I
Typika
[1]
monastici Italo-Greci
Estratto e tradotto da: “Greek
Monasticism in Southern Italy: The Life of Neilos in Context”,
Cristina Torre - Routledge, 2017
Le questioni relative allo studio dei
typika monastici bizantini in generale e di quelli italo-greci in
particolare sono ampie e complesse, a partire dalla loro definizione e
classificazione. Non tutti i documenti conosciuti come tali presentano le stesse
caratteristiche, alcune delle quali però si trovano spesso in documenti che
vanno sotto altri termini: diathiki,
hypotyposis, diatyposis, thesmos, diataxis, hypomnima
[2]. Nemmeno la distinzione tra
typika liturgico e monastico sembra
essere pienamente adeguata, poiché quest'ultimo spesso contiene anche
indicazioni riguardanti la liturgia, così come il nome di
typika ktetorika, riferito ai
typika dei fondatori scritti dal
fondatore o rifondatore del monastero, non può essere attribuito ad ogni
documento conosciuto
[3].
I typika sono quindi testi che
sfuggono a qualsiasi rigida classificazione. Questo capitolo si riferirà in
generale ai typika monastici,
concentrandosi in particolare sulle regole disciplinari ivi contenute. Le fonti
esaminate includono i typika dei
monasteri di San Giovanni il Precursore a Pantelleria
[4], San Salvatore a Messina
[5], Theotokos Nea Hodigitria a Rossano
[6] - meglio noto come Patir in riferimento
al
πατήρ,
il padre fondatore o, per essere più precisi , il rifondatore San Bartolomeo di
Simeri
[7] - e San Nicola a Casole, presso Otranto
[8],
insieme ai testamenti lasciati da Gregorio, abate del monastero di San
Filippo a Fragalà
[9]. Questi testi sono i
typika monastici italo-greci
attualmente conosciuti, a cui si può aggiungere quello del monastero di San
Bartolomeo a Trigona (presso Sinopoli, in Calabria), un tempo erroneamente
considerato un'altra fondazione di San Bartolomeo di Simeri
[10]. Il
typikon di Trigona altro non è che la
traduzione (composta da Francesco Vucisano nel 1571 ) in dialetto
paleo-calabrese, ma utilizzando lettere greche del testo messinese. Questo
capitolo sosterrà che questa copia è importante perché conserva alcune delle
regole monastiche attribuite a Luca, primo archimandrita e autore del
typikon di San Salvatore, che ora
mancano nel testo trasmesso dal codice
Messan. gr. 115.
I typika monastici italo-greci sono
stati tradizionalmente suddivisi in tre gruppi, definiti da criteri geografici:
Paleo-Calabrese, Calabro-Siciliano e Otrantino
[11]. Il
typikon di San Giovanni a Pantelleria
sfugge invece a questa classificazione per le sue peculiarità. Infatti, come
vedremo, ha un carattere più arcaica. Ciò si manifesta, ad esempio, nella sua
maggiore affinità con i principi del monachesimo pacomiano piuttosto che con
quelli del monachesimo studita che invece influenzano, in vario modo, gli altri
testi di cui parleremo. La tradizione paleo-calabrese comprende il presunto
archetipo typikon di San Bartolomeo
di Grottaferrata (ante 1050), il typikon
del Patir di Rossano, attribuito a San Bartolomeo di Simeri, ed il
typikon del monastero della Theotokos
di Grottaferrata, fondato nel 1004 di San Nilo da Rossano
[12]. È stato provato, però, che l'ipotesi
dell'esistenza di un archetipo typikon
scritto da San Bartolomeo di Grottaferrata, e di cui non abbiamo né un testo
esistente né alcuna testimonianza, è infondata
[13]. Il
typikon di Grottaferrata, un
typikon liturgico trasmesso nel
codice Cripta. gr. 404 (un tempo
Γ.α.I),
è stato scritto tra il 1299 e il 1300. Questa versione non rappresenta il testo
originale, ma fu rivista dall'abate Biagio II verso la fine del XIII secolo.
