LE REGOLE DEI MONACI DI LERINS
Scuola
di cultura monastica
15
novembre 1999 Valerio Cattana O.S.B.
Cominciamo col dire che la
pronuncia del nome di queste isole, vicine a Cannes, in Francia, dovrebbe essere
con la 's', secondo la pronuncia locale.
Sono delle isole
bellissime, dal punto di vista della loro bellezza naturale, e ricchissime dal
punto di vista storico.
Parliamo
delle regole monastiche di Lérins, perché il nostro tema generale è la
tradizione monastica e le regole monastiche che hanno preceduto quella di San
Benedetto. Come già sappiamo, San
Benedetto non sta all'inizio di una tradizione, ma piuttosto al termine di una
tradizione di monachesimo orientale e occidentale, che lo precede.
E' nella primitiva comunità dei primi cristiani che si trova il germe del
monachesimo, perciò è proprio questa comunità che rimane sullo sfondo di tutte
le regole monastiche.
Il fondatore
dell'abbazia di Lérins è Sant'Onorato, nato verso 365-70, da una famiglia
aristocratica, consulare, pagana, della Gallia. Onorato si convertì assai
giovane al cristianesimo, e si imbarcò per l'Oriente insieme al fratello,
Venanzio, e al loro maestro spirituale, Caprasio, per conoscere il monachesimo
orientale. Sarebbe questo un desiderio ancora oggi valido, un tema pienamente
attuale, richiamato dal nostro papa Giovanni Paolo II, per esempio nel documento
Orientale lumen (1995):
il monachesimo orientale, anche per la causa dell'ecumenismo, è una fonte
spirituale perenne.
Venanzio muore in Grecia,
e Onorato con Caprasio e probabilmente altri compagni tornano in Francia, dove,
con l'incoraggiamento del vescovo di Fréjus, si stabilisce sull'isola che ora
porta il suo nome, l'Isola di Sant'Onorato.
Era disabitata, come narra la leggenda, perché infestata da serpenti
velenosi. Il monastero fu fondato
tra il 405 e il 410, più di un secolo prima di San Benedetto.
Successivamente
la vita che vi si svolgeva fu codificata nella
Regola dei quattro padri, probabilmente la prima del genere in occidente.
Nel 428, Onorato dovette lasciare il monastero: lo reclamavano dagli
abitanti di Arles, che lo volevano come vescovo.
E là morì nel 430. Il suo
esempio, però, aveva dato grande impulso al monastero che ebbe nei V e VI secoli
le sue presenze più celebri.
Affluirono a
Lérins monaci di forte personalità, di spiritualità intensa e di grande cultura,
che contribuirono efficacemente all'evangelizzazione, elaborarono nuove forme di
dottrina e diffusero l'ideale monastico.
Quasi tutte le diocesi provenzali ebbero fra i loro primi vescovi monaci
di Lérins. Il celebre simbolo di
fede trinitaria "Quicumque vult salvus esse", detto erroneamente di
Sant'Anatasio, ebbe origine a Lérins; lì può nascere perché esiste un tessuto di
vita cristiana che viene fortemente rielaborato, cosicché, alla fine, può
esprimersi con una sintesi sigillata in questa formula.
San Cesario,
vescovo di Arles, pur non appartenendo alla comunità di Lérins, scrisse una
regola monastica in cui fissò la struttura dell'ufficio divino secondo il modo
in cui si celebrava a Lérins. Lérins, del resto, contribuiva in modo decisivo alla trasformazione della
Provenza in terra cristiana.
Nei secoli
successivi, le trasformazioni politiche ed economiche della regione sotto
l'influsso dei Saraceni portarono alla decadenza.
Noi conosciamo questo periodo
solo attraverso documenti assai posteriori, che narrano di eventi
veramente tragici.
Esiste in
edizione critica la Regola
dei quattro padri, a cui abbiamo accennato sopra: riporta il testo nella sua
forma millenaria, latina, e la traduzione italiana a fianco, con l'apparato
critico. La conoscenza della
collocazione storica e geografica delle regole di Lérins, e della loro
interazione si deve agli studi soprattutto dei benedettini Adalbert de Vogüé e
Jacques Neufville, studiosi benedettini dell'abbazia francese de
la Pierre-qui-vire, e anche a quelli di Ansgar Imundo, studioso
benedettino catalano dell’abbazia di Montserat. In particolare, Adalbert de
Vogüé, con paziente e acuta analisi, ha evidenziato che tali regole presentano
una lo sviluppo dell'altra.
Vorrei descrivere
brevemente il contenuto delle regole in questione.
Partiamo dunque da quella
che è in certo modo capostipite, ossia
la Regola dei quattro padri.
