I Typika [1] monastici Italo-Greci

Estratto e tradotto da: “Greek Monasticism in Southern Italy: The Life of Neilos in Context”, Cristina Torre - Routledge, 2017

 

Le questioni relative allo studio dei typika monastici bizantini in generale e di quelli italo-greci in particolare sono ampie e complesse, a partire dalla loro definizione e classificazione. Non tutti i documenti conosciuti come tali presentano le stesse caratteristiche, alcune delle quali però si trovano spesso in documenti che vanno sotto altri termini: diathiki, hypotyposis, diatyposis, thesmos, diataxis, hypomnima [2]. Nemmeno la distinzione tra typika liturgico e monastico sembra essere pienamente adeguata, poiché quest'ultimo spesso contiene anche indicazioni riguardanti la liturgia, così come il nome di typika ktetorika, riferito ai typika dei fondatori scritti dal fondatore o rifondatore del monastero, non può essere attribuito ad ogni documento conosciuto [3].

I typika sono quindi testi che sfuggono a qualsiasi rigida classificazione. Questo capitolo si riferirà in generale ai typika monastici, concentrandosi in particolare sulle regole disciplinari ivi contenute. Le fonti esaminate includono i typika dei monasteri di San Giovanni il Precursore a Pantelleria [4], San Salvatore a Messina [5], Theotokos Nea Hodigitria a Rossano [6] - meglio noto come Patir in riferimento al πατήρ, il padre fondatore o, per essere più precisi , il rifondatore San Bartolomeo di Simeri [7] - e San Nicola a Casole, presso Otranto [8],  insieme ai testamenti lasciati da Gregorio, abate del monastero di San Filippo a Fragalà [9]. Questi testi sono i typika monastici italo-greci attualmente conosciuti, a cui si può aggiungere quello del monastero di San Bartolomeo a Trigona (presso Sinopoli, in Calabria), un tempo erroneamente considerato un'altra fondazione di San Bartolomeo di Simeri [10]. Il typikon di Trigona altro non è che la traduzione (composta da Francesco Vucisano nel 1571 ) in dialetto paleo-calabrese, ma utilizzando lettere greche del testo messinese. Questo capitolo sosterrà che questa copia è importante perché conserva alcune delle regole monastiche attribuite a Luca, primo archimandrita e autore del typikon di San Salvatore, che ora mancano nel testo trasmesso dal codice Messan. gr. 115.

I typika monastici italo-greci sono stati tradizionalmente suddivisi in tre gruppi, definiti da criteri geografici: Paleo-Calabrese, Calabro-Siciliano e Otrantino [11]. Il typikon di San Giovanni a Pantelleria sfugge invece a questa classificazione per le sue peculiarità. Infatti, come vedremo, ha un carattere più arcaica. Ciò si manifesta, ad esempio, nella sua maggiore affinità con i principi del monachesimo pacomiano piuttosto che con quelli del monachesimo studita che invece influenzano, in vario modo, gli altri testi di cui parleremo. La tradizione paleo-calabrese comprende il presunto archetipo typikon di San Bartolomeo di Grottaferrata (ante 1050), il typikon del Patir di Rossano, attribuito a San Bartolomeo di Simeri, ed il typikon del monastero della Theotokos di Grottaferrata, fondato nel 1004 di San Nilo da Rossano [12]. È stato provato, però, che l'ipotesi dell'esistenza di un archetipo typikon scritto da San Bartolomeo di Grottaferrata, e di cui non abbiamo né un testo esistente né alcuna testimonianza, è infondata [13]. Il typikon di Grottaferrata, un typikon liturgico trasmesso nel codice Cripta. gr. 404 (un tempo Γ.α.I), è stato scritto tra il 1299 e il 1300. Questa versione non rappresenta il testo originale, ma fu rivista dall'abate Biagio II verso la fine del XIII secolo. Agostino Pertusi suggerì, infatti, di collocarla in un gruppo distinto, cioè quello con i typika di Grottaferrata derivati appunto dal typikon riformato di Biagio II [14] (egumeno di Grottaferrata). Pertanto, il gruppo paleo-calabrese è limitato ad un solo testo – secondo la classificazione di Pertusi [15]- cioè il typikon di Patir trasmesso nel codice Jenens. G.b.q.6a ed il suo apografo Crypt. gr. 213, che è la copia realizzata da Sofronio Gassisi.

