Patres nostri
Presenza dei Padri
nelle antiche regole monastiche
d’Occidente
di Mantè Lenkaityté - Università di Vilnius, Lituania
Estratta e tradotta da: "Revue d'études augustiniennes et patristiques",
52 (2006), 261-285.
(Link al testo originale per le
moltissime citazioni delle regole esaminate)
Il monachesimo d'Occidente deve molto ai monaci d'Oriente. Nella letteratura
ascetica latina, il modello dei padri orientali, in particolare quello dei
monaci egiziani, è succeduto al modello del martirio, e sono questi padri che,
dopo la fine delle persecuzioni, garantivano la continuità con i tempi
apostolici. Il modello biblico del monaco, ispirato sia al Vecchio che al Nuovo
Testamento, si è arricchito di un'esperienza più recente: essendo santi per le
grazie ricevute da Cristo, gli antichi padri del monachesimo sono, a loro volta,
diventati modelli che riflettevano qualcosa della perfezione di Gesù a cui
cercavano di conformare la loro intera vita.
I padri orientali sono fortemente presenti in tutta l'antica letteratura
monastica latina, sia nelle numerose traduzioni greche che negli scritti
originali. I monaci d'Oriente non sono solo i personaggi principali delle
Vite greche (come la Vita di Antonio scritta da Atanasio di
Alessandria nel 356, che ben presto divenne il "Vangelo del monachesimo
d'Occidente
[1]"),
ma si incontrano anche come modelli da seguire nel mondo latino: le Vite,
le lettere, i sermoni, i dialoghi e le storie di pellegrinaggi. Negli ultimi
decenni, il tema del monachesimo orientale nella letteratura latina antica è
stato studiato da diversi punti di vista: le questioni trattate comprendono il
ruolo della tradizione, la paternità degli scritti, le influenze storiche e
spirituali.
In questo studio, per il quale abbiamo analizzato i testi elencati da Adalbert
de Vogüé nella sua opera Les règles monastiques anciennes
(Le regole monastiche antiche) (400-700)
[2],
ci limiteremo alle frasi usate per esprimere i nomi e le persone orientali nelle
regole latine
[3].
Vedremo i riferimenti espliciti a delle persone ed a degli scritti, menzionate
come modelli esemplari, come un richiamo all'autorità o per giustificare una
particolare prescrizione, e per cercare di individuare il loro carattere
orientale (che non è sempre espresso in termini espliciti).
I. – I Padri negli scritti di Pacomio e
Giovanni Cassiano
Per capire meglio l'ambiente da cui provengono certi termini nelle regole,
abbiamo incluso nella nostra ricerca alcuni scritti la cui origine non è
propriamente occidentale, come la Regola di Pacomio, tradotta dal greco in
latino da Girolamo, o che non sono regole propriamente dette, come i primi
quattro libri delle Istituzioni di Giovanni Cassiano, ma che hanno avuto
un'influenza considerevole sulle successive regole occidentali
[4].
Ci sono molti riferimenti agli antichi padri in queste opere
[5].
Chi sono questi padri e come sono designati?
A. La Pachomiana latina
Il corpus pacomiano, Pachomiana latina,
è stato tradotto dal greco in latino da Gerolimo nel 404. Esso è composto
da quattro gruppi di prescrizioni monastiche (i Praecepta, i Praecepta
et Instituta, i Praecepta atque Iudicia, e i Praecepta ac Leges),
chiamate anche la Regola di Pacomio, undici epistole di Pacomio, un’epistola di
Teodoro ed il Liber Orsiesii, il testamento spirituale di Orsiesi, che fu
uno dei successori di Pacomio
[6].
In questi scritti, Pacomio appare come un’autorità morale e spirituale, un vero
maestro della prima comunità cenobitica dell'Alto Egitto. Nei numerosi
riferimenti a Pacomio, il suo nome è sempre preceduto da
pater noster,
nostro padre. Questo gruppo di parole, pater noster Pachomius, è
particolarmente presente in tutti i titoli dei testi che gli sono attribuiti
e si incontra una volta nel testo del Liber Orsiesii. Negli stessi
testi, il nome di Pacomio viene generalmente omesso, ma rimane sempre implicito.
Più spesso ci si accontenta di riferirsi al pater noster, a volte al
pater, associandolo alla sua eredità legislativa ed alla sua autorità
educativa. Quindi i fratelli del
coenobium
devono vivere secondo i praecepta, normam veritatis, regulas, mandata,
traditiones, institutiones di Pacomio, che è il trasmettitore della Legge
divina e che, a motivo della sua autorità, può essere messo sullo stesso piano
dell’Apostolo e dei santi della Bibbia. La sua recente presenza e la sua
attività di maestro sono evocate come fondamenti di numerosi precetti che
Orsiesi lascia alla comunità nel suo Testamento.
Tuttavia, Pacomio non è il solo a costituire l’autorità a fianco dei riferimenti
biblici. A più riprese i monaci sono incitati a seguire i precetti degli
antichi, praecepta maiorum
[7].
Orsiesi evoca spesso i patres nostri ed i patres sancti come dei
maestri spirituali che hanno insegnato la dottrina del Vecchio e del Nuovo
Testamento. Questi padri hanno già lasciato la patria terrestre, ma la loro
memoria deve restare presente presso coloro che vogliono partecipare alla vita
eterna con loro. Ora, nella Pachomiana Latina, noi assistiamo alla
costituzione di una tradizione qui si riferisce sia al fondatore del
coenobium, nostro padre Pacomio, ed agli anziani, i patres ed i
maiores la cui
autorità fondamentale è trasmessa alla comunità tramite i loro praecepta.
B. I primi quattro libri delle Istituzioni di Giovanni Cassiano
Se i patres della Pachomiana erano membri della stessa comunità
pacomiana, i padri offerti come modelli da Giovanni Cassiano sono completamente
estranei ai destinatari delle sue Conferenze (verso il 425) e delle
Istituzioni cenobitiche (verso 420-424), scritte per introdurre le comunità
monastiche della Gallia alla spiritualità degli asceti dell’Egitto e della
Palestina. Nei primi quattro libri delle Istituzioni , sono soprattutto
gli usi e le istituzioni liturgiche dei monasteri del Basso Egitto che Cassiano
descrive
[8].
Come fa Cassiano a designare i padri orientali?