***
REGOLA DEI QUATTRO PADRI
A prima vista, la Regola dei quattro
padri, scritta grosso modo tra il
400 e il 410, non ha nulla di gallicano: gli autori portano nomi
tipicamente egiziani. Gli autori che dialogano in queste regole sono. Serapione,
Macario, Pafnuzio e un secondo
Macario, probabilmente da identificare con il primo. Nessun elemento nella
Regola farebbe pensare che sia stata scritta da una comunità che viveva su una
piccola isola. Indizi precisi,
però, ci consentono di ritenere che la Regola è stata scritta
proprio a Lérins. E de Vogüé ha
addotto tutta una serie di argomentazioni stringate, che ci garantiscono che
questa Regola - nonostante il suo colorito, specialmente per quanto riguarda gli
autori, di tipo orientale, egiziano - è una regola di contenuti occidentali che,
per varie motivazioni, è collocabile a Lérins, nonostante le apparenze.
D’altronde,
Fausto di Rietz, testimone assai qualificato dell'epoca, dice che questa regola
ha un tono decisamente egiziano, ma è nata a Lérins.
I discorsi di
cui si consta la Regola sono quattro, ma i
nomi dei loro autori sono solo tre: Serapione,
Macario, Pafnuzio. Viene nominato un secondo Macario, ma pensiamo che si
tratti della stessa persona del secondo padre nominato.
Possiamo ipotizzare che Serapione sia il nome assegnato al vescovo di
Fréjus, Leonzio, che accolse Onorato nella sua diocesi.
Pafnuzio potrebb'essere Onorato stesso, e Macario, il suo consigliere e
guida spirituale, Caprasio. Ecco i
nomi dei personaggi, scelti a
motivo del fascino che esercitava l'Oriente, particolarmente l'Egitto, luogo di
nascita del monachesimo - pensiamo ad Antonio, a Pacomio,
i grandi nomi che stanno alle origini del monachesimo –
nomi che danno così prestigio a questo testo.
Riuniti in
una specie di sinodo, i tre padri si sono
divisi gli argomenti da trattare.
Serapione, afferma che ormai tutti i fratelli che vivevano dispersi nel
deserto devono abbandonare la desolazione dell'eremo e il terrore dei mostri
ostili – sono questi elementi che richiamano le descrizioni di come si
presentava Lérins allorché vi sbarcò Onorato - sotto la direzione di un
superiore. Notate che anche qui non
si parla di "monaci", ma di "fratelli", come nei testi monastici di Basilio.
Macario, il
secondo padre, che verrà nominato di nuovo al quarto posto, espone le qualità
del superiore. Vediamo delinearsi
un certo ordine nell’esposizione: dapprima si afferma che i fratelli devono
unirsi attorno a un superiore, quindi si discorre delle qualità che questi deve
avere. Queste annotazioni sono elementi familiari a chi conosce la Regola di Benedetto.
San Benedetto non avrà avuto in mano
la Regola dei quattro
padri di Lérins, ma l'eco di questa esperienza monastica è arrivata dentro
la RB.
Il superiore, secondo
Macario, dev' essere severo e buono nello stesso tempo - San Benedetto dice che
l'Abate deve "miscens temporibus tempora blanditiis terroribus", ossia, secondo
le circostanze usare ora la fermezza di un padre e la dolcezza di una madre.
La regola traccia le linee fondamentali secondo le quali il superiore
deve governare, e accogliere ospiti e postulanti.
Si stabilisce una distinzione a secondo che il postulante sia ricco o
povero, ma l'accento è sempre sull'umiltà.
A chi bussa al monastero non viene concesso un facile ingresso, come poi
registrerà anche San Benedetto nella sua Regola: si vuole verificare se chi
bussa alla porta del monastero cerchi veramente Dio, o non piuttosto qualcosa
d'altro. Vedete come anche il discernimento sulla vocazione nasce da una storia,
dall'esperienza forte dell'accoglienza in monastero.
Pafnuzio, il
terzo di questi padri, stabilisce l'orario della giornata, una realtà importante
nella vita del monaco. Un solo
pasto al giorno, all'ora Nona, ossia a metà pomeriggio; tre ore di lettura
all'inizio della giornata, e sei ore di lavoro.
Macario, il quarto padre,
ma che probabilmente si identifica con il secondo dello stesso nome, riprende,
poi, la parola per esaminare casi specifici: per esempio, il trasferimento dei
monaci - e qui si vedono chiarissimamente dei punti di contatto con la Regola di San Benedetto - o
l'ammonizione a motivo delle colpe. Anche a questo riguardo San Benedetto avrà tutta una casistica su come
atteggiarsi di fronte a un monaco fragile.
Poi Macario tratta delle parole inutili, le facezie, di cui San Benedetto
dice : "aeterna clausura damnamus", non devono entrare nel linguaggio del
monaco.
