezza, la qualità e la forma che gli è stata stabilita
per eseguire la scure, 97. e, sempre intento a ciò che ricorda ordinatogli
dal padrone dell'opera, dirige l'impiego delle sue mani in modo che la forma
dell'opera corrisponda all'idea e alla volontà di chi l'ha ordinata; 98. se
poi dimenticasse che cosa e di che specie fosse ciò che gli era stato
ordinato senza dubbio farebbe qualche cosa di diverso da quello che gli era
stato richiesto. 99. Così anche il cristiano deve fare ogni sforzo e ogni
cura nei suoi atti per dirigere la sua attività secondo la volontà di Dio,
che gli ha imposto l'opera, in modo che le sue azioni abbiano un buon
ornamento ed egli possa compiere la volontà di chi ha dato il comando. 100.
Allora può compiere anche ciò che è scritto:
O mangiate o
bevete, o qualunque altra cosa fate, compite tutto per la gloria di Dio
(1 Cor.
10, 31). 101. Se uno invece si allontana dalle norme e contamina
l'osservanza del comandamento, da ciò stesso si arguisce che non si cura
abbastanza di Dio. 102. Molto giova del resto a custodire il ricordo di Dio
anche l'abitare nel segreto e nella solitudine. 103. In realtà il vivere
insieme con quelli che si comportano con negligenza riguardo al timore di
Dio, e mostrano disprezzo per i suoi comandamenti è molto nocivo, 104. come
anche afferma la parola di Salomone che dice:
Non abiterete con l'uomo iracondo, perché non abbiate a imparare i suoi
modi, e non troviate inciampo all'anima vostra
(Prov.
22, 24-25). 105. E inoltre quanto è detto:
Uscite di mezzo a loro, e sarete
separati da loro, dice il Signore (Is. 52, 11), si riferisce a
questo stesso argomento. 106. Quindi non accettiamo né per mezzo degli occhi
né per mezzo degli orecchi le seduzioni a peccare, in modo che a poco a poco
per lunga pratica ci attacchiamo a una pessima abitudine. 107. E inoltre per
potersi dedicare alla preghiera bisogna anzitutto abitare nella solitudine.
108. In questo modo spezzeremo anche le vecchie abitudini, con le quali
agivamo contro i comandamenti di Dio. 109. Non è davvero poca fatica, che
uno si distacchi e si allontani da un'abitudine precedente non buona, poiché
un metodo di vita, reso più radicato per il lungo tempo in cui lo si è
seguito, acquista quasi una forza naturale. 110. Bisogna dunque che prima di
tutto rinneghiamo noi stessi, accettiamo la croce di Cristo e così lo
seguiamo. 111. E proprio in questo modo rinneghiamo noi stessi, se,
dimentichi del tutto della passata abitudine, rinunziamo alla nostra propria
volontà; 112. e così ci separiamo non solo dagli uomini che non agiscono con
rettitudine, ma anche dai nostri stessi costumi disordinati e sconvenienti.
113. Altrimenti perché qualcuno, restando nella stessa abitudine e nel
precedente modo di vita, si possa emendare e correggere è molto difficile,
anzi per esser più sinceri, è del tutto impossibile. 114. Ma al fatto stesso
di prendere ognuno la propria croce e di seguire Cristo è di molto
impedimento la compagnia e la convivenza con coloro che conducono una vita
diversa.
115. Infatti essere
pronti alla morte per Cristo, mortificare le membra umane, e sopportare
volentieri ogni disagio per il nome di Cristo, questo è abbracciare la
propria croce. 116. Vediamo bene quale grande ostacolo ci può provenire da
quelli che sono diversi da noi o nella vita o nei costumi. 117. E a tutte le
altre difficoltà, che sono molte, si aggiunge anche il fatto che l'anima,
osservando la moltitudine di quelli che vivono male, ne resta dapprima
colpita e trova ostacolo a comprendere i suoi mali, e può così riparare con
la penitenza alle colpa commesse e reprimere le cause della colpa con
l'emendazione dei vizi. 118. A confronto dei più cattivi ritiene di aver
compiuto già qualche cosa di grande. 119. Allora poi, trascurati ostacoli e
turbamenti e preoccupazioni, che la vita consueta degli uomini suole
comportare, non può curarsi del pensiero di Dio, ciò che è il bene maggiore
e più prezioso di tutti. 120. Una volta escluso ed espulso questo dalla
mente, non solo è priva di ogni letizia e di gaudio celeste, e deve
sopportare la perdita del godimento di Dio, ma non sente la dolcezza della
sua parola, in modo da poter dire: 121.
Quanto sono
dolci al mio palato le tue parole, o Signore! sono più dolci del miele
e
del favo di
miele per la mia bocca
(Salmo 118, 103); 122.
anzi arriva fino alla trascuratezza e alla dimenticanza dei giudizi di Dio,
e cade nell'abitudine del disprezzo; 123. nessun altro male si può soffrire
più grande e più dannoso di questo.
Terza questione
1. Poiché il tuo
insegnamento ci ha mostrato che è pericoloso convivere con quelli che
disprezzano i comandamenti, ora desideriamo apprendere se è necessario che
chi si è allontanato da un tale consorzio viva separato e solitario, 2. o
invece debba associare la sua vita con fratelli che hanno lo stesso
proposito e gli stessi ideali.
Risposta.
3. In molti casi credo che è utile condurre una vita in comune con quelli
che hanno la stessa volontà e il medesimo proposito. 4. Prima di tutto
perché anche per le stesse necessità materiali e per il servizio del cibo,
ognuno di noi non basta a se stesso da solo; 5. e veramente dunque, per
quanto è necessario al funzionamento della nostra vita, abbiamo bisogno del
nostro reciproco aiuto. 6. Come infatti il piede dell'uomo in una cosa si
serve delle proprie forze, in un'altra ha bisogno di quelle estrinseche, e
senza aiuto delle altre membra non può né adempiere al suo compito, né
bastare con le sue forze, 7. così anche la vita solitaria mi sembra essere
vittima del fatto che non possa essere utile quanto in essa si trova, né che
si possa ricevere da qualcuno quanto le manca. 8. Oltre a ciò neppure
l'ordine della carità permette che ognuno ricerchi ciò che gli è comodo,
poiché l'Apostolo dice:
la carità non ricerca il proprio
interesse
(1 Cor. 13, 5). 9. Poi, neanche le proprie colpe e i propri
vizi ciascuno può riconoscere facilmente, poiché manca chi li faccia notare;
10. e facilmente avviene a chi si trova in queste condizioni quanto è
scritto:
Guai a chi
è
solo, poiché se cadrà, non vi sarà nessun altro che lo rialzi
(Eccl.
4, 10). 11. Ma anche i comandamenti possono essere osservati con maggiore
facilità da più persone; se uno invece da solo crede di osservarne uno, non
ha la possibilità di metterne in pratica un altro. 12. Per esempio, come un
solitario potrà visitare un infermo?, 13. o come accoglierà un pellegrino?
14. Ma se tutti siamo un solo corpo in Cristo, e ognuno membro dell'altro,
ci dobbiamo adattare con armonia ed essere insieme ben uniti come
nell'organismo di un solo corpo. 15. Che se ognuno di noi scegliesse la vita
solitaria, e cioè non per una determinata causa e ragione che sia gradita a
Dio, o che comprenda tutti in una vera e comune generosità, 16. ma sia di
soddisfazione ai propri voleri e alle proprie passioni, come potremmo, così
separati e divisi, compiere e donare a tutti i membri una perfetta e
reciproca concordia? 17. Chi si comporta in tal modo non gode con quelli che
godono né piange con quelli che piangono, poiché, lontano e diviso da tutti
gli altri, non potrà nemmeno conoscere i bisogni del prossimo. 18. E in fine
uno non può bastare da solo a ricevere tutti i doni dello Spirito Santo,
perché la distribuzione dei doni spirituali si compie secondo il grado di
fede di ciascuno. 19. Cosicché ciò che è distribuito ad ognuno in porzioni,
di nuovo si riunisca e cooperi come le varie membra alla formazione di un
unico corpo. 20.
A uno
infatti è concessa la parola della sapienza, a un altro quella della
scienza, a un altro la fede, a un altro la profezia, a un altro il carisma
delle guarigioni (1 Cor. 12, 8-9), ecc.; tutti doni che ognuno
riceve dallo Spirito Santo non tanto per sé quanto per gli altri. 21. È
quindi necessario che la grazia di ciascuno, ricevuta dallo Spirito Divino,
sia di giovamento a tutta la comunità. 22. Accade dunque che chi vive
lontano e segregato, riceverà pure qualche grazia, ma la renderà inutile,
poiché non compirà nulla per mezzo di essa; la seppellisce infatti in se
stesso. 23. Di quanto pericolo sia tutto ciò, lo sapete tutti voi che
leggete il Vangelo. 24. Se invece comunica la grazia a tutti gli altri, lui
stesso gode precisamente di quella ricevuta, che anzi si moltiplica in lui
mentre viene trasmessa agli altri, e lui stesso trae beneficio dalla grazia
degli altri.
25. Ancora altri
numerosi vantaggi presenta questa vita comune di persone venerabili, che non
è possibile enumerare completamente ora. 26. Come già detto dunque, per
conservare i doni dello Spirito Santo è più adatta la convivenza di molti,
più che la vita trascorsa nella solitudine. 27. Ed anche contro le insidie
del demonio, che vengono dall'esterno, è più sicura e più utile la compagnia
di molti, in modo che più facilmente si svegli dal sonno chi per caso avesse
ad addormentarsi in quel sonno che porta alla morte. 28. Anche a chi cade
apparirà più chiaro il suo delitto, poiché viene accusato e notato da più
persone, conforme a quanto dice l'Apostolo:
Per chi ha un tale carattere basta la correzione fatta da più persone (2
Cor. 2, 6).
29. Inoltre anche
nell'orazione non poco profitto proviene da più individui che pregano nella
concordia e nell'umanità, cosicché si rendano grazie a Dio da molte persone,
in virtù della grazia che è in noi. 30. Ma qualche volta la vita solitaria è
esposta a pericolo prossimo. Prima di tutto uno è soggetto al pericolo,
certamente gravissimo, di trovare compiacenza in se stesso, e non avendo
nessun grado di giudicare il suo operato, gli sembrerà di aver raggiunto la
massima perfezione. 31. Allora vivendo senza alcun esercizio non può
accorgersi in quale difetto cada di più né in che cosa manchi alla virtù.
32. Non potrà nemmeno possedere un equo giudizio del valore delle sue opere
per il fatto stesso che gli viene meno ogni occasione di operare. 33. E come
metterà alla prova la sua umiltà non avendo nessuno col quale si debba
mostrare umile? 34. Come dimostrerà la sua misericordia dal momento che è
estraneo ad ogni compagnia e convivenza? 35. Come si eserciterà alla
pazienza se non vi è nessuno che sembri ostacolare i suoi voleri? 36. Se poi
qualcuno dicesse che gli basta la dottrina della Scrittura e i precetti
degli Apostoli per la correzione dei suoi costumi e per la formazione
spirituale della sua vita, mi sembra che faccia qualche cosa di simile a
quelli che imparano in continuazione un mestiere artigianale, e tuttavia non
costruiscono alcun oggetto; 37. o a quelli che costantemente vengono
istruiti nell'architettura, ma non si applicheranno mai a costruire una
casa. 38. Ecco, anche il Signore non ritenne bene che gli bastasse solo la
dottrina della parola, ma volle darci esempi di umiltà anche con le opere,
quando, cintosi di un grembiale, lavò i piedi ai suoi discepoli. 39. Tu
dunque a chi laverai i piedi? a chi presterai le tue cure? 40. Di chi sarai
suddito e come potrai essere l'ultimo se vivi solo? 41. Ma anche quello che
è scritto:
È cosa buona
e gioconda convivere da fratelli insieme
(Salmo
132, 1), che lo Spirito Santo paragonò all'unguento del pontefice che scende
dalla testa alla barba, come lo si potrà compiere in una vita solitaria? 42.
Vi è certamente uno stadio, secondo il precetto apostolico, per correggere i
difetti e formarsi una vita, in cui si progredisce con l'esercizio della
virtù, e in esso sempre più brilla e risplende la meditazione dei
comandamenti di Dio, ed è proprio questa dimora in comune dei fratelli
unanimi fra loro; 43. essa possiede in sé esattamente il modello e
l'esempio, che sono riferiti dalla Sacra Scrittura negli Atti degli Apostoli
riguardo a quegli uomini di santa vita:
Tutti i credenti vivevano insieme, e avevano tutto in comune (Atti
4, 32).
Quarta questione
1. Bisogna prima
d'ogni altra cosa rinunciare a tutto e così intraprendere questa vita o
genere di relazioni che è secondo il volere di Dio?
Risposta.
2. Il Signore e Salvatore nostro dice:
Se qualcuno viene da me, rinneghi se
stesso, prenda la sua croce e mi segua
(Matt. 16, 24); 3. e
ancora:
Chi non
rinunzierà a tutto ciò che possiede, non può essere mio discepolo (Luc.
14, 33). 4. Colui che viene con l'intento di seguire il Signore, rinneghi
anche se stesso e prenda la sua croce. 5. Certo è però che già prima ha
rinunziato al diavolo e alle sue opere. 6. Tuttavia questo sono soliti farlo
non quelli che sono già progrediti nella vita, o quelli che già tendono alla
perfezione, ma coloro che sono ai primi passi della vita monastica. 7. E in
questo consiste, come abbiamo detto più sopra, la rinuncia dell'uomo, cioè:
se rifiuta la sua vita passata e le precedenti abitudini, o anche i suoi
costumi, o i piaceri di questo mondo, 8. e rinunzia anche alla parentela
secondo il sangue, specialmente a quella che può essere di ostacolo alla sua
vocazione. 9. Così anche considera come suoi genitori con più facilità
coloro che lo hanno generato in Cristo Gesù attraverso il Vangelo, 10. e
come suoi fratelli quelli che hanno abbracciato lo stesso spirito di
adozione, e riguarda come a sé estraneo tutto ciò che possiede. 11. E, per
dirla in breve, colui per il quale il mondo intero è crocifisso per amore di
Cristo ed egli stesso al mondo, come può diventare servo dei pensieri e
delle sollecitudini del mondo, dal momento che il Signore comanda di
rinnegare la stessa vita per suo amore? 12. Allora è perfetto il
rinnegamento in lui, se si tiene lontano dalle passioni, mentre ancora vive
nel corpo. 13. Ma tutto ciò incomincia a compierlo prima di tutto nelle cose
esteriori, cioè fugga anzitutto le passioni e la vana gloria e ogni altra
cosa di questo genere. 14. Proprio questo ci insegnarono gli Apostoli
Giacomo e Giovanni, che abbandonarono il loro padre Zebedeo e anche la
barca, nella quale si trovavano. 15. Ma anche Matteo abbandonò il luogo
della riscossione delle tasse, alzandosi e seguendo il Signore; 16. egli non
solo aveva abbandonato i guadagni delle imposte, ma aveva anche disprezzato
il pericolo, che gli sarebbe potuto venire dalle autorità civili, per il
fatto di avere lasciato la gestione delle imposte in uno stato precario e
disordinato. 17. Tale fu la sua brama di seguire il Signore da non riservare
più per sé alcun riguardo o pensiero di questa vita.
18. Che poi uno non
debba avere nessuna considerazione né per l'affetto ai genitori, se sono
contrari ai precetti del Signore, né per qualunque altro umano piacere, che
potrebbe impedirgli di raggiungere quanto si è proposto, 19. lo insegna il
Signore dicendo:
Se uno viene a me, e non odia suo padre e sua madre, e la moglie, i figli, i
fratelli e le sorelle, e perfino la propria vita, non può essere mio
discepolo (Luc. 14, 26). 20. Ciò è simile a quanto aveva
detto, che cioè ognuno rinneghi se stesso.
Quinta questione
1. È necessario che chi si vuole unire ai servi di Dio lasci ai suoi
congiunti indifferentemente parte dei suoi beni?
Risposta.
2. Il Signore dice:
Vendi tutti i tuoi beni
e dalli ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; e vieni, seguimi (Luc. 18, 22). 3.
E ancora:
Vendete tutto quello che possedete e datelo in elemosina (Luc. 12, 33). 4.
Ritengo quindi che chi si dà al servizio di Dio, non deve condannare e
abbandonare senza riflessione quello che gli appartiene, 5. ma cerchi tutti
i mezzi possibili per distribuire con ogni diligenza tutto quello che è già
consacrato al Signore nella maniera più ragionevole, ricordando che non è
senza pericolo agire con negligenza nelle opere di Dio. 6. Se poi i suoi
parenti e i genitori agiscono contro la fede, egli deve ancora ricordare le
parole del Signore: 7.
Non vi è
chi abbia
abbandonato la casa, o i fratelli, o il padre, o la madre, o la moglie o i
figli o i suoi poderi per me e per il Vangelo, che non riceva il centuplo
nel tempo presente, e la vita eterna in quello futuro (Matt. 19, 29). 8.
E dunque egli deve dichiarare e far conoscere pubblicamente a quelli che gli
negano il suo e lo ostacolano nel suo operare che incorrono nel peccato di
sacrilegio, secondo il comandamento del Signore, che dice:
Se
tuo fratello pecca contro di te
rimproveralo (Matt.
18, 15), ecc. 9. La dignità della religione vieta di contendere in giudizio
intorno a queste questioni davanti a giudici civili, a causa di quanto
afferma l'Apostolo:
Ha forse qualcuno di voi l'ardire, se ha una qualche contesa con un altro,
di farsi giudicare presso i pagani, e non davanti ai santi? (1 Cor. 6, 1) 10. E
di nuovo:
È già un peccato il vostro che abbiate liti fra voi (1 Cor. 6, 7).
Sesta questione
1. Si devono accogliere tutti quelli che vengono a noi, o con una prova
previa? e di quale specie deve essere tale prova?
Risposta. 2.
Dal momento che la benignità di Dio chiama tutti con le parole: Venite a
me tutti voi che lavorate e siete affaticati, e io vi ristorerò (Matt.
11, 38), non è senza responsabilità il respingere chiunque si presenti a
noi. 3. Però non si deve essere troppo indulgenti a far entrare chiunque
nella vita monastica, come si suol dire, con i piedi sporchi; 4. ma come
nostro Signore Gesù Cristo interrogò quel giovane, che si era presentato a
lui,
della sua vita passata, e, dopo aver sentito che
era trascorsa nella rettitudine, gli consigliò di completare quanto gli
mancava, e così poi lo invitò a seguirlo, 5. altrettanto dobbiamo fare noi
delle ricerche sulla vita e sui costumi passati, in modo che qualcuno non
entri fra noi con intenzioni nascoste e con animo falso.
6. E ciò si conosce
facilmente se accetta ogni lavoro manuale, che gli viene comandato, ed è ben
propenso a cambiare la sua vita; 7. o anche se, interrogato intorno a
qualche sua mancanza, mostra timore di confessarlo, e ancora accetta con
animo grato la medicina usata per la mancanza commessa; 8. e inoltre se si
rivela disposto ad ogni umiliazione senza troppo amor proprio, e con raggiri
vili e abietti, e se lo richiederà la situazione, non accetti con disprezzo
di dedicarsi alla nuova vita.
9. Una volta dunque
assicurato con questi singoli esperimenti che egli è di ferma intenzione, di
stabile proposito e di animo pronto, allora è bene accettarlo. 10. Ma prima
che sia incorporato nella comunità dei fratelli bisogna ordinargli alcuni
lavori onerosi, tra quelli cioè che sono considerati umilianti tra i
secolari; 11. e bisogna anche osservare se queste cose le compie volentieri,
liberamente e fedelmente, e non le sopporti con grave turbamento, 12. e
inoltre se lo si scopre non pigro, ma pronto nel lavoro.
Settima questione
1. Da quale età ci dobbiamo offrire a Dio, o quando si può giudicare più
risoluta e duratura la professione della verginità?
Risposta. 2. Il Signore afferma: Lasciate che i fanciulli
vengano a me (Lue. 18, 16), e l'Apostolo poi loda chi ha appreso
le sacre lettere dall'infanzia, e di nuovo consiglia di educare i figli
nella dottrina e negli ammonimenti del Signore. 3. Ritengo quindi opportuno
ogni momento fin dalla prima età per apprendere il timore e gli
ammaestramenti del Signore; 4. tuttavia la professione della verginità sarà
solida proprio dal momento in cui l'età comincerà ad essere adulta, quella
cioè che di solito
si considera adatta e ideale per le nozze. 5. Ma è necessario che i
fanciulli siano accettati con la volontà e col consenso dei genitori, anzi
da loro stessi offerti, e con la testimonianza di molte persone, in modo da
eliminare ogni occasione a causa degli uomini più cattivi. 6. Bisogna poi
usare la più diligente premura nei loro riguardi cosicché possano essere
istruiti ragionevolmente in tutti gli esercizi della virtù, nelle parole,
nella mente e nelle opere. 7. Qualunque cosa si sarà istillata nell'animo
ancora tenero e di giovane età, la si conserverà con più fermezza e tenacia
in futuro.
8. Si devono dunque
incaricare della cura dei fanciulli coloro che prima d'ogni altra qualità
avranno dato serie prove di sé nella virtù della pazienza, che secondo il
grado della colpa e dell'età possano usare per ognuno una certa misura nella
correzione,
9. e che ancora li tenga lontani dai discorsi oziosi,
dall'iracondia, e dagli allettamenti della gola, come pure da tutti i
costumi meno decorosi e disordinati.
10. Se poi col
progredire dell'età non si nota nei fanciulli alcun profitto nello zelo, ma
avranno la mente volubile, e l'animo vuoto e gonfio anche dopo adeguati
ammaestramenti sarà rimasto sterile, 11. questi tali bisogna mandarli via, e
ciò soprattutto quando l'ardore giovanile è di provocazione per un'età
inesperta.
12. Per quelli
invece che si dànno al servizio di Dio in età già matura si deve
investigare, come abbiamo detto, il genere di vita condotto precedentemente;
13. e basterebbe anche questo fatto stesso, se richiedono di dedicarsi al
servizio di Dio, e anche se è vero e ardente il loro desiderio per il divino
ufficio. 14. Tali ricerche le devono fare quelli che potranno trattare e
provare simili argomenti con molta prudenza. 15. Dopo essere stati
accettati, se per disgrazia dovessero venir meno alla loro vocazione, non si
devono più nemmeno vedere, come quelli che hanno peccato contro Dio, e
davanti a lui hanno trasgredito il patto della loro professione. 16.
Anche se un uomo, così è detto,
avrà peccato contro un altro uomo,
vi saranno quelli che pregheranno il Signore per lui; ma se avrà peccato
contro Dio, chi pregherà per lui?
(1 Re, 2, 25).
Ottava questione
1. Chi si è
dedicato a una vita pia e religiosa deve osservare anche la continenza?
Risposta.
2. Che la continenza sia necessaria in tutto è ben manifesto, anzitutto dal
fatto che Paolo tra i frutti dello Spirito Santo nomina anche la continenza.
3. E poi dimostra che il servizio di Dio si può conservare nella sua purezza
mediante essa, quando afferma:
Nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni, nella castità (2 Cor.
6, 5-6). 4. E ancora altrove dice:
Nella fatica e nella stanchezza,
nelle molte veglie, nella fame e nella sete, nei frequenti digiuni
(2 Cor. 11, 27). 5. E inoltre:
Chi si appresta a lottare in una
gara si astiene da tutto
(1 Cor. 9, 25). 6. E
di nuovo:
Tormento il
mio corpo e lo riduco alla servitù (1 Cor. 9, 27). 7. Tutto
ciò non sembra si possa effettuare se non con la continenza. 8. Anche il
fermento della gioventù e l'ardore dell'età si può ridurre e reprimere come
con un freno solo per mezzo della continenza. 9.
Non sono convenienti le delizie per lo stolto, secondo
Salomone (Prov. 18, 2). 10. Dice l'Apostolo:
Non prendetevi tanta cura della
carne da svegliarne le concupiscenze (Rom. 13, 14). 11. E
ancora:
una vedova
che si trova nelle delizie è come morta, benché ancora in vita
(1
Tim.
5, 6). 12. Ma anche l'esempio del ricco che viveva nei piaceri mostra che ci
è necessaria la continenza, perché anche noi non abbiamo a sentirci dire
quello che dovette ascoltare il ricco:
Hai ricevuto il bene nella tua vita
(Luc. 16, 25). 13. Quanto sia pericolosa l'incontinenza lo
insegna anche l'Apostolo, quando la attribuisce proprio a quelli che afferma
si allontanano da Dio, dicendo:
Negli ultimi giorni incalzeranno tempi pericolosi, poiché gli uomini saranno
amanti di se stessi (2
Tim. 3, 1-2); 14. e,
dopo aver enumerate molte specie di malizia, alla fine aggiunse:
Malfattori,
incontinenti, inumani (2 Tim. 3, 3). 15. Lo stesso Esaù ebbe a
stimolo dei suoi mali l'incontinenza, egli che per un semplice cibo vendette
la sua primogenitura. 16. Perfino la nota prima prevaricazione non accadde
all'uomo da altra fonte che dall'incontinenza. 17. Ogni vita dei santi, e la
stessa vita terrena del Signore, quali altri esempi ci propongono se non
quelli della continenza? 18. Anche Mosè, dopo aver compiuto un digiuno
continuato per quaranta giorni senza uscirne indebolito, si afferma che
meritò da Dio di comunicare al genere umano l'aiuto della legge. 19. E così
pure è detto che Elia fu ritenuto degno della visione di Dio dopo che
anch'egli si era astenuto dal cibo per un uguale spazio di tempo. 20. Ma
anche il merito di Daniele e dei tre giovani presso Dio, col quale
riportarono trionfo su tutti i loro nemici e sullo stesso tiranno, non ebbe
altra causa che la continenza. 21. Tutta la vita di Giovanni fu continenza.
22. Da essa anche il Signore rese noti i primi inizi della sua
manifestazione.
23. La chiamiamo
continenza non per il fatto che ci si debba astenere dal cibo del tutto, ciò
che significa stroncare violentemente la vita, ma consideriamo tale quella
continenza, per la quale l'uso della vita risulta non superfluo, ma
necessario; 24. se evitiamo quanto è piacevole, compiamo ciò che richiede
solo la necessità del corpo. 25. E, per dirla in breve, la virtù della
continenza consiste nell'astenersi da tutto ciò che viene ricercato con un
desiderio passionale. 26. E perciò dunque non solo nel mangiare cibi e nel
piacere si riconosce la virtù della continenza, ma quando ci asteniamo da
tutte quelle cose, nelle quali proviamo sì una dilettazione carnale, ma
restiamo offesi nell'anima. 27. Il vero continente non desidera nemmeno la
gloria umana, ma si tiene lontano dai vizi, dall'ira, dalla tristezza, e da
tutto ciò che suole tenere troppo impegnate le anime incolte e imprudenti.