La tradizione calabro-siciliana invece include typika derivati od in qualche modo dipendenti dal typikon di San Salvatore a Messina, come il typikon della Madre di Dio di Gala trasmesso dal codice Messan. gr. 159 (1211); quello della Madre di Dio di Mili, trasmesso da Vat. gr. 1877 (1292); quello di Bova trasmesso da Barb. gr. 359 (1552), dipendente dal typikon di Mili;[16] da quello di San Bartolomeo di Trigona.

Infine la tradizione otrantina fa riferimento al typikon del monastero di San Nicola di Casole, fondato nel 1098–99 dal monaco Giuseppe († 1124) che ne fu anche il primo superiore. Questo testo, forse parte di un typikon più lungo, è trasmesso da un manoscritto particolarmente famoso, il Taurin. C III 17, redatto nel 1173 da Nicola, terzo superiore del cenobio.

 

Il Typikon di San Giovanni il Precursore di Pantelleria

 

Il typikon del monastero di San Giovanni il Precursore di Patelarea o Pantelarea o Patelaria [17], luogo non identificato con certezza con l'isola di Pantelleria al largo della Sicilia occidentale [18], è giunto fino a noi in lingua slava, probabilmente in una versione abbreviata e rimodellata [19].

Il typikon è considerato opera “del nostro Santo Padre Giovanni Sacerdote, Superiore di Pantelleria” [20], di cui si sa poco o nulla. Come ha osservato Augusta Acconcia Longo, il Synaxarion di Costantinopoli celebra il 3 e 4 agosto la memoria το σίου πατρς μν ωάννου το μολογητο, γουμένου τς Πατελαρ (del nostro santo padre Giovanni confessore, egumeno del monastero di Patelaria). Eppure in onore di Giovanni, superiore τς Πατελλαρέας (di Patallarea), il typikon trasmesso da Paris. gr. 1569 prescrive un canone di Teofane per il 4 agosto, mentre il manoscritto Coisl. 218 riporta, per il 7 agosto, un altro canone in onore di Giovanni che è però, secondo Acconcia Longo, “solo un centone di tropari mutuati da altri canoni in onore degli asceti” [21]. Un altro monaco di nome Giovanni è menzionato in un canone di Basilio, το γουμένου μονς τς Πατελαρίας (dell’egumeno del monastero di Patelaria) o Πετελαρίας (Petelaria), la cui memoria è celebrata nel Synaxarion di Costantinopoli il 21 e 22 giugno. L'innografo chiama Giovanni con i titoli ποδηγός, ποδηγέτης, καθηγεμών, ποιμήν, πατήρ (guida, responsabile, insegnante, pastore, padre), ponendolo su di un livello superiore rispetto a Basilio [22]. Tuttavia non c'è né un riferimento esplicito a Pantelleria, né alcun legame tra l'isola e Giovanni.

Non sappiamo esattamente quando vissero Giovanni e Basilio, né la data di fondazione del monastero, né quando fu redatto il typikon. Tuttavia, il peso cumulativo delle seguenti testimonianze consente la formulazione di un'ipotesi di datazione: l'informazione trasmessa dalla Vita Euthymii secondo la quale Eutimio di Sardi, Teofilatto di Nicomedia ed Eudosso di Amorion furono esiliati sull'isola per ordine dell'imperatore Niceforo I ( 802-811); l'altro rapporto in Annales Fuldenses per l'anno 806 di un'incursione di arabi spagnoli sull'isola, dove furono fatti prigionieri sessanta monaci; l'assenza dal typikon di Pantelleria di riferimenti alla riforma monastica di Teodoro Studita († 826); la sua affinità con il monachesimo pacomiano; il titolo di confessore che accompagna Giovanni nella Synaxaria, suggerendo che fu vittima di una persecuzione religiosa, forse durante la cosiddetta controversia moechiana o durante la prima fase dell'iconoclastia; il riferimento nel canone di Basilio a una minaccia incombente proveniente da “nemici” (vv. 345-352), molto probabilmente saraceni; l'ultima occupazione araba di Pantelleria tra l'836 e l'864 [23]. Quindi, in base a tutti questi elementi, sembra probabile che Giovanni e Basilio siano vissuti tra la fine dell'VIII e l'inizio del IX secolo [24]. Non si possono però escludere altre ipotesi, come quella suggerita da Vera von Falkenhausen secondo la quale Giovanni potrebbe essere effettivamente un monaco egiziano che si trasferì “in Occidente nel VII secolo, insieme ad altri connazionali, in conseguenza della conquista araba del suo patria" [25]. Considerando tutti questi elementi e consentendo - ipoteticamente - l'identificazione con Pantelleria come luogo in questione, possiamo datare la fondazione del monastero e la scrittura del typikon in un periodo compreso tra il VII secolo e l'inizio del IX.