Nella prefazione al suo progetto, Cassiano dice che esporrà le istituzioni
dell'Egitto e della Palestina, come sono state trasmesse dai patres,
padri. Più avanti, presenta il suo proposito sulla correzione dei costumi e
sulla vita perfetta "secondo ciò che abbiamo ricevuto dai nostri anziani (a
senioribus nostris)". Alla
fine dello stesso paragrafo, questi anziani sono caratterizzati come sancti
ac spiritales patri, i padri santi e spirituali, che sono i guardiani della
tradizione apostolica. La prima frase del secondo libro, dedicata all'ufficio
divino, dichiara che sono i santi padri, sancti patres, che in Oriente
hanno fissato la misura per le preghiere canoniche ed i salmi.
L'antichità dei precetti e la santità dei loro autori orientali sono evocati
ogni volta che si fa riferimento alla loro autorità. Così, le istituzioni
esposte da Cassiano "non sono quelle introdotte dalla volontà di una minoranza,
ma quelle che la loro antichità e l'accordo della moltitudine di santi padri
(innumerositas sanctorum patrum) hanno trasmesso di generazione in
generazione". Dobbiamo ricordare le opere degli antichi e sottrarre tutto ciò
"di cui non vediamo esempi, né tra i santi antichi (veteres sancti) che
hanno gettato le basi di questo stato di vita, né tra i padri del nostro tempo
(patres nostri temporis) che, fino ad oggi, conservano le istituzioni che
hanno ricevuto".
Questi padri dell’Egitto e della Tebaide abitano nei monasteri che erano stati
fondati per dimorarvi "per successioni e tradizioni degli antichi", per
successions ac traditiones maiorum. Ecco perché i monaci della Gallia, che
sfortunatamente sono "più inclini ad esigere l'osservanza delle loro invenzioni
che a mantenere la provata dottrina degli antichi (examinatam
maiorum doctrinam)",
devono essere educati dalle istituzioni più antiche dai primi padri,
antiquissimorum patrum, e gli antichi decreti dei santi padri, sanctorum
patrum, non devono essere soppressi.
Anche nel racconto sull'origine angelica del canone dell'ufficio divino, i padri
che non arrivano a mettersi d'accordo sulla misura del culto quotidiano non
perdono niente del loro rispettabile ruolo. Sono designati come dei venerabili
padri, venerabiles patres, che si
sono riuniti nella venerabile assemblea,
venerabilis patrum senatus.
Questi riferimenti ai padri nei primi libri delle Istituzioni ci mostrano
che l'autore non li designa da nessuna parte come padri orientali (non troviamo
espressioni come, ad esempio,
patres orientales).
È solo dal contesto che il lettore può capire che si tratta di realtà e figure
orientali. Vedremo che, anche nelle regole, i padri orientali non saranno
definiti da termini particolari. La distinzione terminologica tra padri
orientali e padri occidentali non è necessaria, perché fanno tutti parte della
Tradizione cristiana.
Accanto ai santi padri, che con il loro comportamento sono modelli esemplari,
Giovanni Cassiano rende omaggio, nella prefazione alla sua opera, ai suoi
predecessori, Basilio e Girolamo, che "hanno già elaborato numerosi opuscoli su
questo argomento. [...] Il primo, a dei fratelli che lo interrogavano su varie
istituzioni o questioni, rispose non solo in maniera eloquente, ma anche con
abbondanti testimonianze delle divine Scritture. Il secondo non si accontentò di
pubblicare libri scritti da lui stesso, ma tradusse in latino numerosi testi
composti in greco". Questo riferimento alla Regola di Basilio, alle opere
ascetiche di Girolamo e specialmente alla sua traduzione della Regola di Pacomio
colloca ormai i tre asceti come i portatori della dottrina dei Padri orientali
[9]
per la tradizione posteriore.
II. – I padri orientali nelle regole latine
A. La paternità orientale delle Regole dei Padri
La più antica regola monastica latina originale è la Regola di Agostino (che
comprende l'Ordo Monasterii,
composto verso il 395 da Alipio, l'intimo amico di Agostino, ed il Praeceptum
, redatto verso il 397 da Agostino stesso), ma poiché non vi troviamo un
riferimento esplicito alle usanza orientali
[10],
la cronologia ci conduce poi ad una famiglia di regole anonime o pseudonime
collegate alla storia del monastero di Lérins, fondato da Santo Onorato verso il
400-410. Sono le Regole dei Padri: la Regola dei quattro Padri (Regula
Sanctorum Patrum, composta verso il 400-410), la Seconda Regola dei Padri
(Statuta patrum, 427), la Regola di Macario (Regula Sancti Macharii
Abbatis, verso il 490), la Regola Orientale (Regula Orientalis, verso
il 515-520) e la Terza Regola dei Padri (535)
[11].
La caratteristica comune di questi quattro testi di modeste dimensioni è il
titolo che rivendica una paternità orientale.
Il titolo della Regola dei Quattro Padri (Reg. s. Patrum) ci dice che fu
scritta da Serapione, Macario, Pafnuzio e l'altro Macario. Il testo stesso della
regola è composto da quattro discorsi, ognuno dei quali è introdotto da uno dei
nomi menzionati nel titolo. Pertanto, Serapione parla per prima, poi Macario e
Pafnuzio, e la regola termina con il discorso dell'altro Macario. I nomi di
questi quattro monaci egiziani (che hanno un aspetto decisamente orientale)
erano ben noti al pubblico latino attraverso le opere di Girolamo e di Giovanni
Cassiano, l'anonima Storia dei monaci in Egitto (Historia Monachorum in
Aegypto), tradotta in latino da Rufino verso il 400, così come i due libri
sul monachesimo egiziano aggiunti da Rufino alla traduzione della Storia
ecclesiastica di Eusebio di Cesarea.
La Seconda Regola dei Padri è meno esplicita riguardo alla sua parentela. I nomi
orientali non appaiono più nel suo titolo e neppure nel testo. Sono sostituiti
da Patres, non essendo ciò meno allusivo. La regola inizia con una breve
formula incipit statuta patrum e si conclude con esplicit statuta
patrum. Nella prefazione alla regola gli autori garantiscono che la presente
legislazione segue la tradizione dei Padri: "Mentre sedevamo insieme [...]
secondo la tradizione dei santi Padri (patrum virorum sanctorum), abbiamo
deciso di scrivere e di organizzare la regola che sarà osservata nel monastero
per il progresso dei fratelli".
La Regola di Macario evoca ancora il prestigio orientale, poiché fu scritta dal
"santo abate Macario che ebbe sotto la sua giurisdizione cinquemila monaci".
Macario non è più chiamato pater, ma abbas
[12],
poiché è l'abate di un grande monastero. Secondo A. de Vogüé, il prestigioso
nome di Macario e l'enorme cifra di cinquemila monaci fanno pensare ad un
documento pseudo-egiziano, la Vita Pachomii, che circolava in Occidente
prima della Vita greca tradotta da Dionigi il Piccolo. Ora, è chiaro che
la regola rivendica una tradizione agiografica ben definita
[13].