Agostino Pertusi suggerì, infatti, di collocarla in un gruppo distinto, cioè
quello con i typika di Grottaferrata
derivati appunto dal typikon
riformato di Biagio II
[14] (egumeno di Grottaferrata). Pertanto, il
gruppo paleo-calabrese è limitato ad un solo testo – secondo la classificazione
di Pertusi
[15]- cioè il
typikon di Patir trasmesso nel codice
Jenens. G.b.q.6a ed il suo apografo
Crypt. gr. 213, che è la copia
realizzata da Sofronio Gassisi.
La tradizione calabro-siciliana invece include
typika derivati od in qualche modo
dipendenti dal typikon di San
Salvatore a Messina, come il typikon
della Madre di Dio di Gala trasmesso dal codice
Messan. gr. 159 (1211); quello della
Madre di Dio di Mili, trasmesso da Vat.
gr. 1877 (1292); quello di Bova trasmesso da
Barb. gr. 359 (1552), dipendente dal
typikon di Mili;[16]
da quello di San Bartolomeo di Trigona.
Infine la tradizione otrantina fa riferimento al
typikon del monastero di San Nicola
di Casole, fondato nel 1098–99 dal monaco Giuseppe († 1124) che ne fu anche il
primo superiore. Questo testo, forse parte di un
typikon più lungo, è trasmesso da un
manoscritto particolarmente famoso, il
Taurin. C III 17, redatto nel 1173 da Nicola, terzo superiore del cenobio.
Il
Typikon
di San Giovanni il Precursore di Pantelleria
Il typikon del monastero di San
Giovanni il Precursore di Patelarea o
Pantelarea o
Patelaria
[17], luogo non identificato con certezza con
l'isola di Pantelleria al largo della Sicilia occidentale
[18], è giunto fino a noi in lingua slava,
probabilmente in una versione abbreviata e rimodellata
[19].
Il typikon è considerato opera “del
nostro Santo Padre Giovanni Sacerdote, Superiore di Pantelleria”
[20], di cui si sa poco o nulla. Come ha
osservato Augusta Acconcia Longo, il
Synaxarion di Costantinopoli celebra il 3 e 4 agosto la memoria
τοῦ
ὁσίου
πατρὸς
ἡμῶν
Ἰωάννου
τοῦ
ὁμολογητοῦ,
ἡγουμένου
τῆς
Πατελαρ
(del nostro santo padre Giovanni
confessore, egumeno del monastero di Patelaria). Eppure in onore di
Giovanni, superiore
τῆς
Πατελλαρέας
(di Patallarea), il
typikon trasmesso da
Paris. gr. 1569 prescrive un canone
di Teofane per il 4 agosto, mentre il manoscritto
Coisl. 218 riporta, per il 7 agosto,
un altro canone in onore di Giovanni che è però, secondo Acconcia Longo, “solo
un centone di tropari mutuati da altri canoni in onore degli asceti”
[21]. Un altro monaco di nome Giovanni è
menzionato in un canone di Basilio,
τοῦ
ἡγουμένου
μονῆς
τῆς
Πατελαρίας
(dell’egumeno del monastero di Patelaria)
o
Πετελαρίας
(Petelaria), la cui memoria è
celebrata nel Synaxarion di
Costantinopoli il 21 e 22 giugno. L'innografo chiama Giovanni con i titoli
ποδηγός,
ποδηγέτης,
καθηγεμών,
ποιμήν,
πατήρ
(guida, responsabile, insegnante,
pastore, padre), ponendolo su di un livello superiore rispetto a Basilio
[22]. Tuttavia non c'è né un riferimento
esplicito a Pantelleria, né alcun legame tra l'isola e Giovanni.