28. Quasi in tutti
i comandamenti di Dio constatiamo; che uno è strettamente unito all'altro,
ed è impossibile che uno venga osservato senza che si osservi anche l'altro.
29. E tanto si nota specialmente proprio nella continenza; poiché viene
giudicato umile chi tiene a freno la superbia e rinunzia a tutti i suoi
averi e secondo il Vangelo vende tutto il suo e lo distribuisce ai poveri,
chi senz'altro contiene il desiderio del denaro. 30. Ma anche sarà mansueto
chi contiene l'ira e respinge lo sdegno sfrenato. 31. Che cosa d'altro
regola e trattiene gli sguardi instabili degli occhi, e quanto deve arrivare
agli occhi, e anche l'intemperanza della lingua se non la continenza? 32. La
continenza riduce a giusta misura anche il riso smoderato: come è segno di
incontinenza ridere con movimenti disordinati e scomposti, mentre si
dovrebbe mostrare la letizia dell'animo soprattutto col solo sorriso; 33. è
indecoroso ridere sguaiatamente, accompagnando il riso con rumori striduli,
ciò che certo suole accadere per incontinenza dell'animo anche a chi non lo
vorrebbe, cosa questa che per lo più snerva e svigorisce la gravità e la
costanza dell'animo. 34. Perciò anche Salomone dice:
Il riso l'ho definito stoltezza (Eccli. 2, 2). 35. E ancora:
Il riso
degli stolti è come il crepitio delle spine sotto la pentola (Eccli.
7, 7). 36. E di nuovo:
Lo stolto alza la sua voce nel riso, mentre l'uomo saggio riderà appena e
silenziosamente (Eccli. 21, 23).
37. Anche il
Signore del resto dimostra di aver avuto delle passioni proprie della carne,
cioè quelle che testimoniassero della sua virtù, come la stanchezza, il
pianto e l'afflizione; 38. mai però si riscontra che sia ricorso al riso
smodato, per quanto possiamo conoscere dalla storia del Vangelo. 39. Ma si
conosce piuttosto che compiange quelli che ridono, quando dice:
Guai a voi che ora ridete, perché
piangerete (Luc. 6, 25). 40. Non ci deve affatto ingannare la
somiglianza del nome del riso. 41. È uso della Scrittura dare il nome di
riso qualche volta alla letizia dell'anima, e ad un affetto più allegro. 42.
Nella Sacra Scrittura Sara dice:
Dio mi provocò col riso (Gen. 21, 6). 43. E inoltre:
Beati quelli
che piangono ora perché rideranno (Luc. 6, 21). 44. Anche in
Giobbe è detto:
La bocca dei sinceri si riempirà di riso (Giob. 8, 21). 45.
Tutte queste denominazioni si intendono per la gioia dell'anima. 46. Chi
dunque è libero da ogni passione e non ha nulla per eccitazione delle
passioni, ma si sforza con temperanza e sobrietà contro tutto ciò che può
recare danno, questo si chiama perfetto temperante, e per questo
certo lo si riscontra lontano da ogni genere di peccato. 47.
La concupiscenza è la trappola di ogni male; e mediante essa tutti ci
lasciamo illudere e arriviamo al peccato. 48. Per essa chi se ne libera e
non se ne lascia sopraffare, distrugge da se stesso tutti i peggiori germi
del peccato.
Nona questione
1. Qual è una buona
norma per la continenza?
Risposta.
2. Per quello che si riferisce ai vizi e alle passioni, astenersene del
tutto e non lasciarsene vincere; 3. riguardo poi ai cibi, la loro qualità e
misura sarà regolata secondo che richiedono gli usi, l'età, il lavoro, la
forza del corpo o la sua debolezza. 4. Non è possibile che tutti i fratelli
seguano uno stesso ordinamento o metodo e una sola regola nei cibi. 5. Ma
quelli che sono sani possono tutti osservare la stessa misura
nell'astinenza. 6. Si deve invece seguire un criterio di variazione per i
singoli, per i quali si presenta qualche motivo di differenza, con la
saggezza e la precauzione di coloro, ai quali è affidata la cura della
distribuzione. 7. Non possiamo abbracciare la questione per i singoli casi,
ma solo quel tanto che riguarda la regola comune e valida per tutti. 8. I
superiori, a seconda della situazione e dell'ordine, procureranno un
sollievo a chi prova disagio nei cibi, a quelli cioè che sono ormai stanchi
a motivo dell'esercizio della continenza o per ogni altro lavoro compiuto
per la religione.
9. Non si può
neanche stabilire il tempo della refezione per tutti, né il metodo né la
qualità del cibo, ma per tutti valga la prospettiva che non si arrivi a
mangiare sino alla sazietà. 10. Riempirsi il ventre e caricarsi di cibo
è
molto inutile anche
al corpo per compiere qualunque azione. 11. E anche perché il corpo diventa
più pesante per l'eccesso del sonno e perché può essere facilmente
danneggiato da tutto ciò. 12. Non bisogna neppure ricercare cose più dolci e
prelibate alla fine dei pasti, ma basta appagare l'esigenza della vita,
rinunziando alla lussuria. 13. Se infatti serviamo il piacere non facciamo
altro che rendere dio il nostro ventre. 14. Poiché il nostro corpo invecchia
e s'indebolisce, e perciò ha bisogno di essere rinvigorito e riportato allo
stato di prima; 15. perciò è anche naturale il desiderio del cibo, ciò che
richiede secondo un giusto ordine la stessa utilità di ristorare quanto è
esausto e consumato, e questo vale tanto per un nutrimento solido come per
quello liquido. 16. Se dunque vi è qualche cosa che può soddisfare più
presto e più facilmente questa necessità del corpo in fatto di cibi, quella
è da scegliere a differenza di altre. 17. E anche il Signore, come credo,
questo ci mostra quando nel deserto ristora gli affamati; 18. perché, pur
potendo distribuire loro cibi più abbondanti con un miracolo più grande, non
fece nulla di questo, ma diede loro semplicemente il vitto; 19. e secondo
Giovanni imbandì loro cinque pani d'orzo e due piccoli pesci; ma non vi fu
neppure un cenno di bevanda. 20. Da ciò senza dubbio si mostra che a tutti
potrebbe essere sufficiente e molto necessario l'uso dell'acqua, a meno che
forse qualcuno non abbia a riportare danno da ciò per un'infermità
corporale; 21. e questo tale, certamente, secondo il consiglio dell'Apostolo
nella lettera a Timoteo, deve guardarsi da quanto è nocivo. 22. Ed anche
qualunque altra cosa è chiaramente nociva al corpo si deve evitare. 23.
Sembra infatti assurdo prendere il cibo per la forza del corpo, e poi
procurargli una rovina proprio con i cibi, e così renderlo inutile
all'osservanza delle regole. 24. Tuttavia ci si deve in ogni modo servire di
quei cibi che si possono comprare facilmente e a minor prezzo, cosicché non
ci avvenga di ricercare, col pretesto dell'astinenza, tutte le cose più
prelibate e più difficili ad aversi, cercando di portare con la gustosità
dei condimenti cibi di poco pregio per loro natura a un sapore gradevole e
squisito. 25. Ma se vi è qualche cosa che nella propria regione si può
comprare più facilmente e a poco prezzo, e che gli uomini comunemente usano,
quella si deve riservare anche ai nostri usi, 26. e inoltre ricercare solo
quanto è assolutamente necessario alla vita, come l'olio e altro del genere,
27. o anche qualche cosa che si usa per sollievo degli infermi.
Decima questione
1. Come dobbiamo
comportarci riguardo all'ordine dei posti a tavola e dei sedili, se si
presenta l'occasione?
Risposta.
2. Abbiamo il precetto del Signore che in ogni cosa ci ammaestra all'umiltà,
e anche in esso tratta proprio di questo, che quando partecipiamo a un
banchetto, ricerchiamo l'ultimo posto per accomodarci e non occupiamo il
primo. 3. Bisogna dunque sapere che dove ci riuniamo tutti insieme con un
solo intento e proposito, soprattutto se abbiamo già dato prove in molte e
più importanti
cose della nostra umiltà, è
conveniente che ciascuno desideri di scegliere per primo un posto
secondario, secondo il precetto del Signore. 4. Ma al contrario, se la
questione arrivasse fino alla contesa per questo motivo, e uno tentasse di
cacciare un altro da un posto inferiore, è completamente riprovevole. 5. Da
ciò sorge un motivo di turbamento e d'inquietudine, se nessuno comincia a
cedere all'altro; e se si provocassero liti per questa ragione, sarebbe come
se si disputasse per i primi posti. 6. Perciò si deve anche in questo campo
esaminare con prudenza che cosa compete a ognuno di noi, 7. oppure
senz'altro avere riguardo per chi ha ricevuto l'incarico di provvedere, e
ubbidire in tutte le cose, 8. e anche nel porsi a tavola osservare un
ordine, in modo da adempiere quello che è stato detto:
Tutte le vostre cose si
facciano onestamente e in ordine
(1 Cor. 14, 11).
Undicesima questione
1. Qual è l'abito degno e decoroso per il Cristiano?
Risposta. 2.
Poiché il discorso nelle precedenti questioni ha avuto lo scopo di insegnare
come necessaria l'umiltà, in modo che chi vuole condurre una vita devota e
pia ricerchi in tutto ciò che è semplice e di poco pregio, cioè quello che
si acquista con poca spesa, 3. credo che si debba seguire la stessa
direttiva nelle necessità temporali, perché non siano per noi occasioni di
eccessive sollecitudini. 4. Credo dunque che ciò vada osservato anche nella
cura degli indumenti. 5. Se dobbiamo aver cura di essere inferiori a tutti e
ultimi fra tutti, è certo che anche per gli abiti ci dobbiamo ritenere al di
sotto di tutti. 6. Poiché, se coloro che ricercano per se stessi la gloria
anche dal fasto dei vestiti, curano abbastanza il modo per essere ammirati
ricoperti di vesti preziose e magnifiche, 7. così ne viene di conseguenza
che colui, il quale si sforza di piacere con mezzi più bassi e del minimo
valore, cioè con straordinaria umiltà, debba scegliere ciò per cui apparisca
l'ultimo e il meno pregevole di tutti; 8. come il primo al contrario brama
ardentemente di apparire più illustre e più nobile servendosi dei mezzi più
grandiosi e più preziosi.
9. Se gli abitanti
di Corinto vengono rimproverati perché nel banchetto pubblico fanno restar
confusi con la loro abbondanza quelli che non possiedono, 10. è ben certo
che anche in questo modo di vestire semplice e comune per tutti, che
appartiene al modo di vedere e al costume generale, se un abito è diverso
dall'altro o si riscontra più prezioso, facciano arrossire chi ne è
sprovvisto. 11. Per questi costumi anche l'Apostolo ha stabilito
sufficientemente una regola con poche parole, affermando:
Avendo vitto e vestito, di questi siamo contenti (1 Tim. 6,
8). 12. Mostra così che abbiamo bisogno dell'abito solo per coprirci, e non
di pavoneggiarci con la varietà degli abiti o col loro ornamento o con la
loro bellezza. 13. Tutte cose che sono state introdotte posteriormente,
procurate con gli artifici propri della vita terrena e col gusto della
lussuria. 14. Ma anche la prima ben nota utilizzazione dell'indumento ha
questo stesso significato, quando si narra che Dio fece ai primi uomini
tuniche di pelle. 15. Era del resto sufficiente l'uso di un simile vestito a
coprire le parti vergognose.
16. Ma poiché il
nostro intento è anche quello di riscaldarci e di proteggerci, sembra
necessario regolare l'uso stesso ad ambedue gli scopi, così da coprire la
nudità e difendersi dal rigore del freddo e da tutto ciò che reca danno
internamente, 17. Siccome poi tra i modi di vestire alcuni sono più pregiati
e altri di qualità inferiore, ne segue che noi dobbiamo scegliere quelli che
consentano un uso più duraturo. 18. Così in nulla sia offesa la regola della
povertà volontaria, e cioè che non abbiamo degli abiti preparati per le
comparse in pubblico e degli altri per l'uso domestico, e ancora degli altri
per altre ore, o alcuni per la notte e altri per il giorno; 19. ma è
necessario che il vestito sia uno solo e tale che ci possa bastare in tutte
le occasioni; di giorno apparisca come vestito decoroso, e di notte
soddisfi, alle necessità particolari. 20. Da ciò seguirà che il nostro abito
sia comune, uguale e della stessa forma per tutti, e anche il solo vederlo
designi il cristiano, poiché tutte quelle cose che si fanno con lo stesso
intento e con lo stesso proposito devono essere simili, anzi uguali per
tutti.
21. È utile inoltre
che ognuno sia notato anche dalla natura propria del modo di vestire e
dell'abito stesso, e che si riconosca la sua professione dalla vita che
conduce secondo Dio, in modo che sappia che anche le sue azioni. devono
essere della stessa natura; 22. e che dobbiamo mostrarci coerenti anche
nelle opere, a quelli che ci vedono rivestiti del nostro abito. 23. Non è
così vergognoso l'agire disonestamente in chiunque altro come in quelli che
professano una vita sobria anche con lo stesso abito.
24. Se qualcuno vedesse per la strada un uomo percuotere un altro, o
bastonarlo pubblicamente, oppure gridare sguaiatamente, o condurre una vita
vergognosa nelle taverne o in altri luoghi, neanche lo guarderebbe un tale
uomo né gli presterebbe attenzione, sapendo che quel tale compie questi atti
in conformità a tutta la sua vita. 25. Se invece si tratta di uno che
professa una vita nobile e viene scoperto a compiere anche un minimo atto
meno conveniente, tutti lo notano e lo riprovano e si spingono fino al
disprezzo della religione.
26. Perciò è come una guida per i più deboli quest'abito più religioso,
tanto che trattiene da opere disoneste e poco decenti anche i più ribelli.
27. In fine anche l'Apostolo raccomanda che il vescovo sia ordinato, cosa
che si riferisce piuttosto all'abito. 28. Ma anche delle donne afferma che
devono essere ordinate nell'abbigliamento. 29. Ordinato si chiama
quell'abito del cristiano che si riconosce adatto alla sua vocazione e
professione.
30. Come il soldato
ha qualche cosa di proprio nella forma del vestito, ed è diverso il vestito
di un senatore, e proprio da ciò si distingue tanto chi è senatore quanto
chi è militare; 31. così anche il cristiano deve mostrare qualche cosa di
proprio anche da un'ordinata disposizione del suo modo di vestire.
32. Per le
calzature si osserverà pure il medesimo criterio: che, cioè, si scelga
quanto vi è di più semplice, di più disponibile e adatto alla nostra
vocazione, e sufficiente alle nostre necessità. 33. La necessità dell'uso
della cintura è dimostrata anche dai santi che ci hanno preceduto. 34.
Infatti è detto che Giovanni si cingeva i fianchi di una cintura di pelle, e
prima di lui Elia; viene designato precisamente come un capo di vestiario a
lui proprio, quando è detto:
Uomo peloso
e portava una cintura di pelle attorno ai suoi fianchi
(4 Re
1, 8). 35. È dichiarato che anche Pietro usava la cintura, come lo sappiamo
dalle parole dell'angelo, che furono rivolte a lui:
Mettiti la
cintura, dice, e calzati i sandali
(Atti 12, 8). 36. Per
la profezia di Agab sappiamo che anche Paolo portava la cintura:
L'uomo di
cui è questa cintura così lo legheranno in Gerusalemme (Atti 21,
11). 37. Ma anche Giobbe si sente dire dal Signore:
Mettiti la
cintura intorno ai fianchi come un uomo
(Giob.
38, 3). 38. Sembra veramente che sia segno di una certa virtù e di animo
pronto all'azione l'uso del cingolo. 39. Inoltre sembra che l'uso della
cintura fosse costume dei discepoli del Signore, ai quali si proibiva di
avere denaro nelle loro cinture. 40. Si può ritenere necessario che chi deve
servirsi dell'opera delle mani in qualche cosa abbia la cintura, e si trovi
preparato in tutto e senza alcun impedimento a compiere ogni opera buona.
41. Perciò ha bisogno del cingolo, perché la tunica sia ben stretta intorno
al corpo, in modo da poter essere più favorito, se è cinto da tutte le
parti, e da non incontrare ostacolo a ogni cosa che si dispone a compiere.
42. Riguardo al numero dei vestiti non possiamo dire nulla, poiché è
prescritto con chiara precisione, là dove si dice:
Chi ha due tuniche, ne dia una a chi
non l'ha. 43. Da ciò risulta certamente illecito avere più
abiti. 44. Dunque si può prescrivere qualche norma riguardo alla diversità
degli abiti per chi non può possedere due tuniche?
Dodicesima questione
È lecito ad uno dichiarare bene
quello che a lui sembra tale secondo la sua opinione, senza la testimonianza
della Scrittura?
Risposta. 2.
Nostro Signore Gesù Cristo dice dello Spirito Santo: Non parlerà da se
stesso, ma tutte le cose
che udrà, quelle dirà (Giov. 16, 13); 3. e di se stesso
dice: Il Figlio non può fare nulla da
se stesso (Giov. 5, 19);
4. e ancora:
Non ho parlato da
me stesso, ma il Padre che mi ha mandato mi ha imposto quello che devo dire
e parlare; e so che il suo comandamento è la vita eterna
(Giov. 12, 49 e 50). 5.
Le cose dunque che dico, come il Padre me le ha dettate, così le affermo
(Giov. 12, 50). 6. Chi può arrivare a tanta avventatezza
da osare di dire o pensare qualche cosa da se stesso? 7. Anzi si deve sapere
che tutti abbiamo bisogno dello Spirito Santo come guida del nostro viaggio,
perché egli ci dirige nella via della verità, nel pensiero, nelle parole e
nelle azioni. 8. È cieco e vive nelle tenebre ognuno che è senza il sole di
giustizia, che è nostro Signore Gesù Cristo, che ci illumina coi suoi
comandamenti, come con dei veri raggi. 9.
Poiché il
comandamento del Signore, come è detto,
è splendente e dà luce agli occhi
(Salmo
18, 9). 10. Poiché tutto ciò che intercorre fra noi negli atti come nelle
parole in alcuni casi è precisato nelle divine Scritture per comando di Dio,
in altri invece viene taciuto, di quanto è scritto a nessuno è data licenza
alcuna di ammettere ciò che si deve proibire o di omettere ciò che è
comandato; 11. così ha stabilito il Signore stesso dicendo:
Custodisci questa parola che io
t'ordino oggi; niente vi aggiungerai e niente ne toglierai (Deuter.
4, 40). 12. Ma è anche terribile l'attesa del giudizio e l'ardore della
fiamma, che consumerà i nemici e quelli che hanno osato compiere una tale
azione.
13. Per quanto poi
si riferisce a cose che la Scrittura ha taciute, l'Apostolo ci ha stabilito
con chiarezza una regola, dicendo:
Tutto è lecito, ma non tutto
conviene; tutto è lecito, ma non tutto edifica (1 Cor. 6, 12).
14.
Nessuno
ricerchi il proprio vantaggio, ma quello degli altri (Fil. 2,
4). 15. Perciò in tutti i modi dobbiamo compiere non ciò che è lecito a noi,
ma quello che edifica il prossimo, e non piacere a noi, ma al prossimo, per
la sua edificazione. 16. Infatti è scritto:
Siate soggetti gli uni agli altri
nel timore di Cristo (Ef. 6, 21). 17. E ancora il Signore
dice:
Se qualcuno
vuole essere maggiore fra voi, diventi l'ultimo, e il servo di tutti (Luc.
22, 26). 18. Naturalmente chi vuole adempiere ciò sopprime i suoi voleri,
imitando il Signore stesso che dice:
Sono disceso dal cielo, non per fare
la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato, il Padre (Giov. 6,
38). 19. E di nuovo il Signore prescrisse:
Se qualcuno
ti vuole obbligare a fare mille passi, va con lui per altri due (mila)
(Matt.
5, 41).
Tredicesima questione
1. Se è doverosa
l'ubbidienza a tutti e a chiunque.
Risposta.
2. La differenza o diversità di quelli che comandano non deve ostacolare il
buon proposito di quelli che ubbidiscono, perché neanche Mosè si comportò
smodatamente col suocero Ietro, per il fatto che dava consigli utili e
giusti. 3. In realtà la diversità delle ammonizioni non è piccola: alcune
sembrano essere contrarie ai comandamenti di Dio, altre sembrano spezzare a
metà il comando, o contaminarlo, altre poi vengono a proposito per
l'osservanza del comandamento e per l'edificazione. 4. È dunque necessario
ricordare il precetto apostolico che dice;
Non disprezzate le profezie; tutto mettete alla prova, ritenete quello che è
buono; da ogni apparenza di male astenetevi
(1 Tess.
5, 20 e 21 e 22). 5. E di nuovo:
purificate i pensieri e distruggete
ogni fortezza che si innalza contro la conoscenza di Dio, rendete docile
ogni intelletto all'obbedienza di Cristo (2 Cor. 10, 4 e 5).
6. Se vi è dunque qualche cosa che si confà al comandamento di Dio e
conviene all'anima, e ci sia stato comandato da qualcuno, lo dobbiamo
accogliere come volontà di Dio prontamente e volentieri, e compiere quel che
è detto:
Ubbidiente
nella carità di Cristo (Ef. 6, 1 senso). 7. Se
poi siamo comandati da qualcuno a compiere qualche azione contraria ai
comandamenti di Dio, o che sembri corromperlo o contaminarlo, è quello il
momento buono per dire:
Ubbidire piuttosto a Dio che agli uomini (Atti 5, 29). 8. E
ricordare ancora il Signore che dice di tutti i suoi:
Dell'estraneo non seguono la voce,
ma fuggono da lui, perché non conoscono la voce degli estranei (Giov.
10, 5). 9. Ma dobbiamo anche ricordarci del santo Apostolo che, per nostra
protezione, ha osato di non risparmiare neanche gli Angeli, dicendo:
Anche se un
angelo del cielo vi avesse annunziato il vangelo diversamente da come ve lo
annuncio io, sia anatema (Gal. 1, 8). 10. Da ciò siamo
ammaestrati che, sebbene uno ci sia molto caro, sebbene sia considerato
eccellente, e sia stato proposto all'ammirazione, e ci impedisca di fare ciò
che è comandato dal Signore, 11. o anche comanda ciò che il Signore ha
proibito, questo tale deve essere esecrabile per tutti quelli che amano il
Signore.
Quattordicesima questione
1. Chi serve Dio
quale affetto deve avere? e anche questo stesso affetto in che cosa
consiste?
Risposta.
2. Affetto o animo buono ritengo che si abbia quando vi è in noi il
desiderio ardente, inappagabile e permanente di piacere a Dio. 3. Un tale
affetto si mette
in atto mediante la ricerca, cioè quella
scienza, con la quale possiamo vedere e contemplare profondamente la
magnificenza della gloria di Dio, mediante i pensieri pii e puri, e il
ricordo delle cose buone donate a noi da Dio; 4. e dal loro ricordo sgorga
nell'animo l'amore del Signore Dio suo, cosicché lo ami con tutto il suo
cuore, con tutta la sua anima, e con tutta la sua mente, secondo quel tale
che diceva:
Come il
cervo anela alla fonte dell'acqua così l'anima mia anela a te, o Dio
(Salmo
41, 2). 5. Con questo affetto dunque si deve servire il Signore, e così si
adempirà ciò che è stato detto dall'Apostolo:
Chi ci
separerà dall'amore di Cristo? la tribolazione?
o l'angustia? o la spada?
ecc. (Rom.
8, 35).
Quindicesima questione
1. Quale sentimento
deve avere di se stesso il superiore in quanto prescrive e comanda?
Risposta. 2. Precisamente davanti a Dio si deve considerare
come servitore di Cristo e dispensatore dei misteri di Dio. 3. Col timore di
dire o comandare qualche cosa contro la volontà di Dio o contro ciò che è
prescritto chiaramente nelle Sacre Scritture, 4. e di essere trovato come
falso testimonio di Dio, o sacrilego, 5. o come chi introduce qualche cosa
estranea all'insegnamento del Signore. 6. Per i fratelli poi deve essere
come una madre che nutre i suoi piccoli, preparato a dividere con loro,
secondo la volontà di Dio e secondo quanto conviene a ciascuno, non solo il
Vangelo, ma anche la sua vita, 7. memore del comando di Dio e nostro Signore
che dice:
Vi dò un
nuovo comandamento, che come io ho amato voi così vi amiate fra voi. (Giov.
13, 34). 8.
Nessuno ha un maggiore amore di questo, del dono cioè della sua vita per
quelli che ama (Giov. 15, 13).
Sedicesima questione
1. Come
rimproverare e correggere chi commette delle mancanze?
Risposta. 2. Come è
prescritto dal Signore che dice:
Se un tuo fratello avrà peccato
contro di te, va e correggilo da solo a solo (Matt. 18, 15). 3.
Se ti ascolterà, avrai guadagnato un tuo fratello (Matt. 18, 15). 4.
Ma se non ti ascolterà prendi con te un'altra persona, o anche due, in modo
che per bocca di due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa (Matt. 18, 16). 5.
E se non ascolterà nemmeno loro, fallo sapere alla Chiesa, se poi non
ascolterà nemmeno la Chiesa, diventi per te come un pagano e un pubblicano
(Matt. 18, 17). 6. Può
darsi che una riprensione come questa, che viene praticata da più persone,
sia salutare per chi ha mancato: 7. e come ha detto l'Apostolo:
Rimprovera, sgrida, consola con tutta la pazienza e la dottrina (2 Tim. 4, 2). 8. E di
nuovo:
Se qualcuno non ascolta la nostra parola scritta nella lettera, notatelo,
affinché non abbiate alcuna relazione con lui, e senza dubbio si
tratta della comunanza di mensa (2
Tess. 14).
Diciassettesima questione
1. E se qualcuno
vorrà trattare duramente i fratelli per delle piccole mancanze, perché non
sembri troppo debole e che manchi alla carità, dicendo: dovete pentirvi di
ogni singolo peccato?
Risposta. 2.
Poiché il Signore ha affermato:
Nessun iota e nessun apice
passerà della legge finché tutto sia compiuto (Matt. 5, 18), 3. e di
nuovo ha dichiarato:
Anche di ogni discorso ozioso che
sia stato fatto dagli uomini ne renderanno conto nel giorno del giudizio
(Matt. 12, 36), non si
deve nulla disprezzare come piccolo. 4.
Chi disprezza le
piccole cose a poco a poco cade (Eccli. 19, 1).
5. Ma come si ardirà parlare di colpe piccole o di poco conto, quando
l'Apostolo dice e chiaramente stabilisce:
La
violazione della legge rende disonore a Dio (Rom.
2, 23)? 6.
Ma anche, si afferma, che
il
pungiglione della morte è il peccato (1
Cor. 15, 56).
