Regole monastiche
a cura di Angelo di Bernardino
8. Regole monastiche
Verso l’anno 800 Benedetto d’Aniane compila una raccolta di 25 testi monastici
latini (Codex
regularum) e dà a tutti, eccetto a tre, il nome di
regula, termine che aveva assunto con il tempo un significato
tecnico. Questa letteratura in qualche modo normativa, anche se talvolta
soltanto formativa, della vita ascetica si era sviluppata lentamente.
Il fenomeno monastico nasce spontaneamente e progressivamente si configura,
soprattutto per opera di alcuni grandi personaggi che cercano di «discernere»
forme evangeliche di vita da altre. Atanasio, con la sua
Vita Antonii, offre non una legislazione o delle norme da
osservare, ma un ideale, un modello concreto di vita, «che basta ai monaci per
definire la loro ascesi» (c. 1). L’esperienza vissuta e controllata porta ad
offrire ad altri le tradizioni acquisite come indicazioni di vita; così nascono
e si diffondono i «Detti dei Padri» del deserto, le
Conferenze e le
Istituzioni di Cassiano.
Per il bisogno di disciplinare la vita ascetica vissuta insieme ad altri, la
vita comune, per una convivenza pacifica e proficua, vengono redatte delle norme
pratiche alla luce della Scrittura, anzitutto in Oriente. Spiccano le figure di
Pacomio e Basilio, le cui opere vengono tradotte in latino rispettivamente da
Girolamo e da Rufino di Aquileia. Girolamo chiama
regulae, al plurale, tale legislazione monastica; ben presto però
si passa al singolare per designare il programma di vita vissuto nel monastero,
anche se i testi designati con il termine
regula possono essere diversi per forma e contenuto.
Le
regulae, di origine occidentale e latina, che hanno un qualche
carattere legislativo per la vita monastica sono circa una trentina. Poiché il
genere letterario è molto fluido, non è sempre facile dire se un testo è una
regola oppure no. Le opere di Pacomio e Basilio, tradotte in latino, hanno
influito grandemente sul monachesimo occidentale. Le regole sono molto varie tra
di loro per lunghezza, per forma e per struttura, e le successive dipendono
dalle precedenti in un complesso intreccio, anzi qualcuna
è solo un florilegio o centone di testi precedenti senza
originalità propria. Alcune erano destinate ad un determinato monastero, anche
se poi si diffusero altrove, altre invece all’origine avevano un carattere
generale Tuttavia un monastero poteva passare da una regola ad un’altra od anche
utilizzare più regole, a seconda delle necessità. In quel periodo non si pensava
minimamente al carisma proprio dell’ordine o del monastero; tale idea comporta
la fedeltà alle prescrizioni fondanti, ad una singola regola.
Fino al sec. VII si ebbe una moltiplicazione di regole all’interno del
monachesimo latino; esse segnano lo sviluppo della stessa istituzione, a partire
dalle prime regole orientali tradotte in latino di Pacomio, Basilio, e da quella
latina di Agostino. Al di sopra della regola vi era l’autorità della Parola di
Dio e poteva esserci quella del vescovo locale. Ognuno, specialmente vescovi ed
anche abati, potevano redigere un testo, che non era strettamente normativo ed
esclusivo, come sarà successivamente. Ogni regola ha avuto una sua storia:
alcune hanno avuto un uso più locale, altre una ben maggiore diffusione
(Regula Basilii, il
Corpus Pachomianum, la
Regula Augustini); tuttavia sorse l’uso di raccogliere più regole
insieme, soprattutto quelle più brevi (i
corpora regularum), più spesso in ordine cronologico, talvolta per
ordine di importanza, e leggerle insieme e usarle in un uno stesso monastero
(questa prassi è detta
regula mixta) (per la lettura: Gregorio di Tours,
Hist. Frane. 10, 20;
Regula Pauli et Stephani, ed. Vilanova 124; 195-197; 203-204;
Regula Fructuosi. PL 87, 1109). In tal modo anche le piccole
regole, incluse nei
corpora, hanno varcato gli stretti confini locali per cui erano
state scritte. Il
corpus regularum di un monastero poteva con il tempo ampliarsi,
con l’aggiunta di altre regole. Tra le tante regole emerse si impose, in epoca
carolingia e per meriti intrinseci, la
Regula Benedicti (cfr. Mundò).