Non sappiamo esattamente quando vissero Giovanni e Basilio, né la data di
fondazione del monastero, né quando fu redatto il
typikon. Tuttavia, il peso cumulativo
delle seguenti testimonianze consente la formulazione di un'ipotesi di
datazione: l'informazione trasmessa dalla
Vita Euthymii secondo la quale Eutimio di Sardi, Teofilatto di Nicomedia ed
Eudosso di Amorion furono esiliati sull'isola per ordine dell'imperatore
Niceforo I ( 802-811); l'altro rapporto in
Annales Fuldenses per l'anno 806 di
un'incursione di arabi spagnoli sull'isola, dove furono fatti prigionieri
sessanta monaci; l'assenza dal typikon
di Pantelleria di riferimenti alla riforma monastica di Teodoro Studita († 826);
la sua affinità con il monachesimo pacomiano; il titolo di confessore che
accompagna Giovanni nella Synaxaria,
suggerendo che fu vittima di una persecuzione religiosa, forse durante la
cosiddetta controversia moechiana o durante la prima fase dell'iconoclastia; il
riferimento nel canone di Basilio a una minaccia incombente proveniente da
“nemici” (vv. 345-352), molto probabilmente saraceni; l'ultima occupazione araba
di Pantelleria tra l'836 e l'864
[23]. Quindi, in base a tutti questi
elementi, sembra probabile che Giovanni e Basilio siano vissuti tra la fine
dell'VIII e l'inizio del IX secolo
[24]. Non si possono però escludere altre
ipotesi, come quella suggerita da Vera von Falkenhausen secondo la quale
Giovanni potrebbe essere effettivamente un monaco egiziano che si trasferì “in
Occidente nel VII secolo, insieme ad altri connazionali, in conseguenza della
conquista araba del suo patria"
[25]. Considerando tutti questi elementi e
consentendo - ipoteticamente - l'identificazione con Pantelleria come luogo in
questione, possiamo datare la fondazione del monastero e la scrittura del
typikon in un periodo compreso tra il
VII secolo e l'inizio del IX.
La traduzione slava è invece attribuita al X secolo sulla base di osservazioni
linguistiche
[26], mentre i manoscritti che la trasmettono
sono tutti posteriori
[27]. Tenuto conto del fatto che l'originale
è effettivamente siculo-greco, non sorprende che il testo sia stato conservato
in lingua slava poiché vi sono tracce, anche se scarse, di una presenza slava o
più in generale balcanica in Sicilia tra il VII e il IX secolo
[28]. Tuttavia, il
typikon di Pantelleria non sembra
essere l'unico testo siculo-greco attualmente conosciuto solo dalla sua
traduzione slava. Una stesura slava della cosiddetta
Visio Danielis, per la quale è stata
proposta una datazione ante 1078-1081
[29], può derivare, secondo Paul J.
Alexander, da un originale greco redatto in Sicilia tra l'827 e l'829
[30].
Cautamente ammettendo che questi testi derivino da originali siculo-greci, si
possono formulare alcune ipotesi rispetto a circostanze e modalità di redazione.
Potrebbe essere stata una traduzione eseguita in loco od una successiva al
trasferimento del testo greco nella penisola balcanica. Tuttavia, si potrebbe
anche pensare ad una mediazione attraverso un ambiente orientale, come i
monasteri sul Sinai od a Gerusalemme, traiettoria invocata per spiegare
l'esistenza di testi liturgici estranei alla tradizione costantinopolitana ma
contenuti sia in slavo che in Libri liturgici italo-greci.
L'autore del typikon di Pantelleria
inizia postulando che “Chi ha rigettato [questo mondo] ed è entrato nello stato
monastico per amore della [sua] salvezza non può essere salvato se non osserva
[le regole] che intendo trascrivere [Qui]"
[31]. Il testo definisce in modo molto
succinto la procedura da seguire in chiesa relativa all'ingresso ed al canto. Su
quest'ultimo aspetto si evidenzia l'obbligo per ogni monaco di sedere nel luogo
corrispondente al proprio ufficio e si prevede l'esclusione dalla comunità per
chi dovesse disobbedire più di tre volte (Capitolo 1)
[32]. L'ordine della dignità deve essere
rispettato anche durante la comunione, il pasto ed il saluto (capitolo 2).
Dopo alcune disposizioni riguardanti la preghiera diurna e notturna, invernale
ed estiva (capitoli 2-3). si afferma che ogni monaco che desidera la salvezza e
che è fisicamente in forma deve digiunare durante il giorno. Fanno eccezione
coloro che sono assegnati a lavori manuali pesanti e gli ammalati (capitolo 4).