La Regola Orientale non è solo anonima, ma anche impersonale. All'inizio come
alla fine, è chiamata semplicemente "Orientale": incipit regula orientalis
ed esplicit regula orientalis , senza alcun riferimento a nomi
particolari e neanche a dei padri. Tuttavia, il suo titolo allude alla sua
origine "orientale" agli occhi del lettore, e sappiamo che la Regola fa un uso
massiccio della Regola di Pacomio, tradotta da Girolamo.
Nella regola più recente di questo gruppo, la Terza Regola dei Padri, non
osserviamo più questa ambizione di un'origine orientale. La prima frase è
l'unica ad invocare le istituzioni dei padri senza alcuna aggiunta esplicativa.
A differenza della Seconda Regola dei Padri, le regula et instituta patrum
non esprimono più un solenne sentimento orientale. Ciò può essere spiegato
dal fatto che la Regola non proviene da un ambiente propriamente monastico, ma
dal Concilio di Auvergne del 535, di cui riflette le condizioni.
B. Le regole del VI secolo
Abbiamo visto che i primi testi legislativi occidentali, le Regole dei Padri,
hanno l’obiettivo di convincere i lettori
[14]
del loro carattere orientale assegnando la loro paternità agli Orientali, da
dove proviene evidentemente l'autorità. Certamente, nel periodo successivo, le
regole latine non pretendono più di essere nate in Oriente, ma l'importanza
della tradizione orientale non scompare: ora sono gli stessi precetti che fanno
numerose allusioni alle opere ascetiche di origine orientale.
Nell'Italia del VI secolo, videro la luce due regole importanti. Sono la Regola
del Maestro, imponente per le sue dimensioni, e la Regola di San Benedetto, che
è stato fortemente influenzato dalla prima, ma è anche diventata la fondatrice
della tradizione monastica del Medioevo.
1) La regola del Maestro
La Regola del Maestro (Regula Magistri) risale ad un’epoca anteriore al
530. Il suo autore è anonimo, ma dipende molto dagli scritti di Giovanni
Cassiano, Basilio e un po’ da Agostino. Eppure non sono questi nomi che vengono
evocati quando l'autore della regola vuole giustificare uno dei suoi precetti.
Nel capitolo dove si parla delle vane parole, incontriamo il nome di Origene:
"Inoltre, una saggia sentenza di Origene dice" e subito dopo è citata una
sentenza di Sesto
[15]
[Enchiridion
152: "E' meglio gettare invano una pietra che una parola"].
Nel capitolo che tratta dell'incontro dei fratelli leggiamo: "È così, leggiamo,
che fecero gli eremiti Paolo ed Antonio quando si incontrarono". Segue la
citazione della Vita di Paolo eremita di Girolamo (Vita Pauli 9).
Come abbiamo già notato in Giovanni Cassiano, il Maestro trova anche una
giustificazione per alcune delle sue regole nei precetti dei padri. Dice a
proposito dell'ufficio divino: "secondo l'usanza dell'antichità e la regola
stabilita dalle istituzioni dei Padri (patrum instituta);
sull’accoglienza dei postulanti: "I Padri (patres) prescrivono al
monastero di non restituire i beni degli apostati ed i loro doni"; sull'eredità
del postulante ricco: "Ascolta il salutare consiglio della nostra regola, che i
Padri (patres) decretarono".
Un altro gruppo di riferimenti espliciti nella regola del Maestro ci rimanda
alle Vite dei Padri, le cui reminiscenze si trovano in diversi capitoli
della regola. Così, il Maestro permette alimenti supplementari la domenica
dicendo: "secondo il testo che si legge nelle Vite dei Padri", una frase
seguita da una reminiscenza di un racconto dall’Historia Monachorum (Hist.
Mon. 7,10). Le Vite dei Padri servono a sostenere la dichiarazione
che prima di partire è necessario dire addio ai fratelli: "come si legge nelle
Vite dei Padri". L'episodio
sull'umiltà dell'abate viene introdotto da parole analoghe: "come leggiamo più
volte nelle Vite dei Padri".
Infine, la regola termina con una frase che abbiamo già incontrato nelle Regole
dei Padri: "Fine della Regola dei Santi Padri".
Ora, nella Regola del Maestro, notiamo diversi modi di appellarsi all'autorità
dei padri. Innanzitutto, per impostare alcuni dei suoi precetti, l'autore cita
dei nomi orientali (Origene e gli anacoreti Paolo e Antonio) che erano
probabilmente ben noti alla comunità dei fratelli. In secondo luogo, per
stabilire una certa consuetudine cenobitica, il Maestro fa riferimento ai
consigli ed alle istituzioni degli antichi Padri. Di certo ciò può riferirsi ad
una raccolta di testi legislativi precedenti, ma si può anche supporre
l'esistenza di una tradizione orale che, trasmessa di generazione in
generazione, avrebbe segnato la memoria della comunità monastica. Noi possiamo
soprattutto basare quest'ipotesi sul fatto che - e ciò ci porta alla nostra
terza osservazione – nel caso in cui il monastero possedeva le opere nella
biblioteca, il Maestro rinvia ai testi scritti (comprendiamo ciò per il fatto
che questi erano letti: legimus (noi leggiamo), legitur (si legge)).
2) La Regola di San Benedetto
La tendenza a riferirsi sempre di più ai testi scritti è ancora più rimarcabile
nella Regola di San Benedetto (Regula Benedicti). Questa regola è stata
composta verso il 530-560 dall'abate di Monte Cassino in Italia. Si ispira non
solo alla Regola del Maestro, ma attinge direttamente a fonti più antiche, come
Pacomio, Basilio, le Regole dei Padri e specialmente a sant'Agostino.
Come la Regola del Maestro, la Regola di San Benedetto richiama più volte le
Vite dei Padri. Due riferimenti alle Vite
sono usati per far vergognare
quei monaci il cui fervore non è più vivo come quello degli antichi padri. I
fratelli di oggi non devono trascurare l'ordine di cantare l'intero salterio in
una settimana "dal momento che leggiamo (legimus) che una volta i nostri
santi Padri (sancti patres nostri)
lo facevano coraggiosamente in un giorno", né abusare dell'uso del vino
"benché noi leggiamo (legamus) che il vino non sia assolutamente fatto
per i monaci". Questi due legimus
si riferiscono agli Apoftegmi dei Padri (Verba seniorum), che
furono tradotto nella metà del sesto secolo da Pelagio.