Le regole monastiche antiche non sono testi omogenei, ma molto diversi tra di
loro, a cominciare dall’ampiezza. Talvolta le regole citate sono molto brevi,
offrono solo alcune indicazioni normative; talaltra molto ampie, come la
Regula Magistri, che espone, senza rivali, dettagli della vita
religiosa in tutta la sua organizzazione; anche per il contenuto, alcune si
limitano a poche prescrizioni pratiche, altre danno maggiore importanza
all’esortazione ascetica. Nel contesto della vita cenobitica avevano importanza
l’abate e il priore, le vere guide della comunità. Pur nella diversità delle
regole il monachesimo occidentale mostra, dal secolo VI in poi, una notevole
omogeneità nella concezione ascetica, nella organizzazione della convivenza e
nelle pratiche comunitarie o private delle comunità religiose.
Anche il vocabolario è vario, si sviluppa e si precisa, pur tuttavia lo stesso
termine (es.
praepositus)
va visto nell’ambito dello stesso documento.
Qui verranno passate in rassegna solo quelle regole non segnalate sotto i
rispettivi autori (Benedetto, Isidoro, Colombano, Eugippio, Cesareo di Arles
ecc.), cioè quelle di cui l’attribuzione si discute oppure sono anonime.
Tuttavia ci sono molti altri testi che sono affini alle regole e sono delle
esortazioni ascetiche.
1)
Regulae Quattuor Patrum (CPL Clavis Patrum Latinorum 1859; CPPM
Clavis Patristica Pseudoepigraphorum Medii Aevi 2, B 3688; PL Patrologia Latina
103, 435- 442; PG Patrologia Graeca 34, 971-997; SCh Sources Chrétiennes
297, 180-204; II recensione SCh 298,
580-602): è la più antica regola anonima, da cui dipendono le quattro seguenti;
difficile da localizzare nel tempo e nello spazio, ma potrebbe risalire a
Lérins. Prende il nome dai quattro interlocutori di una riunione (Serapione,
Macario, Pafnuzio e l’altro Macario), famose figure del monachesimo egiziano, i
quali espongono le loro indicazioni per organizzare la convivenza nei monasteri:
«Eravamo riuniti a congresso e trovammo che il partito migliore era di chiedere
al Signore nostro Iddio di elargirci lo Spirito Santo, che ci insegnasse in
quali termini stabilire una regola per i fratelli, in questa loro vita»
(prologo). Anche se non c’è alcuna discussione, in quanto ognuno dei quattro
Padri «dice» un aspetto della vita cenobitica, essa si presenta come insieme di
disposizioni, su cui tutti sono d'accordo (cfr. cap. 11: ordiniamo,...
vogliamo). Il genere lattario, una finzione letteraria, segue il modello già ben
sperimentato dei testi apocrifi, che attribuivano le loro opere agli apostoli.
Questa
Regula ha avuto una certa diffusione, non solo nella Gallia, ma
anche altrove, come in Italia; fu conosciuta dall’autore della
Regula Magistri e da s. Benedetto. Probabilmente la redazione
primitiva fu ampliata con l’aggiunta di norme di correzione e di preferenze di
persone. Inoltre da essa dipendono le quattro regole seguenti, delle quali, in
base alla ricostruzione di A. de Vogüé, lo schema di derivazione è il seguente:
2) Regula Patrum secunda
(CPL 1859a; PL 103, 441-444; PG 34, 977-980; SCh 297, 274-283): di dimensioni
ridotte, eserciterà un grande influsso. Il nome proviene dal fatto che nei mss.
è riportata dopo la precedente, da cui dipende e di cui intende essere un
complemento. Per de Vogüé essa è un aggiornamento delle
Regulae Quattuor Patrum; deriva da Lérins e fu redatta nel 427
3) Regula Macarii
[CPL 1842; CPPM 2, B 3686; PL 103, 447-452; WS Wiener Studien 76 (1963) 124-158;
SCh 297, 372-389]: attribuita ad un nome prestigioso del monachesimo egiziano,
in realtà è di origine latina e presente in Gallia nel sec, VI. L’autore attinge
da Girolamo
(Ep. 125), dalla
Regula Patrum secunda e dall’Ordo
monasterii; l’ultima parte sembra più recente. L’attribuzione
ad un certo Macario può essere solo uno pseudonimo; è antica in quanto essa
sarebbe stata usata, secondo Giona di Bobbio, da Giovanni di Réomé agli inizi
del VI secolo. De Vogüé (SCh 297) suggerisce che si possa attribuire a Porcario,
quinto abate di Lérins, ricordato soprattutto per aver ricevuto nella sua
comunità Cesario, il futuro vescovo di Arles. In tal caso sarebbe stata composta
prima dei
Monita e presenta delle somiglianze con essi.