Seguono alcune indicazioni sulla necessità di evitare comportamenti
inappropriati, come sedersi sul letto quando si entra nella cella di un
fratello, o portare un fratello nella propria cella per parlargli, o anche
camminare per strada tenendosi per mano, abbracciandosi, baciandosi o cavalcando
insieme. Chi ha bisogno di parlare con un fratello non deve farlo in privato, ma
fuori dalla chiesa, davanti agli altri (Capitoli 5-7).
Il testo poi fornisce prescrizioni dettagliate sul canto in chiesa: chi arriva
prima che inizi il canto, “entri, reciti la preghiera e si metta al suo posto”
(capitolo 8), mentre chi arriva in ritardo deve essere interrogato dal superiore
che può perdonarlo o piuttosto decidere di dargli una punizione. Parlando del
canto nel capitolo successivo (capitolo 9), il
typikon stabilisce tra l'altro la
successione dei canoni e delle letture: "Quattro
kathismas
[33] e due letture durante l'inverno, due
kathismas ed una lezione durante
l'estate". I testi devono essere rispettati, senza che nessuno cambi parola
dell'ordine del canto, che è quello stabilito dal diacono Giovanni, mentre chi è
abituato a cantare diversamente deve adattarsi ai fratelli (cap.10). È prevista
una punizione per chi arriva in ritardo senza motivo (Capitolo 11), considerando
che si raccomanda di non stare troppo vicini gli uni agli altri e di tenersi a
distanza dal fianco del fratello mentre ci si inchina per le preghiere (capitolo
12)
Si specifica anche il comportamento di chi arriva in anticipo rispetto
all'ingresso in refettorio (capitolo 13), mentre i ritardatari devono essere
interrogati dai sorveglianti, che eventualmente stabiliscono una punizione a
seconda che sia un giorno di digiuno o meno. Anche i sorveglianti devono
svolgere il loro lavoro con attenzione (capitolo 15). I riferimenti al lavoro
sono inclusi nel Capitolo 14. Altrove si sottolinea che per andare a lavorare è
necessario il permesso degli anziani (Capitolo 16). Un'altra regola prevede una
punizione per chi espone il bucato all'esterno per tre giorni (Capitolo 17), e
c'è anche il divieto di sussurrare o scambiare messaggi scritti se non per
necessità (Capitolo 18). Si raccomanda quindi di prestare il dovuto rispetto ai
sorveglianti ed anche di onorare e amare non solo gli anziani ma ogni altro
fratello (capitolo 19). Se la convivenza rischia di indurre in tentazione un
fratello, allora deve essere avviata un'inchiesta e, nel caso il monaco non
dimostri la sua obbedienza, deve essere privato dell'abito monastico e bandito
dal monastero (capitolo 20).
Riguardo alle regole del typikon, è
stato sottolineato che molte di esse richiamano molto da vicino, a volte anche
letteralmente, i principi del monachesimo pacomiano. Tra queste, l'attenzione
alla prevenzione delle tendenze omosessuali (Capitoli 5-7): la puntualità
(Capitoli 8, 11 e 13); la cura degli indumenti (capitolo 17), ma anche la
prontezza nell'andare al lavoro quando viene dato il segnale (capitolo 14) ed il
divieto di sussurrarsi l'un l'altro (capitolo 18)
[34]. L'attenzione per le pene e la rigidità
delle regole ha portato addirittura a ipotizzare che l'istituzione potesse
essere in realtà una prigione monastica, ma il fatto che una delle pene
contemplate sia l'esilio dal monastero contrasta con questa interpretazione
[35].
Inoltre, alcuni aspetti di questo testo, come le indicazioni sugli inchini
(capitolo 3), il giudizio negativo su possibili visite nelle celle dei fratelli
(capitolo 5), l'interrogatorio di chi arriva in ritardo al refettorio (capitolo
13), la presenza di sorveglianti (capitolo 15), le restrizioni riguardanti la
corrispondenza scritta (capitolo 18), possono essere trovate, più o meno simili,
in typika più tardi, come
Evergetis, Kecharitomene, Kosmoteira,
Phoberos ed altri
[36]. Tali somiglianze possono probabilmente
essere lette come il riflesso di principi generali comuni a tutto il monachesimo
bizantino nel corso della sua storia. Come in altri
typika, ad esempio la Regola per
Athos
[37], ma anche, come vedremo, nel
typikon di Patir a Rossano, è
possibile trovare dispense dalla dieta generale per chi svolge lavori pesanti,
come discusso nel Capitolo 4.