7. E non ha detto di questo o quel peccato, ma di
ogni peccato. 8. È dunque più spietato chi lascia andare e trascura di chi
rimprovera; come chi permette che il veleno del morso di un serpente penetri
profondamente è più riprovevole di chi lo estrae e lo tira su. 9. Ma anche
la carità è ridotta al nulla da chi, secondo quanto è scritto,
risparmiando il bastone, odia suo figlio, mentre chi lo ama lo corregge con
prudenza
(Prov.
13, 24).
Diciottesima questione
1. In qual modo si deve fare penitenza per ogni colpa commessa?
Risposta. 2.
Sarà da accogliere in se stessi lo stesso sentimento provato da colui che
dice:
Ho odiato e aborrito l'iniquità
(Salmo 118, 136). 3.
Così pure accettare tutto quello che è scritto nel sesto Salmo, e in molti
altri,
4. o anche quanto ha detto
l'Apostolo a quelli che furono contristati secondo Dio:
Quanta premura vi ha elargito, anzi quanta difesa, quanta indignazione,
quanto timore, quanta emulazione, quanto zelo. In tutto avete dimostrato di
essere innocenti in quella questione (2 Cor.
7, 11). 5. Ma, come fece anche Zaccheo, farà bene a compiere
molte azioni contrarie alle colpe commesse.
Diciannovesima questione
1.
Quali sono
i frutti degni di penitenza?
(Luc.
3, 8).
Risposta:
2. Le opere che sono contrarie al peccato, ecco i frutti della giustizia,
che deve produrre colui che vuole, secondo quanto è scritto, dare
buoni frutti
in ogni opera buona (Col. 1, 10).
Ventesima questione
1. Che dire di
colui che con la bocca dice di pentirsi, ma non si corregge del suo peccato?
Risposta. 2. Di un uomo
tale è stato scritto:
Se un tuo nemico ti pregherà a gran
voce, non prestargli fede, poiché vi sono sette iniquità nella sua anima
(Prov. 26, 26). 3. E
altrove:
Come il cane che torna al suo vomito si rende odioso, così l'uomo che nella
sua malizia ritorna al suo peccato (Prov. 26, 11).
Ventunesima questione
1. Chi vuole
confessare i suoi peccati, li deve accusare davanti a tutti, o a chiunque,
oppure a determinate persone?
Risposta. 2. È ben manifesta la misericordia di Dio verso i
peccatori, come è scritto:
Che non vuole la morte del
peccatore, ma che piuttosto si converta e viva (Ebr. 18, 23).
3. Poiché dunque il modo della conversione deve essere ben preparato, anche
i frutti di chi si converte dal peccato devono dimostrarsi buoni attraverso
la penitenza, secondo quanto è scritto:
Producete frutti degni di penitenza (Lue, 3, 8); 4. perché a
quelli che non si pentono non abbia a succedere quello che è loro minacciato
con le parole:
Ogni albero
che non reca buoni frutti sarà tagliato e gettato al fuoco (Matt.
3, 10), 5. è quindi necessario che si accusino i peccati a quelli che hanno
avuto il compito di distribuire i misteri di Dio. 6. Così del resto sappiamo
che nell'antichità
i penitenti si confessavano dei loro peccati alle persone sante. 7. In
verità è scritto nel Vangelo che i peccati si accusavano a Giovanni
Battista, 8. e negli Atti degli Apostoli è detto che altrettanto si faceva
nei riguardi degli Apostoli, dai quali si riceveva il battesimo.
Ventiduesima questione
1. In quale
condizione si trovano quelli che si sono pentiti di un peccato, e poi di
nuovo sono ricaduti proprio in quello stesso peccato?
Risposta.
2. Chi pecca una volta e di nuovo cade nello stesso peccato sembra che
voglia dimostrare di se stesso che non si è purificato di quel primo
peccato, dal quale, come dalla più marcia radice, sono sorti gli stessi
germi di prima. 3. Come uno che taglia i rami di un albero e lascia la
radice, che rimane intatta, ne germoglieranno di nuovo polloni della stessa
specie, così avviene per il peccato. 4. Poiché non tutti quelli che peccano
cominciano dagli stessi peccati, ma qualche volta l'occasione di peccato
nasce da altri. 5. È dunque necessario per chi vuole purgarsi del tutto dal
peccato che tagli alla radice le vere cause della colpa. 6. Ad esempio: se
si tratta di contesa o di invidia, l'occasione del peccato non comincia da
ciò stesso, ma ha la sua vera radice proveniente dall'arroganza e dalla
cupidigia della gloria umana. 7. Mentre infatti si cerca gloria dagli uomini
si provocano liti o si invidiano le persone che agiscono rettamente, e
specialmente quelli per i quali si crede di essere meno considerati e
ammirati. 8. Se uno dunque riscontra in se stesso il vizio dell'invidia e
della lite, e di nuovo sarà caduto nello stesso difetto, sappia che dovrà
chiudere nel più intimo del suo animo quella prima causa, di cui si parlava,
che produce invidia e desiderio di contese. 9. Bisogna che lui si curi con
atti contrari e opposti; e cioè attraverso l'esercizio dell'umiltà. 10.
Esercizi di umiltà sono quelli di sottomettersi all'adempimento di incarichi
di poco conto e di dedicarsi ai servizi più modesti. 11. Poiché in questo
modo potrà curarsi del difetto dell'arroganza e della gloria umana,
cosicché, una volta predisposto dall'abitudine dell'umiltà, non abbia più a
cadere nella colpa della prepotenza e della vana gloria. 12. Ma anche in
altri singoli vizi di questa specie si usi una cura simile.
Ventitreesima questione
1. Con quale
affetto o con quale sentimento si deve rimproverare chi risponde
insolentemente?
Risposta. 2. Ci si deve rivolgere a questo tale con
quell'animo che è suggerito dal beato David, che dice:
Ho visto quelli che non osservavano
la legge, e mi consumavo di pena, perché non custodirono le tue parole
(Salmo 118). 3. Per quelli che rimproverano si deve conservare
lo stesso affetto che ha il padre e il medico verso un figlio malato, e
questo allora specialmente, quando la qualità della cura si prevede
piuttosto dolorosa e severa.
Ventiquattresima questione
1. Con quale
affetto si deve ricevere la correzione?
Risposta. 2. Come si comporta un figlio malato verso suo
padre e verso il medico solleciti della sua vita: 3. il figlio sa bene che,
pure se gli viene offerta qualche cosa di aspro o di amaro per la sua cura,
né il padre può trascurare alcun rimedio per la salute del figlio né il
medico può sbagliare.
Venticinquesima questione
1. Come si può
definire chi si rattrista contro colui che gli muove rimprovero?
Risposta. 2. Chi si comporta in questo modo non conosce il
pericolo del peccato, soprattutto rispetto a Dio, né il frutto della
penitenza; 3. né dimostra di credere a Colui che ha detto:
Chi ama corregge con zelo e premura
(Eccli. 30, 1 senso). 4. Inoltre si priva del profitto che è
promesso con le parole:
II giusto mi
correggerà per la sua pietà, e mi rimprovererà (Salmo 140, 5).
5. Anzi un tale tipo rimane tra gli altri fratelli a loro danno, poiché
turba gli animi loro e li ostacola nel progresso.
Ventiseiesima questione
1. Quale giudizio
si deve dare di quelli che difendono coloro che peccano?
Risposta.
2. A quanto mi sembra, si deve giudicare in maniera ancora più grave di
quella minacciata dal Signore:
È meglio per lui che gli si sospenda
una macina da mulino al collo e sia precipitato nel mare, piuttosto che
abbia a scandalizzare uno di questi piccoli (Matt. 18, 6). 3.
In realtà non riceve una correzione per il suo miglioramento, ma una difesa
a confermarsi nella sua colpa colui che ha mancato, e anzi così provoca a un
male simile anche gli altri. 4. Cosicché a chi difende un colpevole conviene
quanto è stato detto:
Se non porterete frutti di penitenza, sarete tagliati e messi al fuoco (Luc.
3, 8). 5. O anche quello che dice il Signore:
Se il tuo
occhio destro avesse a scandalizzarti, cavalo e gettalo lontano da te (Matt.
18, 9). 6.
Ti è meglio perdere un membro che non far gettare tutto il tuo corpo nella
geenna (Matt. 18, 9).
Ventisettesima questione
Come ricevere chi è pentito di cuore?
Risposta.
2.
Come vuole il Signore, quando dice: Invitò gli amici e i vicini e disse:
Congratulatevi con me,
perché ho ritrovato la mia pecora che avevo perduta (Luc.
15,6).
Ventottesima questione
1. Come comportarci
verso chi non si pente della sua colpa?
Risposta. 2. Come prescrive
il Signore:
Consideralo come un pagano e un
pubblicano (Matt. 18, 17). 3. E
come insegna l'Apostolo:
Tenetevi lontani da ogni
fratello che agisce in maniera irrequieta, e non secondo le norme che vi
abbiamo trasmesse (2
Tess. 3, 6).
Ventinovesima questione
1. È conveniente
che chi convive con i fratelli possieda qualche cosa di proprio?
Risposta. 2. A ciò è contraria la testimonianza degli Atti
degli Apostoli dove si parla di quelli che abbracciarono la fede nei primi
tempi. 3. Ivi è detto così:
Nessuno affermava come proprio qualche parte dei suoi beni, ma tutto era
comune fra loro
(Atti 4, 32). 4. Se quindi qualcuno afferma come proprio
qualche cosa, senza dubbio si esclude dal numero dei chiamati da Dio e
dall'amore del Signore, che con la parola insegnò e con le azioni portò a
termine il suo insegnamento, e diede la sua vita per quelli che amava. 5. Se
dunque Egli offrì la sua vita per i suoi amici, come potremo noi rivendicare
come di nostra proprietà ciò che non appartiene alla vita?
Trentesima questione
1. Qualcuno
potrebbe dire: né do né prendo nulla dai fratelli, ma sono soddisfatto di
quanto è mio; che pensare di un tale?
Risposta. 2. Se non aderisce alla dottrina del Signore che
dice:
Amatevi
scambievolmente come vi ho amato io (Giov. 13, 34), 3. si uniformi a quella dell'Apostolo che afferma:
Togliete il
male da voi stessi, in modo che non accada che un piccolo
fermento corrompa tutta la massa (1
Cor. 5. 13).
Trentunesima
questione
1. Se qualcuno può
accettare qualche cosa dai congiunti secondo la carne.
Risposta. 2. È necessario che i parenti diano a quelli che
si dedicano al servizio di Dio quanto è di loro spettanza, senza ritenersi
nulla perché non incorrano nel peccato di sacrilegio. 3. Però non è
conveniente richiedere alcuna cosa alla presenza di coloro a cui si sa che
appartengono, in modo che a quelli non si dia occasione di altezzosità e di
superbia e nello stesso tempo non abbia a generare mortificazione nei
fratelli più poveri che seguono la stessa vita. 4. In tal modo accadrebbe
quello, per cui sono rimproverati i Corinti dall'Apostolo:
Voi date mortificazione a quelli che
non possiedono
(1 Cor. 11, 22). 5. E
perciò si devono offrire tutte le cose a quelli che nei vari luoghi
presiedono alle chiese, se sono distributori fedeli e prudenti, 6. imitando
coloro che, come è scritto negli Atti degli Apostoli, così si comportavano:
Offrendo i
prezzi dei loro possedimenti, li ponevano al piedi degli Apostoli (Atti
4, 34 e 35). 7. Ma poiché non è da tutti di compiere queste distribuzioni
con fedeltà, sarà bene che le offerte vengano fatte a quei tali che tutti
hanno esperimentati degni di un simile compito. 8. Tuttavia, riguardo a
questi beni, colui che presiede stabilirà assennatamente chi li debba
distribuire.
Trentaduesima questione
1. Come ci dobbiamo comportare con i nostri familiari, con i parenti e
con gli amici di un tempo?
Risposta. 2. Come ci mostrò il Signore allorché gli fu annunziato:
Tua madre e i tuoi fratelli sono fuori, e desiderano vederti (Luc. 8,
20); 3. ai quali rispose con tono di rimprovero, dicendo: Chi è mia
madre? e chi sono i miei fratelli? (Luc. 8, 21). 4. Chi avrà
compiuto la volontà del Padre mio, che è nei cieli, quello è mio fratello,
mia sorella e mia madre (Luc. 8, 21).
Trentatreesima questione
1. Se ci pregano
col proposito di volerci condurre con loro nelle loro case dobbiamo
acconsentire?
Risposta.
2. Si può mandare, col permesso del superiore, qualcuno che può andarvi per
il bene della fede. 3, Ma se si tratta solo di un favore umano, ascolti il
Signore che rispose a chi gli chiese:
Maestro, permettimi prima di andare
ad avvertire quelli che sono nella mia casa:
Nessuno che
mette mano all'aratro, e si rivolta indietro è degno del regno dei cieli
(Luc. 9, 59 e 60). Se questo è stato detto per la sola ragione
di dare una notizia a chi voleva andare a far sapere qualche cosa, che dire
di tutti gli altri?
Trentaquattresima questione
1. Come mai vaga di
qua e di là la nostra mente, e pensieri di diversa specie vengono al nostro
cuore? 2. e come ci possiamo correggere da questi inconvenienti?
Risposta.
3. La mente vaga qualche volta anche per l'ozio quando non ci occupiamo in
azioni del tutto utili; 4. ma, adagiata nella remissività e nella sicurezza,
non pensa alla presenza di Dio, che scruta i cuori e le intimità dell'animo.
5. Se veramente pensasse queste cose farebbe quanto è stato detto:
Avevo sempre
il Signore presente dinanzi a me, perché egli è alla mia destra, affinché io
non sia smosso
(Salmo 15, 8). 6. Chi
agisce così o in modo simile, non andrà mai vagando qua e là, né avrà il
tempo di attendere a vani pensieri, né di pensare alcuna cosa che non
riguardi il bene della fede o qualche utilità dell'anima. 7. Quanto più poi
non avrà l'ardire di pensare niente che sia contro Dio, o che a lui non
piaccia.
Trentacinquesima questione
1. Donde ci
provengono i fantasmi disonesti e lubrici durante la notte?
Risposta.
2. Vengono in modo particolare dai
moti
riprovevoli e
incoerenti e dagli atti dell'anima durante il giorno. 3. Se infatti ci si
occupa dei giudizi di Dio, e si purifica l'anima con la meditazione della
legge
divina,
e con lo studio
della parola di Dio,
4.
e vi si dedichi
con
cura costante, sempre alla ricerca e all'investigazione
minuziosa di ciò che
piace a Dio, avrà sogni degni di tali occupazioni.
Trentaseiesima questione
1. Con quale
affetto dobbiamo servire i fratelli infermi?
Risposta.
2. Con lo stesso affetto col quale tributiamo il nostro ossequio al Signore
che ha detto:
Quanto avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto
a me
(Matt. 25, 40). 3. Ma perché si conservi un affetto simile nel
porgere ossequio è necessario che anche quelli che ricevono l'ossequio da
noi siano tali che
si
possa loro offrire
il nostro servizio come ben meritato. 4. E perciò bisogna che i superiori
abbiano cura che quelli, che sono serviti, siano tali che non indulgano
troppo alle comodità corporali o all'avidità del mangiare, 5. ma piuttosto
si mostrino lodevoli nel loro amore a Dio e al suo Cristo, e per la loro
pazienza e per
il
merito della loro
vita meritino i buoni servigi dei fratelli, 6. e in questo modo saranno di
gloria a Dio e
di
obbrobrio per il diavolo, come avvenne per il santo Giobbe.
Trentasettesima questione
1. Con quale umiltà
uno deve ricevere ossequio dai fratelli?
Risposta. 2. Come se si trattasse di un servo di fronte al
suo padrone, come anche lo mostra l'apostolo Pietro, quando il Signore lo
serve; 3. nel quale fatto siamo anche ammaestrati del pericolo che corrono
quei tali che non vogliono ricevere ossequi dai fratelli.
Trentottesima questione
1. Quale carità
dobbiamo avere gli uni per gli altri?
Risposta.
2. Quella che il Signore ci ha mostrato e insegnato, quando ha detto:
Amatevi a
vicenda come io ho amato voi (Giov. 13, 34). 3.
Nessuno ha
carità maggiore di colui che offre la sua vita per i suoi amici (Giov.
15, 13). 4. E se si deve offrire anche la vita, quanto più dobbiamo mostrare
le nostre premure e le nostre attenzioni verso gli altri? 5. Certamente non
secondo i desideri umani, ma secondo quella visuale, in cui consiste il
proposito comune a tutti di piacere a Dio.
Trentanovesima questione
1. Come si potrà
osservare la carità nei riguardi del prossimo?
Risposta.
2. Prima di tutto col timore del giudizio di chi trasgredisce un
comandamento del Signore, che ha detto:
Chi non crederà nel Figlio non vedrà
la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui (Giov. 3, 36). 3.
Poi anche col desiderio di pervenire alla vita eterna, perché il
comandamento di Dio è vita eterna. 4.
Il primo e grande comandamento è: amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua anima (Matt.
22, 37 e 38). 5.
Il secondo poi è simile a quello: amerai il prossimo tuo come te stesso
(Matt. 22, 39). 6. La carità si pratica anche con la volontà
di essere simili al Signore, che afferma:
Vi dò un nuovo comandamento, che vi amiate a vicenda come io ho amato voi
(Giov. 13, 34). 7. Ma questi sentimenti li possiamo provare
anche col comune buon senso, poiché se riceviamo un beneficio da un
fratello, per il fatto che lui ci ama, diventiamo suoi debitori, poiché lo
amiamo perché lo merita. 8. Ma tutto questo si suole osservare anche tra i
gentili, come dice il Signore nel Vangelo:
Se amate quelli che vi amano quale merito avete? (Luc. 6, 32)
9.
anche i
peccatori e i pagani amano quelli che vogliono bene a loro (Luc. 6;
32). 10. Se qualcuno ci offende o ci avversa in qualche cosa, lo dobbiamo
amare non solo per comandamento di
Dio, ma anche per questo fatto stesso, in quanto appunto ci reca maggior
vantaggio spirituale con la sua offesa. 11. Appunto perché crediamo alla
parola del Signore:
Beati voi quando vi insulteranno e perseguiteranno, e diranno ogni male
contro di voi, mentendo, per causa mia, poiché grande è la vostra ricompensa
nei cieli (Mt. 5, 11-12).
Quarantesima questione
1. Fino a che punto
si può giudicare ozioso un discorso?
Risposta.
2. Generalmente ogni discorso, che non reca utilità alla grazia della fede
del Cristo, è ozioso; 3. ed è tanto il pericolo di simili discorsi che,
anche se sembrasse buono quanto si dice, e tuttavia non apportasse un
aumento di fede, colui che avrà parlato non potrà evitare il pericolo per la
bontà del discorso; 4. ma per il fatto stesso che il suo discorso non reca
alcun profitto alla fede contrista lo Spirito Santo di Dio, 5. E ciò lo
manifesta chiaramente il Signore col dire:
Non esca dalla vostra bocca alcun discorso cattivo (Cfr.
Ef.
4, 29); 6.
ma se ne avete dei buoni ad edificazione della fede, diteli perché ne tragga
vantaggio chi ascolta (Ef. 4, 29-, 30). 7. E ancora aggiunge:
Non
contristate lo Spirito Santo di Dio, nel quale avete ricevuto il sigillo per
il giorno delta redenzione (Ef. 4, 30).
8. E di questo non si potrà avere nessun male più grave.
Quarantunesima questione
1. Chi è maledico,
cioè λοιδορος?
Risposta. 2. Ogni discorso fatto per infamare o screditare o
per mettere in cattiva luce qualcuno è maledico, anche se sembrerà non
essere ingiurioso. 3. E ciò è chiaro dal giudizio del Vangelo, dove si parla
dei Giudei.
Lo maledissero dicendo: Sii tu discepolo di quel tale (Giov.
9, 28).
Quarantaduesima questione
1. Che cos'è la diffamazione o denigrazione?
Risposta.
2. Credo che in due casi è lecito rivelare e discutere il male altrui: 3. se
qualche volta è necessario consigliarsi con gli altri, che si associano allo
stesso scopo di esaminare il modo migliore per la correzione di chi ha
peccato o ha commesso qualche cosa di male; 4. e ancora nel caso in cui si
deve prevenire e avvertire qualcuno a non cadere nella compagnia di uno
cattivo, da lui invece creduto buono. 5. L'Apostolo dice:
Non vi
immischiate con gente di quella specie (2 Tess. 3, 14).
6. Così pure in Salomone:
Non ti accompagnare con
un uomo iracondo, perché non abbia a imparare il suo modo di agire, e a
legare cosi la tua anima
(Prov. 22, 24-25). 7.
Sappiamo che anche l'Apostolo fece altrettanto da quanto scrisse a Timoteo:
Alessandro
il ramaio mi ha mostrato molte cattive cose; evitalo anche tu. Si è
fortemente opposto alle mie parole (2 Tim. 4, 14). 8. Oltre
questi casi di necessità, chiunque dice qualche cosa contro un altro per
infamarlo o per criticarlo incorre nella colpa di diffamazione, anche se
sembra essere vero quello che dice.
Quarantatreesima questione
1. Chi dice male di un fratello o ascolta un maldicente, e lascia correre,
di che cosa è degno?
Risposta. 2. Si deve scomunicare. 3. È detto infatti:
Perseguitavo
chi diceva male del suo prossimo in segreto (Salmo 100, 5). 4.
E altrove è detto: Non ascoltare volentieri il maldicente, affinché tu non
venga sterminato.
Quarantaquattresima questione
1. Come sarà da
trattare colui che avrà detto male del superiore?
Risposta. 2. Anche in questo caso non è forse ben chiaro il
giudizio dell'ira di Dio, che cadde su Maria, quando disse male di Mosè, e
nemmeno la preghiera di Mosè valse a ottenere da Dio che quel peccato
restasse senza punizione?
Quarantacinquesima questione
1. Si deve prestar fede a chi risponde con parole troppo mordaci o
insolenti, e, anche ammonito, dichiara di non aver niente di male nel cuore?
Risposta. 2. Non tutte le passioni dell'anima sono note a
tutti, neppure a quelli stessi che ne soffrono. 3. Come dai moti del corpo
si manifestano ai medici più valenti alcuni segni nascosti e occulti, che
sfuggono e sono ignoti anche a quelli che ne soffrono, così anche nell'anima
vi sono alcuni vizi, anche se non se ne accorge chi pecca. 4. Ma si deve
credere al Signore che dice:
L'uomo cattivo trae sentimenti cattivi dal cattivo tesoro del suo cuore
(Matt.
12, 35). 5. E perciò non è possibile che il cattivo esprima un buon discorso
dal suo cuore cattivo, né il buono potrà proferire parole cattive dal suo
cuore buono. 6. Ma qualche volta vi può essere anche una bontà finta in un
cuore cattivo; ma un cuore buono non può simulare il male. 7. Così dice
l'Apostolo:
Cerchiamo di
fare il bene non solo davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini
(Rom.
12, 17).
Quarantaseiesima questione
1. Come si potrebbe
evitare l'irascibilità?
Risposta. 2. Col ritenere che Dio vede tutto e col
considerare che il Signore è sempre presente; 3. poiché nemmeno chi è
soggetto al suo giudice ardisce di mostrare anche un poco della propria
indignazione davanti agli occhi del suo giudice; 4. e cioè se si è convinti
che non gli altri sono soggetti a noi stessi, ma ci si prepara ad ubbidire
agli altri, e ciò significa stimare tutti superiori a se stessi. 5. Se non
si cerca che quelli che ubbidiscono lo facciano per i propri comodi e per la
propria utilità, si deve sapere che la parola del Signore insegna a ciascuno
ad ubbidire e servire agli altri. Perciò, anche se si vedrà qualcuno
trasgredire un comandamento del Signore non ci si muoverà ad ira, ma ci si
farà guidare dalla misericordia e dalla compassione secondo colui che dice:
Chi è infermo e io non sono infermo?
(2 Cor. 11, 29).
Quarantasettesima questione
1. Chi è mansueto?
Risposta. 2. Chi non si allontana dalle sue risoluzioni, con
le quali ha stabilito e si sforza di piacere a Dio.
Quarantottesima questione
1. Come comportarsi
per non essere vinti dal piacere e dalla bramosia dei cibi?
Risposta. 2. Con la decisione di ricercare non ciò che reca
diletto, ma ciò che è necessario, e quello che basti alla propria utilità, e
non quello che soddisfi il piacere.
Quarantanovesima questione
1. Come sradicare
il vizio del cattivo desiderio?
Risposta.
2. Con un desiderio più buono: e ciò si otterrà se saremo più infiammati e
accesi per l'amore di Dio, secondo colui che dice:
La parola di Dio lo infiammò (Salmo
104, 19). 3. E ancora:
I giudizi di Dio sono veri, giusti
in se stessi, più desiderabili dell'oro e delle pietre molto preziose, e più
dolci del miele e del favo di miele
(Salmo 18, 9-11). 4.
Il desiderio di ciò che è meglio, tanto nelle cose che nelle azioni, che
possiede sempre e del tutto i nostri animi, e ci spinge a lottare per godere
quanto desideriamo, 5. ci fa disprezzare e respingere le cose meno elevate,
come ci hanno insegnato tutti i santi, e quanto più quindi tutto ciò che è
cattivo e disonesto?
Cinquantesima questione
1. Qual è la
tristezza secondo Dio e quale quella
secondo il mondo?
(2 Cor.
7, 10).
Risposta. 2. La tristezza secondo Dio (2
Cor. 7,
10) si ha quando ci rattristiamo per la trascuratezza o per la trasgressione
di un comandamento, secondo quanto è scritto:
Mi ha assalito la tristezza a causa
dei peccatori che hanno abbandonato la tua legge
(Salmo
118, 53). 3. Invece la
tristezza propria del
mondo
è quella di contristarsi di qualcuna delle cose umane o che appartengono al
mondo.
Cinquantunesima questione
1. Quali sono le
gioie nel Signore, e che cosa dobbiamo fare per avere la gioia?
Risposta.
2. Gioia nel Signore l'abbiamo se operiamo secondo il comandamento del
Signore, e se compiamo azioni per la gloria di Dio, 3. o anche se per il
nome del Signore abbiamo a patire o a godere qualche cosa, o se godiamo
delle buone azioni degli altri.
Cinquantaduesima questione
1. Dobbiamo forse
piangere perché possiamo meritare di raggiungere la beatitudine della
consolazione?
Risposta.
2. Questa domanda è contenuta già nell'altra, nella quale abbiamo esposto
qual è la tristezza gradita a Dio; 3. e cioè, se siamo addolorati per i
peccati, o se compiangiamo quelli che con la trasgressione della legge
disonorano Dio, o anche per quelli che sono in pericolo per il peccato. 4.
Perché
l'anima che avrà peccato morrà (Ez. 18, 20), secondo colui che disse:
Che io abbia
a piangere quelli che prima peccarono, e non fecero penitenza
(2
Cor.
12, 21).