A Porcario risale una breve esortazione che contiene dei consigli rivolti ai
monaci sul loro comportamento esterno ed interno e sulle virtù da coltivare
[Monita:
CPL 1841; A. Wilmart: RBen 26 (1909) 477-480].
4) Regula orientalis
(CPL 1840; CPPM II B 3606d; PL 50, 373-380; 103,477-484; PG 34,
383-390; SCh 298, 462-494).
Siccome Gennadio parla di una regola scritta da Vigilio diacono
(De viris 51: PL 58, 1088), talvolta si è pensato che potesse
essere questa, mentre egli doveva riferirsi alla
Regula Patrum secunda. In realtà la
Regula orientalis è una compilazione dalla
Regula Patrum secunda e da Pacomio, adattata alle esigenze di
monasteri autonomi che non fanno parte di una organizzazione più vasta; sembra
che essa sia stata composta in Gallia verso il 515 per uso dei monaci di Agauno.
5) Regula Patrum tertia
(CPL 1859b; PL 103, 443-446; PG 34, 979-982; SCh 298, 532-542): testo breve,
cronologicamente viene dopo la
Regula secunda e attinge da essa per la mediazione della
Regula Macarii. Siccome fa riferimento a testi conciliari di Agde,
Orléans I e II (533), essa è posteriore a questa data e redatta in Gallia.
Significativo il fatto che l’abate colpevole viene deposto dal vescovo, indice
del controllo episcopale sui monasteri.
6) Regula Pachomii brevis
(PL 50, 271-302; R.B. Albers, Bonn 1923; A. Boon, Louvain 1932, 3-74): fu
compilata in Italia nella prima metà del V secolo. Praticamente è una riduzione
e un adattamento alle situazioni occidentali della legislazione pacomiana,
tradotta da Girolamo in latino nel 404, del quale riporta la prefazione premessa
alla traduzione.
7) Regula Magistri
(CPL 1558; CPPM II B 3690-3690Ì; PL 88, 943-1051; SCh 105-106): fu così chiamata
da Benedetto di Aniane, perché si articola in domande dei discepoli e in
risposte del Maestro. Il fatto che molti compilatori ed autori dipendono da
essa, a cominciare da s. Benedetto, è indice della sua ricchezza, ampiezza,
originalità, importanza ed antichità. L’ignoto autore è un vero maestro
spirituale, che vuole una comunità ben ordinata, gerarchica e ricca
spiritualmente nel contesto della vita ecclesiale; affronta tutti gli aspetti
della vita cenobitica, talvolta precisa anche i dettagli per una convivenza
ordinata.
La regola benedettina attinge abbondantemente da essa soprattutto per la parte
spirituale (dal prologo e dai primi dieci capitoli). Per il Maestro la vita
monastica, che è una «scuola», si articola su tre pilastri: la regola, il
monastero, l’abate, e su di essi si svolge la trattazione; le tre virtù
essenziali sono l’obbedienza all’abate e ai preposti, il silenzio e l’umiltà. La
Regula si compone di un prologo e 95 capitoli; la parte iniziale è
di carattere generale ed affronta le tematiche della vita spirituale, quindi
seguono norme che riguardano la struttura della comunità monastica (economia,
orario, pasti, ospitalità, infermi, norme di condotta durante i viaggi...); poi
dell’ammissione dei nuovi membri e la successione abaziale; si chiude con il
capitolo 95, che tratta del portinaio.
L’autore attinge da testi monastici anteriori, non da Agostino però, come pure
da altri testi non monastici, per esempio dalle passioni dei martiri. Siccome la
regola benedettina dipende da essa, anzi talvolta sembra volerla correggere, si
deve ammettere che sia stata composta almeno qualche decennio prima, e quindi
agli inizi del VI secolo, a sud di Roma.
8) Regula Tarnantensis
[CPL 1851; PL 66, 977-986; Villegas: RBen 84 (1974) 7-65]: prende il nome dal
luogo del monastero a cui era destinata, ancora non localizzabile (per questo
varia la grafia del nome). Fu composta nel sud-est della Gallia; poiché attinge
molto da materiale precedente (Pacomio, in particolare Cesario, e più ancora
Agostino ecc.) si deve collocare nel VI secolo, forse nella seconda metà. La
regola è destinata ad una comunità maschile dove il lavoro agricolo è molto
importante (si parla dei ferramenti per la campagna e delle attività agricole);
la situazione del monastero comporta anche rapporti dei monaci con la
popolazione sia a livello esterno che nella vita liturgica; i monaci devono
dormire in celle separate.