L'autorità legislativa dei Padri è rafforzata dal fatto che è associata
all'autorità degli apostoli e della stessa regola. Così, l'ottavo grado di
umiltà è raggiunto "quando un monaco fa solo ciò che è comandato dalla regola
comune del monastero e dagli esempi degli anziani (maiorum exempla)", ed
i veri monaci sono coloro che "vivono del lavoro delle loro mani, come i nostri
padri (patres nostri) e gli apostoli".
Ciò che è nuovo nella Regola di San Benedetto è il fatto che egli designa
esplicitamente i libri non biblici che devono essere letti durante le ore
liturgiche e durante le ore dedicate all'educazione dei fratelli
[16].
Così, nel capitolo sui servizi divini durante la notte, la regola ordina di
leggere la Bibbia ed i commentari dei Padri durante le veglie: "Durante le
veglie si leggeranno i libri di autorità divina [...], così come i commentari
fatti dagli stimati ed ortodossi Padri cattolici". D'altra parte, prima del
sonno, non sono più le opere dottrinali, ma piuttosto le opere con contenuto
spirituale che sono raccomandate: "Tutti si siederanno insieme e qualcuno
leggerà le Conferenze o le Vite dei Padri o qualcos'altro che
edifichi gli ascoltatori. [...] Se è un giorno di digiuno, una volta detto il
vespro, dopo un breve intervallo si passerà a leggere le Conferenze, come
abbiamo detto. "
Un elenco ancora più dettagliato delle opere raccomandate per "uno che si
affretta verso la perfezione della vita religiosa" si trova nell'epilogo della
Regola. L'enumerazione delle opere inizia con gli insegnamenti dei santi Padri:
"Vi sono insegnamenti dei santi Padri la cui osservanza conduce l'uomo al
culmine della perfezione”. Si potrebbe discutere se i santi padri non indichino
qui le grandi figure bibliche come Abramo, Isacco, Giacobbe o i Profeti,
specialmente perché la frase che segue immediatamente richiama l’autorità
divina. Ma subito dopo l'evocazione delle Sacre Scritture, San Benedetto si
rivolge esplicitamente ai Padri della Chiesa ed ai loro commentari: “Quale è il
libro dei santi Padri cattolici che non ci faccia ascoltare come correre sempre
sulla via diretta finché giungeremo al nostro creatore?" Seguono le opere
spirituali che sono "gli strumenti delle virtù per i monaci di buona condotta ed
obbedienti" : " Ed ancora le Conferenze dei Padri e le loro
Istituzioni e le loro Vite, così come la Regola del nostro santo
Padre Basilio. "
L'ultima frase ci indica i testi usati per l'educazione spirituale nella
comunità di San Benedetto, e tutti hanno un sapore orientale. Le Conferenze
e le Istituzioni sono probabilmente utilizzate per designare le opere di
Giovanni Cassiano, il cui nome potrebbe non essere stato menzionato per vari
motivi
[17].
Le Vite dei Padri sono forse la raccolta tradotta da Pelagio (Verba
seniorum), le cui esplicite
citazioni nella regola sono già state citate. D'altra parte, il titolo di
Vite dei Padri può riguardare anche molte altre opere, come la Vita di
Paolo di Girolamo, già citata dal Maestro, e l'Historia Monachorum di
Rufino a cui la regola deve molto
[18].
Il titolo dato a Basilio (sanctus Pater noster) è identico alla
designazione dei padri del deserto nella citazione dal primo apoftegma preso in
prestito da Pelagio (Reg. Ben. 18,25). Quindi, possiamo constatare che
nella Regola di san Benedetto i padri non solo servono come autorità per fondare
certi precetti, come era il caso nella Regola del Maestro, ma hanno acquisito
uno ruolo formale. Accanto alle Sacre Scritture, c'è un certo corpus di
testi dei Padri che l'autore della regola raccomanda ai fratelli, siano essi i
commentari biblici o le opere spirituali dei Padri orientali. Nel momento in cui
la tradizione orale si era molto indebolita, erano i soli testi che potevano
trasmettere l'esperienza orientale. Questo potrebbe spiegare perché, in tutte le
citazioni della regola benedettina che abbiamo prima fornito, il ruolo del
trasmettitore della tradizione è attribuito al libro, e non più ai "consigli dei
padri", alla "moltitudine di padri" ed alle loro "antiche istituzioni", termini
che abbiamo osservato nelle Istituzioni di Cassiano e di nuovo nella
Regola del Maestro, e che presuppongono piuttosto la trasmissione orale.
3) La regola di Paolo e Stefano
Un po' più tardiva, ma proveniente dalla stessa regione, troviamo la Regola di
Paolo e Stefano (Regula Pauli e Stephani). Fu scritta per un monastero
dell'Italia centrale nella seconda metà del VI secolo. La regola, che non sembra
riferirsi né al Maestro né a Benedetto, ma attinge direttamente a delle fonti
più antiche, Pacomio e Basilio, espone in una dottrina piuttosto dettagliata
come e perché i fratelli devono seguire le regole dei padri.
Accanto alla dottrina ed alla disciplina degli apostoli, si parla di quelle dei
"nostri padri" (patrum nostrorum), ed uno di essi è citato subito dopo. È
sant'Agostino che serve da regola per l’Ufficio Divino: "Inoltre
è opportuno che noi prendiamo a modello la dottrina una e semplice degli
apostoli e dei nostri padri, che rendiamo saldo il cuore mediante la grazia e
che sottomettiamo alla disciplina la nostra condotta: inoltre dobbiamo cantare
ciò che è da cantare, come dice il beato Agostino: mentre non cantiamo ciò che
non è scritto (da cantare)".
Il penultimo capitolo della Regola di Paolo e Stefano è molto simile all'epilogo
della Regola di San Benedetto (Reg. Ben.
73), poiché presenta la
disciplina degli antichi padri come un ideale per chi vuole abbracciare una
disciplina più rigorosa. Le regole dei Padri trasmettono non solo le loro
esortazioni e la loro disciplina, ma propongono anche di seguire i loro esempi:
"Perciò
si leggano assiduamente le regole dei Padri (regulae patrum) affinché,
adeguando il nostro udito interiore alle loro sante esortazioni, concepiamo un
dolcissimo amore per la disciplina e seguiamo i loro esempi di vita, con l’aiuto
del Signore in ogni cosa”.