Cinquantatreesima questione
1. Non è proprio
lecito ridere?
Risposta.
2. Poiché il Signore condanna quelli che ridono in questo mondo, è chiaro
che non vi è mai tempo per un'anima fedele; 3. e questo tanto più che sono
moltissimi coloro che con la trasgressione della legge non onorano Dio, e
muoiono nei loro peccati, e per loro ci si deve rattristare e addolorare
costantemente.
Cinquantaquattresima questione
1. Qual è la
sollecitudine delle cose temporali?
Risposta.
2. Ogni sollecitudine dell'animo, che, sebbene non sembri contenere niente
d'illecito, tuttavia se non riguarda la religione o la virtù, è
sollecitudine delle cose temporali.
Cinquantacinquesima questione
1. Donde viene che
noi ci lasciamo andare inopportunamente, e come possiamo evitarlo?
Risposta.
2. Avviene veramente di lasciarsi andare in maniera non conveniente allorché
l'anima è più tiepida verso Dio e verso il ricordo di Dio, e anche quando
l'ha assalita la dimenticanza dei giudizi di Dio. 3. Ma questo lo possiamo
evitare se cercheremo di avere un pensiero degno di Lui e se rivolgeremo i
nostri desideri al compimento della sua volontà, 4. secondo colui che disse:
Non
concederò sonno ai miei occhi, né quiete alle mie palpebre, né requie alle
mie tempie, finché non troverò un
luogo per il Signore e un'abitazione
per il Dio di Giacobbe
(Salmo
131, 4 e 5).
Cinquantaseiesima questione
1. Come uno compie
tutto a gloria di Dio?
Risposta.
2. Facendo tutto per Dio e per suo comandamento, e in niente ricerchi le
lodi degli uomini, 3. e in tutto si ricordi delle parole del Signore:
Brilli la
vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e
glorifichino il Padre che è nei cieli
(Matt. 5, 16).
Cinquantasettesima questione
1. Come mangiare e
bere a gloria di Dio?
Risposta.
2. Questo si potrà ottenere se avremo sempre presente colui che nutre, Dio;
3. e inoltre se dimostreremo non solo con la mente, ma anche col corpo, in
tutte le cose di rendergli grazie e di non mangiare senza timore, 4. ma che
siamo rifocillati come operai di Dio, affinché possiamo dedicarci al lavoro
e all'adempimento dei comandamenti.
Cinquantottesima questione
1. Come la mano
destra può fare delle cose che non sappia la sinistra?
Risposta. 2. Se compiamo le opere in onore di Dio con
l'animo attento e col desiderio deciso di piacere a Dio, e ci prendiamo ogni
cura per non allontanarci dalla via retta e dalle opere ordinate dalla
legge, 3. allora non ci accorgiamo nemmeno del pensiero di qualcuno e
nemmeno di un nostro membro, ma solo di Dio e dell'opera che in suo onore
stiamo compiendo.
4. Come l'artista
che compone un vaso ha costantemente presente anche colui che glielo ha
commissionato, e insieme segue attentamente il vaso che ha fra le mani,
perché risulti secondo le buone regole dell'arte.
Cinquantanovesima questione
1. Quale
impressione farà agli uomini chi vuol piacere loro?
Risposta. 2. Certamente alla presenza di quelli che lo
possono lodare compie qualche opera buona; 3. ma se nessuno di quei tali è
presente, o anche se sono presenti quelli che lo possono biasimare, è lento
e pigro nelle azioni. 4. Se volesse davvero piacere a Dio sarebbe sempre e
dovunque uguale, 5. e compirebbe le medesime opere, adempiendo quanto è
stato detto:
Con le armi
della giustizia a destra e a sinistra, in mezzo alla gloria e all'ignominia,
alla cattiva e alla buona fama, come seduttori eppure veritieri
(2 Cor.
6, 7 e 8).
Sessantesima questione
1. Come evitare il
pericolo di
piacere agli uomini e di procurarsi la loro lode?
Risposta. 2. È bene aver per certo che Dio ci è presente, e
avere una ben ferma sollecitudine di piacere a Dio, e nello stesso tempo
sforzarsi di possedere un grande desiderio di tutte le beatitudini promesse
dal Signore. 3. Non si deve piacere al prossimo quando siamo alla presenza
di Dio, ciò che si risolve in ingiuria del Signore e in proprio danno,
poiché si ha più riguardo ai voleri del prossimo che a quelli di Dio.
Sessantunesima questione
1. Come si
riconosce il superbo e come si cura?
Risposta. 2. Si riconosce dal fatto che va alla ricerca dei
posti più elevati. Si cura poi con la fede nella sentenza di colui che
disse:
Dio tiene
testa ai superbi (Giac. 4, 6). 3.
Bisogna sapere che se uno ha timore della condanna per la superbia, è
impossibile che si curi di questo vizio se non si allontana e si distacca da
ogni occasione di orgoglio, 4. ed è altrettanto impossibile sradicare la
loquacità di qualcuno o di molti, 5. o anche un qualunque modo di ingannare,
se non ci si distacca completamente e in ogni modo non solo negli atti,
nelle parole e nei modo di vivere, 6. ma anche nell'ascoltare e nel vedere
quelli che fanno ciò che si desidera dimenticare. 7. E ciò è da tener
presente per ogni vizio.
Sessantaduesima questione
1. Che cos'è
l'umiltà, e come la possiamo praticare?
Risposta. 2. L'umiltà è lo stimare tutti gli uomini
superiori a noi, secondo la definizione dell'Apostolo. 3. E ciò lo potremo
adempiere se saremo memori di quanto dice il Signore:
Imparate da me, che sono mansueto e
umile di cuore (Matt. 11, 29); ciò che in molte occasioni
insegnò e praticò. 4. E dobbiamo anche credere a chi ci ha promesso:
Chi si
umilierà sarà esaltato (Luc. 18, 14). 5. Poi ancora dovremo
cercare di essere sempre e senza alcuna interruzione più umili in ogni
azione e in ogni nostro incarico, e a tale fine porre tutti i nostri sforzi.
6. Appena così potremo eliminare anche il ricordo della nostra arroganza
precedente, e acquistare l'amore all'umiltà, come suole avvenire anche nelle
nostre professioni. 7. Una stessa maniera sarà da seguire anche per ottenere
tutte le altre virtù, che provengono dal comando di nostro Signore Gesù
Cristo.
Sessantatreesima questione
1. Si deve
ricercare l'onore?
Risposta. 2. Bisogna rendere onore a quelli, ai quali siamo
stati ammaestrati a renderlo; 3. ma ci è vietato di andare alla ricerca
degli onori, come dice il Signore:
Come potete credere se ricercate la gloria gli uni dagli altri, e invece non
cercate la gloria che viene solo da Dio? (Giov. 5, 44). 4.
Perciò richiedere gloria o onore dagli uomini è segno di infedeltà, e di
allontanamento dall'amore di Dio, 5. soprattutto perché l'Apostolo dice:
Se volessi
ancora piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo (Gal. 1,
10). 6. Se dunque sono tanto condannati quelli che accettano la gloria e
l'onore che vengono loro offerti, di quale giudizio sono degni quelli che ne
vanno alla ricerca, senza averne avuto alcuna offerta?
Sessantaquattresima questione
1. Come ci dobbiamo
ubbidire l'un l'altro?
Risposta. 2.
Come servi ai propri padroni, secondo il precetto del Signore:
Chi vuole essere grande fra voi, sia l'ultimo di tutti, e di tutti servitore
(Matt. 20, 27).
3.
A queste parole aggiunse, per
farci essere proclivi all'umiltà:
Come il
Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire (Matt.
20, 28).
4. Ma consideriamo ancora quanto è
detto dall'Apostolo:
Per amore dello Spirito servitevi gli uni gli altri (Gal.
5, 13).
Sessantacinquesima questione
1. Fino a che punto
deve ubbidire chi desidera di mettere in pratica la norma di piacere a Dio?
Risposta. 2.
Ce lo mostra, l'Apostolo proponendoci come esempio l'ubbidienza del Signore:
Si fece ubbidiente fino alla morte, e morte di croce (Fil. 2, 8). 3. E disse:
Provate in voi i sentimenti di Cristo stesso (Fil. 2, 5).
Sessantaseiesima questione
1. Chi è pigro
riguardo a un comando come può diventare più laborioso e vigilante?
Risposta. 2. Con l'esser certo che il Signore Dio è presente
dovunque, e che tutto vede; 3. e abbia davanti agli occhi la minaccia
lanciata contro il pigro, e la speranza dell'abbondante ricompensa di Dio,
che per mezzo dell'apostolo Paolo ha promesso dicendo :
Ognuno riceve la sua mercede secondo
il suo lavoro (1 Cor. 3, 13 e 14); 4. e tenga anche presente
tutte quelle esortazioni simili che si trovano nelle Sacre Scritture, e che
si riferiscono all'opera della pazienza e alla sollecitudine delle opere
compiute a gloria di Dio.
Sessantasettesima questione
1. Se qualcuno non
è contento che ogni giorno gli venga ordinato qualche cosa che rientra nei
comandamenti di Dio, ma vuole imparare qualche arte, di quale vizio pecca? e
si deve dargli ragione?
Risposta. 2. Questo tale è presuntuoso, troppo desideroso di
compiacere se stesso, e infedele, in quanto non teme la sentenza del Signore
che dice:
Siate preparati; perché all'ora che non pensate verrà il Figlio dell'uomo
(Luc. 12, 40). Se uno è veramente nella quotidiana attesa del
Signore, è sollecito e premuroso di non trascorrere oziosamente la vita
presente e non si preoccupa d'altro. Se poi gli viene comandato di imparare
qualche arte, si contenti di avere una ricompensa per la sua ubbidienza, e
in questo piaccia a Dio, ma non si contenti di essere giudicato in ciò che a
lui piace.
Sessantottesima questione
1. Chi si mostra
molto attivo e pronto nell'osservare i comandi, ma poi agisce secondo il suo
volere e non secondo quanto gli viene ordinato, quale ricompensa avrà?
Risposta. 2. La sua ricompensa sarà proprio quella di
piacere a se stesso; poiché l'Apostolo dice:
Ciascuno si renda gradito al
prossimo per edificarlo
(Rom. 15, 2). 3. E per
maggiormente piegare e vincolare gli ascoltatori aggiunge:
Lo stesso
Cristo non piacque a se stesso; 4. e perciò ciascuno deve
conoscere che il suo pericolo è proprio nel fatto di voler piacere a se
stesso; e così nello stesso tempo dimostra di essere disubbidiente.
Sessantanovesima questione
1. È lecito a uno
rifiutare con pretesti un'azione che gli viene comandata, e ricercarne
un'altra?
Risposta.
2. Poiché è stabilito che il valore normativo dell'ubbidienza deve durare
fino alla morte, chi evita ciò che gli è comandato e cerca altro, anzitutto
è reo di disubbidienza, e dimostra chiaramente di non aver rinnegato se
stesso. 3. In secondo luogo diventa causa di molti mali per sé e anche per
gli altri, perché apre la porta della contraddizione a molti, e si abitua a
contraddire; 4. e poiché non tutti possono distinguere e scegliere il
meglio, può accadere, se si è arrivati a tanta libertà, che scelga qualche
cosa di peggio. 5. E infine darà anche sospetto agli altri che sia spinto da
una qualche passione o per l'opera che sceglie o per quelli coi quali dovrà
lavorare. 6. Dunque, in ogni modo, non ubbidire è causa e radice di molti
mali. 7. Se poi gli parrà di avere buone ragioni di scusa per l'azione
compiuta, ne esponga i motivi al superiore, lasciando al suo giudizio la
prova dell'esattezza della scusa presentata.
Settantesima questione
1. Che dire di chi,
comandato di fare un'azione, avrà fatto delle contraddizioni, ma poi avrà
compito l'ubbidienza di sua volontà?
Risposta. 2. Per il fatto che ha contraddetto, è da
giudicare come un disubbidiente e come chi induce gli altri a un medesimo
male. 3. E perciò sappia che incorre in quella sentenza che dice:
Ogni persona
cattiva provoca sempre contese, ma il Signore manderà contro di lui l'angelo
vendicatore
(Prov. 17, 11). 4. Se
è certo che ubbidisce non all'uomo, ma al Signore che afferma:
Chi ascolta
voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me (Luc.
10, 16); 5. e se è pentito al ricordo di questo comandamento,
prima faccia la soddisfazione, e così, se gli viene permesso, compia quanto
gli è stato comandato.
Settantunesima questione
1. E se uno, anche
obbedendo, mormora?
Risposta. 2. L'Apostolo afferma:
Fate tutto senza mormorazione ed
esitazione (Fil.
2, 14), e quindi chi mormora sia allontanato dalla comunione
dei fratelli, e le sue opere siano rigettate. 3. È chiaro che chi si
comporta in tal modo pecca d'infedeltà, e non possiede una fiducia sicura
nella speranza futura.
Settantaduesima questione
1. Se uno avrà
contristato un suo confratello, come deve fare ammenda?
Risposta. 2. Se veramente avrà afflitto, secondo quanto dice
l'Apostolo:
Vi siete rattristati, ma in modo da non ricevere alcun male da parte nostra
(2 Cor. 7, 9), non avrà da fare
ammenda colui che ha procurato l'afflizione, 3. ma colui che l'ha ricevuta,
il quale deve anche dare segni evidenti di quell'afflizione che è conforme
alla volontà di Dio. 4. Se poi l'afflizione provocata sarà senza scopo, cioè
non secondo Dio, chi l'avrà provocata si ricordi di quello che dice
l'Apostolo:
Se un tuo
fratello si rattrista per il cibo a causa tua, tu non cammini più nella
carità (Rom. 14, 15). 5. E quando avrà conosciuto di aver
commesso un simile peccato, adempia ciò che è prescritto dal Signore: 6.
Se mentre fai la tua offerta davanti
all'altare ti ricorderai lì stesso che un tuo fratello ha qualche cosa
contro di te, lascia lì davanti all'altare la tua offerta, e va prima a
riconciliarti col tuo fratello, e poi di ritorno offrirai la tua offerta
(Matt.
5, 23 e 24).
Settantatreesima questione
1. Come si deve
agire con chi non acconsente a fare la soddisfazione?
Risposta.
2. Ci si deve comportare con lui secondo la norma del Signore riguardo al
peccatore impenitente,
3. e cioè:
Se non ascolterà l'assemblea ritienilo
come un pagano e un pubblicano (Matt.
18, 17).
Settantaquattresima questione
1. Se poi, pur
avendo fatta la soddisfazione chi avrà procurato l'afflizione, non vorrà
riconciliarsi chi è stato rattristato, come comportarsi?
Risposta. 2. È nota la sentenza del Signore in proposito,
riferita nella parabola del servo, il quale, pregato da un suo compagno di
servizio, non volle dimostrare nessuna comprensione.
E vedendo ciò i compagni di servizio
lo riferirono al loro padrone (Matt. 18, 31). 3. Questi
adirato ritirò ogni concessione del debito già accordata, e consegnò il
servo malvagio ai carcerieri fino a che non avesse pagato tutto il debito.
Settantacinquesima questione
1. In quale
considerazione si deve avere chi sveglia i confratelli per l'orazione?
Risposta. 2. Se uno conosce il danno che proviene dal sonno,
allorché non ha alcun controllo di se stesso, e comprende il grande guadagno
che deriva dalle veglie, 3. e soprattutto se si veglia per glorificare Dio
con l'orazione, dovrà considerare chi si assume spontaneamente il compito di
svegliare chi dorme per un tale scopo come colui che gli fa acquistare
meriti e doni celesti davanti a Dio, 4. tanto se lo invita e lo spinge
all'orazione come pure all'osservanza di un altro precetto divino.
Settantaseiesima questione
1. Se poi si rattrista, o anche si adira, chi viene svegliato, che cosa
merita?
Risposta. 2. In un primo tempo deve essere
scomunicato e condannato a non mangiare, per provare se davvero riconosce
col pentimento di quanti e quali meriti si priva, 3. e, una volta così
convertito, riceva il perdono, in modo che abbia l'amore di Colui che disse:
Mi sono ricordato di Dio e ne sono
stato ripieno di gioia
(Salmo
76, 4). 4. Se poi vorrà persistere
nella sua stoltezza, mostrando di non comprendere il favore ricevuto, sia
tagliato come un membro putrefatto del corpo. 5. Infatti sta scritto:
È meglio che vada distrutto uno dei
tuoi membri piuttosto che tutto il corpo sia condannato all'inferno (Matt. 5, 29).
Settantasettesima questione
1. Che cosa significano le parole:
Non giudicate per
non essere giudicati, non condannate per non essere condannati (Matt. 7, 11)?
Risposta. 2. Il Signore alcune volte dice:
Non giudicate perché non siate
giudicati, 3. altre volte invece:
Fate giudizi giusti (Giov. 7, 24); e con ciò vuol dimostrare
di non voler proibire in tutti i modi la facoltà di giudicare, 4. ma ci
insegna a conoscere una differenza fra i giudizi, perché impariamo in che
cosa si ha diritto di giudicare e in quale no. 5. Su tale argomento ci dà il
suo insegnamento in modo chiaro l'Apostolo dove parla di quelle cause che
devono essere lasciate alla libera decisione di ciascuno:
E tu perché giudichi un tuo fratello (Rom.
14, 10)? 6. E ancora:
Non ci giudichiamo a vicenda (Rom. 14, 13). 7. Per quelle azioni che
chiaramente non piacciono a Dio, riprova coloro che non intervengono col
loro parere, 8. e lui stesso espone con queste parole la sua opinione:
Io poi, sebbene assente col corpo,
ma presente nello spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui
che ha commesso una tale colpa, nel nome del nostro Signore Gesù Cristo,
9.
quando voi
siete radunati con me presente nello spirito, per il potere del nostro
Signore Gesù Cristo, un tale peccatore sia dato nelle mani di satana, perché
sia annientato nella sua carne, e lo spirito sia salvo nel giorno del nostro
Signore Gesù Cristo (1 Cor. 5, 3-5). 10. Se pertanto è stato
posto e riservato al nostro potere e alla nostra libera decisione, non si
deve giudicare il fratello in questo campo, secondo quanto dice l'Apostolo
come di cose che non si conoscono: 11.
Perciò non giudicate prima del tempo, finché venga il Signore, che
illuminerà le oscurità delle tenebre, e renderà manifesti i consigli dei
cuori
(1 Cor.
4,5). 12. Ma difendere i giudizi di Dio è del tutto
necessario, perché non abbiamo a essere oggetto della stessa indignazione,
nel caso che, conoscendo qualche cosa del peccatore, non diciamo nulla. 13.
A meno che non abbiamo il coraggio di riprendere né l'autorità di giudicare
un fratello, perché siamo anche noi colpevoli, come dice il Signore: 14.
Leva prima la trave dal tuo occhio,
e solo allora cercherai di estrarre la pagliuzza dall'occhio del tuo
fratello
(Matt. 7, 5).
Settantottesima questione
1. Come si può
capire che uno sia mosso verso un fratello peccatore dallo zelo di Dio o
dallo spirito della propria irascibilità?
Risposta. 2. Se per ogni peccato del fratello soffre quanto
è scritto:
Mi ha consumato lo zelo della tua casa, poiché i miei nemici si sono
dimenticati delle tue parole (Salmo 118, 139). 3. Proprio in
questo caso è ben chiaro lo zelo di Dio. 4. Tuttavia anche in queste cose
bisogna tutto regolare prudentemente. 5. Se dunque un simile affetto non lo
aveva nel suo animo già da prima, è bene che sappia che i suoi movimenti
provengono più dalle passioni che da Dio, e che in nessun modo potrà
assolvere il dovere della correzione fraterna.
Settantanovesima questione
1. Alcuni affermano
che è impossibile che un uomo non si adiri.
Risposta.
3. Ad esempio, non è possibile a un soldato adirarsi al cospetto del suo re.
3. Ma nemmeno con ciò si potrà giustificare l'affermazione fatta. 4. Se una
figura umana della stessa forma impedisce l'esplodere di una passione di un
uomo contro un altro uomo a motivo dell'uguaglianza della natura, 5. quando
non vi è altra diversità, al di fuori della superiorità di dignità, quanto
più ciò avverrà nei riguardi di Dio, che sappiamo con certezza presente al
nostro cuore e tale da conoscere tutti i nostri movimenti? 6. È noto quanto
grande è la sua superiorità, anche dal fatto stesso che scruta i cuori e i
reni, e vede i moti del nostro animo.
Ottantesima questione
1. Si può andare
dove si vuole senza avvertire il superiore?
Risposta.
2. Poiché il Signore dice:
Non sono venuto per fare alcuna cosa
di mia iniziativa,
ma in nome di colui che mi ha
mandato (Giov. 6, 36), quanto più ognuno di noi non si deve
permettere niente di suo arbitrio? 3. Chi dunque fa qualche cosa di sua
autorità dimostra chiaramente di essere come inchiodato dalla malattia della
superbia, 4. e va quindi soggetto a quella sentenza che dice:
Quanto c'è di superbo negli uomini è abominevole al cospetto di Dio (Luc.
16, 15). 5. Ma si può affermare che l'agire di propria volontà e autorità in
tutto è colpevole.
Ottantunesima questione
1. Se è bene
permettere di imparare le lettere o di dedicarsi allo studio a chi lo vuole
ad ogni costo.
Risposta.
2. Poiché l'Apostolo dice:
Non ciò che volete dovete fare (Gal.
5, 17), in ogni caso è dannoso permettere che ciascuno agisca di sua
volontà; 3. ma si deve accettare quello che è comandato dai superiori, anche
se è contrario alla volontà di chi riceve il comando, 4. conforme
all'esempio del Signore che dice:
Padre, non sia fatta la mia volontà, ma la tua (Luc. 22, 42).
Ottantaduesima questione
1. Se è lecito a
ciascuno di evitare le opere che sembrano più pesanti.
Risposta: 2. Chi con fedele e puro amore ama Dio, ed è certo
della ricompensa del Signore, crede che non gli bastino neppure le cose che
gli vengono comandate; 3. ma cerca lui stesso che gli vengano aggiunte altre
opere, anzi desidera con ardore che gliene vengano affidate di quelle
maggiori, anche se sembrano essere superiori alle sue forze le opere che
compie. 4. Né si sente sicuro, come se avesse tutto ben compiuto, ma al
contrario si sforza di agire con sollecitudine e con ansia, come se non
avesse compiuto nulla degno dei precetti evangelici, ricordando quelle
parole del Signore che dice: 5.
E anche
quando avrete fatto tutto ciò che vi comando, allora direte: siamo servi
inutili; abbiamo compiuto quanto dovevamo fare (Luc. 17, 10).
6. Ma imiteremo anche l'Apostolo, che pur essendo per lui crocifisso il
mondo e lui stesso al mondo, non si vergogna di affermare:
Non credo di aver ancora raggiunto
la conoscenza di me stesso; 7.
ma mi adopero per dimenticare quello
che ho dietro le spalle, mentre mi lancio a ciò che mi è davanti, e seguo il
mio proposito di arrivare al premio della suprema vocazione di Dio in Cristo
Gesù (Fil. 3, 13 e 14). 8. Egli che pure aveva il diritto di
vivere del Vangelo che predicava dice:
Ho vissuto più che mai nel lavoro e
nella fatica notte e giorno. 9. Non perché non abbiamo il diritto, ma per
dare a voi un esempio, cosicché imitiate noi (2 Tess. 3, 9).
10. Se le cose stanno cosi, chi è tanto stolto o sleale da credere di essere
sovraccaricato di pesi più gravi del dovuto, dal momento che non può ancora
compiere quanto è richiesto da una norma ben regolata?
Ottantatreesima questione
1. Come ci si può
rendere preparati fino al pericolo per osservare i comandamenti di Dio?
Risposta.
2. Prima di tutto considerando che lo stesso nostro Signore ubbidì al Padre
per noi fino alla morte, 3. ed essendo certi che i precetti del Signore sono
destinati al conseguimento della vita eterna, come sta scritto. 4. E poi si
dovrà credere al Signore che dice:
Chiunque vorrà salvare la sua vita,
la perderà, mentre chi odierà la sua vita per me e per il Vangelo la salverà
(Giov. 12, 25).
Ottantaquattresima questione
1. Con quale
affetto si deve ubbidire a colui che ci esorta a osservare i comandamenti?
Risposta. 2. Con quello stesso affetto che mostra il bambino
che ha fame nell'ubbidire alla madre che lo invita a succhiare il latte; 3.
o anche con quell'affetto col quale ognuno accetta da un altro quello che
appartiene alla vita, e ancor di più; 4. e ciò per il fatto che è molto più
preziosa la vita futura di quella presente, come ha detto il Signore:
I miei
comandamenti sono la vita eterna (Giov. 12, 50). 5. Come
dunque la vita attuale si regge col cibo del pane, così la vita eterna si
conquista con l'adempimento dei comandamenti, 6. come di nuovo dice il
Signore:
Mio cibo è
quello di fare la volontà di Colui che mi ha mandato, il Padre (Giov.
4, 34).
Ottantacinquesima questione
1. Quale animo deve
avere ognuno per il solo fatto che è stato ritenuto degno di compiere le
opere di Dio?
Risposta. 2.
Lo stesso di colui che diceva:
Chi sono io, Signore, o qual è
la casa di mio padre, poiché mi hai amato? (2 Re 7, 18). 3. Sarà
bene che compia quello che sta scritto:
Ringraziando Dio
Padre, che ci ha resi adatti a partecipare alta sorte dei santi nella luce, 4.
lui che ci ha anche liberati dal potere delle tenebre e trasportati nel
regno del Figlio della sua gloria (Col. 1, 12-3).
Ottantaseiesima questione
1. Quelli che sono
già avanzati nell'assiduità delle opere di Dio come devono ammaestrare ed
educare quelli che da poco sono entrati?
Risposta.
2. Se sono ancora forti nel corpo per il fatto che prestano senza pigrizia e
con prontezza a tutti gli uffici loro affidati, sono di edificazione per i
neovenuti e danno loro un esempio utile a ogni avanzamento. 3. Se poi sono
piuttosto deboli corporalmente, saranno altrettanto utili a loro mostrando
di avere e pensare la presenza di Dio in tutti i loro atti e movimenti, come
anche nell'aspetto, 4. e ancora di essere animati da speciale affetto per
quanto l'Apostolo elenca, dicendo: 5.
La carità è paziente e benevola, non è invidiosa, non è insolente, non si
gonfia, non è disonesta, non ricerca il proprio vantaggio, non si irrita,
non pensa il male, non gode per l'ingiustizia, ma gode della verità; tutto
soffre, tutto spera, tutto sopporta; la carità non viene mai meno (1 Cor.
13, 4-8). 6. Tutto questo può essere adempiuto anche con una salute
cagionevole.
Ottantasettesima questione
1. Se qualcuno
dice: Vorrei trascorrere un poco di tempo con voi perché possa approfittare
del vostro genere di vita per il mio miglioramento, si deve accettarlo?