Il capitolo 10 evidenzia la necessità che coloro che hanno altre consuetudini si
adattino, in materia di canto, alla tradizione locale (stabilita dal diacono
Giovanni). Ciò rappresenta un'indicazione della presenza nel monastero di monaci
di diversa origine. D'altra parte, la stessa enfasi posta dal
typikon sull'osservanza dell'ordine,
della gerarchia, della propria dignità nei vari luoghi in cui si svolge la vita
monastica, la severità delle pene (in molti casi è prevista la cacciata dal
monastero), il riferimento a problematiche legate alla convivenza (furto,
rifiuto di condividere le celle o il tavolo) ed anche la chiamata a conformarsi,
come nel canto, alla tradizione locale, possono riflettere le difficoltà che una
comunità numericamente rilevante deve aver incontrato, una comunità in cui
qualsiasi comportamento diverso dalla regola, se tollerato, potrebbe minacciare
l'armonia generale. A questo proposito possiamo ricordare che nell'806 predoni
dalla Spagna musulmana catturarono nell'isola di Pantelleria sessanta monaci
[38], tutti probabilmente provenienti dal
monastero di San Giovanni il Precursore.
Non sappiamo nulla, invece, del diacono Giovanni, che potrebbe aver stabilito l'akolouthia
[39] in uso sull'isola. Non credo che possa
essere lo stesso Giovanni che ha fondato il monastero, perché il testo si
sarebbe riferito a lui con più deferenza o comunque in modo diverso, ad esempio
con espressioni simili a “come stabilito dal nostro santo padre Giovanni" e
simili.
Le (ri) fondazioni di San Bartolomeo di Simeri: Santa Maria Nuova Odigitria di
Rossano e San Salvatore in Lingua Phari
(alla punta del Faro) di Messina
I typika del Patir a Rossano e di San
Salvatore a Messina, come quelli di San Nicola a Casole e dei testamenti di
Gregorio, abate di San Filippo in Fragalà, appartengono a istituzioni monastiche
costituite o meglio ristabilite in epoca normanna.
Omissis…
Il Typikon di Santa Maria Nuova
Odigitria (Patir) di Rossano
Il typikon del Patir di Rossano è
trasmesso dal codice Jenens.
G.b.q.6a, donato, insieme ad altri volumi, alla Thüringer Universitäts und
Landesbibliothek di Jena alla fine del XIX secolo da Wolfgang Maximilian Goethe,
nipote del celebre scrittore.
Omissis….
Il Typikon di San Salvatore di
Messina
Il typikon redatto da Luca († 1149),
primo Archimandrita del monastero di San Salvatore in
Lingua Phari a Messina, è trasmesso
dal codice Messan. gr. 115, copiato tra il secondo e il terzo quarto del XII
secolo.
Omissis…..
I Testamenti di Gregorio, Abate di
San Filippo di Fragalà
Nei pressi di Patti in Sicilia, tra Mirto e Frazzanò, sorgono i ruderi del
monastero di San Filippo di Fragalà, il più grande monastero del primo periodo
normanno. Non sappiamo da chi e quando sia stato fondato, ma esisteva all'epoca
della dominazione araba in Sicilia, come si evince dalle parole di Gregorio,
abate del monastero al tempo di Ruggero I (1072–1101).
Omissis…..
Il Typikon di San Nicola di Casole
Il monastero di San Nicola di Casole, un paesino vicino ad Otranto, fu fondato
dal monaco Giuseppe, sotto il patrocinio di Boemondo, figlio di Roberto
Guiscardo e principe di Taranto e di Antiochia.
Omissis…..
Conclusioni.