La traduzione slava è invece attribuita al X secolo sulla base di osservazioni linguistiche [26], mentre i manoscritti che la trasmettono sono tutti posteriori [27]. Tenuto conto del fatto che l'originale è effettivamente siculo-greco, non sorprende che il testo sia stato conservato in lingua slava poiché vi sono tracce, anche se scarse, di una presenza slava o più in generale balcanica in Sicilia tra il VII e il IX secolo [28]. Tuttavia, il typikon di Pantelleria non sembra essere l'unico testo siculo-greco attualmente conosciuto solo dalla sua traduzione slava. Una stesura slava della cosiddetta Visio Danielis, per la quale è stata proposta una datazione ante 1078-1081 [29], può derivare, secondo Paul J. Alexander, da un originale greco redatto in Sicilia tra l'827 e l'829 [30].

Cautamente ammettendo che questi testi derivino da originali siculo-greci, si possono formulare alcune ipotesi rispetto a circostanze e modalità di redazione. Potrebbe essere stata una traduzione eseguita in loco od una successiva al trasferimento del testo greco nella penisola balcanica. Tuttavia, si potrebbe anche pensare ad una mediazione attraverso un ambiente orientale, come i monasteri sul Sinai od a Gerusalemme, traiettoria invocata per spiegare l'esistenza di testi liturgici estranei alla tradizione costantinopolitana ma contenuti sia in slavo che in Libri liturgici italo-greci.

L'autore del typikon di Pantelleria inizia postulando che “Chi ha rigettato [questo mondo] ed è entrato nello stato monastico per amore della [sua] salvezza non può essere salvato se non osserva [le regole] che intendo trascrivere [Qui]" [31]. Il testo definisce in modo molto succinto la procedura da seguire in chiesa relativa all'ingresso ed al canto. Su quest'ultimo aspetto si evidenzia l'obbligo per ogni monaco di sedere nel luogo corrispondente al proprio ufficio e si prevede l'esclusione dalla comunità per chi dovesse disobbedire più di tre volte (Capitolo 1) [32]. L'ordine della dignità deve essere rispettato anche durante la comunione, il pasto ed il saluto (capitolo 2).

Dopo alcune disposizioni riguardanti la preghiera diurna e notturna, invernale ed estiva (capitoli 2-3). si afferma che ogni monaco che desidera la salvezza e che è fisicamente in forma deve digiunare durante il giorno. Fanno eccezione coloro che sono assegnati a lavori manuali pesanti e gli ammalati (capitolo 4). Seguono alcune indicazioni sulla necessità di evitare comportamenti inappropriati, come sedersi sul letto quando si entra nella cella di un fratello, o portare un fratello nella propria cella per parlargli, o anche camminare per strada tenendosi per mano, abbracciandosi, baciandosi o cavalcando insieme. Chi ha bisogno di parlare con un fratello non deve farlo in privato, ma fuori dalla chiesa, davanti agli altri (Capitoli 5-7).