Risposta. 2. Il Signore
afferma:
Non scaccerò chi viene a me
(Giov. 6, 37); 3.
d'altra parte tuttavia l'Apostolo dice:
Per i falsi
fratelli intrusi furtivamente, che si sono introdotti per indagare sulla
nostra libertà, che abbiamo in Cristo Gesù, ai quali non cedemmo nemmeno per
un momento, come per soggezione, affinché la verità del Vangelo restasse in
mezzo a voi (Gal. 2, 4-5); 4. si può
quindi
concedergli l'ingresso in
considerazione dell'esito incerto delle cose. 5. Alle volte può accadere che
per un certo tempo faccia dei progressi, trovi diletto nella santità della
vita e sia perseverante nella via intrapresa, come abbiamo potuto constatare
che spesso è avvenuto. 6. Ma che sia ben manifesta la vera realtà delle
nostre istituzioni, delle quali forse gli uomini hanno diversa opinione. 7.
Bisogna tuttavia trattare con lui con molta cautela e diligenza, affinché la
libertà delle nostre istituzioni perseveri e progredisca nella verità, e sia
anche attentamente esaminata, e trovata pura e degna di approvazione. 8.
Cosi dunque anche noi piaceremo a Dio, e quel tale possa progredire, se è
sincero; o se è un ingannatore, ne abbia ad arrossire.
Ottantottesima questione
1. Si può accordare
a qualcuno di fare astinenza al di sopra delle sue forze, e in modo tale che
non possa adempiere ciò che gli viene comandato, per l'eccessiva astinenza?
Risposta.
2. La questione non mi sembra posta con vera esattezza. 3. Non si è
affermato che la continenza consiste solo in quella dei cibi; 4. poiché
questo tipo di continenza anche dall'Apostolo Paolo viene ritenuta
colpevole, se non è fatta con spirito di fede e ragionevolmente, quando
dice:
Quelli che
si vogliono astenere dai cibi, che sono stati creati da Dio (1 Tim.
4, 3). 5. Ma abbiamo affermato che è perfetta quella continenza che è
praticata da chi si astiene dai piaceri precedenti. 6. Quanto poi sia
pericoloso voler fare la propria volontà, e non quella di Dio, risulta certo
da quanto dice l'Apostolo: 7.
Facendo la volontà della carne e dei cattivi pensieri eravamo per natura
figli dell'ira come tutti gli altri (Ef. 2, 3).
Ottantanovesima questione
1. Chi digiuna
abbastanza, e nella refezione non può prendere il cibo comune con tutti gli
altri, che cosa deve scegliere con preferenza: digiunare coi fratelli e
mangiare insieme con loro, oppure richiedere altri cibi per poter compiere
digiuni più grandi?
Risposta. 2. La misura del digiuno non deve dipendere dalla
volontà di ognuno, ma dal comando e dalle regole di quelli che servono Dio
in comune, 3. allo stesso modo di coloro che vengono riferiti unanimi e
concordi in tutto, e che negli Atti degli Apostoli sono ricordati come
quelli che avevano un cuor solo e un'anima sola. 4. Se uno dunque digiuna
con fedeltà e con discernimento, riceve dal Signore anche la forza di poter
resistere:
È fedele chi
ha promesso
(Ebr. 10, 23).
Novantesima questione
1. Come si deve
digiunare, quando il digiuno è comandato come necessario; 2. e se qualche
volta la religione richiede qualche cosa, la si deve compiere per necessità
o volontariamente?
Risposta.
3. Poiché il Signore dice:
Beati quelli che hanno fame e sete
della giustizia
(Matt. 5, 6), tutto
ciò che appartiene alla religione produce un pericolo, se non lo si compie
con buona intenzione e con vera pietà, poiché al digiuno deve essere unita
la devozione. 4. Che poi sia necessario il digiuno in certe determinate
circostanze, e massimamente se desideriamo ottenere qualche cosa dal
Signore, ce lo insegna anche il santo Apostolo, che alle altre sue virtù
aggiunge anche:
Spesso ho
digiunato
(2 Cor. 11, 27).
Novantunesima questione
1. Agisce con
rettitudine colui che non vuole cibarsi degli stessi cibi, che mangiano i
fratelli, ma ne richiede degli altri?
Risposta. 2. In particolare proprio far richiesta di cibo
speciale è contro il comando del Signore, che dice;
Non state a ricercare che cosa
mangiate o bevete (Matt. 6, 31). 3. E perché si facesse più
attenzione a quel che diceva aggiunse:
Queste cose le ricercano anche i
pagani (Matt. 6, 32). 4. Certamente deve essere cura del
superiore l'adempiere ciò che sta scritto:
Si distribuiva a ciascuno secondo quanto era necessario
(Atti
4, 35).
Novantaduesima questione
1. Quale carattere
ha chi dice che un cibo gli fa male, e si rattrista se non gli viene portato
un altro cibo?
Risposta.
2. Sembra chiaro che questo tale non è ben sicuro della speranza che ebbe
invece Elea(z)zaro, e nemmeno è certo della carità del superiore, che ha
cura tanto di lui che di tutti. 3. Ma è assolutamente vietato ad ognuno di
agire a proprio giudizio e per propria volontà sia riguardo a quello che fa
male, sia riguardo a quello che giova, 4. ma si deve affidare al giudizio
del superiore il provvedere a ciascuno, secondo che richiedono le
circostanze o le necessità, e prima di tutto ciò deve valere per quello che
giova all'anima; 5. e solo in secondo luogo si deve tutto regolare secondo
la volontà di Dio per le necessità del corpo.
Novantatreesima questione
1. Se poi qualcuno
avesse anche a mormorare a motivo del cibo, quale punizione gli si dovrà
infliggere?
Risposta.
2. Quella che fu imposta a quelli che mormorarono nel deserto; 3. poiché
l'Apostolo dice:
Non mormorate, come alcuni di loro mormorarono e perirono per mezzo dello
sterminatore
(1 Cor. 10, 10).
Novantaquattresima questione
1. Se uno lavora di
più può pretendere qualche cosa di più di quanto si è soliti concedere?
Risposta.
2. Se egli accetta il lavoro per la retribuzione di Dio, non deve richiedere
una ricompensa o un riposo particolare per il suo lavoro, 3. ma proprio per
mezzo di esso tendere senza indugio al conseguimento delle promesse del
Signore, sapendo che il Signore come ha preparato la ricompensa per il
lavoro, così anche ha pronte le consolazioni per le angustie. 4. Tuttavia i
superiori osserveranno la regola che prescrive:
Si distribuiva a ciascuno secondo il
bisogno
(Atti 4, 35). 5. Essi devono prevenire ognuno, in modo tale
che il sollievo della refezione sia proporzionato anche al genere di lavoro.
Novantacinquesima questione
1. Con quale
sentimento dell'animo si devono accettare il vestito e le calzature,
qualunque sia la loro specie?
Risposta.
2. Se per caso fossero troppo piccoli o troppo grandi, si dovrebbero
giudicare in base alla misura della propria statura, ma con ogni umiltà e
mansuetudine. 3. Ma se ci si turba per la loro rozzezza o bassezza, o perché
non sono nuovi, sarà bene ricordare il comando del Signore:
È degno della sua ricompensa
l'operaio, ma non chiunque
(Luc. 10, 7). 4.
Ciascuno esamini bene se stesso, se ha compiuto degnamente le opere di Dio,
ed ha osservato tutte le cose che gli sono state comandate; 5. e allora non
pretenderà altro, ma sarà premuroso di quello che gli viene, come se
ricevesse più di quanto merita. 6. Del resto quanto si è detto del cibo, si
può osservare nella stessa forma di ogni cosa che riguarda i bisogni del
corpo.
Novantaseiesima questione
1. E se qualcuno
sarà adirato fino al punto da non volere qualche cosa di quelle che vengono
fomite per suo uso?
Risposta.
2. Questo tale è degno di non ricevere nemmeno se ne fa richiesta, finché lo
voglia il superiore; 3. E quando avrà notato che un tale difetto dell'animo
è stato curato, allora darà anche quello che è necessario alle utilità del
corpo.
Novantasettesima questione
1. È necessario che
tutti si radunino insieme all'ora del pranzo; ma come comportarsi con chi
resta fuori e viene dopo?
Risposta.
2. Se è stato assente per necessità di luogo o di tempo dall'ordine comune,
sarà compito del superiore esaminarlo e perdonare. 3. Ma, se pur potendo,
non fu abbastanza sollecito ad accorrere, confessi la colpa della sua
negligenza, 4. e resti senza cibo fino all'ora in cui ci si riunisce per la
refezione nel giorno seguente.
Novantottesima questione
1. Come rimandare i
poveri che si presentano alla porta a chiedere l'elemosina? 2. E ognuno deve
offrire del pane o qualunque altra cosa, oppure questo compito deve essere
riservato al superiore?
Risposta.
3. Il Signore ha detto:
Non è bene prendere il pane dei figli e darlo ai cani, ma anche i cani
volentieri accettano di mangiare le molliche che cadono dalla mensa dei
servitori
(Matt. 15, 16 e 17); 4. quindi chi è incaricato della
distribuzione deve assolvere un tale incarico con prudenza. 5. E se qualcuno
ha la presunzione di farlo contro la volontà del superiore, sia rimproverato
come turbolento e indisciplinato, finché impari a stare al suo posto, 6.
secondo quanto dice l'Apostolo:
Ciascuno
resti al posto che gli è stato assegnato
(1 Cor. 7, 20).
Novantanovesima questione
1. È lecito a
ciascuno di cedere la propria tunica vecchia o le calzature a chi vorrà, a
causa della misericordia per osservare il comandamento della carità?
Risposta. 2. Offrire qualche cosa per il detto comandamento
non è compito di tutti, ma di quelli che hanno ricevuto quest'incarico. 3.
Così dunque chi ha il compito della distribuzione dia lui stesso il vestito,
nuovo o vecchio, a chi deve essere dato, e lo riceva da chi deve essere
ricevuto.
Centesima questione
1. Se un fratello
più giovane sarà incaricato di istruire un fratello più anziano di età, come
deve agire con lui?
Risposta.
2. Come uno che compie un servizio per osservare il comando del Signore, con
ogni riverenza, sempre nel timore di quella sentenza che dice:
Maledetto
colui che compie le opere di Dio con negligenza
(Ger.
48, 10); 3. faccia poi attenzione a non insuperbirsi e a non cadere nella
condanna.
Centunesima questione
1. I pellegrini
devono entrare fino ai luoghi in cui i fratelli lavorano, o anche altri
dello stesso monastero, abbandonati i loro posti, possono entrare in altri
luoghi?
Risposta. 2. Eccetto colui che deve andare alla ricerca di
coloro che lavorano, cioè quello che è incaricato del lavoro e
dell'ordinamento, 3. se qualche altro sarà trovato a fare simili azioni, sia
trattato come perturbatore della disciplina e dell'ordine dei fratelli,
venga escluso dalla comunità conventuale, e gli siano vietati anche i
movimenti leciti. 4. Seduto in determinato luogo, stabilito dal superiore e
adatto alla correzione e alla punizione, non gli sia mai permesso di
allontanarsene, 5. ma sia stimolato al lavoro molto più del consueto, e
sorvegliato strettamente ogni giorno, finché impari a compiere quanto dice
l'Apostolo:
Ognuno rimanga nell'incarico che gli
è stato affidato
(1 Cor. 7, 20).
Centoduesima questione
1. È lecito a chi
conosce le arti ricevere un lavoro da qualcuno senza che lo sappia o lo
permetta colui che presiede e ha la cura delle varie opere?
Risposta. 2. Chi agisse in questo modo sarebbe reo di furto,
o assimilato a quelli che cooperano coi ladri.
Centotreesima questione
1. Quale cura
devono avere gli artigiani dei ferri e degli utensili?
Risposta.
2. Prima di tutto li devono usare come oggetti di Dio, o come quelli che
sono già stati consacrati a Dio. 3. E poi li devono trattare come mezzi,
senza dei quali non possono acquistare meriti per il loro sacrificio e per
il loro zelo.
Centoquattresima questione
1. Come ci si
comporterà nel caso che qualche pezzo di quelli va perduto per negligenza, o
si rovini per il disprezzo usato?
Risposta. 2. Chi disprezza è da giudicare come sacrilego, e
così anche chi manda in rovina le cose incorre nella stessa colpa, 3. per il
fatto che tutto ciò che è destinato all'uso dei servi di Dio senza dubbio è
consacrato a Dio.
Centocinquesima questione
1. Come agire con
chi vuole prestare qualche cosa di sua autorità ad altri, o vuole riceverne
da un altro?
Risposta. 2. Si deve considerare come sfacciato e avventato,
perché queste azioni sono propriamente doveri di coloro che comandano e
hanno l'incarico della distribuzione.
Centoseiesima questione
1. Che fare con chi
rifiutasse qualche utensile o un ferro al superiore in caso di necessità?
Risposta.
2. Chi ha consegnato se stesso e le sue stesse membra nelle mani di altri
per comando di Dio, come potrà rifiutare degli utensili, soprattutto a chi
ha l'incarico dei lavori del monastero?
Centosettesima questione
1. Se qualcuno è
occupato nella dispensa, nella cucina o in altro lavoro, e non può essere
presente alla salmodia o all'orazione, non avrà nulla a soffrire per la sua
anima?
Risposta.
2. Ciascuno nel suo lavoro deve osservare una sua regola, come un membro del
corpo, e riporterà un danno se sarà stato negligente in ciò che gli è stato
affidato, 3. e ancora più si esporrà a un pericolo se sarà stato negligente
in quanto riguarda il bene dei confratelli. 4. E perciò deve compiere con
tutta la mente e con dedizione ciò che sta scritto:
Cantate e salmeggiate di tutto cuore
al Signore (Ef. 5, 19). 5. Se
quindi qualcuno non può essere presente col corpo insieme con gli altri al
luogo dell'orazione, compia tutto ciò che appartiene alla pietà verso Dio in
qualunque luogo si abbia a trovare. 6. Tuttavia si deve essere attenti a che
uno possa compiere il proprio dovere a suo tempo e quindi intervenire; 7. ma
mentre vuole parlare, adduce pretesti come se fosse occupato in qualche
lavoro comandato. 8. Se fa così, offre cattive occasioni agli altri, mentre
egli stesso incorre nella colpa della negligenza.
Centottesima questione
1. Come potremo
ottenere di non andar vagando con i nostri sentimenti durante l'orazione?
Risposta.
2. Con la certezza di essere davanti agli occhi di Dio. 3. Se uno vede e
parla con un suo giudice o superiore, non si crede lecito di vagare con gli
occhi e di guardare altrove, mentre quello parla, 4. quanto più chi si
avvicina a Dio non deve muovere gli occhi del cuore, ma essere ben attento
verso colui che scruta le profondità del cuore? 5. Cosicché adempirà quanto
sta scritto:
Alzando le
mani pure senza ira e discussione (1 Tim. 2, 8).
Centonovesima questione
1. È possibile che
un uomo ottenga che in ogni tempo e luogo la sua mente non vada vagando, o
come può avvenire ciò?
Risposta.
2. Che è possibile lo dimostra colui che afferma:
I miei occhi
sono sempre rivolti al Signore (Salmo 24, 25). 3. E di nuovo:
Avevo sempre
il Signore dinanzi a me, perché egli è alla mia destra affinché io non sia
smosso (Salmo 15, 8). 4.
Come poi sia possibile
lo abbiamo già detto, e cioè se non concederemo dell'ozio alla nostra anima,
ma in ogni momento pensiamo a Dio, alle sue opere, ai suoi benefici e ai
suoi doni, 5. e tutto ciò meditiamo sempre nella lode e nel ringraziamento,
come sta scritto:
Cantate con arte (Salmo 46, 8).
Centodecima questione
1. Che significa:
cantate con
arte?
Risposta.
2. Come ognuno in tutti i cibi col gusto riconosce il sapore che essi hanno,
così anche avviene col senso della prudenza per le parole della Scrittura.
3.
Il palato,
è scritto,
riconosce i cibi e il senso discerne le parole (Giob. 12, 11).
4. Se dunque uno rivolge tutta la sua anima alle singole parole dei salmi,
come il gusto è attento alla ricerca del sapore dei cibi, egli è proprio
colui che compie davvero:
Cantate con arte (Salmo 46, 8).
Centundecima questione
1. Con quale
criterio deve moderare il suo potere di distribuzione colui a cui è affidata
la cura della dispensa?
Risposta.
2. Verso colui che gli ha affidato l'incarico di quella distribuzione si
deve ricordare del Signore che dice:
Non posso fare alcuna cosa di mia
autorità (Giov.
5, 30). 3. Per tutti gli altri invece deve conoscere di che
cosa ognuno ha bisogno, perché possa adempiere quello che è scritto:
Si
distribuiva a ciascuno secondo il bisogno
(Atti 4, 35). 4. Lo
stesso metodo deve essere osservato da tutti quelli che hanno ricevuto
l'incarico di qualunque ufficio tanto se si tratta di servizio come di
distribuzione.
Centododicesima questione
1. Quale punizione
si dovrà infliggere al dispensiere nel caso che agisca per preferenza di
persone o per spirito di discordia?
Riposta.
2. Qualche volta l'Apostolo dice:
Non fare alcuna cosa per simpatia, o
con inclinazione verso l'altra parte
(1 Tim.
5, 21); 3. e altra volta afferma:
Se qualcuno vuole sembrare
litigioso, noi non abbiamo una tale usanza, né l'ha la Chiesa
(1
Cor. 11, 16). 4. Se qualcuno fa queste cose sia criticato
finché si corregga. 5. Tuttavia si deve ben esaminare e considerare con la
massima diligenza ed esperienza l'attitudine e la situazione favorevole di
ognuno per affidargli l'incarico di qualunque occupazione oppure ufficio; 6.
e in questo modo né quelli che comandano siano condannati per aver
incaricato di un ufficio non adatto per lui, e siano considerati cattivi
organizzatori tanto rispetto alle anime che all'osservanza dei precetti del
Signore, 7. né quelli stessi che sono comandati abbiano a trarre occasione
di peccato da questo modo d'agire.
Centotredicesima questione
1. E se avrà
trascurato di dare il necessario al fratello?
Risposta. 2. È evidente il
pensiero del Signore stesso in questo caso, dove dice:
Andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, che è preparato al
diavolo e ai suoi angeli.
3.
Ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere (Matt. 25, 41 e 42), con
tutto quello che segue. 4.
Perché è maledetto ogni uomo
che fa negligentemente le opere del Signore (Ger. 48, 10).
Centoquattordicesima questione
1. Si può affermare
che nei progressi rispetto all'osservanza dei precetti di Dio vi è una sola
norma per tutti? 2. Oppure uno deve dare qualche cosa di più e un altro
meno?
Risposta.
3. Che non vi sia una misura uguale per tutti, ma che ad alcuni viene
affidato di più e ad altri meno, è chiaro dalle stesse parole del Signore
che dice: 4.
Del seme
cadde sopra la terra buona, e questo è colui che ascolta le mie parole e le
comprende, e porta frutti, al centuplo o al sessanta o al trenta per uno
(Luc. 8, 8). 5. Altrettanto si riscontra in quelli che
ricevettero il denaro da amministrare, dove è detto che fu dato a chi
cinque, a chi due e a chi un talento.
Centoquindicesima questione
1. Bisogna avere la
stessa stima di quelli che fanno maggior profitto e di quelli che ne fanno
meno?
Risposta. 2. Sarà bene osservare in questo quanto il Signore
stabilisce per la remissione dei peccati:
Gli sono stati rimessi molti peccati
perché ha molto amato (Luc. 7, 47). 3. Colui al quale si
rimette poco, ama anche poco. 4. E di nuovo tenere presente quello che
dispone l'Apostolo riguardo ai presbiteri:
I presbiteri che amministrano bene,
devono essere doppiamente onorati, specialmente quelli che sono attivi nella
parola e nella dottrina (1 Tim. 5, 17). 5. Credo che
altrettanto si debba osservare in tutte le questioni di questo genere.
Centosedicesima questione
1. Come comportarsi
con chi si affligge perché è meno onorato, mentre gli sembra che gli venga
preferito chi ha progredito di più nel timore del Signore?
Risposta.
2. Chi è di tale tipo certo non manca del vizio della malignità, secondo la
parabola del Vangelo, in cui il Signore dice a quelli che si rattristarono
perché altri erano stati onorati come loro:
Che forse il tuo occhio è cattivo
perché io sono buono?
(Matt. 20, 15). 3. Ed
è manifesta la sentenza del Signore per questi tali, quando dice per mezzo
del profeta:
Il malvagio al suo cospetto è ridotto a niente, ma egli onora chi teme il
Signore (Salmo 14, 4).
Centodiciassettesima questione
1. Un'anima, dopo
molti peccati e dopo molte miserie della vita, con quale timore e con quali
lacrime deve smettere di peccare? 2. e con quale speranza e con quale amore
deve riavvicinarsi a Dio?
Risposta.
3. Anzitutto deve odiare la sua precedente vita sospetta, averne orrore e
maledirne il ricordo, poiché sta scritto:
Ho odiato e detestato l'iniquità, ma
ho amato la tua legge (Salmo 118, 136). 4. In secondo luogo
perché abbia un maggior timore cerchi di possedere il più grande timore del
fuoco eterno e della pena perpetua. 5. E inoltre impari a conoscere il tempo
opportuno delle lacrime attraverso la penitenza, 6. come ha insegnato David
nel salmo sesto che la purificazione dei peccati si può avere con
l'abbondanza delle lacrime nel sangue di Cristo, per la potenza della sua
misericordia, e per la grandezza della pietà di Dio, che ha detto: 7.
Se i vostri peccati saranno come
scarlatto, li farò diventare bianchi come la neve; se poi saranno come la
cocciniglia, li renderò come lana candida (Is. 1, 18). 8. E
dopo questo, ricevuta la forza e il diritto di piacere a Dio, dice:
Hai cambiato
il mio pianto in gioia; hai fatto a pezzi il mio sacco, e mi hai rivestito
di letizia, perché canti te, mia gloria
(Salmo 29, 12). 9. E
così avvicinandosi a Dio possa
cantare:
Ti esalterò, o Signore, perché mi
hai sollevato, e non hai rallegrati i miei nemici sopra di me (Salmo
29, 1).
Centodiciottesima questione
1. Sta scritto:
La
redenzione dell'anima di un uomo sono le sue ricchezze (Prov.
13, 8); 2. ora desideriamo sapere come potremo fare noi, dal momento che non
abbiamo occasione di distribuire le ricchezze per la redenzione dell'uomo.
Risposta. 3. Se
veramente vogliamo, ma non abbiamo potuto, ricordiamoci della
risposta del Signore a Pietro, che, mostrando interesse a questo argomento,
diceva: 4.
Ecco noi
abbiamo abbandonato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque sarà di noi?
(Matt. 19, 27). 5. Il Signore gli rispose dicendo:
Ognuno che avrà abbandonato la casa,
o i fratelli o le sorelle o il padre o la madre o la moglie o i figli o i
suoi campi per me, e per il Vangelo, riceverà il centuplo, e conseguirà la
vita eterna (Matt. 19, 29). 6. Che se a qualcuno accade di
aver tralasciato le ricchezze per negligenza, almeno in un secondo tempo si
adoperi con maggior sollecitudine perché, facendo doni dal ricavato del
lavoro delle sue mani, ripari di aver trascurato il suo dovere. 7. Se poi
nemmeno ora ci avanza il tempo o la forza di compiere un tale servizio,
possiamo trovare consolazione nell'Apostolo che dice:
Non cerco le vostre cose, ma voi (2
Cor. 12, 14).
Centodiciannovesima questione
1. Se qualcuno, sentendo le parole del Signore, che dice:
Un servo che ha saputo la volontà del suo padrone e non ha eseguito la
volontà di lui, sarà bastonato molto; 2. chi poi non l'ha conosciuta, e non
agì in modo degno, sarà colpito con poche percosse (Luc. 12, 47-8),
trascuri e finga di non conoscere la volontà del Signore, ha qualche scusa?
Risposta.
3. Evidentemente chi si comporta così finge ignoranza, e in nessun modo
potrà evitare la condanna per il peccato. 4.
Se non fossi venuto,
dice il Signore,
e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno
scuse per il loro peccato (Giov. 15, 22). 5. Così dunque la
santa Scrittura a tutti comunica la volontà di Dio, affinché, un tale uomo
non sia giudicato fra quelli che sono ignoranti, 6. ma piuttosto con quelli
dei quali sta scritto:
Come vipere sorde che si turano le orecchie per non udire la voce
dell'incantatore, ed essere curate dalla medicina, che è preparata da un
sapiente
(Salmo
57, 5 e 6). 7. Ma il superiore, che ha il compito di comunicare la parola di
Dio, se avrà trascurato di farla conoscere e inculcarla a ciascuno su ogni
argomento, sarà giudicato come omicida delle anime, secondo la Scrittura.
Centoventesima questione
1. Chi fa la
volontà di qualcun altro è anche suo cooperatore e complice?
Risposta. 2.
Certo, se crediamo al Signore che dice:
Chi compie il
peccato, è schiavo del peccato (Giov. 8, 34).
3. E di nuovo:
Voi avete per padre
il diavolo, e volete fare i desideri del padre vostro (Giov. 8, 44); 4. donde
sappiamo che non solo si rende cooperatore e complice, ma anche suo padrone
e signore, poiché compie le stesse opere di lui. 5. Ne fa testimonianza
anche l'Apostolo, che dice:
Non sapete che siete servi di colui,
al quale vi siete offerti come servi nell'obbedire, sia del peccato che
porta alla morte, sia dell'ubbidienza che porta alla giustizia? (Rom. 6, 16).
Centoventunesima questione
1. Se uno mostra di
approvare il peccato di un altro, è anche lui reo di quel peccato?
Risposta. 2. Questa questione è chiara dalle parole che il
Signore rivolse a Pilato:
Chi mi ha consegnato a te, ha commesso un peccato più grande (Giov.
19, 11). 3. È evidente da ciò che anche Pilato, dando il consenso a quelli
che consegnarono alla morte il Signore, abbia commesso peccato, benché
minore di quelli. 4. Tutto ciò poi è dimostrato anche dal fatto che Adamo
acconsentì e si accordò con Eva, che aderì alle suggestioni del serpente. 5.
Infatti nessuno di loro fu giudicato innocente o ne uscì impunito. 6. Ma sta
ancora a provarlo lo sdegno che Dio ebbe contro di loro. Infatti ad Adamo
che per sua scusa faceva notare:
La donna che
mi hai data per compagna mi ha dato del frutto e io ne ho mangiato
(Gen.
3, 12), rispose: 7.
Poiché hai ascoltato la voce della tua donna, e hai mangiato del frutto, del
quale ti avevo proibito di mangiarne, sarà maledetta la terra anche per il
tuo lavoro (Gen. 3, 17).