I testi normativi qui presentati, typika
(Pantelleria, Rossano e Messina),
diathekai (Fragalà) e hypotyposis
(Casole), in generale appaiono saldamente ancorati a quelli che potremmo
chiamare i modelli classici del monachesimo bizantino, piuttosto che aperti
all'influenza del più recente movimento di riforma monastica bizantina,
sottolineando l'atteggiamento conservatore di questo stile provinciale di
monachesimo. Nonostante questa posizione comune, non mostrano evidenti affinità
reciproche, il che a sua volta suggerisce che questi testi, come forse è ovvio,
non circolavano al di fuori dei loro monasteri, nemmeno verso le dipendenze
bizantine per le quali erano stati scritti. Luca di Messina, invece, che
certamente conosceva le regole del Patir, da dove proveniva, afferma
espressamente di aver utilizzato altri modelli per il suo
typikon, cioè quelli di Stoudios, del
Monte Athos e di Gerusalemme.
Alla fine della nostra analisi possiamo confermare che queste regole
appartengono a gruppi separati. Tuttavia, per alcuni di loro suggerirei un nome
diverso, pur sempre di natura geografica, ma più restrittiva: una tradizione di
Casole, al posto di “Otrantina”, ed una tradizione di Messina, al posto di
“Calabro-Siciliana”, che include il
typikon di Luca e le sue copie, così come il
typikon di San Bartolomeo di Trigona.
Per quanto riguarda il typikon del
Patir ed i Testamenti di Gregorio di Fragalà, non parlerei affatto di
tradizioni, poiché il loro uso, per quanto ne sappiamo, appare piuttosto
limitato. Anche il typikon di
Pantelleria è un testo isolato, sia dal punto di vista geografico che testuale.
[1]
Il typikon (in greco
τυπικόν,
plurale
τυπικα,
typika), nella Chiesa
ortodossa ed in quelle cattoliche orientali, indica l'ordinamento dato
ad un monastero dal suo fondatore, sia esso un padre spirituale (come
Teodoro Studita) o l'autorità civile (come l'imperatore Giovanni II
Comneno). Appaiono soprattutto a partire dal X secolo, quasi
esclusivamente nell'impero bizantino. Il termine typikon è usato oggi
nelle Chiese ortodosse anche per indicare i libri canonici che
contengono la dichiarazione sullo stato giuridico del monastero e delle
sue immunità, le norme circa il governo, il noviziato, la professione,
l'amministrazione dei beni, il numero dei monaci, la vita comune, i
voti, la clausura. Infine, il termine è usato per indicare i libri che
contengono per ogni giorno i testi delle celebrazioni liturgiche e le
indicazioni su come devono svolgersi. (Fonte
Wikipedia)
[2]
Galatariotou, Catia. 1987.
‘Byzantine Ktetorika Typika: A Comparative Study.’
Revue des Études Byzantines 45: 77–138. (con bibliografia); -
Thiermeyer, Abraham-Andreas. 1992. ‘Das Typikon-Ktetorikon und sein
literaturhistorischer Kontext.’ Orientalia Christiana Periodica 58:
475–513.; - Mullett, Margaret.
2007. ‘Typika and Other Texts.’ In Founders and Refounders of
Byzantine Monasteries, ed. by Margaret Mullett, 182–209. Belfast:
Belfast Byzantine Enterprises.
[3]
Galatariotou 1987, 81–4.
[4]
BMFD,
Byzantine Monastic Foundation
Documents: A Complete Translation of the Surviving Founders’
Typika and Testaments, ed. by John Thomas and Angela Constantinides Hero
with the Assistance of Giles Constable, 5 vols. Dumbarton Oaks Studies
35. Dumbarton Oaks: Dumbarton Oaks Research Library and Collection.,
59–66.
[5]
BMFD,
637–48.
[6]
Attualmente sto lavorando sull’edizione critica del
typikon disciplinare del
Patir di Rossano.
[7]
Stando così le cose, le parole
Patire e Patirion non
sono corrette
[8]
BMFD,
1319–30.
[9]
BMFD,
621–36.
[10]
Mercati, Silvio Giuseppe. 1970a.