9) Regula Pauli et Stephani
(CPL 1850; CPPM 2, B 3700; PL 66, 949-958; Vilanova, Montserrat 1959). Di essa
si conservano 27 mss., dei quali quattro del IX secolo, quindi ebbe una certa
diffusione in Italia, Gallia e Germania; ed una di queste regioni dovrebbe
essere il luogo di origine, con probabilità il centro Italia, una regione cioè
dove è forte l’influsso romano, per ragione della Bibbia usata, degli elementi
liturgici che vi si trovano e delle connessioni con altra letteratura monastica.
Come epoca si può collocare nella seconda metà del VI secolo.
L’autore non è conosciuto, potrebbero essere anche Paolo e Stefano, ai quali si
attribuisce, i quali intendono riformare la loro comunità, che già aveva altra
regola («regole dei Padri»). I 42 capitoli, in cui la
Regula si suddivide, non costituiscono in senso stretto una
legislazione monastica, ma piuttosto una esortazione ascetica. Le fonti
dell’autore sono Basilio, Cassiano e Agostino, non fonti galliche o iberiche;
anzi la tradizione manoscritta è strettamente connessa con la
Regula e il
De opere monachorum di Agostino.
10) Regula Ferioli
(CPL 1849; PL 66, 959-976): si attribuisce a Feriolus, vescovo di Uzès
(Provenza), morto nel 553; in ogni caso l’autore è un vescovo della Gallia
meridionale e del VI secolo, e quindi l’attribuzione è ben fondata. Il fatto che
l’autore sia un vescovo non è di scarsa importanza per il suo contenuto. La
regola dipende dalle regole di Cesario di Arles e di Aureliano di Arles (f551)
ed è destinata ad una comunità maschile. Lo stesso autore l’ha suddivisa in 39
capitoli (tituli).
Insiste sulla povertà; parla anche del rapporto con le donne e dell’ammissione
di nuovi membri; tra l’altro l’abate non può affrancare un
servus senza il consenso di tutti i monaci. Si prescrive che essa
venga letta ogni mese.
11) Regula cuiusdam Patris ad virgines
(Regula Waldeberti) (CPL 1863; PL 88, 1053-1070). Questa regola,
della seconda metà del VII secolo, si attribuisce a Valdeberto, terzo abate di
Luxeuil, tra gli anni 629-670; essa attinge da Colombano e Benedetto ed è stata
scritta per un monastero femminile. Contiene norme sul personale (la badessa, la
priora, la portinaia, la cellaria) sulla vita del monastero e sulle pene.
12) Regola
Psallendo pro sancta devotione (incipit) [CPL 1861; Masai:
Scriptorium 2 (1948) 215-220]: frammento riguardante l’alimentazione di una
regola destinata ad una comunità femminile. L’autore usa Cesario di Arles,
Benedetto e Girolamo: dal frammento si può dire che egli compie un’operazione
letteraria come quella fatta per la
Regula Donati.
13) Regula cuiusdam Patris ad monachos
[CPL 1862; PL 66, 987-994; F. Villegas, Rev. Hist.
Spir. 49 (1978) 3-35, 135-144]. Completamente diversa dalla precedente, essa
dipende invece dalla regola di Colombano, pertanto potrebbe essere di origine
irlandese. Si può suddividerla in tre parti: a) 1- 18: gli obblighi di tutti i
monaci (il direttore spirituale, l’obbedienza, le pene, il regime alimentare, le
rinunce); b) 19-29: gli obblighi degli abati (qualità intellettuali e morali,
comportamento nel governo); c) 30-32: alcune norme liturgiche.
14) Consensoria monachorum
(CPL 1872; CPPM 2, B 3591 e 3650; PL 32, 1447-1450; L. Verheijen,
La Règle de Saint Augustin, II, Paris 1967, 7-9). Questa regola,
detta come la prima di s. Agostino, in realtà sembra risalire al VII secolo
nella Galizia, ed ha l’andamento dei testi monastici del genere del
pactum, anche se non in senso stretto.