Gli autori della regola si scusano per aver avuto l'audacia di comporre un testo
legislativo, essendoci già le regole dei santi e beati Padri: "Infatti anche
queste cose di cui vi abbiamo parlato direttamente con scritti particolari (per
ogni argomento), non abbiamo avuto la presunzione di esporle a voi in modo
temerario per beffare le regole dei santi e beatissimi Padri (sanctorum
e beatissimorum patrum regulae); ma ci siamo preoccupati di ripetervi per
iscritto in particolare soltanto quelle cose tratte dal loro ordinamento". La
regola pretende soltanto di riassumere e chiarire "la pienezza della santa (vita
di) conversione e la perfetta dottrina della vita spirituale" che "ci vengono
lette nelle regole di questi santi Padri (in
sanctorum patrum regulis), la cui vita, per dono divino, è degna di
approvazione ed ai quali è affidata l’autorità di insegnare".
4) La Regola di Cesario
Questa pratica, fondamentale nelle regole, di utilizzare i testi precedenti si
trova anche nella Regola di Cesario (Regula Caesarii) per le monache di
Arles, che pretende di essere, anch’essa, una scelta di prescrizioni
tradizionali. Nella sua regola, scritta tra i 512 ed il 534, Cesario d'Arles si
riferisce esplicitamente tre volte ai padri. Già all'inizio del suo lavoro, egli
si basa sulla loro autorità: "Abbiamo stabilito per voi, secondo gli statuti
degli antichi Padri (secundum statuta antiquorum patrum), delle linee
guida spirituali e sante, che indicano come dovete vivere in questo monastero”.
Sappiamo che questi "antichi padri" le cui tracce sono numerose nel lavoro
legislativo di Cesario sono Pacomio, Giovanni Cassiano, le prime due regole dei
Padri e soprattutto sant'Agostino.
Verso la fine della regola, Cesario fa un altro richiamo alle sue fonti e questa volta i padri sono associati alle Sacre Scritture: "Perché non è da noi stessi che ci permettiamo di parlare, ma secondo ciò che si legge nelle Scritture canoniche e ciò che si trova in grande abbondanza nei libri degli antichi padri (antiquorum patrum libris): queste sono le fonti da cui deriva il nostro salutare consiglio, con grande affetto e vera carità". E solo due capitoli dopo Cesario avverte che qualunque monaca sprezzante del riepilogo della regola che "è stata scritta per la vostra salvezza ed in conformità con gli insegnamenti dei Santi Padri (secundum institutionem sanctorum patrum)" sarà espulsa dalla comunità.
5) La Regola di Tarnant
Da un’epoca successiva, la seconda metà del VI secolo, abbiamo la Regola di
Tarnant (Regula Tarnantensis), un monastero sconosciuto della
Gallia meridionale. In questa regola, che prende molto in prestito dalla
Regola di Pacomio, dalla Regola di Agostino, dalla Regola di Cesario e dalla
Regola di Aureliano, troviamo due citazioni che si riferiscono ai padri. Per
fissare il precetto di non trascurare i beni del monastero, la regola si
riferisce - senza citarlo - ad Evagrio, una frase del quale (Sent.
75) è introdotta con le parole:
sicut ait quidam patrum. Due capitoli dopo, incontriamo il nome di
Cipriano, citato come autorità riguardo al divieto nei confronti dei fratelli di
partecipare ai matrimoni: sicut dixit beatissimus Ciprianus. Quindi,
sebbene la regola sia già una selezione di regole più antiche, l'autore non
disdegna di introdurre altri padri dove lo ritiene appropriato. Il ruolo di
queste aggiunte è sempre la stessa – basare la regolamentazione sulla tradizione
dei padri, sia con un nome orientale nascosto, come Evagrio, o con un
riferimento diretto a un padre latino come nel caso di Cipriano.
C. Le regole spagnole del settimo secolo
In un'altra parte del mondo cristiano, la Spagna del VII secolo, sono state
scritte tre regole - la regola di Isidoro, la Regola di Fruttuoso e la Regola
Comune - in cui possiamo vedere lo stesso atteggiamento di rispetto riguardo
alla tradizione dei padri, espressa in termini espliciti e poco diversa da
quella che abbiamo già incontrato nelle regole precedenti: Regola di Isidoro (Regula
Isidori), vescovo di Siviglia, scritta per il
coenobium Honorianense
verso il 615-619
[19];
la Regola di Fruttuoso (Regula Fructuosi),
futuro vescovo di Braga, allora abate del monastero da lui fondato a Compludo,
che compose circa verso la metà del VII secolo; infine, la Regola Comune (Regula
communis), talvolta anche attribuita a Fruttuoso di Braga, scritta dopo il
665.
Il "programma" della Regola di Isidoro è esposto nella sua prefazione che, di
nuovo, ricorda il famoso epilogo della Regola di San Benedetto. Isidoro dice che
conosce molte regole ed istituzioni degli antichi padri (praecepta
vel instituta maiorum), ma che ha voluto fare una selezione dei loro
precetti e scrivere una regola in un linguaggio più rustico per coloro che "si
sono convertiti dopo un vita dei peccatori". I più perfetti, tuttavia, possono
impegnarsi in pratiche più ardue seguendo più da vicino la disciplina degli
antichi (veterum disciplina).
La traccia di questo atteggiamento - la frequente evocazione della disciplina
dei padri - la notiamo nelle tre regole spagnole. Così, per determinare i giorni
di interruzione dei digiuni, Isidoro cita i padri (sancti patres, antiqui
patres) tre volte, l'ultima delle quali si riferisce esplicitamente ai Padri
del deserto come "si legge", e l'ultimo capitolo della stessa regola invita ad
osservare in tutto i precetti degli antichi padri (maiorum patrum).
Secondo la Regola di Fruttuoso, i decani devono impedire ai giovani di essere
negligenti offrendo loro esempi di santi e spirituali (spirituales ac
sancti). I postulanti saranno ammessi al monastero solo dopo essere stati
messi alla prova "come insegnano i decreti dei padri". Nella Regola Comune, il
modello dei Padri è evocato non solo per i monaci incaricati delle greggi, in
modo che non mormorino, ma anche per gli abati del monastero contro il vizio
dell'avarizia. Negli ultimi capitoli della Regola - che sembrano essere
un'aggiunta successiva - viene fatto divieto ai fratelli di parlare alle
sorelle; fare così sarebbe violare le istituzioni dei padri.