‘Sul Tipico del monastero di San Bartolomeo di Trigona tradotto in
Italo-Calabrese in trascrizione greca da Francesco Vucisano.’ In Silvio
Giuseppe Mercati, Collectanea Byzantina, ed. by Augusta Acconcia Longo
and G. Schirò, 2 vols, II, 372–94. Bari: Dedalo. Originriamente pubblicato
nell'Archivio Storico per la Calabria e la Lucania 8: 197–223., 372–94 e
recentemente - Douramani,
Katherine. 2003. Il Typikon del monastero di S. Bartolomeo di
Trigona. Orientalia Christiana Analecta 269. Roma: Pontificio Istituto
Orientale., 20, considerano il monastero una fondazione di San
Bartolomeo di Simeri. von
Falkenhausen, Vera. 2000. ‘S. Bartolomeo di Trigona: storia di un
monastero greco nella Calabria normanno-sveva.’ Rivista di Studi
Bizantini e Neoellenici 36: 93–116 fa luce su questo argomento.
[11]
Arranz, Miguel. 1969.
Le Typicon du monastère du Saint-Sauveur de Messine. Orientalia
Christiana Analecta 185. Roma: Pontificio Istituto Orientale., IX–XIII;
- Rougeris, Petros. 1973.
‘Ricerca bibliografica sui τυπικά italo-greci.’ Bollettino della Badia
Greca di Grottaferrata 27: 11–42., 12–5.
[12]
Giovanelli, Germano. 1950.
‘Il tipico archetipo di Grottaferrata.’ Bollettino della Badia Greca di
Grottaferrata 4.
[13]
Parenti, Stefano. 2005.
Il monastero di Grottaferrata nel medioevo (1004–1462). Orientalia
Christiana Analecta 274. Roma: Pontificio Istituto Orientale, 285–9.
[14]
Pertusi, Agostino. 1972.
‘Rapporti tra il monachesimo Italogreco ed il monachesimo bizantino
nell’Alto medioevo.’ In La Chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI
secolo, Atti del Convegno Storico Interecclesiale (Bari, 30 aprile–4
maggio 1969), 2 vols, II, 473–520. Padova: Antenore, 482, n. 2; 486.
[15]
Pertusi 1972,
483.
[16]
Si veda Iacopino, Rinaldo. 2014.
Il Typikòn della cattedrale di Bova. Codex Barberinianus gr. 359 (A.D.
1552). Roma: IF Press..
[17]
Patelarea
in Dujčev, Ivan. 1973.
‘Riflessi della religiosità Italo-Greca nel mondo slavo ortodosso.’ In
La Chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo, Atti del Convegno
Storico Interecclesiale (Bari, 30 aprile–4 maggio 1969), 2 vols, I,
181–212.
Padova: Antenore., 208; Patelaria
in Acconcia Longo, Augusta. 1972.
Analecta Hymnica Graeca e codicibus eruta Italiae Inferioris, vol. X,
Canones Iunii. Roma: Istituto di Studi Bizantini e Neoellenici,
Università di Roma., 377;
Pantelarea in von
Falkenhausen, Vera. 1986. ‘Il monachesimo greco in Sicilia.’ In
La Sicilia rupestre nel contesto delle civiltà mediterranee, Atti del
Sesto Convegno Internazionale di Studio sulla civiltà rupestre
medioevale nel Mezzogiorno d’Italia (Catania – Pantalica – Ispica 7–12
settembre 1981), ed. by Cosimo Damiano Fonseca, 135–74.
Galatina: Congedo., 154;
Patellaria in von von
Falkenhausen, Vera. 1991. ‘Patellaria.’
In The Oxford Dictionary of Byzantium, ed. by Alexander Kazhdan.
New York – Oxford: Oxford University Press.
[18]
BMFD,
59–60 e von Falkenhausen 1986,
152–7 sono a favore dell'identificazione. Al contrario
Mercati 1970a, 379,
considera che l’identificazione con l’isola di Pantelleria sia da
mettere in dubbio.
[19]
Von Falkenhausen 1986,
154.
[20]
BMFD,
62.
[21]
Acconcia Longo, Augusta. 1972.
Analecta Hymnica Graeca e codicibus eruta Italiae Inferioris, vol. X,
Canones Iunii. Roma: Istituto di Studi Bizantini e Neoellenici,
Università di Roma., 378.