15) Regula Cassiani
[CPL 1874; testo integro: H. Ledoyen: RBen Revue Bénédictine 94 (1984) 170-194]:
è un florilegio dalle opere di Cassiano, quindi non una vera regola per
organizzare la convivenza comunitaria; talvolta il compilatore trasforma alcune
pratiche menzionate da Cassiano e ne introduce delle nuove. La compilazione si è
ottenuta anche con la trasformazione dello stile. Essa può risalire alla Spagna
del VII secolo dell’ambiente di Fruttuoso di Braga.
16) Regula Donati
[CPL 1860; PL 87, 273-298; A. de Vogùé: Benedectina 25 (1978) 219-2131. Donato,
formato a Luxeuil, vescovo di Besançon, vissuto nel VII secolo, morto prima del
670, scrive la regola per un monastero femminile della città fondato da sua
madre Flavia, quando questa era già morta. Egli stesso afferma di aver attinto
da Cesario, Benedetto e in misura molto minore da Colombano (per le penitenze e
la confessione), ricopiando o abbreviando. Pur dipendente strettamente da questi
autori, presenta le tematiche in modo diverso secondo un criterio logico.
17) Regula Columbani ad virgines
[cfr. CPL 1109; ed. O. Seebass: ZKG Zeitschrift für Kirchengeschichte 16 (1986)
465-469; PLS Patrologiae latinae Supplementum 4, 1603-1606] (incipit attuale:
decem dies): destinata alle donne, manca dell’inizio e di parte
del testo; la prima parte proviene dalla
Regula coenobilis di Colombano e dalla
Regula Donati, e tratta di alcune osservanze monastiche. La
seconda parte, come si presenta, tratta della preghiera ed è rivolta agli
uomini.
18) Regula «Largiente Domino»
(CPL 1875): sembra della fine dell’VlII secolo ed attinge a numerosi autori
anteriori; è rivolta ad un sacerdote che conduce vita solitaria, e tratta come
egli deve organizzare la sua giornata estiva e invernale.
19) La CPL elenca, tra le regole, altri due scritti. Il primo,
Epistula ad virgines (CPL 1848, PL 72, 839-860) di Giovanni
vescovo di Arles (659-668), è una brevissima lettera indirizzata alle monache
del monastero di Santa Maria, sito all’interno delle mura: è una breve
esortazione sull’osservanza monastica, e soprattutto sui tempi di digiuno e sui
rapporti con i laici. Il secondo,
Instituta eccl. bernensia [CPL 1864; A. Wilmart: RBen 51 (1939)
37-52], è una specie di regola dell’VIII secolo per uomini, forse sacerdoti, ma
che non sono monaci, in quanto conservano il diritto di proprietà. Pochi aspetti
sono presi in considerazione: l’elezione del superiore, la preghiera, il pasto,
i malati e i funerali.
Edizioni
J. Campos, I. Roca,
Reglas monásticas
de la Espana visigoda,
BAC 321, Madrid 1971;
K. Suso
Frank,
Frühes
Mönchtum im
Abendland,
2 voll.,
Zürich
1975;
V. Desprez,
Règles monastiques d'Occident
(IV-VI siècles).
D'Augustin
à Ferréol,
Bellefontaine 1980;
C.V
Franklin, I. Havener c J.A. Francis,
Early Monastic Rules. The Rules of the
Fathers and the Regula Orientalis,
Collegeville 1982;
A. de
Vogüé,
Les
Règles des saints Pères,
SCh 297-298; Paris 1982;
G.
Turbessi,
Regole
monastiche antiche,
Roma 1990;
M.
Puzicha,
Die Regeln der Väter;
Münsterschrarzach
1990.
Studi
A.M. Mundò,
I
«Corpora»
e i
«Codices Regularum»
nella tradizione codicologica
delle regole monastiche,
in:
Atti del VII
Congresso internazionale di studi sull’Alto
Medioevo.
II,
Spoleto 1982, 476-520; DIP 7, 1410-1617;
A. de Vogüé,
Les règles monastiques anciennes
(400-700),
Turnhout 1985;
I. Gorby,
Les moines en Occident,
I,
De saint
Augustin à saint Basil. Les origines orientales,
Paris 1985; II, De saint
Martin à saint
Benoît,
Paris 1985; III.
De saint Colomban à saint Boniface,
Paris 1987;
Hyeong-U Simon Ri,
La correzione e la penalità dei
colpevoli nelle regole latine prebenedettine e nella Regola di s. Benedetto,
St. Ottilien 1984.
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20 agosto 2015 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net