Affinché l'esempio dei padri rimanga sempre presente nello spirito dei membri
della comunità, tutte le regole spagnole prescrivono di leggere gli antichi
precetti. Così, secondo la regola di Isidoro, i padri del monastero devono
tenere conferenze tre volte alla settimana per la correzione dei vizi. Anche in
loro assenza, è necessario riunirsi e far leggere i precetti regolari dei padri
(praecepta patrum regularia) a
beneficio di tutti: quelli che li ignorano "impareranno ciò che essi seguono";
quelli che già li conoscono rinfrescheranno la loro memoria. La regola di
Fruttuoso prende in prestito questo precetto modificandolo un po': le regole dei
Padri (regulae patrum) vengono lette
e commentate da un anziano o dal prevosto del monastero; d'altra parte, la
regola del monastero e le Vite dei Padri
(Vitae Patrum) fanno parte dei testi
che vengono letti in estate dopo i vespri. Nella Regola Comune, gli abati sono
invitati a leggere i commenti dei Padri sulle Sacre Scritture per agire sempre
secondo la loro dottrina e proteggersi dalle eresie.
In base all'analisi delle fonti, sappiamo che i padri spesso invocati nelle
regole spagnole includono sicuramente Pacomio ed Agostino per la Regola di
Isidoro; Pacomio, Girolamo, Giovanni Cassiano, Agostino e persino Isidoro per la
Regola di Fruttuoso; infine, Giovanni Cassiano, Girolamo ed Isidoro per la
Regola Comune. Tuttavia, l'unico nome che viene esplicitamente menzionato è
quello di Girolamo, che funge da autorità per due volte nella Regola Comune.
D. L'ambiente irlandese: la Regola di Colombano
Dall'ambiente irlandese ci è giunta la Regola di Colombano (Regula
monachorum)
[20],
che è stata scritta sul continente tra il
591 ed il 610 e che si basa molto su Basilio, Cassiano e Gerolimo. Nel
capitolo sull'Ufficio divino, si legge un riferimento ai "cattolici", la cui
"moltitudine è tale che mille di padri (abbates), così si dice, vivono
sotto lo stesso archimandrita (archimandrita)". Nell'antica letteratura
latina, archimandrita è un termine raro associato ai superiori dei
monasteri d'Oriente. Le due parole quindi, abbate e archimandrita,
che non vengono usate da nessun'altra parte nella Regola di Colombano, hanno un
forte sapore orientale, anche se non vi è alcun riferimento diretto all'Oriente.
E. Le regole-centone
1) La regola di Eugippio
Prima di concludere, per avere una visione più completa dei padri nelle regole,
vorremmo citare rapidamente le regole i cui testi non sono composizioni
indipendenti, ma sono delle vere compilazioni di altre regole o altri scritti.
Ad esempio, la Regola di Eugippio (Eugippii regula), abate del monastero
di san Severino a Napoli, che deve essere stata composta verso il 530, riproduce
tutta la Regola di S. Agostino, poi brani di vari autori, in particolare il
Maestro, Giovanni Cassiano e Basilio. In questa regola, troviamo citato un
intero capitolo della Regola di Pacomio (Praecepta et Instituta
18) dove i termini sancti
e praecepta maiorum appaiono più volte. È chiaro che, nel contesto del VI
secolo, questi termini hanno un significato diverso rispetto all'epoca in cui
Girolamo tradusse la Regola di Pacomio. Eppure i precetti che raccomandano di
seguire i santi (cioè i santi Padri) e le regole degli antichi non hanno perso
nulla del loro contenuto. Al contrario, hanno acquisito ancora più autorità,
nella misura in cui si riferiscono ad una tradizione ancora più antica, quindi
più rispettabile.
2) La regola di Cassiano
Un esempio ancora più eloquente può essere la cosiddetta Regola di Cassiano
(Regula Cassiani). Questa regola, proveniente dall'ambiente fruttuosiano
degli anni 640-660, non è una vera legislazione, ma, secondo A. de Vogüé, un
adattamento letterario dei primi quattro libri delle Istituzioni
(scritte nel 421 circa)
di Giovanni Cassiano, "volto a facilitare l'ascolto di questa classica opera
nelle conferenze dove si leggono le Regole dei Padri". Il testo della Regola
trascrive quasi letteralmente l'opera di Cassiano, pur mantenendo molti
riferimenti ai Padri di cui abbiamo già visto la maggior parte nel primo
capitolo della nostra esposizione. D'altra parte, per il legislatore spagnolo i
monaci orientali descritti da Cassiano appaiono spesso sotto il nome di "padri"
o "nostri padri". Infine, la forma verbale, che era descrittiva nelle
Istituzioni, assume un valore imperativo nella Regola, ed il contrasto tra i
costumi dei monaci egiziani ed i costumi dei monaci orientali, importante per
le Istituzioni, non è più
percepito nella Regola. Nel contesto della Regola di Cassiano "la tradizione
orientale, presa nel suo insieme, retrocede così in un passato immemorabile" in
cui l'autorità è delegata ai "padri" di un tempo.
III. - Conclusione
All'inizio del nostro lavoro, il nostro scopo era quello di rintracciare le
parole che si riferivano specificamente al carattere orientale nei riferimenti
espliciti agli antichi padri ed alla tradizione della loro disciplina negli
antichi testi legislativi del mondo latino
[21].
Tuttavia, nel corso di questa ricerca, ci siamo resi conto che, per gli antichi,
il valore che contava non era l'Oriente come tale, ma l'antica tradizione che
gli è propria. Così, i padri occidentali appartenenti a questa stessa tradizione
sono ugualmente invocati a fianco di quelli dell'Oriente: Girolamo può apparire
come un maestro dell'ascetismo orientale
[22],
mentre sant'Agostino è un'autorità per l'ufficio divino. Il fatto che le loro
opere siano alla base di gran parte dei nostri testi non deve neanche essere
trascurato. Il vocabolario, nel frattempo, non varia molto secondo l'epoca.
Espressioni come patres nostri, patres sancti, patres antiqui, spirituales,
doctrina et disciplina maiorum si possono trovare sia nella traduzione
latina della Regola di Pacomio dell'inizio del V secolo, che nelle regole
spagnole del VII secolo. Dal punto di vista cronologico, i Padri sono evocati
costantemente nelle regole di tutte le generazioni. Tuttavia, sul piano della
nozione e dell'utilizzo dei riferimenti ai Padri, si può verificare una certa
evoluzione attraverso le epoche storiche.