Centoventiduesima questione
1. Si
deve tacere con i fratelli che peccano e non occuparsene?
Risposta. 2. Che non
si deve è ben chiaro dai precetti del Signore, coi quali dice nell'Antico
Testamento:
Rimprovera il tuo prossimo e non ti caricherai del suo peccato (Lev. 19, 17). 3.
Nel Vangelo poi dice:
Se un tuo fratello avrà peccato
contro di te, va e riprendilo fra te e lui solo. 4.
Se ti ascolterà avrai guadagnato un tuo fratello. 5.
Se invece non ti ascolterà, prendi ancora con te un altro o due, affinché
per bocca di due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa. 6. Se poi non
ascolterà nemmeno loro, dillo all'assemblea. 7.
Se poi non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un
pubblicano (Matt. 18, 15-17). 8. La gravità di questo peccato si conosce prima
di tutto dalla sentenza del Signore, che dice:
Chi non crederà nel Figlio non avrà la vita eterna, ma su di lui rimarrà
l'ira di Dio (Giov.
3, 36). 9. E poi anche nelle storie narrate nell'Antico e nel Nuovo
Testamento. 10. Infatti Acor, quel tale che aveva rubato il regolo d'oro,
fece ricadere l'ira di Dio su tutto il popolo. 11.
Eppure il popolo non conosceva il
peccato che quello aveva commesso fino a che non fu rivelato, e dovette
sopportare con tutta la sua casa quel tremendo e notissimo flagello. 12. E
così si può affermare anche del sacerdote Eli, che, dopo aver taciuto di
fronte ai figli peccatori, che erano figli di perdizione, 13. in seguito li
ammonì spesso e li castigò, dicendo:
Non fate ciò, figlioli; non sento dire cose buone di
voi
(1 Re 2, 24),
ecc.; 14. egli, nonostante che rimproverasse il
peccato e ammonisse del giudizio di Dio, tuttavia, poiché non represse il
male e non si adirò contro di loro con uno zelo degno di Dio, 15. provocò
tanto l'ira di Dio, che anche tutto il popolo fu distrutto insieme ai suoi
figli, l'arca dell'alleanza fu rapita dai nemici, 16. e in fine, dopo la
rovina di tutti, anche lui fu colpito da una morte degna di compassione.
17. Se dunque tanto
sdegno di Dio si accese contro il popolo ignorante del peccato di una sola
persona, e contro il padre che aveva rimproverato i figli per il loro
peccato, 18. che cosa c'è da sperare per coloro che conoscono i delitti
degli altri e li tacciono, e non rivolgono nessuna correzione? 19. A questi
converrebbe osservare quello che dice l'Apostolo ai Corinti:
Perché non
avete piuttosto messo il lutto, finché non fosse tolto di mezzo a voi chi ha
commesso un tale peccato?
(1 Cor. 5, 2) ecc. 20.
O anche quanto segue:
Ecco dunque la vostra tristezza secondo Dio quanta premura ha prodotto in
voi, anzi quanta difesa, quanta indignazione, quanto timore, quanto zelo,
quanta emulazione, quanta severità? (2
Cor. 7, 11). 21. E da ciò deriva che devono molto temere, per
non avere a subire la stessa morte degli antichi, quelli che agiscono allo
stesso modo; 22. anzi tanto più fortemente quanto più dannoso è il
disprezzare la legge di Cristo di quella di Mosè. 23. Anche a questi tali si
può applicare quanto sta scritto:
Caino è stato vendicato sette volte, e Lamec settanta volte sette
(Gen.
4, 24).
Centoventitreesima questione
1. Perché alcune
volte all'anima, anche se non è abbastanza attiva, pure accade di avere un
certo dolore del cuore e una compunzione del cuore in modo spontaneo, 2. e
invece altre volte essa è posseduta da tanta sicurezza e indifferenza che,
anche se l'uomo si fa violenza, non può riuscire a provare alcun dolore o
compunzione del cuore?
Risposta.
3. Una tale compunzione viene da un dono di Dio, che vuole provocare
nell'anima il desiderio di gustare la dolcezza di una compunzione e di un
dolore di questo genere, e provocarla ed eccitarla ad imitare una grazia
così grande. 4. In questo modo si dimostra che se viene data anche a quelli
che non sono abbastanza attivi, quanto più sarà data [anche] a quelli che
desiderano e si adoperano di essere sempre nella compunzione del timore di
Dio? 5. e così sono senza alcuna scusa coloro che perdono una tale grazia.
6. Che poi alle volte ci costringiamo, e non possiamo ottenere quanto
desideriamo, si rileva dal fatto che in altri tempi abbiamo usato molta
trascuratezza. 7. Non è possibile che chi non si è esercitato né nelle
meditazioni né nelle istituzioni divine, arrivi immediatamente all'orazione,
fino ad ottenere quanto raccomanda. 8. Ma proprio per questo si nota che una
simile anima è aggravata da altri vizi e da altre passioni, che la dominano
tanto da non permetterle di far uso della sua libertà, 9. conforme a quanto
tratta anche l'Apostolo, che dice:
Poiché io
sono carnale, venduto al peccato. 10.
Infatti non
faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio
(Rom.
7, 14 e 15). 11. E ancora:
Ora non sono io che opero, ma il
peccato che opera in me (Rom. 7, 17). 12. Tutto ciò Dio stesso
permette che ci avvenga per nostro vantaggio, affinché l'anima per queste
sofferenze che subisce contro la sua volontà una buona volta si corregga,
13. e si converta a colui che può riempire di ogni bene i suoi desideri, e
la sollevi dal peso delle sue colpe; 14. e così conoscerà finalmente se
stessa e rinsavisca, e in fine comprenda che è trattenuta prigioniera nelle
catene del diavolo. 15. In quelle catene è caduta per sua colpa, e, ormai
come prigioniera agisce secondo quello che vuole, ma fa proprio ciò che
odia. 16. Ma se si converte al Signore, che la liberi da questo corpo di
morte, troverà subito misericordia, purché sia pentita profondamente e con
tutto il cuore.
Centoventiquattresima questione
1. Come si diventa
degni di essere partecipi dello Spirito Santo?
Risposta. 2. Nostro Signore Gesù Cristo ci ha insegnato:
Se mi amate,
osservate i miei comandamenti; 3.
e io
pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Consolatore, lo Spirito di
verità, che questo mondo non può ricevere
(Giov. 14, 15 e 16).
4. Finché dunque non osserviamo i comandamenti del Signore, e non siamo tali
che Egli possa dare di noi la testimonianza: 5.
Voi non siete di questo mondo (Giov.
15, 19), non possiamo ottenere la partecipazione dello Spirito Santo.
Centoventicinquesima questione
1. Chi sono i
poveri in spirito?
Risposta.
2. Alcune volte il Signore afferma:
Le parole che vi ho rivolto sono
spirito e vita (Giov. 6, 44); 3. altre invece:
Lo Spirito
Santo vi insegnerà e vi avvertirà di tutte le cose che vi ho dette.
4.
Non parlerà
da se stesso, ma vi dirà tutto quello che ode (Giov. 16, 13).
5. I poveri nello spirito sono quelli che non sono poveri per altro motivo
che per l'insegnamento del Signore che dice:
Va, vendi tutto quello che possiedi, e dallo ai poveri (Matt.
19, 21). 6. Se poi anche qualcuno regolerà e sopporterà la povertà che gli è
stata imposta per qualunque motivo secondo la volontà di Dio, 7. come quel
tal Lazzaro, anch'egli non sarà allontanato dalla beatitudine, poiché il
Signore comanda: 8.
Non vogliate essere solleciti per quello che mangiate o beviate, o di che vi
abbiate a vestire (Matt. 6, 31).
Centoventiseiesima questione
1. Fino a che punto
si spinge l'osservanza di un comando? o come si può compierlo?
Risposta. 2. L'osservanza di un comando arriva fino alla
morte, perché anche il Signore si è fatto ubbidiente fino alla morte; 3. e
si può compierlo per il fatto che ognuno ha desiderio e amore di Dio. 4. Il
Signore, riprovata la sollecitudine del secolo, subito fa seguire la
speranza della promessa, dicendo: 5.
Sa bene il Padre vostro di che cosa avete bisogno, prima che lo domandiate
(Matt. 6, 8). 6. Ma anche l'Apostolo dice:
Noi stessi portiamo dentro di noi
l'avviso della morte, perché non siamo troppo fiduciosi in noi stessi, ma in
Dio che risuscita i morti (2 Cor. 1, 9). 7. Secondo il nostro
proposito dunque e secondo le disposizioni dell'anima, moriamo ogni giorno,
ma siamo salvati per volontà di Dio. 8. Perciò l'Apostolo diceva con tutta
fiducia:
Siamo come
moribondi, eppure ancora viviamo (2 Cor. 6, 9). 9. A un tale
proposito giova, anche riguardo ai comandamenti di Dio, un animo più ardente
e un desiderio insaziabile, 10. e chi lo possiede profondamente non avrà
nemmeno il tempo e l'agio di occuparsi in pratiche e azioni temporali.
Centoventisettesima questione
1. Se dunque non si
deve avere sollecitudine per le necessità della vita, e altro è il precetto
del Signore:
Cercate il cibo che non perisce (Giov. 6, 27), è
superfluo lavorare con le proprie mani?
Risposta.
2. Il Signore stesso in un altro passo ha chiarito il suo precetto. 3. Ivi
infatti affermò che non si deve ricercare nessuna cosa per la vita, dicendo:
Non vogliate
cercare che cosa mangiate o che beviate, poiché questo lo ricercano i pagani
di questo mondo (Matt. 6, 31); 4. e aggiunse:
Cercate il
regno di Dio e la sua giustizia (Matt. 6, 33). 5. E indicò
anche come lo si deve cercare: dopo aver detto:
Non state a cercare il cibo che
perisce, aggiunge:
Ma cercate piuttosto il cibo che resiste per la vita eterna (Giov.
6, 27). 6. Anche di che cosa si tratta lo mostra in un altro passo lui
stesso, dicendo:
Il mio cibo è di fare la volontà di chi mi ha mandato, il Padre (Giov.
4, 34). 7. La volontà del Padre è quella di dare il cibo a quelli che hanno
fame, da bere a quelli che hanno sete, di coprire i nudi e tutte le altre
opere di questo genere. 8. E poi è necessario imitare anche l'Apostolo che
dice:
Vi ho
dimostrato che si devono soccorrere gli infermi col nostro lavoro
(Atti
20, 35). 9. E in altra occasione insegna:
Ognuno di voi lavori di più,
operando con le sue mani quello che è bene, affinché possa donare a quelli
che soffrono nella necessità (Ef. 4, 28). 10. Poiché
dunque il Signore ci offre questi ammaestramenti tanto nel Vangelo che
attraverso l'Apostolo, è chiaro che non dobbiamo essere solleciti né
lavorare per noi stessi, 11. ma per l'adempimento del comando del Signore e
per i bisogni del prossimo abbiamo l'obbligo di essere premurosi e di
adoperarci con molta attenzione, 12. e soprattutto perché il Signore accetta
come fatto a se stesso quanto avremo compiuto a favore dei suoi servi, 13. e
per tali servizi promette il regno dei Cieli.
Centoventottesima questione
1. Se uno pensa nel suo cuore ai cibi, e dopo si biasima e si corregge,
anche lui è da giudicare come chi ripone i suoi pensieri nelle cose terrene?
Risposta.
2. Se non è proprio il tempo, in cui l'appetito ci spinge per naturale
necessità a cercare i cibi, è chiaro che ciò è indizio di mente svagata e
dimostra un'anima che porta con sé l'affetto alle cose presenti, e inoltre
si rivela inerte e apatica verso la volontà di Dio; 3. però ha già vicina la
misericordia di Dio, e per il fatto stesso di essersi biasimato e corretto,
è già liberato dal marchio della colpa; 4. tuttavia stia attento agli errori
dei suoi pensieri, ricordando ciò che dice il Signore :
Ecco ora sei guarito, non peccare
più, perché non ti accada qualche cosa di peggio (Giov.
5, 14). 5. Se poi si tratta di tempo, in cui siamo dalla natura spinti alla
ricerca dei cibi, e la mente, occupata in cose migliori, disprezza e
trascura quelle inferiori, non sarà da riprovare il ricordo dei cibi, ma si
dovrà lodare il loro disprezzo.
Centoventinovesima questione
1. Si può avere una
seconda tunica per la notte, o di pelo di capra o di qualunque altra specie?
Risposta.
2. L'uso del cilicio ha il suo tempo, poiché quest'indumento non è stato
creato per le consuete utilità del corpo, ma per la sua afflizione, e per la
mortificazione dell'anima. 3. Ma dal momento che la parola di Dio proibisce
di avere due tuniche, come potremo interpretare tutto ciò se non in
riferimento agli usi che sopra abbiamo ricordati?
Centotrentesima questione
1. È lecito a chi
presta un servizio parlare con voce forte, cioè gridando?
Risposta.
2. Alla possibilità di udire deve essere commisurato il volume della voce.
3. Se dunque la voce sarà troppo debole o troppo bassa rispetto a ciò che si
tratta, sarà possibile che sembri piuttosto un mormorio o un ronzio che un
vero discorso. 4. Se poi fosse più forte di quanto lo richiede l'argomento,
e colui al quale si parla fosse in grado di sentire, non sarebbe più
semplicemente voce, ma si tratterebbe di grido, e ciò è degno di
riprovazione; 5. a meno che colui che ascolta non sia per caso di udito
troppo difficile, e la necessità ci spinga a parlare ad alta voce. 6. Perciò
anche del Signore è scritto:
Gesù
esclamava ad alta voce, dicendo: Se uno crede in me, non crede in me solo,
ma in colui che mi ha mandato (Giov. 12, 44). 7. Parlare ad
alta voce è proprio per quelli che hanno un udito interno insensibile e
otturato.
Centotrentunesima questione
1. Se qualcuno nel
giorno in cui gli tocca il servizio di cucina, lavorasse al di sopra delle
sue forze, tanto da essere impedito e da non poter nemmeno compiere la sua
opera negli altri giorni, sarà bene affidargli un tale ufficio?
Risposta.
2. Più sopra abbiamo già detto che colui che ha l'incarico degli uffici e
colui che è superiore deve avere la massima considerazione delle forze e
delle possibilità di ciascuno, 3. e affidare i lavori secondo le attitudini,
affinché non abbia a incorrere in quanto sta scritto:
Egli mette il travaglio nel suo
comando
(Salmo 93, 20). 4. Tuttavia colui che vien comandato non deve
contraddire, perché è stabilito che l'ubbidienza si deve osservare fino alla
morte.
Centotrentaduesima questione
1. Come deve aver
cura della lana chi ne ha l'incarico? 2. e come si deve comportare con
quelle che la lavorano?
Risposta.
3. Tratti il lavoro della lana come opera di Dio a lui affidata; 4. riguardo
poi alle sorelle, deve ordinare il lavoro, senza alcuna disputa o preferenza
di persone, a ciascuna di loro secondo le attitudini e le competenze.
Centotrentatreesima questione
1. Se qualcuno è
condannato a non ricevere il pane benedetto, e dice: se non accetto il pane
benedetto, resto senza mangiare, lo dobbiamo ascoltare?
Risposta.
2. Se veramente la colpa per la quale è stato condannato è di tale portata,
che sia bene privarlo anche del cibo, lo deve decidere il superiore. 3. Se
poi la sua punizione riguarda solo la benedizione, ma gli si concede il
cibo, si consideri però sempre condannato e disubbidiente, 4. e anche in
questo deve accettare la qualifica di ostinato, e riconoscere che, cosi
agendo, non si dà cura della colpa, ma rafforza la sua trasgressione.
Centotrentaquattresima
questione
1. Con quale
timore, con quale fede e con quale amore dobbiamo accogliere la grazia del
corpo e del sangue di Cristo?
Risposta. 2. Proprio
l'Apostolo ci insegna il timore, dicendo:
Chi mangia e beve
indegnamente si mangia e beve il proprio giudizio (1 Cor. 11, 29). 3. La
fede poi ce la insegna la parola del Signore, che dice:
Questo è il mio corpo che viene offerto per molti; questo fate in memoria di
me (Luc. 22, 19). 4. E
anche la parola di Giovanni che afferma:
Il Verbo si è fatto
carne, e ha abitato con noi, e abbiamo veduto la sua gloria, gloria come di
unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità (Giov.
1, 14). 5. Ma anche l'Apostolo dice:
Egli, esistendo
nella forma di Dio, non considerò come rapina questo suo essere uguale a
Dio, 6.
ma annientò se stesso, prendendo la forma di servo, divenne simile agli
uomini, e umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e morte di
croce (Fil. 2, 645).
7. Quando dunque
l'anima ha fede in queste parole, e considera lo splendore della gloria del
Signore, 8. e ammira l'eccesso di umiltà, per cui è stato ubbidiente al
Padre tanto profondamente da arrivare fino alla morte per dar vita a noi, 9.
penso che possa essere stimolata all'affetto e all'amore di Dio Padre
stesso, che non perdonò al suo Figlio Unigenito, ma lo offrì per noi tutti,
10. e sarà anche più eccitato all'amore del suo Unigenito chi considera che
ha sopportato una morte tanto ignominiosa. 11. Come anche l'Apostolo
affermava;
La carità ci
stringe a Cristo, giudicando che se uno è morto per tutti, dunque tutti sono
morti, 12.
e che egli è morto per tutti, affinché chi vive non viva più per se stesso,
ma per colui che è morto per loro ed è risuscitato (2
Cor.
5, 14). 13. Un tale affetto e una tale fede deve predisporre nel suo animo
colui che riceve il corpo e il sangue di Cristo.
Centotrentacinquesima questione
1. Qual è il tesoro
buono e qual è quello cattivo?
Risposta. 2. Proprio la prudenza e l'intelligenza del Cristo
e la fortezza dell'animo, che ha per scopo la gloria di Dio, questo è il
tesoro buono. 3. Invece la prudenza e l'intelligenza proprie della malizia,
come pure il gusto di ciò che Dio non vuole, costituiscono il tesoro
cattivo; 4. e da essi, secondo la parola di Dio, provengono al tempo
opportuno per ciascuno frutti buoni o cattivi, tanto nelle opere che nelle
parole.
Centotrentaseiesima questione
1. È bene tacere
del tutto?
Risposta. 2. Il silenzio e lo spirito del silenzio allora
sono convenienti se sono adatti tanto alle persone che al tempo, 3. come ce
lo insegna la S. Scrittura, che in un caso si esprime così:
Chi intende
in quel tempo determinato tacerà perché è tempo cattivo (Am.
5, 13); 4. altre volte invece dice:
Ho posto un freno alla mia bocca,
allorché il peccatore insorgeva contro di me. 5.
Son
diventato come muto e mi sono umiliato, e non ho parlato neppure di cose
buone (Salmo 38, 2 e 3); 6. e altrove:
Se un altro che è seduto ha ricevuto
una rivelazione, il primo taccia
(1 Cor. 14, 30); 7. e
di nuovo:
Le vostre donne tacciano nelle assemblee (1 Cor. 14, 34). 8.
Ma anche in altra occasione è detto a coloro che hanno una lingua senza
freno:
Nessun
discorso cattivo esca dalla vostra bocca; 9.
ma solo
quello buono per l'edificazione della fede (Ef. 4, 29). 10.
Però lo spirito del silenzio è necessario, finché siano distrutti i vizi che
hanno la loro origine nella leggerezza della lingua e dei discorsi, 11.
cosicché avvenga quanto è scritto:
Il loro discorso sia condito di sale, in modo da recare grazia a chi lo
ascolta (Col. 4, 6).
Centotrentasettesima questione
1. Nelle ore
dedicate all'orazione o alla salmodia qualcuno può parlare nella casa?
Risposta. 2. Possono parlare solo quelli che sono incaricati
di qualche servizio, o quelli, ai quali è affidata la cura della disciplina
o della distribuzione dei lavori; 3. ma anche questi devono agire con molta
prudenza, in modo da dire solo quel tanto che è strettamente necessario, 4.
e anche questo lo facciano, con pacatezza e con decoro, perché non abbiano a
disturbare o a procurare qualche molestia; 5. a tutti gli altri conviene
osservare il silenzio. 6. Infatti se l'Apostolo dice ai profeti che
insegnavano nella Chiesa: Se
a un altro che è seduto sarà fatta una rivelazione, il primo taccia (1 Cor.
14, 30), 7. quanto più nel tempo dell'orazione e della salmodia conviene
tacere e osservare il silenzio a tutti, a meno che, come abbiamo detto più
sopra, un motivo di comune utilità non costringa a dire qualche cosa.
Centotrentottesima questione
1. Come possiamo
temere i giudizi di Dio?
Risposta. 2. Per natura ogni attesa del male incute timore.
3. Così è che abbiamo timore delle bestie e dei principi, consapevoli che da
loro sovrasta qualche cosa che riguarda il pericolo della vita. 4. Se dunque
crediamo alla verità delle minacce del futuro giudizio di Dio, e ci
ricordiamo di quel terribile tribunale e dell'esame che ci attende, avremo
timore dei giudizi di Dio.
Centotrentanovesima questione
1. Quanto è larga e
spaziosa la via che conduce alla morte?
(Matt. 7, 13).
Risposta. 2. Il Signore nella sua grande clemenza si serve
di tutte quelle espressioni e parole, che possono fare arrivare fino a noi
la conoscenza della dottrina della verità. 3. Come dunque quelli che sono in
viaggio, se si allontanano dal retto cammino, che è racchiuso da determinati
limiti e da tracciato ben visibile, vanno vagando per molti luoghi, 4. così
anche chi si sarà allontanato dalla via che conduce al regno dei cieli,
cadrà in una vasta serie di errori, per la quale si arriva alla perdizione.
Centoquarantesima questione
1. Quanto è angusta
la porta e stretta la via che conduce alla vita?
(Matt. 7, 14).
Risposta.
2. Anche in questo caso l'angusto e lo stretto indica che questa via, cioè
la nostra vita, è resa angusta e stretta dalle tribolazioni. 3. Siamo
costretti veramente da ambedue le parti del nostro cammino, perché non
abbiamo a deviare del tutto in altre direzioni. 4. E il pericolo sta proprio
in questo, che si devii da una parte o dall'altra: come avviene nel passare
su un ponte stretto, quando uno avesse a cadere da una parte o dall'altra,
le onde di un fiume impetuoso lo strappano e lo trascinano. 5. Perciò è
dunque scritto:
Non deviare
né a destra né a sinistra (Num. 20, 17). 6. E David dice:
Mi hanno
posto un ostacolo lungo la via (Salmo 139, 6).
Centoquarantunesima questione.
1. Entro quali
limiti si può circoscrivere l'avarizia?
Risposta.
2. In base alla trasgressione del metodo stabilito dalla legge. 3. E ciò si
rivela, secondo l'Antico Testamento, dal fatto che uno ami più se stesso, o
sia più premuroso del denaro e di ciò che è necessario a lui che al
prossimo. 4. È scritto infatti:
Amerai il tuo prossimo come te stesso (Matt. 19, 19). 5. E
secondo il Vangelo, se qualcuno è più sollecito della vita presente, a causa
di sé e del suo corpo, 6. certamente si sentirà dire:
Stolto, questa notte verranno a
richiederti la tua anima; e di chi saranno le cose che avrai accumulate?
(Luc. 12, 20). 7. E a ciò il Signore aggiunge:
Così avverrà a chi raccoglie tesori,
e non è ricco secondo il Signore (Luc. 12, 21).
Centoquarantaduesima questione.
1. Che significa
agire in maniera inutile?
Risposta.
2. Qualunque cosa si fa non per gli usi necessari, ma per ornamento o per la
magnificenza di qualcuno, questo è propriamente agire senza utilità.
Centoquarantatreesima questione
1. Qual è l'abito
ordinato, di cui parla l'Apostolo?
Risposta. 2. L'abito ordinato è quello che si usa conforme
al tenore di vita di ognuno, a seconda del luogo, del tempo o della persona.
3. Non si può fare lo stesso uso di un abito nel tempo dell'inverno e nel
tempo dell'estate; 4. e non è identico l'abito di chi lavora e di chi
riposa; 5. e così anche l'abito militare non è uguale a quello civile, né
quello dell'uomo è come quello della donna.
Centoquarantaquattresima
questione
1. Vi sono di
quelli che rifiutano i vestiti preziosi, ma, pur usando indumenti e
calzature di poco prezzo, se ne servono con tale compostezza da ricavarne un
ornamenta ricercato; 2. si deve ritenere che questi tali commettono peccato
o che agiscono così per un vero e proprio vizio?
Risposta.
3. Chi vuole piacere agli uomini con un abito bello, è chiaro che soffre del
vizio proprio di coloro che vogliono piacere agli uomini, ed è certo che la
sua mente vaga molto lontano da Dio. 4. Ma è anche questo un vizio, l'agire
inutilmente, dal momento che ci si serve degli indumenti e delle calzature
non per necessità, ma per solo ornamento vanitoso.
Centoquarantacinquesima
questione
1. Che cosa significa
Raca?
Risposta. 2. È un'espressione provinciale propria di un
rimprovero piuttosto leggero, che si vuol dire alle persone di servizio e a
quelli nei quali si ripone la propria fiducia.
Centoquarantaseiesima questione
1. Che cosa
significa quello che dice l'Apostolo:
Non ci rendiamo
desiderosi della vana gloria (Gal.
5, 26), e di nuovo:
Non servite all'occhio, come per piacere agli uomini (Ef.
6, 6)? 2. Chi è il bramoso della vana gloria, e chi è colui che vuol piacere
agli uomini?
Risposta.
3. Credo che sia avido per vana gloria chi fa o dice qualche cosa per la
sola gloria del mondo, cioè per amore di quelli che vedono e odono di lui
qualche cosa degna di lode o di ammirazione. 4. Dimostra di voler piacere
agli uomini colui che opera e parla secondo il volere di qualche uomo, in
modo da piacergli, anche se ciò che fa è indegno e nocivo.
Centoquarantasettesima
questione
1. Che cos'è la
contaminazione della carne e quella dello spirito? (2 Cor. 7,
1). E come ce ne possiamo correggere? 2. E qual è la santificazione, e come
la possiamo ottenere?
Risposta.
3. Contaminazione della carne è mettersi insieme con quelli che commettono
cose illecite e abominevoli. 4. Contaminazione dello spirito poi si ha
allorché ci uniamo imprudentemente con quelli che hanno un senso irreligioso
della fede. 5. Possiamo liberarci da questi mali se adempiamo quanto dice
l'Apostolo:
Con tale
gente non prendere nemmeno il cibo
(1 Cor. 5, 11), e
tutto ciò che di simile stabilisce. 6. O senza alcun dubbio quando soffriamo
nel nostro cuore quello che dice David:
Mi ha preso la tristezza alla vista
dei peccatori che abbandonano la tua legge
(Salmo
118, 53). 7. O se mostreremo che la nostra tristezza è come quella che
manifestarono quelli di Corinto, quando furono rimproverati da Paolo,
allorché si comportavano
senza parzialità verso
colui che aveva peccato:
In tutto avete mostrato di essere
innocenti in quell'affare (2 Cor.