Il testo poi fornisce prescrizioni dettagliate sul canto in chiesa: chi arriva prima che inizi il canto, “entri, reciti la preghiera e si metta al suo posto” (capitolo 8), mentre chi arriva in ritardo deve essere interrogato dal superiore che può perdonarlo o piuttosto decidere di dargli una punizione. Parlando del canto nel capitolo successivo (capitolo 9), il typikon stabilisce tra l'altro la successione dei canoni e delle letture: "Quattro kathismas [33] e due letture durante l'inverno, due kathismas ed una lezione durante l'estate". I testi devono essere rispettati, senza che nessuno cambi parola dell'ordine del canto, che è quello stabilito dal diacono Giovanni, mentre chi è abituato a cantare diversamente deve adattarsi ai fratelli (cap.10). È prevista una punizione per chi arriva in ritardo senza motivo (Capitolo 11), considerando che si raccomanda di non stare troppo vicini gli uni agli altri e di tenersi a distanza dal fianco del fratello mentre ci si inchina per le preghiere (capitolo 12)

Si specifica anche il comportamento di chi arriva in anticipo rispetto all'ingresso in refettorio (capitolo 13), mentre i ritardatari devono essere interrogati dai sorveglianti, che eventualmente stabiliscono una punizione a seconda che sia un giorno di digiuno o meno. Anche i sorveglianti devono svolgere il loro lavoro con attenzione (capitolo 15). I riferimenti al lavoro sono inclusi nel Capitolo 14. Altrove si sottolinea che per andare a lavorare è necessario il permesso degli anziani (Capitolo 16). Un'altra regola prevede una punizione per chi espone il bucato all'esterno per tre giorni (Capitolo 17), e c'è anche il divieto di sussurrare o scambiare messaggi scritti se non per necessità (Capitolo 18). Si raccomanda quindi di prestare il dovuto rispetto ai sorveglianti ed anche di onorare e amare non solo gli anziani ma ogni altro fratello (capitolo 19). Se la convivenza rischia di indurre in tentazione un fratello, allora deve essere avviata un'inchiesta e, nel caso il monaco non dimostri la sua obbedienza, deve essere privato dell'abito monastico e bandito dal monastero (capitolo 20).

Riguardo alle regole del typikon, è stato sottolineato che molte di esse richiamano molto da vicino, a volte anche letteralmente, i principi del monachesimo pacomiano. Tra queste, l'attenzione alla prevenzione delle tendenze omosessuali (Capitoli 5-7): la puntualità (Capitoli 8, 11 e 13); la cura degli indumenti (capitolo 17), ma anche la prontezza nell'andare al lavoro quando viene dato il segnale (capitolo 14) ed il divieto di sussurrarsi l'un l'altro (capitolo 18) [34]. L'attenzione per le pene e la rigidità delle regole ha portato addirittura a ipotizzare che l'istituzione potesse essere in realtà una prigione monastica, ma il fatto che una delle pene contemplate sia l'esilio dal monastero contrasta con questa interpretazione [35].

Inoltre, alcuni aspetti di questo testo, come le indicazioni sugli inchini (capitolo 3), il giudizio negativo su possibili visite nelle celle dei fratelli (capitolo 5), l'interrogatorio di chi arriva in ritardo al refettorio (capitolo 13), la presenza di sorveglianti (capitolo 15), le restrizioni riguardanti la corrispondenza scritta (capitolo 18), possono essere trovate, più o meno simili, in typika più tardi, come Evergetis, Kecharitomene, Kosmoteira, Phoberos ed altri [36]. Tali somiglianze possono probabilmente essere lette come il riflesso di principi generali comuni a tutto il monachesimo bizantino nel corso della sua storia. Come in altri typika, ad esempio la Regola per Athos [37], ma anche, come vedremo, nel typikon di Patir a Rossano, è possibile trovare dispense dalla dieta generale per chi svolge lavori pesanti, come discusso nel Capitolo 4.

Il capitolo 10 evidenzia la necessità che coloro che hanno altre consuetudini si adattino, in materia di canto, alla tradizione locale (stabilita dal diacono Giovanni). Ciò rappresenta un'indicazione della presenza nel monastero di monaci di diversa origine. D'altra parte, la stessa enfasi posta dal typikon sull'osservanza dell'ordine, della gerarchia, della propria dignità nei vari luoghi in cui si svolge la vita monastica, la severità delle pene (in molti casi è prevista la cacciata dal monastero), il riferimento a problematiche legate alla convivenza (furto, rifiuto di condividere le celle o il tavolo) ed anche la chiamata a conformarsi, come nel canto, alla tradizione locale, possono riflettere le difficoltà che una comunità numericamente rilevante deve aver incontrato, una comunità in cui qualsiasi comportamento diverso dalla regola, se tollerato, potrebbe minacciare l'armonia generale. A questo proposito possiamo ricordare che nell'806 predoni dalla Spagna musulmana catturarono nell'isola di Pantelleria sessanta monaci [38], tutti probabilmente provenienti dal monastero di San Giovanni il Precursore.