[22]
Acconcia Longo
1972, 377–8.
[23]
Von Falkenhausen
1991; BMFD, 60–1 e n. 8 all’Introduzione.
[24]
Acconcia Longo 1972,
379–80; von Falkenhausen
1986, 154.
[25]
von Falkenhausen 1986,
157.
[26]
Thomson, Francis J. 1985.
‘Early Slavonic Translations – an Italo-Greek Connection?’
Slavica Gandensia 12: 222. Thomson 1985, 229, n. 35, si oppone alla
datazione del XII secolo proposta da
De Meester, Placide. 1940.
‘Les typiques de fondation (Τυπικὰ
Κτητορικά).’ In Atti del V Congresso Internazionale di Studi Bizantini,
II = Studi Bizantini e Neoellenici 6: 487–506..
[27]
La questione non è semplice.
Gianfranco Fiaccadori ricorda tre testimonianze tutte datate al
XVI e XVII secolo: Biblioteca di Stato Russa, già Accademia Teologica
54; Museo storico statale, ex Biblioteca Patriarcale, collezione
Undol’skij, Syn. 110; Oxford, Bodleian Library 995–92: BMFD, 59.
Francis J. Thomson assegna
invece il secondo manoscritto al 1280 e registra un'altra testimonianza,
trasmessa dal cosiddetto Nomocanon Moravo, Biblioteca di Stato Lenin,
codice Rumyantsev 230, datato al tredicesimo e quattordicesimo secolo,
sebbene egli noti che il typikon non era presente nel manoscritto
originale: Thomson 1985, 229, n. 35.
[28]
Su questo argomento si veda
Torre, Cristina. 2013. ‘Gli Slavi nella Calabria bizantina.’ In
La Calabria nel Mediterraneo: Flussi di persone, idee e risorse, ed. by
Giovanna De Sensi Sestito, 203–21.
Soveria Mannelli: Rubbettino.
[29]
Thomson 1985, 222.
[30]
Alexander, Paul J. 1985.
The Byzantine Apocalyptic Tradition. Berkley – Los Angeles – London:
University of California Press, 64 e n. 13; cfr.
Alexander, Paul J. 1973.
‘Les débuts des conquêtes arabes en Sicilie et la tradition
apocalyptique byzantino-slave.’
Bollettino del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani 12:
7–37.
[31]
BMFD, 62. La traduzione italiana di
Ivan Dujčev [pubblicata
sia in Dujčev 1971, 3–17, sia in Dujčev 1973, 208–12] appare in alcuni
punti imprecisa. Mi riferisco qui alla traduzione inglese di
Gianfranco Fiaccadori
pubblicata in BMFD, 62-5, che si basa sull'edizione di
Mansvetov ed è integrata
sulla base delle riproduzioni del manoscritto Bodleian Library (Oxford),
995-92 pubblicato su Dujčev 1971, 5–12.
[32]
I numeri dei capitoli si riferiscono alla traduzione
BMFD:
BMFD, 62–5.
Typika Italo-Greci 67-68
Cristina Torre.
[33]
Ndt. Un kathisma (dal greco
antico:
κάθισμα)
è una divisione dei salmi in uso nelle Chiese orientali - Chiese
ortodosse e Chiese cattoliche di rito bizantino. Con il cenobitismo si
diffuse la pratica di cantare i centocinquanta salmi in comune durante
la settimana. Per facilitare questa pratica, i centocinquanta salmi
furono divisi in venti sezioni chiamate
kathismas, letteralmente
"sedute". Questo termine deriva dal fatto che i salmi venivano letti da
uno dei fratelli e gli altri, seduti, ascoltavano attentamente.
[34]
Von Falkenhausen 1986,
155–6; BMFD, 66.
[35]
BMFD, 60.
[36]
Cf. BMFD, 66.
[37]
BMFD,
1716.
[38]
BMFD,
60–1, n. 8.
[39]
Ndt. L’
akolouthia,
ovvero la disposizione delle
ore canoniche
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21 giugno 2014
a cura di
Alberto
"da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net