Per gli autori degli scritti pacomiani il loro padre spirituale, Pacomio,
menzionato come pater noster, era una figura recente le cui reminiscenze
erano ancora molto vive. Tuttavia, la pratica e l'insegnamento dei "padri" dei
tempi più antichi sono già valorizzati dagli stessi legislatori. La tendenza è
solo di crescita. Giovanni Cassiano distingue tra i padri antichi - i mitici
fondatori del cenobitismo egiziano - e quelli del nostro tempo e del nostro
luogo. Lui stesso trasmette l'antico insegnamento che è ancora vivo tra i padri
orientali. Egli evoca anche le illustri figure di Basilio e Girolamo e le loro
opere, e le fissa già per il "canone" della tradizione successiva. I primi
documenti veramente legislativi dell'Occidente - le Regole dei Padri - si
riferiscono all'autorità dei legislatori orientali come se queste regole fossero
state scritte dagli stessi testimoni dei Padri del deserto. La vera svolta noi
la osserviamo nella Regola del Maestro e nella Regola di San Benedetto. La
tradizione orale qui non è più viva, l'esperienza dei Padri è accessibile solo
attraverso testimonianze scritte, una lista dettagliata delle quali è redatta da
San Benedetto. Notiamo anche una tendenza a basare certi precetti sull'autorità
di nomi noti (Origene, Basilio, Cipriano, Agostino, Girolamo, gli anacoreti
Paolo e Antonio), ma questi nomi non formano una rigida lista.
La letteratura legislativa successiva tende ad utilizzare i testi precedenti.
Questa usanza è esplicitamente evocata dalle regole stesse. Esse non pretendono
di essere solo delle selezioni di precetti più antichi destinate solo ai meno
perfetti, mentre le altezze della perfezione sono insegnate attraverso le
antiche istituzioni e gli esempi degli antichi Padri, conosciuti grazie alle
loro Vite.
Naturalmente, il gusto per il riutilizzo dei testi antichi e per il ricorso agli
esempi dei Padri ha segnato la letteratura latina medievale, ma questi testi non
hanno mai cessato di vivere: "Non si utilizzavano come documenti morti;
adattandoli, venivano inseriti, in ogni epoca ed in ogni ambiente, in un
contesto vivente in cui hanno continuato a rimanere attuali"
[23].
[1]
L’espressione appartiene à J. Gribomont, «L’influence de l ’Orient sur
les débuts du monachisme latin (L'influenza dell'Oriente sull'esordio
del monachesimo latino)», Atti
del convegno internazionale sul tema: L ’Oriente cristiano nella storia
della civiltà, Accademia nazionale dei Lincei 361, Quaderno 62,
Roma, 1964, p. 120.
[2]
A. de Vogüé, Les règles
monastiques anciennes (400-700), Typologie des sources du Moyen Âge
occidental (Tipologia delle fonti del Medioevo occidentale) 46,
Turnhout, 1985.
Quasi tutto questo corpus
delle antiche regole ci è trasmesso dal
Codex Regularum della fine
dell'VIII secolo, riunito da Benedetto d'Aniane. Le antiche regole
monastiche occidentali provengono dal periodo compreso tra l'inizio del
V secolo e l'VIII secolo. Esse provengono da differenti regioni
dell'Europa - Italia, Spagna, Gallia. Le dimensioni delle regole sono
molto varie, da alcune pagine (la Regola di Agostino, la Regola dei
Quattro Padri) fino a dimensioni molto grandi come la Regola del
Maestro, Eugippio e Benedetto. La struttura delle regole non è meno
diversa del loro formato (riguardo ai vari tipi di regole si veda A. de
Vogüé, Les règles monastiques
anciennes..., p. 19-22 et G. Penco, «Osservazioni preliminari sui
caratteri dell’antica letteratura monastica», Aevum 35, 1961, p.
220-246, in particolare p. 236-237).
[3]
Come regole monastiche latine noi intendiamo ogni scritto latino
destinato ad un gruppo di monachi o monache e che presenta un certo
carattere legislativo.
Si veda, A. de Vogüé, Les règles
monastiques anciennes..., p. 11. E dello stesso autore, « Les règles
cénobitiques d’Occident (Le regole cenobitiche d'Occidente)»,
Autour de saint Benoît, La Règle
en son temps et dans le nôtre, (Riguardo a san Benedetto.
La Regola nel suo tempo e nel nostro) Vie monastique 4, Bellefontaine,
1975, p. 15-28. G. Penco fornisce importanti osservazioni sul carattere
letterario delle regole in «Osservazioni preliminari...», citato nella
nota precedente.
[4]
Malgrado il carattere descrittivo dei primi libri delle
Istituzioni, A. de Vogüé li
considera come un campione della letteratura della regole monastiche (A.
de Vogüé, « Les sources des quatre premiers livres des
Institutions de Jean Cassien
(Le fonti dei primi quattro libri delle
Istituzioni di Giovanni
Cassiano) », De saint Pachôme à
Jean Cassien.
Etudes littéraires et doctrinales sur le monachisme égyptien à ses
débuts,
(Da san Pacomio a Giovanni Cassiano.
Studi letterali e dottrinale sul monachesimo egiziano ai suoi esordi)
Studia Anselmiana 120, Rome, 1996, p. 373-456 (=
Studia Monastica 27, 1985, p.
241-311), in particolare p. 374-376). Le
Istituzioni, con la Regola di
Pacomio, La Regola di Agostino, la Regola di Basilio e la Regola dei
Quattro Padri costituiscono due prime generazioni, che hanno generato
tutte le regole latine posteriori. Riguardi ai legami di affiliazione
tra le regole si veda A. de Vogüé,
Les règles monastiques anciennes...,
p. 12-16.
[5]
Il fatto che due regole madri, la Regola di Agostino e la Regola di
Basilio, non abbiano riferimenti simili può essere spiegato dal loro
fine; per i loro autori, i precetti che forniscono sono fondati solo
sull'interpretazione dalla Scrittura.
[6]
La data di composizione della Regola nella versione originale (in lingua
copta) rimane sconosciuta. La Regola ci è stata conservata nella sua
interezza solo nella versione latina di Girolamo.
[7]
Non è sempre facile distinguere se la designazione di
maiores sia applicata agli
anziani del passato, a coloro che sono ancora in vita o ai superiori del
monastero. Si veda A. de Vogüé, «Le nom du supérieur de monastère dans
la règle pachômienne (Il nome di superiore di monastero nella regola
pacomiana)», De saint Pachôme à
Jean Cassien..., p. 71-77 (=
Studia Monastica 15, 1973, p. 17-22), in particolare p. 76, n. 21.
[8]
Gli otto ultimi libri delle
Istituzioni (Ist. V-XII) trattano degli otto vizi capitali. Questa
dottrina ascetica è destinata a completare la formazione del cenobita ed
a prepararlo per la contemplazione che è il soggetto delle ventiquattro
Conferenze.
Queste insistono soprattutto sulla disciplina dell'uomo interiore.