Non sappiamo nulla, invece, del diacono Giovanni, che potrebbe aver stabilito l'akolouthia [39] in uso sull'isola. Non credo che possa essere lo stesso Giovanni che ha fondato il monastero, perché il testo si sarebbe riferito a lui con più deferenza o comunque in modo diverso, ad esempio con espressioni simili a “come stabilito dal nostro santo padre Giovanni" e simili.

 

Le (ri) fondazioni di San Bartolomeo di Simeri: Santa Maria Nuova Odigitria di Rossano e San Salvatore in Lingua Phari (alla punta del Faro) di Messina

I typika del Patir a Rossano e di San Salvatore a Messina, come quelli di San Nicola a Casole e dei testamenti di Gregorio, abate di San Filippo in Fragalà, appartengono a istituzioni monastiche costituite o meglio ristabilite in epoca normanna.

Omissis…

 

Il Typikon di Santa Maria Nuova Odigitria (Patir) di Rossano

Il typikon del Patir di Rossano è trasmesso dal codice Jenens. G.b.q.6a, donato, insieme ad altri volumi, alla Thüringer Universitäts und Landesbibliothek di Jena alla fine del XIX secolo da Wolfgang Maximilian Goethe, nipote del celebre scrittore.

Omissis….

 

Il Typikon di San Salvatore di Messina

Il typikon redatto da Luca († 1149), primo Archimandrita del monastero di San Salvatore in Lingua Phari a Messina, è trasmesso dal codice Messan. gr. 115, copiato tra il secondo e il terzo quarto del XII secolo.

Omissis…..

 

I Testamenti di Gregorio, Abate di San Filippo di Fragalà

Nei pressi di Patti in Sicilia, tra Mirto e Frazzanò, sorgono i ruderi del monastero di San Filippo di Fragalà, il più grande monastero del primo periodo normanno. Non sappiamo da chi e quando sia stato fondato, ma esisteva all'epoca della dominazione araba in Sicilia, come si evince dalle parole di Gregorio, abate del monastero al tempo di Ruggero I (1072–1101).

Omissis…..

 

Il Typikon di San Nicola di Casole

Il monastero di San Nicola di Casole, un paesino vicino ad Otranto, fu fondato dal monaco Giuseppe, sotto il patrocinio di Boemondo, figlio di Roberto Guiscardo e principe di Taranto e di Antiochia.

Omissis…..

 

Conclusioni.

I testi normativi qui presentati, typika (Pantelleria, Rossano e Messina), diathekai (Fragalà) e hypotyposis (Casole), in generale appaiono saldamente ancorati a quelli che potremmo chiamare i modelli classici del monachesimo bizantino, piuttosto che aperti all'influenza del più recente movimento di riforma monastica bizantina, sottolineando l'atteggiamento conservatore di questo stile provinciale di monachesimo. Nonostante questa posizione comune, non mostrano evidenti affinità reciproche, il che a sua volta suggerisce che questi testi, come forse è ovvio, non circolavano al di fuori dei loro monasteri, nemmeno verso le dipendenze bizantine per le quali erano stati scritti. Luca di Messina, invece, che certamente conosceva le regole del Patir, da dove proveniva, afferma espressamente di aver utilizzato altri modelli per il suo typikon, cioè quelli di Stoudios, del Monte Athos e di Gerusalemme.