7, 11).
8. La santificazione poi è l'adesione a Dio dal più profondo di noi stessi,
ed essere solleciti in ogni tempo e senza interruzioni nel dimostrare ogni
premura di piacere a Lui. 9. E, a dire il vero, nessuna cosa difettosa può
essere offerta o santificata nei doni fatti a Dio; 10. né ciò che una volta
è stato offerto e santificato a Dio può essere posto ad uso delle umane
necessità; altrimenti sarebbe sacrilego ed empio.
Centoquarantottesima questione
1. Chi è
puro di cuore?
Risposta.
2. Chi non ha da rimproverarsi di aver prevaricato o disprezzato o
trascurato un comandamento di Dio.
Centoquarantanovesima questione
1. Come si può
avere odio contro il peccato?
Risposta. 2. Sempre nasce negli uomini a causa di ciò che ha
effetto triste e funesto un odio contro quelli che furono causa di un tale
turbamento. 3. Altrettanto dunque avviene se si è convinti di quali e quanti
mali sono causa i peccati; 4. istintivamente e senza alcuna spinta esteriore
nasce in noi dal più intimo del cuore l'odio contro di essi, come mostra
quel tale che affermava:
Ho odiato e avuto in orrore l'iniquità
(Salmo
118, 163).
Centocinquantesima questione
1. Come si possono
osservare i comandamenti del Signore con l'anima e con affetto?
Risposta. 2. Per natura proviamo diletto nelle cose buone e
giovevoli. 3. Se dunque crediamo nelle cose che ci sono promesse, per il
fatto stesso della nostra fiducia penetrano nell'anima nostra l'affetto e il
desiderio a compiere ciò, per cui possiamo raggiungere quello che è nei
nostri desideri. 4. Se dunque si sarà odiata e detestata l'iniquità, ci
purificheremo anche da ogni peccato; 5. e da ciò verrà di conseguenza che,
come il corpo non può provare diletto nei cibi per un malore, così anche
l'anima non è attratta da alcun desiderio per osservare i comandamenti di
Dio a causa della malattia del peccato. 6. Se ci si ricorda che il
comandamento di Dio è la vita eterna, e che per tutti quelli che lo
custodiscono resta l'adempimento delle promesse, 7. proprio per tutto questo
può veramente nascere nell'anima quell'affetto di cui David ha detto:
Giusti e veri in se stessi sono i giudizi di Dio, più desiderabili dell'oro
e delle pietre molto preziose; e più dolci del miele e del favo del miele.
8.
Perciò il tuo servo li adempie; grande è la retribuzione nell'osservarli
(Salmo 18, 10-12).
Centocinquantunesima questione
1. Qual è la giusta
misura riguardo all'amore di Dio?
Risposta.
2. La vera misura è quella di spiegare sempre la propria anima al di sopra
delle forze verso la volontà di Dio, avendo di mira e desiderando ciò che
appartiene alla gloria di Dio.
Centocinquantaduesima questione
1. Come si può
ottenere di possedere la carità di Dio?
Risposta.
2. Se siamo grati e fedeli verso i benefici di Dio, ciò che vediamo avvenire
anche fra gli animali bruti. 3. Infatti anche i cani qualche volta amano
quelli che danno loro il cibo. 4. Ma anche Isaia lo insegna quando dice
nella persona del Signore: dopo aver rimproverato il popolo ingrato:
Ho generato
ed esaltato dei figli; ma essi mi hanno disprezzato. 5.
Il bue ha
riconosciuto il suo possessore e l'asino la greppia del suo padrone, ma
Israele non mi ha riconosciuto, e il popolo non ha voluto intendermi (Is.
1,
2-3). 6. Come infatti nel bue e
nell'asino per il beneficio di essere nutriti sorge spontaneo l'affetto per
il pastore, 7. così anche noi, se accettiamo con gratitudine e con sincerità
i benefici di Dio, senza dubbio amiamo Dio datore di quei benefici; 8. e
senza ricevere alcun insegnamento, per un naturale istinto siamo spinti
all'amore verso di Lui, purché sia ben presente la salute dell'anima.
Centocinquantatreesima
questione
1. Quali sono gli
indizi che rivelano in noi la presenza dell'amore di Dio?
Risposta.
2. Quelli che il Signore ci ha insegnati con l'affermare:
Se mi amate,
osservate i miei comandamenti (Giov. 14, 15).
Centocinquantaquattresima
questione
1. Che significa
amare se stesso? e come potrebbe conoscere il suo difetto colui che ama se
stesso?
Risposta.
2. Molte sono le cose che si dicono impropriamente, come anche quel detto:
Chi ama la
sua vita la perderà; e chi la odia in questo mondo la conserverà per la vita
eterna (Giov. 12, 25). 3. In greco si dice
filauto
colui che ama se stesso. 4. Si può spiegare in questo modo chi
dimostra di esser tale; se tutto ciò che fa lo fa per se stesso, anche se
sembrino compiute secondo la volontà di Dio le cose che lui fa. 5. Chi
infatti permette, per salvaguardare la propria tranquillità, che manchi
qualche cosa alla necessità o a ciò che è utile per un suo fratello, 6.
tanto per ciò che riguarda le necessità dell'anima come anche per quelle del
corpo, mostra chiaramente di essere
filauto, cioè amante di se stesso; e la conclusione di un tal
vizio è la morte.
Centocinquantacinquesima
questione
1. Come si
riconosce chi ama il fratello secondo la volontà di Dio, e come viene
rimproverato chi non ama?
Risposta. 2. Questi due sono i segni principali della
carità: se ci rattristiamo e soffriamo profondamente per le offese subite da
colui che amiamo, 3. e se lo facciamo abbastanza perché si abbiano, o
godiamo che si verifichino alcune cose che sono utili e giovevoli alla
persona che amiamo. 4. Beato è dunque chi piange su colui che pecca, vedendo
l'imminenza del pericolo per la vita, e gode invece per colui che
progredisce, e considera come un suo guadagno il progresso del suo prossimo.
5. Lo conferma ciò anche l'apostolo Paolo quando dice:
Se un solo membro soffre, soffrono insieme tutti i membri (1 Cor.
12, 26); e ciò lo diceva secondo la norma della carità di Cristo:
se poi si
onora un solo membro, ne godono tutti i membri
(1 Cor.
12, 26). 6. Chi poi non ha un tale affetto verso il suo fratello, è certo
che non ama il suo prossimo secondo la carità di Dio. 7. Chi poi non ama,
viene rimproverato con ciò che dice Giovanni:
Chi non ama, resta nella morte
(1 Giov.
3, 14). 8. E di nuovo:
Chi avrà le ricchezze del mondo, e
vedrà che un suo fratello soffre nella necessità e gli chiuderà il suo
cuore, come potrà esservi la carità di Dio in lui
(1 Giov.
3, 17)?
Centocinquantaseiesima
questione
1. Quali sono i
nemici che ci si comanda di amare? 2. e come potremmo amare i nostri nemici,
dando loro solo i nostri benefici o anche accordando loro il nostro affetto?
3. ed è possibile che ciò avvenga?
Risposta.
4. È proprio del nemico offendere e insidiare; e perciò ognuno che in
qualunque modo offende qualcuno, si chiama nemico, e ciò vale specialmente
per chi pecca. 5. Questi infatti ledono in diversi modi ciò che hanno in se
stessi, e tendono insidie a quelli che li vedono o a quelli che -vivono con
loro. 6. E dal momento che l'uomo è composto d'anima e di corpo, perciò
amiamo secondo l'anima, rimproverando e ammonendo, e spingendo in ogni modo
alla conversione. 7. Secondo il corpo poi offriamo loro i nostri benefici e
la nostra misericordia, e, se ne hanno bisogno, anche il vitto; poiché
nessuno dubita che la carità consiste nell'affetto. 8. Che poi tutto ciò sia
possibile, ce lo ha insegnato il Signore con l'amore di Dio Padre e con la
sua ubbidienza fino alla morte, che sopportò certamente anche per i nemici e
per gli empi, 9. come anche l'Apostolo afferma, dicendo:
Dio mostra la sua carità per noi, perché pur essendo ancora peccatori,
Cristo è morto per noi (Rom. 5, 8-9). 10. Ma
anche noi esorta proprio a questo, quando dice:
Siate dunque imitatori di Dio, come
figli carissimi; e camminate nell'amore, come Cristo ci ha amati, e offrì se
stesso come vittima e olocausto a Dio per noi (Ef.
5, 1-2). 11. Mai Dio ci avrebbe comandato, nella sua giustizia e clemenza,
tutto questo, se non ce ne avesse dato anche la possibilità. 12. Che ciò sia
innato alla nostra natura si dimostra anche dal fatto che anche le bestie e
gli animali hanno un affetto naturale verso quelli che hanno loro fatto del
bene. 13. Chi poi fa tanto bene agli amici come ai nemici? 14. Del resto per
noi tutto ciò diventa causa di quella beatitudine di cui parla il Signore:
Beati voi
quando vi perseguiteranno e vi oltraggeranno, e diran male di voi, mentendo,
contro di me; godete ed esultate, poiché grande è la mercede nei cieli
(Matt.
5, 11-12).
Centocinquantasettesima
questione
1. Che cosa significa quello che dice l'Apostolo: Adiratevi, ma non
peccate (Ef. 4, 26); e ancora: Non tramonti il sole sopra la
vostra ira; 2. mentre in altri passi ha detto: Ogni amarezza, ogni
ira e indignazione sia lontana da voi? (Ef. 4, 31).
Risposta 3. Credo che l'Apostolo in questo passo abbia parlato
ad imitazione del Signore: poiché come il Signore diceva nel Vangelo: Avete
udito che è stato detto agli antichi questo o quello, ed egli aggiungeva: Ma
io vi dico questo e quest'altro; 4. così anche l'Apostolo, essendosi prima
ricordato dell'antichità, per il fatto
che è detto:
Adiratevi, ma non vogliate peccare (Ef.
4, 26), 5. poco dopo aggiunse ciò che proveniva
da lui e che doveva esser conveniente per noi, dicendo:
Siano lontani da voi l'amarezza,
l'ira, lo sdegno e lo schiamazzo
(Ef. 14,31).
Centocinquantottesima questione
1. Che significa:
Lasciate
fare all'ira?
(Rom. 12, 19).
Risposta. 2. Non resistere
al male, secondo quanto è scritto;
ma a colui che ti
avrà percosso alla guancia destra,
offrire anche l'altra, e compiere tutte
le cose che seguono; 3. o anche:
Quando vi avranno
perseguitati in una città, fuggite in un'altra
(Matt. 10, 23).
Centocinquantanovesima
questione
1. Quale differenza
vi è tra amarezza, furore, ira, schiamazzo e irritazione?
Risposta. 2. Ritengo che la differenza tra furore ed ira
consista nello stato d'animo e nell'emozione: 3. perché chi si adira, svolge
ancora dentro il suo animo il vizio dell'ira, come si giudica dal fatto
stesso che dice:
Adiratevi, ma non vogliate peccare (Ef. 4, 26); 4. chi
invece si abbandona al furore fa qualche cosa di più col moto incomposto. 5.
È detto:
Il loro
furore è come quello dei serpenti (Salmo 57, 5). 6.
Provocare con troppa violenza il furore si chiama irritazione. 7. L'amarezza
poi è quella in cui la malizia si mette insieme e si rafforza con vera arte.
8. Lo schiamazzo anche si ha se uno, spinto dall'ira o dal furore, si fa
trasportare, con indignazione della voce, fino alla bestemmia o alle
maledizioni.
Centosessantesima questione
1. Chi è che viene
dichiarato beato come pacifico dal Signore?
Risposta. 2. Chi è
collaboratore di Cristo, secondo quanto dice l'Apostolo:
Per Cristo,
facciamo le veci di ambasciatori, come se Dio esortasse per nostro mezzo; ve
ne preghiamo per Cristo, riconciliatevi con Dio (2 Cor. 5, 20). 3. E di
nuovo dice:
Giustificati dalla fede abbiamo pace con Dio
(Rom. 5, 1). 4. Invece
quell'altra pace è stata ripudiata da Cristo, che afferma:
Vi dò la mia pace, io non ve la dono come ve la dà questo mondo (Giov. 14, 27).
Centosessantunesima questione
1. Come ci si può
convertire e diventare come fanciulli?
Risposta. 2. La lettura stessa del Vangelo ci ammaestra su
tutto l'argomento; ci si mostra come non ricercare la prepotenza e
l'orgoglio, 3. ma di riconoscere l'uguaglianza della natura, e quindi di
porci alla pari con quelli che sembrano inferiori a noi. 4. Infatti è
proprio questa la caratteristica dei fanciulli: di essere uguali a quelli
coi quali si uniscono non per la nobiltà, ma per l'età, 5. finché, col
progredire del tempo e con la malvagità delle insinuazioni, vengono corrotti
coi veleni della superbia.
Centosessantaduesima questione
1. Che significa: essere
prudente come serpente e semplice
come colomba? (Matt.
10,
16).
Risposta. 2. Veramente prudente come il serpente è quel tale
che, dopo aver preveduto con circospezione e con riflessione le cose
possibili e quelle oneste o utili, dispensa la sua dottrina e l'adatta con
vera arte, in modo che gli uditori possano essere persuasi all'ubbidienza.
3. Semplice come la colomba è invece colui che non accoglie nemmeno nel suo
intimo il pensiero di vendicarsi di coloro che recano offese; 4. ma
persevera, nel fare del bene, come dice l'Apostolo:
Ma voi non vi stancate di fare del bene (2
Tess.
3, 13). 5. Questo insegnava il Signore ai suoi discepoli nel mandarli a
predicare, dove certo era necessaria la sapienza per persuadere quelli che
venivano ammaestrati, e la pazienza verso quelli che tendevano insidie. 6.
Cosicché come il serpente da se stesso comprese quale persona doveva
assalire per poterla persuadere, cioè quella che si rivelava più debole ad
accettare il suggerimento, per cui una volta distrattala da Dio, l'inducesse
al peccato, 7 così anche noi dobbiamo ben considerare la persona e i costumi
e scegliere il tempo adatto, e sistemare in tutti i modi i nostri discorsi
nell'insegnamento, in modo da poter distogliere gli uomini dal peccato e
avvicinarli a Dio.
Centosessantatreesima questione
1. Come dobbiamo
raggiungere il Regno di Dio alla maniera di un fanciullo?
Risposta. 2. Se avremo, riguardo all'insegnamento del
Signore, i sentimenti del fanciullo nell'imparare; 3. egli non fa
contraddizioni ai maestri, non sta a mettere a confronto argomenti e parole,
resistendo contro loro; 4. ma con fiducia accetta quello che gli viene
insegnato, ubbidisce nel timore e dà il suo consenso.
Centosessantaquattresima
questione
1. Il Signore dice:
Chi si
esalta sarà umiliato (Luc. 18, 14); e l'Apostolo comanda:
Non abbiate
sentimenti di superbia (Rom. 11, 20). 2. E
altrove:
Arroganti,
superbi, tronfi (2
Tim. 3, 2). 3. E
ancora di nuovo:
La carità non si gonfia (1 Cor. 13, 4). Chi è orgoglioso? e
chi è millantatore o arrogante? chi è superbo? e chi è tronfio o borioso?
Risposta.
4. Orgoglioso è colui che si vanta per ciò che è stato forse compiuto bene o
con successo, e perciò si crede grande ed elevato, alla maniera di quel
fariseo che si può chiamare anche lui altezzoso. 5. Come anche l'Apostolo
rimprovera quelli di Corinto dicendo loro:
Anche voi vi siete insuperbiti (1
Cor. 4, 18). 6. Millantatore o arrogante poi è colui che non
acconsente a quanto è stato stabilito dai superiori e dai maggiori per
utilità di tutti, 7. né è d'accordo con le parole dell'Apostolo:
Abbiate gli stessi sentimenti e i
medesimi ideali (Fil.
2, 2); ma va alla ricerca di una particolare vita di giustizia
e di santità. 8. Superbo poi è quel tale che, pur non avendo proprio alcun
grado di virtù né alcuna opera buona al suo attivo, è baldanzoso e ben
eretto, e vuole apparire di essere da più di quello che vale. 9. A questo
poi si può dire simile anche chi viene chiamato tronfio o borioso, secondo
quanto dice l'Apostolo:
Ma si è gonfiato di superbia, pur non sapendo nulla (Col. 2,
18).
Centosessantacinquesima
questione
1. Che cosa vuol dire;
la carità non diventa disonesta?
(1 Cor.
13, 8).
Risposta. 2. Come se uno dicesse che non si lascia strappare
dal suo stato di onestà. 3. Vi è infatti una certa onestà della carità, come
vi è anche un suo abito e un suo ornamento: 4. senza alcun dubbio proprio
quello che l'Apostolo ha descritto per i singoli stadi della carità; 5. e
ogni singola onestà costituisce il suo ornamento.
Centosessantaseiesima questione
1. La Scrittura dice:
Non vi gloriate né parlate con
superbia (1 Re 2, 3); l'Apostolo
afferma:
Quello che dico non lo dico secondo Dio, ma come per pazzia, in questa
materia di vanto (2 Cor. 11, 17). 2. E di nuovo:
Sono diventato insipiente col gloriarmi (2 Cor. 12, 11). E ancora
egli asserisce:
Chi si gloria si glori nel Signore
(2 Cor.
10, 17). 3. Qual è
dunque il gloriarsi nel Signore, e qual è il gloriarsi colpevole?
Risposta.
4. È ben chiaro l'intento dell'Apostolo, e cioè che parlava contro i vizi,
poiché non diceva ciò per suo vanto, ma per rintuzzare l'insolenza e
l'arroganza di alcuni. 5. Dunque il gloriarsi nel Signore significa
attribuire non a se stesso, ma al Signore tutto ciò che di bene si compie,
affermando:
Tutto posso,
ma in colui che mi dà la forza, Cristo (Fil.
4, 13). 6. E poi il gloriarsi è colpevole, e si riconosce in due modi: o
secondo quanto è detto:
Poiché il peccatore viene lodato per le passioni del suo cuore
(Salmo
9, 3); 7. e ancora:
Perché ti glori del male, tu che sei potente nel compiere iniquità? (Salmo
51, 3) 8. o si può riconoscere anche dal come operano alcuni, che compiono
qualche opera buona
per essere notati dagli uomini (Matt. 6, 5), e per ciò stesso
che vogliono essere lodati si gloriano di quanto hanno compiuto. 9. Ma
uomini tali si definiscono anche empi, dal momento che si appropriano la
grazia che è donata da Dio, e si sforzano di assegnare a se stessi la gloria
dovuta a Dio.
Centosessantasettesima
questione
1. Quale intelligenza e quale prudenza dobbiamo chiedere a Dio? o come
possiamo meritarla?
Risposta. 2. Quale propriamente sia l'intelligenza lo impariamo dal Signore
stesso per mezzo del profeta che dice:
Il forte non si vanti della sua forza; né il ricco meni
il vanto delle sue ricchezze; ma chi si gloria si glori della comprensione e
della conoscenza del Signore (Ger.
9, 23 e 24). 3. E in altro luogo per
mezzo dell'Apostolo dice ancora:
Cercando di comprendere quale sia la volontà del
Signore
(Ef. 5, 17). 4. E di nuovo dice:
La
saggezza della carne è morte, mentre la saggezza dello spirito è vita e pace
(Rom. 8, 6). 5. Possiamo meritarla in questo modo, facendo
cioè quanto è scritto:
Riposate e riconoscete che io sono il Signore
(Salmo 45, 11); 6. e così pure se crediamo che ogni parola di
Dio è vera:
Se non crederete non comprenderete (Is.
7,
9).
Centosessantottesima questione
1. Se il
Signore dà la sapienza, e da Lui
proviene la scienza
e l'intelligenza (Prov.
2,
6), e se veramente
per mezzo dello Spirito ad uno viene
dato il linguaggio delta sapienza e a un altro il linguaggio della scienza
(1 Cor. 12, 8), 2.
come mai il Signore rimprovera i suoi discepoli, dicendo:
Perché anche voi siete ancora stolti e non capite?
(Matt. 15, 16 e 17) e
l'Apostolo perché incolpa i Galati come stolti?
Risposta.
3. Se uno conosce la bontà del Signore, che
vuole la salvezza di tutti gli
uomini, e che arrivino alla conoscenza della parola di verità (1 Tim. 2,
4), ed ha imparato il desiderio dello Spirito Santo, che distribuisce a
ciascuno la grazia di Dio, 4. questo tale riconosce che la tardità
dell'intelletto non proviene da colpa di chi distribuisce i doni, ma di
quelli che per la loro pigrizia e infedeltà non meritano di riceverli. 5. E
perciò è giustamente incolpato di insipienza o di stoltezza chi, come di
fronte al sole splendente, chiude i suoi occhi per non vedere, ma per
camminare nelle tenebre.
Centosessantanovesima questione
1. Se riceviamo
qualche beneficio da qualcuno, come potremo rendere grazie in modo degno e
completo a Dio e a colui che ci ha reso quel beneficio? 2. Quale misura
dobbiamo avere verso l'uno e l'altro?
Risposta.
3. Credere che Dio è l'autore e il fine di tutti i beni, e riconoscere
invece chi ci ha procurato qualche bene come ministro del Dio di ogni grazia
e di ogni dono.
Centosettantesima questione
1. Che cosa è il
degno o il santo, che i Greci chiamano
öσιον? 2. E che cos'è il giusto?
Risposta.
3. öσιον cioè
santo
o
degno ritengo che sia ciò che è conveniente e doveroso
concedere dagli inferiori ai superiori, per lo stesso motivo, per cui sono
in grado più eminente. 4. Il giusto poi è ciò che si attribuisce a ciascuno
secondo il merito delle sue opere. 5. Nel primo caso invece si designa la
retribuzione tanto del buono che del cattivo.
Centosettantunesima questione
1. Come uno
dà le cose sante ai cani e le perle ai porci? 2. e come avviene
quello che si aggiunge:
Perché non le abbiano a calpestare,
e, rivoltandosi contro di voi, vi abbiano a sbranare?
(Matt. 7, 6).
Risposta.
3. Ce lo insegna chiaramente l'Apostolo da ciò che dice contro i Giudei:
Tu che ti
glori della legge disonori Dio con la trasgressione della legge (Rom.
2, 23). 4. Dunque proprio quest'ingiuria di cui sono accusati per la
trasgressione della legge contro la parola di Dio quelli, dei quali qui si
parla, il Signore la proibisce e rigetta. 5. E avviene che anche gli
infedeli e i non credenti, vedendoci mancare ai precetti, disprezzano la
religione e la dottrina del Signore, 6. e ci rimproverano anche di quanto è
scritto nella nostra legge, fino a colpirci e offenderci con riprovazione e
confusione, come violatori della propria legge.
Centosettantaduesima questione
1. Come mai il
Signore in alcuni casi vieta di portare con sé il sacco o la bisaccia in
viaggio, 2. in altri invece dice:
Ma ora chi ha il sacco prenda con sé anche la bisaccia, e chi non ha la
spada, venda il suo vestito e compri la spada (Luc. 22, 36)?
Risposta. 3. Lo spiega il
Signore stesso dicendo:
Si deve ancora adempiere in me
quello che è scritto: è stato annoverato fra gli iniqui (Luc. 22, 37). 4. Alla
fine, adempiuta la profezia della spada, dice a Pietro:
Rimetti la spada al suo posto, poiché tutti quelli che usano la spada, di
spada periscono (Matt. 26, 52) 5. Cosicché non abbia a sembrare come un comando
quel che viene detto:
Ora chi ha il sacco, prenda anche la bisaccia, e chi non ha la spada, venda
il suo vestito, e compri la spada (Luc.
22, 36); 6. ma sia considerato come una profezia del Signore
il quale prevedeva che in futuro gli Apostoli, dimentichi della grazia del
Signore e della sua legge, avrebbero impugnata la spada. 7. Sembra poi che
una tale profezia venga proferita in modo quasi imperativo, si trova
abbastanza frequentemente negli scritti profetici, 8. com'è per il caso
seguente:
Diventino orfani i suoi figli, e il
diavolo stia alla sua destra (Salmo 108, 9 e 6); e molti altri passi di questo tipo.
Centosettantatreesima questione
1. Che significa:
Dacci oggi
il nostro pane sostanziale (Matt. 6, 11), come ci viene
comandato di dire nell'orazione?
Risposta. 2. Quando lavoriamo con le nostre mani ricordiamo
le parole del Signore:
Non vogliate essere solleciti per la vostra vita, per quello che mangiate o
beviate (Luc. 12, 22); 3. e anche delle prescrizioni
dell'Apostolo:
Lavorate, in
modo che abbiate qualche cosa da poter offrire a chi soffre nel bisogno (Ef.
4, 28). 4. E ciò vuol dire che se lavoriamo lo facciamo non per i propri
usi, ma per comando del Signore:
Poiché l'operaio è degno della sua
ricompensa (Luc. 10, 7). 5. Allora chiediamo a Dio il pane
sostanziale, cioè quello che dia ogni giorno forza alla nostra sostanza, e
non abbiamo la presunzione di ottenerlo da noi stessi; 6. ma che soddisfi
alle nostre necessità, in quanto è sufficiente, e riconosciamo colui che ci
dona la possibilità di vivere.
Cbntosettantaquattresima
questione
1. Si può essere
indulgente con chi vuole andare dalle sorelle, o con determinate persone e
in certe ore? 2. e quale regola seguire per gli incontri con le sorelle?
Risposta.
3. Di questi argomenti abbiamo già parlato prima a sufficienza, perché
nemmeno da un uomo a un altr'uomo si può andare in qualunque modo e senza
motivo di proprio arbitrio e di propria autorità, ma con ogni spirito di
osservanza e con l'autorizzazione del superiore; 4. in modo tale cioè che ne
abbia a trarre giovamento colui che viene visitato e ne trovi profitto il
visitatore. 5. Quanto più tutto ciò è conveniente che si osservi e con la
maggiore circospezione verso le donne. 6. Se dunque ci si ricorda delle
parole del Signore:
Di ogni discorso ozioso renderai conto nel giorno del giudizio
(Matt. 12,
36), in ogni sua azione avrà timore di una tale sentenza. 7. Bisogna anche
essere persuasi delle parole del santo Apostolo:
Sia che
mangiate o beviate o facciate qualunque altra cosa, tutto fate per la gloria
di Dio
(1 Cor. 10, 31). 8. E di nuovo:
Tutto sia fatto ad edificazione
degli altri (1
Cor. 14, 26). 9. Dunque niente va fatto in maniera oziosa o
vana: ma una determinata persona deve comparire o parlare con certe persone
a tempo e luogo stabiliti, cosicché non vi sia alcun motivo di sospetto
disonorevole; 10. e curiamo di essere senza disistima nei riguardi di tutti,
come pure di mostrarci ad ognuno per edificazione della fede. 11. Certamente
nessun motivo di religione permette che ci si incontri da solo a sola. 12. È
meglio infatti essere in due che in uno solo, poiché le cose si svolgono con
più attenzione e con maggior sicurezza se si è insieme. 13.