[9]
I motivi per i quali Cassiano tace il nome di Rufino, il traduttore
della regola basiliana in latino, e non nomina l'autore degli scritti
pacomiani, sono esposti da A. de Vogüé: questo comportamento "può
spiegarsi sia per la fama di Basilio e di Gerolimo, sia per lo sfavore
di cui soffre Rufino in seguito alla controversia origenista, sia perché
Cassiano è del parere di sostituire il mito dell'origine apostolica del
cenobitismo egiziano con la realtà meno prestigiosa della sua fondazione
tramite Pacomio nel IV secolo" (Opera già citata: "Les sources des
quatre premiers livres...", p.379).
[10]
Tuttavia essa non è esente da influssi orientali: la liturgia esposta
nell'Ordo monasterii ha per
origine Betlemme (Luc Verheijen,
La Règle de saint Augustin, t. I., p. 133-137), mentre l'orario
della Regola è affine ad una tradizione egiziana (A. de Vogüé,
«L’horaire de l ’Ordo monasterii.
Ses rapports avec le monachisme égyptien (L'oario dell'Ordo monasterii.
I suoi rapporti con il monachesimo egizionao)
», Homo spiritalis. Festgabe für
Luc Verheijen zu seinem 70. Geburtstag (Cerimonia per il 70°
compleanno di Luc Verheijen), redatto da C. Mayer, Cassiciacum 38,
Würzburg, 1987, p. 240-258). Inoltre l'ascetismo egiziano ha
profondamente segnato la conversione di Agostino. Nelle sue Confessioni,
egli racconta come sia stato turbato dalla
Vita di Antonio, in seguito
alla storia che gli raccontò Ponticiano (Conf. VIII, 6, 13-7,18).
[11]
Secondo l'editore delle regole di A. de Vogüé, la Regola dei Quattro
Padri sarebbe la "carta di fondazione" del
coenobium leriniano. La
Seconda Regola dei Padri, un testo molto breve, fu probabilmente scritto
a Lérins per aggiornare la Regola dei Padri da cui dipende. La regola di
Macario sarebbe apparsa sotto l'abbaziato di Porcario nello stesso
monastero, la Regola
Orientale sarebbe stata redatta partendo da una legislazione riferita
all'abate Marin di Lérins e la Terza Regola sarebbe stata elaborata al
Concilio di Clérmont nel 535 e testimonierebbe la clericalizzazione dei
monasteri e influenza esercitata su di essi dall'episcopato.
Si veda Les Règles des Saints
Pères, ed. A. de Vogüé, t. I-II, (SC 297-298), Parigi, 1982.
[12]
Nelle regole latine dell'epoca, il titolo
abbas sostituisce gli altri
termini (is qui praeest, pater
monasterii, princeps, praepositus) che sono stati dati al superiore
del monastero nelle regole più antiche.
[13]
Questa Vita Pachomii presenta
Pacomio come il successore di un cenobiarca nominato Macario, lui stesso
discepolo ed erede di Antonio. La sola differenza è che il numero dei
monaci nella regola è dieci volte inferiore a quello della
Vita.
Si veda A. de Vogüé, Les Règles
des Saints Pères, t. I, p. 289-292.
[14]
Sarebbe più corretto dire "gli ascoltatori", poiché più spesso i testi
erano letti nella comunità ad alta voce.
[15]
Nota del traduttore. Le Sentenze di Sesto Pitagorico, in greco "Enchiridion",
sono citate per la prima volta da Origene a metà del III secolo.
L'autore dell'opera resta sconosciuto. Il testo potrebbe essere di epoca
ellenistica, ma rivisto dal punto di vista cristiano; potrebbe essere
opera del filosofo latino Quinto Sestio (I sec. a.C.), che scriveva in
greco e professava teorie pitagoriche e stoiche, oppure potrebbe
semplicemente essere opera di un cristiano del II secolo. Tirannio
Rufino, che predispose la traduzione latina di 451 detti di Sesto
Pitagorico, le riteneva opera del papa Sisto II.
[16]
Al di fuori delle letture liturgiche, le regole trattano della
ripartizione delle ore di lettura privata (lectio
divina), l'apprendimento della lettura da parte dei novizi, ed il
modo di recitare e di leggere i testi durante il lavoro o nel
refettorio. Fino alla Regola di san Benedetto, il solo testo legittimato
dalle regole a fianco delle Sacre Scritture era la regola stessa che i
membri della comunità dovevano conoscere molto bene.
[17]
Il lettore poteva riconoscere le opere senza che Benedetto avesse
bisogno di citare l'autore, oppure l'autore della regola voleva evitare
il nome di Cassiano che era considerato come un eretico.
Si veda A. de Vogüé, La Règle de
saint Benoît, t. I, p. 147, A. Böckman, op. cit., p. 119.
[18]
La lista può essere prolungata dalla
Vita di Antonio di Atanasio
di Alessandria, la Vita di
Pacomio tradotta dal greco da Dionigi il Piccolo, e la
Storia Lausiaca di Palladio.
Cfr. J. T. Lienhard, « Index of Reported Patristic and Classical
Citations, Allusions and Parallels in the "Regula Benedicti" (Catalogo
delle citazioni, allusioni e parallelismi Patristici e Classici nella
"Regula Benedicti"», Revue
bénédictine 89, 1979, p. 230-270.
[19]
Non è sicuro che Isidoro fosse lui stesso un monaco. E' possibile che
con la sua regola sia intervenuto in una comunità che, avendo a
disposizione solo un certo Codex
regularum, avesse bisogno di una regola più adatta alla vita in una
certa regione. Si veda J. Campos, I. Rocca,
San Leandro, San Isidoro, San
Fructuoso.
Reglas monásticas
de la España
visigoda,
Bibliotheca de Autores Cristianos 321, Madrid, 1971.
[20]
Colombano redasse anche un'altra regola,
Regula coenobialis, di
carattere disciplinare e che contiene soltanto delle sanzioni penali.
[21]
In tutto il corpus esaminato (circa trenta regole) noi abbiamo trovato
indicazioni che si riferiscono all'Oriente o ai Padri in quattordici
regole, ovvero in quasi la metà degli antichi testi legislativi.
[22]
Nella tradizione medioevale, Gerolimo è spesso considerato come un
orientale.
Si veda J Leclercq, L'amour des
lettres et le désir de Dieu (L'amore delle lettere ed il desiderio
di Dio), Paris, 1990, p.88.
[23]
Da J. Leclercq, opera citata prima, p.97. La posterità dei Padri nel
Medioevo è trattata nella stessa opera, p. 87-107.
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20 dicembre 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net