Alla fine della nostra analisi possiamo confermare che queste regole appartengono a gruppi separati. Tuttavia, per alcuni di loro suggerirei un nome diverso, pur sempre di natura geografica, ma più restrittiva: una tradizione di Casole, al posto di “Otrantina”, ed una tradizione di Messina, al posto di “Calabro-Siciliana”, che include il typikon di Luca e le sue copie, così come il typikon di San Bartolomeo di Trigona. Per quanto riguarda il typikon del Patir ed i Testamenti di Gregorio di Fragalà, non parlerei affatto di tradizioni, poiché il loro uso, per quanto ne sappiamo, appare piuttosto limitato. Anche il typikon di Pantelleria è un testo isolato, sia dal punto di vista geografico che testuale.

 



[1] Il typikon (in greco τυπικόν, plurale τυπικα, typika), nella Chiesa ortodossa ed in quelle cattoliche orientali, indica l'ordinamento dato ad un monastero dal suo fondatore, sia esso un padre spirituale (come Teodoro Studita) o l'autorità civile (come l'imperatore Giovanni II Comneno). Appaiono soprattutto a partire dal X secolo, quasi esclusivamente nell'impero bizantino. Il termine typikon è usato oggi nelle Chiese ortodosse anche per indicare i libri canonici che contengono la dichiarazione sullo stato giuridico del monastero e delle sue immunità, le norme circa il governo, il noviziato, la professione, l'amministrazione dei beni, il numero dei monaci, la vita comune, i voti, la clausura. Infine, il termine è usato per indicare i libri che contengono per ogni giorno i testi delle celebrazioni liturgiche e le indicazioni su come devono svolgersi. (Fonte Wikipedia)

[2] Galatariotou, Catia. 1987. ‘Byzantine Ktetorika Typika: A Comparative Study.’ Revue des Études Byzantines 45: 77–138. (con bibliografia); - Thiermeyer, Abraham-Andreas. 1992. ‘Das Typikon-Ktetorikon und sein literaturhistorischer Kontext.’ Orientalia Christiana Periodica 58: 475–513.; - Mullett, Margaret. 2007. ‘Typika and Other Texts.’ In Founders and Refounders of Byzantine Monasteries, ed. by Margaret Mullett, 182–209. Belfast: Belfast Byzantine Enterprises.

[3] Galatariotou 1987, 81–4.

[4] BMFD, Byzantine Monastic Foundation Documents: A Complete Translation of the Surviving Founders’ Typika and Testaments, ed. by John Thomas and Angela Constantinides Hero with the Assistance of Giles Constable, 5 vols. Dumbarton Oaks Studies 35. Dumbarton Oaks: Dumbarton Oaks Research Library and Collection., 59–66.

[5] BMFD, 637–48.

[6] Attualmente sto lavorando sull’edizione critica del typikon disciplinare del Patir di Rossano.

[7] Stando così le cose, le parole Patire e Patirion non sono corrette

[8] BMFD, 1319–30.

[9] BMFD, 621–36.

[10] Mercati, Silvio Giuseppe. 1970a. ‘Sul Tipico del monastero di San Bartolomeo di Trigona tradotto in Italo-Calabrese in trascrizione greca da Francesco Vucisano.’ In Silvio Giuseppe Mercati, Collectanea Byzantina, ed. by Augusta Acconcia Longo and G. Schirò, 2 vols, II, 372–94. Bari: Dedalo. Originriamente pubblicato nell'Archivio Storico per la Calabria e la Lucania 8: 197–223., 372–94 e recentemente - Douramani, Katherine. 2003. Il Typikon del monastero di S. Bartolomeo di Trigona. Orientalia Christiana Analecta 269. Roma: Pontificio Istituto Orientale., 20, considerano il monastero una fondazione di San Bartolomeo di Simeri. von Falkenhausen, Vera. 2000. ‘S. Bartolomeo di Trigona: storia di un monastero greco nella Calabria normanno-sveva.’ Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici 36: 93–116 fa luce su questo argomento.

[11] Arranz, Miguel. 1969. Le Typicon du monastère du Saint-Sauveur de Messine. Orientalia Christiana Analecta 185. Roma: Pontificio Istituto Orientale., IX–XIII; - Rougeris, Petros. 1973. ‘Ricerca bibliografica sui τυπικά italo-greci.’ Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata 27: 11–42., 12–5.

[12] Giovanelli, Germano. 1950. ‘Il tipico archetipo di Grottaferrata.’ Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata 4.