Guai infatti a chi è solo, perché se cadrà non vi sarà nessun altro a
sorreggerlo (Eccl. 4 ,10).
Centosettantacinquesima
questione
1. Se qualcuno ha un difetto che non riesce a correggere, e, sebbene ripreso
frequentemente, va sempre peggiorando, lo si può lasciar stare?
Risposta.
2. Anche di questo abbiamo già detto che i peccatori devono essere corretti
con pazienza, seguendo il metodo sopra indicato come praticato dal Signore.
3. Che se poi non gli basta per la sua correzione, come a quel tale di
Corinto, nemmeno la riprensione fatta da molti, si deve considerare come un
pagano e un samaritano chi si comporta in questo modo. 4. Perdonare chi è
stato condannato dal Signore non è sicuro per nessuno, soprattutto dal
momento che il Signore stesso dice: 5.
È meglio per ognuno perdere un occhio o una mano o un piede, e così entrare
nel regno (Matt. 18, 8), piuttosto che, mentre indulge a uno
di questi membri, tutto il corpo venga gettato nel fuoco infernale, dove è
pianto e stridore di denti. 6. Ma anche l'Apostolo di questi tali afferma:
Un piccolo
fermento corrompe tutta la massa (Gal. 5, 9).
Centosettantaseiesima questione
1. Se qualcuno si
rattrista perché non gli è permesso di fare quello che non può fare con
abilità e competenza, è bene che glielo permettiamo?
Risposta.
2. Anche di questo abbiamo già parlato in molte occasioni: a nessuno si deve
permettere di fare alcuna cosa di propria volontà, ma secondo il giudizio e
l'approvazione anche di molti e dei superiori. 3. Chi poi non ubbidisce a
questi riceva la condanna dovuta ai presuntuosi e ai ribelli.
Centosettantasettesima
questione
1. Come i fratelli
più forti devono sopportare le infermità dei più deboli?
Risposta.
2. Sopportare significa sollevare e aver cura, secondo quanto è scritto:
Egli ha
sollevato le nostre debolezze, e ha portato i nostri mali (Is.
13, 4). 3. Non che abbia preso in se stesso le infermità, ma le ha tolte da
quelli sui quali gravavano e li ha curati. 4. Così dunque anche in questo
caso, con l'aiuto della penitenza, i più deboli saranno curati dalla
costanza e dalla buona salute dei più forti, dei quali si dice che portano,
cioè che portano via e tolgono, curandole, le debolezze di quelli che sono
invalidi.
Centosettantottesima questione
1. Che significa:
Portate a
vicenda i vostri pesi? 2. e quale
legge di Cristo (Gal.
6, 2) adempiremo facendo ciò?
Risposta.
3. È la stessa cosa che abbiamo illustrata più sopra. Sono veramente grandi
i pesi del peccato che portano nel profondo dell'inferno, 4. e ce li
toglieremo e porteremo a vicenda, cioè li porteremo via, spingendo alla
conversione quelli che peccano. 5. Portare nel senso di togliere e portar
via è anche un uso del linguaggio provinciale, come anch'io mi ricordo di
avere spesso udito. 6. Osservare poi la legge di Cristo corrisponde a quanto
egli stesso disse:
Non sono
venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla penitenza (Luc.
5, 32).
Centosettantanovesima questione
1. Il Signore ci
insegna che bisogna pregare
per non entrare nella tentazione (Matt. 26, 41); 2. ma bisogna
pregare perché non ci vengano addosso dolori corporali, o, se avessimo a
caderci, come si devono sopportare?
Risposta.
3. Non fece distinzione di qualità delle tentazioni, ma comandò in forma
generale che si deve pregare per non cadere nella tentazione. 4. Se poi
saremo caduti, dovremo pregare perché ci conceda la capacità di rialzarci;
5. anche perché possiamo sostenere la tentazione lo dobbiamo domandare al
Signore, in modo che possiamo adempiere ciò che è detto:
Chi avrà perseverato sino alla fine
sarà salvo (Matt. 10, 22).
Centottantesima questione
1. Chi è nostro
avversario? e come dobbiamo metterci d'accordo con lui?
Risposta. 2. In modo speciale qui il Signore chiamò
avversario chi tenta di portarci via qualche cosa. 3. Ci mettiamo d'accordo
con lui se osserviamo il precetto del
Signore che dice: Se
qualcuno vorrà fare contese con te in giudizio e portarti via la tunica,
cedigli anche il mantello
(Matt. 5, 40).
4. Ciò si deve osservare in tutti
i casi.
Centottantunesima questione
1. È bene stabilire
per un certo tempo, ad esempio, di astenersi da questo o quel cibo o
bevanda?
Risposta. 2.
Il Signore dice:
Non son venuto per fare la mia
volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (Giov. 6, 38), e quindi
ogni decisione di questo tipo è incoerente. 3. Sapendolo David diceva:
Ho giurato e stabilito di osservare i giudizi voluti dalla tua giustizia, e
non quelli della mia volontà
(Salmo 118, 106). 4. E
di nuovo il Signore:
Non sia fatta la mia volontà, ma la
tua (Luc. 22, 42).
Centottantaduesima questione
1. Se qualcuno avrà
peccato volontariamente sarà condannato? 2. o lo sarà anche chi per
ignoranza avrà detto qualche cosa non conforme alla verità?
Risposta.
3. Il giudizio di Dio è ben chiaro anche riguardo a quelli che peccano per
ignoranza, quando dice:
Chi non sa e farà cose non degne,
sarà battuto con poche percosse (Luc. 12, 48).
Centottantatreesima questione
1. Se qualcuno avrà
solo pensato di fare qualche cosa e non l'avrà fatta, dovrà anch'egli essere
giudicato come menzognero?
Risposta. 2. Se ciò che ha pensato è secondo la legge, non
sarà condannato come bugiardo, ma come disprezzatore dal Signore.
Centottantaquattresima
questione
1. Se qualcuno sarà
stato spinto a decidere di fare delle azioni che non piacciono a Dio, che
cosa bisogna piuttosto rifiutare, cioè quello che era stato indebitamente
deciso, o commettere il peccato per timore di essere tacciato di bugiardo?
Risposta. 2. L'Apostolo
dice:
Da noi stessi non siamo capaci di pensare alcuna cosa, come se venisse da
noi (2 Cor.
3, 5); 3. e tuttavia il Signore afferma:
Io non posso fare
nulla da me stesso
(Giov. 5, 19); 4. e
ancora:
Le parole che vi dico, non le dico da me stesso (Giov. 14, 10);
5.
e in altro luogo dice ancora:
Sono
disceso dal cielo non per compiere la mia volontà, ma la volontà di colui
che mi ha mandato, il Padre (Giov.
6, 38). 6.
Quindi anzitutto deve fare
penitenza chi ha deciso con tanta avventatezza qualche cosa, di qualunque
genere sarà quello che è stato deciso. 7. Poiché non si devono compiere
neanche le opere buone di propria volontà e di proprio arbitrio; molto più
poi non è lecito stabilire quelle cose che non piacciono a Dio. 8. Che poi
si debba rinunziare a compiere tutto ciò che venga deciso per nostra
presunzione contro i comandamenti di Dio, 9. è rivelato chiaramente
nell'esempio dell'apostolo Pietro, il quale aveva stabilito alla leggera e
anche detto:
Non
mi laverai i piedi in eterno;
10.
ma, sentendo la decisa volontà del Signore:
Se non ti
laverò non avrai parte con me,
11.
immediatamente cambiò la sua decisione e disse:
Signore, non solo i piedi lavami, ma anche le mani e
la testa
(Giov.
13, 8 e 9).
Centottantacinquesima questione
1. Colui al quale è
affidata la distribuzione dei doni offerti dal Signore, deve adempiere
quello che dice il precetto:
Ad ognuno che ti chiede da', e non mandar via chi vuole prendere da te
qualche cosa in prestito? (Luc. 6, 30).
Risposta. 2.
Quanto è detto:
Ad ognuno che ti chiede da', e:
Non rimandare chi vuole prendere in prestito da
te, contiene in sé quasi un
motivo di tentazione, come si dimostra da quanto segue. 3. Infatti ciò è
stato comandato a causa dei cattivi, non in maniera assoluta, ma come
qualche cosa che deve essere fatta per necessità, poiché il precetto
principale del Signore è:
Vendi tutti i tuoi beni e dalli ai
poveri (Matt. 19, 21); 4. e ancora:
Vendete i vostri beni e dateli in
elemosina (Luc. 12, 33).
5. Ciò dunque che è stato affidato
e dato in consegna non si può far passare ad altri senza colpevolezza,
poiché il Signore dice:
Non sono stato mandato se non alle pecorelle perdute
detta casa d'Israele. 6.
E non è bene togliere il pane dei figli e mandarlo ai cani (Matt.
15, 24 e 26); ma da te stesso devi
giudicare quello che è giusto.
Centottantaseiesima questione
1. Se un fratello,
che non ha niente di proprio, viene richiesto da qualcuno del suo vestito,
che deve fare, specialmente se chi lo richiede è privo di ogni cosa?
Risposta. 2. Si tratti di nudo o di cattivo, cioè se ha vera
necessità o inganna, o si tratti di qualunque altro caso, è stato una volta
detto che il dare e il ricevere non appartiene a tutti, ma è compito solo di
chi ha avuto un tale incarico. 3. Egli veramente deve compiere una tale
distribuzione con ogni saggezza e cautela, cosicché ognuno possa perseverare
nel posto in cui è stato chiamato.
Centottantasettesima questione
1. Come può
accadere che uno privo di carità abbia tanta fede da trasportare le
montagne, o da distribuire i suoi averi ai poveri e da consegnare il suo
corpo per essere bruciato?
Risposta. 2. Può accadere
se siamo memori di quanto dice il Signore:
Fanno tutto per
essere osservati dagli uomini (Matt. 23, 5). 3. Ma anche quello che rispose a quelli che
dicevano:
Signore, non abbiamo forse cacciato
i demoni in tuo nome? e non abbiamo operato molti miracoli in tuo nome?
(Matt. 7, 22) 4. quando disse loro:
Non so donde siete (Luc. 13, 25), non perché avessero
mentito, ma perché avevano usato della grazia del Signore per i propri
voleri, ciò che è certamente alieno dall'amore di Dio. 5. Se dunque ci
ricorderemo di queste cose, riconosceremo facilmente la verità di quanto si
è detto. Che poi anche le persone indegne ricevano la grazia o il dono di
Dio, non è cosa nuova né da destar meraviglia. 6. Dio del resto in questo
tempo di benignità e di pazienza anche
il suo sole
fa sorgere sui buoni e sui cattivi (Matt. 5, 45). 7. E qualche volta anche per il profitto di quelli
che sono ancora infedeli, in modo che la sua gloria sia moltiplicata, 8.
secondo quello che dice anche l'Apostolo:
Alcuni certo predicano Cristo per
invidia e per puntiglio, altri invece con buona volontà (Fil. 1, 15); 9. e aggiunse
dicendo:
Tuttavia o sia per pretesto o con
sincerità, purché sia in ogni modo annunziato Cristo, di questo io godo
(Fil. 1, 18).
Centottantottesima questione
1. Chi è che viene
dichiarato come colui che nasconde i propri talenti e perciò viene
condannato?
Risposta. 2. Colui che possiede ogni grazia di Dio e se ne
serve per le sue comodità, ma non per le necessità degli altri, questo tale
deve essere condannato per delitto di aver nascosto i talenti.
Centottantanovesima questione
1. Che cos'è
l'impurità e cosa è l'impudicizia?
Risposta.
2. La legge stessa definisce l'impurità. 3. Di questo termine si è servita
la legge riguardo a quelli che, contro la loro volontà, per necessità
naturale sopportavano tutto quello che gli uomini furono soliti di
sopportare. 4. L'impudicizia poi a me sembra esserci se uno eccita e provoca
con troppa sfacciataggine e con eccessiva inverecondia il moto naturale
della libidine.
Centonovantesima questione
1. Che cosa è
proprio del furore? 2. e che cosa è proprio del giusto sdegno? 3. e come mai
alcune volte quelli che cominciano dall'indignazione finiscono nel furore?
Risposta.
4. Certo proprio del furore è la forte commozione dell'anima che medita del
male contro chi eccita e spinge all'ira. 5. Invece è proprio del giusto
sdegno rimproverare il peccatore con affetto o intenzione tali da
allontanarci dai peccati, e quello che dispiace a noi è ciò che non è
compiuto con rettitudine. 6. Che poi alle volte l'anima, pur cominciando dal
bene, finisca nel male non è da far meraviglia. 7. E veramente si potrebbero
trovare molti casi simili, per cui bisogna ricordarsi della Sacra Scrittura,
che afferma:
Mi hanno
posto inciampi lungo la strada (Salmo 139, 6); 8. e di
nuovo:
Chi non avrà
combattuto secondo le regole non sarà coronato (2
Tim. 2, 5). 9. E
perciò in tutte le cose si deve osservare la giusta misura, il tempo adatto
e il retto ordine, poiché da qualche motivo di questi elementi avviene che
quello che sembra bene diventi male.
Centonovantunesima questione
1. Da quali
risultati si deve provare che uno riprende il fratello peccatore per
affetto?
Risposta. 2. Anzitutto da ciò che è il fattore principale,
se cioè riprende perché mosso da misericordia, 3. ed ha in se stesso ciò che
dice l'Apostolo: Se
soffre un membro solo anche tutte le altre membra soffrono con quello
(1 Cor.
12, 26): 4. o anche l'altro detto:
Chi si scandalizza e io non ardo?
(2
Cor. 11, 29). 5.
Poi anche se in ogni peccato allo stesso modo si affligge e si rattrista, e
verso tutti quelli che peccano, tanto se si manca contro se stessi come pure
se nei riguardi degli altri, si rattrista e piange nel medesimo modo. 6. Un
altro modo di provare l'affetto di chi fa riprensione è quello di far
attenzione se egli osserva la norma dettata dal Signore, cioè, se agisce da
solo a solo, o con un altro solo, o con l'aiuto di due persone. 7. Ma
soprattutto è bene badare se osserva ciò che disse l'Apostolo:
con ogni pazienza (2
Tim.
4,
2).
Centonovantaduesima questione
1. È necessario che
quelli che si associano ai fratelli imparino subito qualche arte?
Risposta.
2. I superiori decidano che chiunque vorranno aggregare al complesso della
comunità venga ammaestrato nelle diverse arti, secondo la possibilità e le
caratteristiche del proprio tempo e della propria condizione; 3. per
esempio: se uno si rivela meno adatto alla meditazione o al compimento delle
cose spirituali, sia reso sollecito con occupazioni di altro genere, 4. in
modo che satana non lo sorprenda esposto in qualunque modo ai suoi dardi
mentre è dedito all'ozio e intorpidito; poiché l'Apostolo dice:
Chi non
lavora non mangi (2 Tess. 3, 10). 5. E Salomone:
L'ozio è
nemico dell'anima (Eccli.
33, 28-29).
Centonovantatreesima questione
1. Se qualcuno
riprende chi pecca non per il desiderio di correggere i fratelli, ma per
soddisfare i suoi difetti, come lo si dovrà correggere, se dopo molti
avvertimenti rimane legato ai suoi metodi?
Risposta. 2. Questo tale sia riguardato come uno che ha di
mira solo le sue comodità e desidera i primi posti, e gli si intimi la
maniera della sua correzione da parte dei veri seguaci delle regole. 3. Che
se poi sarà restato ancora nella sua ostinazione, è chiara la condanna che
meritano quelli che non si pentono della colpa commessa.
Centonovantaquattresima
questione
1. Quali
riprensioni si dovranno impiegare tra fratelli per la correzione di quelli
che mancano?
Risposta.
2. Tutto questo sia lasciato al giudizio dei superiori, tanto per il tempo
come per il modo di riprendere, perché sia l'età che l'istruzione richiedono
che si abbia molta differenza fra le penitenze da infliggere.
Centonovantacinquesima
questione
1. È esatto
affermare che è in causa satana in ogni peccato, o di pensiero, o di parola,
o di azione?
Risposta.
2. Generalmente ritengo che satana per se stesso non possa essere causa di
peccato per nessuno; 3. ma egli si serve dei moti dell'anima nostra, tanto
dei naturali che di quelli derivati dal vizio per il compimento dei suoi
cattivi voleri, 4. e, servendosi dei nostri moti, se non siamo molto
vigilanti, ci attrae a ciò che è gradito a lui, cioè al peccato. 5. Dunque
si serve dei nostri moti naturali: come quello che tentò di fare nel
Signore, quando si accorse che aveva fame, e gli disse:
Se sei il Figlio di Dio comanda che
queste pietre diventino pani (Matt. 4, 3). 6. Si
serve poi dei moti acquistati per nostro vizio alla maniera seguita riguardo
a Giuda, che vide avido di denaro e malato di avarizia; 7. quindi partendo
da questo suo vizio lo trascinò fino alla rovina del tradimento, per il
guadagno di trenta denari d'argento. 8. Che poi il male sorga da noi stessi,
lo dichiara apertamente il Signore dicendo:
Dal cuore procedono i cattivi
pensieri (Matt. 15, 19), eccetera. 9. Questo accade a coloro
che lasciano per trascuratezza incolti e aridi i germi dei beni naturali che
hanno in sé, 10. come dice Salomone:
Come è l'agricoltura così l'uomo insipiente; e come la vigna così l'uomo
privo di prudenza; se l'abbandoni diventerà deserta, e saliranno in essa
delle spine e sarà abbandonata (Prov. 24, 30 e 31). 11. Dunque
ad un'anima che sarà piena di aridità per la sua negligenza, e arriverà fino
ad essere un deserto, di conseguenza si sospetterà quella condanna che dice:
In te
nascono spine ed erbaccia
(Gen.
3, 18), 12.
e che abbia a soffrire quello che è scritto:
Ho aspettato
che producesse uva e invece ha prodotto spine
(Is.
5, 2); 13.
e di essa aveva detto:
Ho piantato la vigna
e allora giustamente si dirà a lei
ciò che è stato detto per mezzo di Geremia dal Signore:
Io ti
piantai come vigna fruttifera, tutta schietta, come mai ti sei cambiata in
amarezza come vigna d'altri? (Ger. 2, 21).
Centonovantaseiesima questione
1. Se qualcuno,
dopo aver abbandonato quanto è dovuto al fisco, entra tra i fratelli, e i
suoi genitori vengono richiesti per il pagamento e tormentati a causa sua,
questo modo di agire non comporta una qualche colpa, o a quelli che lo
ascoltassero o a lui stesso che ha così agito?
Risposta. 2. Nostro Signore Gesù Cristo a quelli che lo interrogarono:
È lecito o no pagare il censo a Cesare,
rispose:
Mostratemi un denaro:
di chi reca la figura e il motto?
3. E dopo che gli ebbero risposto
che era di Cesare, rispose:
Date dunque
a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio
(Matt. 22, 17-21).
4. Anche con queste parole dunque siamo ammaestrati che sono soggetti ai
tributi a Cesare quelli che possiedono denaro col ritratto di Cesare. 5. Se
perciò quel tale avrà portato con sé qualche cosa di simile al momento del
suo ingresso tra i fratelli, è soggetto al pagamento del tributo. 6. Se
invece, lasciato tutto il suo nelle mani dei parenti, se ne è andato, non vi
deve essere alcuno scrupolo né per lui né per i fratelli.
Centonovantasettesima questione
1. Colui che è
superiore deve parlare di qualche cosa che riguarda le vergini per
l'edificazione della fede, oltre alla superiora delle sorelle?
Risposta.
2. E come si potrebbe osservare quel precetto dell'Apostolo che dice:
Tutte le
vostre cose siano fatte con onestà e ordine?
(1 Cor.
14, 40).
Centonovantottesima questione
1. È conveniente
che il superiore parli spesso con la superiora delle sorelle, e ciò
specialmente se i fratelli avessero a risentirsene?
Risposta. 2. L'Apostolo dice:
Perché la mia libertà viene
giudicata dalla coscienza di altri?
(1 Cor. 10,
29)
3. è bene dunque imitarlo quando afferma:
Non mi sono servito della mia
potestà, per non creare ostacolo al Vangelo di Cristo
(1 Cor.
9, 12). 4. E, per quanto possibile, si devono visitare piuttosto raramente,
e si deve stabilire un tempo piuttosto breve per la conversazione.
Centonovantanovesima questione
1. Bisogna che sia
presente anche la superiora del monastero mentre una sorella confessa
qualunque sua colpa a un sacerdote?
Risposta.
2. Mi sembra più onesto e più conforme alla religione che un sacerdote
stabilisca, attraverso la madre più anziana, ciò che gli sembra opportuno, e
non imponga il modo e il tempo della penitenza ad emendazione di colei che
desidera correggersi dal peccato. 3. Non ritengo che sia indizio di onestà o
di ordine che qualcuno, senza la testimonianza della madre che presiede,
stabilisca qualche cosa o parli con poche o con molte.
Duecentesima questione
1. È necessario che
colui che si confessa di atti turpi od osceni li dica apertamente e
sfacciatamente a tutti, o a certe determinate persone, e a quali tra esse?
Risposta. 2. La confessione dei peccati si deve svolgere
alla maniera con la quale si agisce per una ferita, o per una malattia del
corpo, che deve essere rivelata a un medico. 3. Come dunque nessuno rivela i
difetti o le ferite del suo corpo a tutti, e a chiunque sia, ma a quelli che
possono dar prova di grande perizia, e conoscono la specie della cura e
della medicina, 4. così anche la confessione dei peccati si deve fare solo
davanti a quelli che possono curare e correggere, secondo quello che sta
scritto:
Voi che
siete più forti, portate le infermità dei più deboli (Gal. 6,
1), cioè e toglietele e portatele via con la cura.
Duecentunesima questione
1. Se un sacerdote,
all'insaputa della superiora, comandasse qualche cosa alle sorelle, la
superiora si sdegnerebbe con ragione per il fatto di non essere stata
informata?
Risposta.
2. E molto: altrimenti comanda invano al portinaio di vigilare, se un altro
vuol disporre qualunque cosa nella casa. 3. Così anche Aronne, quando, in
assenza di Mosè e a insaputa di lui, presume di compiere delle azioni per il
popolo, fabbricando un idolo, si addossa su di sé e su tutto il popolo un
grave delitto. 4. Paolo volle che fosse provveduto contro questo peccato
dell'idolatria da parte di quei di Corinto, ai quali, per la correzione di
quel tale che aveva violato la moglie di suo padre, 5. benché assente
scrive:
Riuniti voi
e il mio spirito col potere di nostro Signore Gesù Cristo (1 Cor.
5, 4). 6. Anche a Timoteo, benché preposto a tutti, comanda di usare poco
vino. 7. Per disposizione del superiore alcune cose possono essere ordinate
da varie persone per tutta la comunità; 8. altre invece non possono essere
assolutamente compiute, se non alla presenza del superiore, e massimamente
nel monastero delle sorelle.
9. Avvenne anche ai discepoli, che pure operavano prodigi
anche per la potenza della fortezza di Dio, di non poter cacciare lo spirito
immondo da un tale, che solo il Maestro risanò dopo averlo fatto portare
alla sua presenza. 10. E perché nessuna persona potente presuma di disporre
qualche cosa di suo arbitrio nella comunità, senza l'autorizzazione di colui
che ha la cura delle anime, 11. si deduce anche dal fatto che il Signore ha
accordato guarigioni molto più raramente a persone di alto rango, come al
dignitario di corte e al servo del centurione, 12. che a quelli, i quali,
liberi dall'autorità di altri, vivevano a loro talento, come insegna quella
donna peccatrice che da se stessa corre al medico della salute.
Duecentoduesima questione
1. Se satana ha il
potere di impedire il buon proposito di un uomo santo, dato che sta scritto:
Per una o
due volte almeno io Paolo ho stabilito di venire da voi, ma mi è stato
impedito da satana (1
Tess. 2, 18).
Risposta.
2. Delle cose che si compiono nel Signore alcune si fanno certo con la sola
intenzione e col giudizio dell'anima, altre si eseguiscono anche col corpo,
cioè, con l'attività o con la sottomissione del corpo. 3. Ma tutte le azioni
che hanno la loro radice nel buon proposito dell'anima in nessun modo satana
le può impedire; 4. quelle invece che si eseguiscono con l'aiuto del corpo,
spesso, con la permissione di Dio, possono essere impedite per mettere alla
prova chi soffre l'impedimento, perché sia chiaro che non si allontana
affatto dalle buone intenzioni a motivo di quegli ostacoli. 5. Come si dice
di quei tali che, seminati sulla pietra, al momento in cui hanno sentito la
parola, l'hanno accolta con gioia, ma, appena sorte le tribolazioni e le
persecuzioni, immediatamente se ne sono allontanati. 6. E certamente, se
avranno perseverato nella buona condotta, sono degni di maggior premio, come
se avessero vinto in una gara; 7. come anche lo stesso Apostolo, pur
essendosi spesso proposto di partire per Roma, confessa di essere stato
ostacolato, tuttavia non desistette dal suo proposito fino a che non lo ebbe
portato a compimento. 8. Ma sopportò tutto con pazienza, come il santo
Giobbe, che ne soffrì tante da parte del diavolo, il quale lo spingeva a
pronunziare qualche empietà contro Dio, 9. eppure in nessun caso
assolutamente, nemmeno nel suo modo di parlare, venne meno alle norme della
devozione, così da avere per Dio altro che sentimenti pii, 10. come sta
scritto di lui:
In tutte le avversità Giobbe non
commise nessun peccato con le sue labbra davanti al Signore, né agì
stoltamente verso Dio
(Giob. 1, 22).
Duecentotreesima questione
1. Come uno può
diventare stolto nella vita di questo mondo?
Risposta.
2. Se avrà timore della sentenza del Signore che dice:
Guai a
quelli che sono prudenti riguardo a se stessi, e sapienti a loro giudizio
(Is.
5, 21); 3. e imiterà colui che disse:
Sono diventato come una bestia da
soma davanti a te (Salmo 72, 23). 4. E,
rigettando ogni presuntuosa abilità, non creda di avere in sé niente di
buono, se non è prima illuminato per mandato di Dio, affinché comprenda che
cos'è che piace a Dio, tanto nelle opere che nelle parole come nei pensieri,
5. secondo quanto disse anche l'Apostolo:
Una tale fiducia l'abbiamo in Dio
mediante il Cristo; non perché siamo capaci di pensare qualche cosa come se
provenisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio (2 Cor.
3, 4 e 5).
Termina la Regola di S. Basilio vescovo.
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3 novembre 2018 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net