[13] Parenti, Stefano. 2005. Il monastero di Grottaferrata nel medioevo (1004–1462). Orientalia Christiana Analecta 274. Roma: Pontificio Istituto Orientale, 285–9.

[14] Pertusi, Agostino. 1972. ‘Rapporti tra il monachesimo Italogreco ed il monachesimo bizantino nell’Alto medioevo.’ In La Chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo, Atti del Convegno Storico Interecclesiale (Bari, 30 aprile–4 maggio 1969), 2 vols, II, 473–520. Padova: Antenore, 482, n. 2; 486.

[15] Pertusi 1972, 483.

[16] Si veda Iacopino, Rinaldo. 2014. Il Typikòn della cattedrale di Bova. Codex Barberinianus gr. 359 (A.D. 1552). Roma: IF Press..

[17] Patelarea in Dujčev, Ivan. 1973. ‘Riflessi della religiosità Italo-Greca nel mondo slavo ortodosso.’ In La Chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo, Atti del Convegno Storico Interecclesiale (Bari, 30 aprile–4 maggio 1969), 2 vols, I, 181–212.

Padova: Antenore., 208; Patelaria in Acconcia Longo, Augusta. 1972. Analecta Hymnica Graeca e codicibus eruta Italiae Inferioris, vol. X, Canones Iunii. Roma: Istituto di Studi Bizantini e Neoellenici, Università di Roma., 377; Pantelarea in von Falkenhausen, Vera. 1986. ‘Il monachesimo greco in Sicilia.’ In La Sicilia rupestre nel contesto delle civiltà mediterranee, Atti del Sesto Convegno Internazionale di Studio sulla civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno d’Italia (Catania – Pantalica – Ispica 7–12 settembre 1981), ed. by Cosimo Damiano Fonseca, 135–74. Galatina: Congedo., 154; Patellaria in von von Falkenhausen, Vera. 1991. ‘Patellaria.’ In The Oxford Dictionary of Byzantium, ed. by Alexander Kazhdan. New York – Oxford: Oxford University Press.

[18] BMFD, 59–60 e von Falkenhausen 1986, 152–7 sono a favore dell'identificazione. Al contrario Mercati 1970a, 379, considera che l’identificazione con l’isola di Pantelleria sia da mettere in dubbio.

Aggiunta del traduttore estratta da: "Gli Slavi nella Calabria Bizantina", di Cristina Torre (dal Libro "La Calabria nel Mediterraneo", ed. Rubettino 2013): "In relazione al Tipico del monastero di San Giovanni di Pantelleria, è opportuno innanzitutto precisare che, nonostante in passato siano stati sollevati dei dubbi circa la corretta interpretazione del toponimo Πατελαραίας/Patellaria/Pantelarea, se cioè esso indichi l’isola al largo della Sicilia occidentale o piuttosto altra località (Cfr. S.G. Mercati 1970, p. 379), oggi la prima identificazione viene in genere accettata (Cfr. ODB, p. 1594; BMFD, pp. 59 s.; V. von Falkenhausen 1986, pp. 152-157). Incerta resta invece la data di fondazione del monastero di S. Giovanni, e così anche quella della redazione del Tipico. Per la prima si pensa comunque ad un periodo a cavallo tra l’VIII e il IX secolo, quando cioè vissero, presumibilmente, gli abati Giovanni, autore del testo, e Basilio (Cfr. Come suggerito da Augusta Acconcia Longo: V. von Falkenhausen 1986, p. 154.). Non si esclude tuttavia l’ipotesi che Giovanni fosse in realtà un monaco di origine egiziana trasferitosi «in Occidente nel VII secolo, insieme ad altri connazionali, in seguito alla conquista araba della sua patria» (Cfr. Ibid., p. 157 e n.). Di conseguenza la stesura del Tipico risale o al VII o a fine VIII/inizi IX secolo mentre, in base alla lingua, la traduzione slava viene assegnata al X secolo (Cfr. F. J. Thomson 1985, p. 222. Essa è trasmessa da manoscritti di epoca successiva: ibid. p. 229, n. 35; BMFD, p. 59).

[19] Von Falkenhausen 1986, 154.

[20] BMFD, 62.

[21] Acconcia Longo, Augusta. 1972. Analecta Hymnica Graeca e codicibus eruta Italiae Inferioris, vol. X, Canones Iunii. Roma: Istituto di Studi Bizantini e Neoellenici, Università di Roma., 378.

[22] Acconcia Longo 1972, 377–8.

[23] Von Falkenhausen 1991; BMFD, 60–1 e n. 8 all’Introduzione.

[24] Acconcia Longo 1972, 379–80; von Falkenhausen 1986, 154.

[25] von Falkenhausen 1986, 157.

[26] Thomson, Francis J. 1985. ‘Early Slavonic Translations – an Italo-Greek Connection?’ Slavica Gandensia 12: 222. Thomson 1985, 229, n. 35, si oppone alla datazione del XII secolo proposta da De Meester, Placide. 1940. ‘Les typiques de fondation (Τυπικ Κτητορικά).’ In Atti del V Congresso Internazionale di Studi Bizantini, II = Studi Bizantini e Neoellenici 6: 487–506..

[27] La questione non è semplice. Gianfranco Fiaccadori ricorda tre testimonianze tutte datate al XVI e XVII secolo: Biblioteca di Stato Russa, già Accademia Teologica 54; Museo storico statale, ex Biblioteca Patriarcale, collezione Undol’skij, Syn. 110; Oxford, Bodleian Library 995–92: BMFD, 59. Francis J. Thomson assegna invece il secondo manoscritto al 1280 e registra un'altra testimonianza, trasmessa dal cosiddetto Nomocanon Moravo, Biblioteca di Stato Lenin, codice Rumyantsev 230, datato al tredicesimo e quattordicesimo secolo, sebbene egli noti che il typikon non era presente nel manoscritto originale: Thomson 1985, 229, n. 35.

[28] Su questo argomento si veda Torre, Cristina. 2013. ‘Gli Slavi nella Calabria bizantina.’ In La Calabria nel Mediterraneo: Flussi di persone, idee e risorse, ed. by Giovanna De Sensi Sestito, 203–21. Soveria Mannelli: Rubbettino.

[29] Thomson 1985, 222.

[30] Alexander, Paul J. 1985. The Byzantine Apocalyptic Tradition. Berkley – Los Angeles – London: University of California Press, 64 e n. 13; cfr. Alexander, Paul J. 1973. ‘Les débuts des conquêtes arabes en Sicilie et la tradition apocalyptique byzantino-slave.’ Bollettino del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani 12: 7–37.

[31] BMFD, 62. La traduzione italiana di Ivan Dujčev [pubblicata sia in Dujčev 1971, 3–17, sia in Dujčev 1973, 208–12] appare in alcuni punti imprecisa. Mi riferisco qui alla traduzione inglese di Gianfranco Fiaccadori pubblicata in BMFD, 62-5, che si basa sull'edizione di Mansvetov ed è integrata sulla base delle riproduzioni del manoscritto Bodleian Library (Oxford), 995-92 pubblicato su Dujčev 1971, 5–12.

[32] I numeri dei capitoli si riferiscono alla traduzione BMFD: BMFD, 62–5. Typika Italo-Greci 67-68 Cristina Torre.

[33] Ndt. Un kathisma (dal greco antico: κάθισμα) è una divisione dei salmi in uso nelle Chiese orientali - Chiese ortodosse e Chiese cattoliche di rito bizantino. Con il cenobitismo si diffuse la pratica di cantare i centocinquanta salmi in comune durante la settimana. Per facilitare questa pratica, i centocinquanta salmi furono divisi in venti sezioni chiamate kathismas, letteralmente "sedute". Questo termine deriva dal fatto che i salmi venivano letti da uno dei fratelli e gli altri, seduti, ascoltavano attentamente.

[34] Von Falkenhausen 1986, 155–6; BMFD, 66.

[35] BMFD, 60.

[36] Cf. BMFD, 66.

[37] BMFD, 1716.

[38] BMFD, 60–1, n. 8.

[39] Ndt. L’ akolouthia, ovvero la disposizione delle ore canoniche

 


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net