Abbiamo quindi, all'inizio e alla fine di queste regole, l'obbedienza e il
silenzio, valori che sono presenti, insieme all'umiltà, nella Regola di San
Benedetto, in Cassiano e nella Regula
Magistri, che sono fonti alla quali San Benedetto ha attinto.
Così vediamo
come attraverso questi quattro Padri (che poi sono tre) ci si presentano vari
aspetti della vita monastica: la figura dell'Abate, la struttura della giornata
di preghiera e di lavoro, la prudenza e il discernimento con cui si accoglie chi
bussa alla porta del monastero per entrare, le virtù basilari ( =l'obbedienza,
l'umiltà, il silenzio), che ritroviamo in San Benedetto.
Si intuisce che questo materiale, frutto dell'esperienza avvenuta su
questa isola, farà parte delle fonti alle quali attingerà
San Benedetto nella riformulazione fatta, con il suo caratteristico
equilibrio, della sua Regola.
Vale la pena di soffermarci un poco sull'orario della giornata monastica,
che assomiglia molto a quella dell'Ordo
monasterii agostiniano; tra tante presenze del monachesimo prima di San
Benedetto sappiamo tutto quello che ha dato al monachesimo Sant'Agostino.
In entrambi casi si digiuna fino all'ora nona, si dedicano tre ore alla
lettura e sei al lavoro, differenza di Agostino, però, Pafnuzio, uno dei quattro
Padri, colloca la lettura all'inizio della giornata, quale primizia offerta a
Dio. Ci troviamo di fronte a una
certa sperimentazione per cercare il modo migliore in cui il monaco possa più
facilmente trovare il Signore.
Sei ore di lavoro: sono
molte se ci rapportiamo al primo monachesimo della Gallia, a Marmoutier, per
esempio, dove si rifiutava il lavoro manuale.
Forse legata a questo punto è l'insistenza con cui si mettono i monaci in
guardia contro la mormorazione. Forse il fatto di aver inserito, in un ambito molto poco portato al lavoro come
l'ambito francese, una forte richiesta di impegno e fatica - che doveva
tornare assai sgradita - portava alla mormorazione, per cui questa insistenza
contro di essa è legata a questo inserimento massiccio di lavoro nella giornata
del monaco. Si trattava di sei ore
di lavoro manuale, che si cumulavano ad un’altra serie di impegni all'interno
della comunità, per esempio, per la gestione del monastero: il tempo dedicato al
lavoro, complessivamente, era molto
di più di sei ore; poi bisognava aggiungervi le ore di preghiera, anche queste
di impegno e fatica.
Questo dato però può spiegare la prosperità di cui sembra aver goduto la
grande comunità di Lérins. Altrove,
invece, l'assenza di attività materiale tendeva a favorire l'instabilità dei
monaci, e soprattutto non garantiva loro le risorse necessarie per lo sviluppo.
Si capisce allora come San Benedetto, nella Regola, abbia insistito sul
lavoro, sull'eventuale necessità di impegnarsi nel lavoro dei campi,
senza scoraggiarsi, per guadagnarsi da vivere, lavorando con le proprie mani,
giustificandola con la tradizione dei primi apostoli.
Verso la fine
dell'ultimo intervento, sembra di capire che le raccomandazioni di Macario non
sono più rivolte a un superiore unico, ma un gruppo di responsabili.
***
SECONDA REGOLA DEI PADRI
Verso 427, Onorato, il
fondatore, divenne vescovo di Arles, allora capitale della Gallia.
Il suo successore fu Massimo.
Caprasio era ancora in vita e manteneva la sua funzione di padre
spirituale della comunità. Probabilmente in questo momento fu scritta
la Seconda
regola dei padri, nel 427 c., regola nata anch'essa a Lérins.
Gli autori furono presumibilmente Onorato, Caprasio e Leonzio, vescovo di
Fréjus, che aveva insediato sia Onorato che Massimo.
E' probabile che vi contribuissero altri personaggi: lo stesso Massimo e
il diacono Vigilio, che redasse gli atti di tale riunione.
Questa regola
è molto breve, circa ottanta righe, ma presenta evidenti novità: all'inizio,
l'accento è spostato dall'obbedienza alla ricerca dell'unanimità tra fratelli.
Mentre la prima regola si limitava ad una concezione verticale,
presentava la comunità nei suoi rapporti con il superiore, ora si sviluppa la
dimensione orizzontale dei rapporti di carità tra fratelli. Il vocabolo "caritas",
assente nella prima regola, appare qui, invece, fin dalle prime righe.
Queste regole
tendono a integrarsi l'una con l'altra, finché si arriva a San Benedetto, che
farà di tutta questa esperienza una sintesi equilibrata, saggia.
Alla fine
della Regola, con una nuova insistenza, si riprende ancora l'argomento del
silenzio, con una decisa condanna di tutte le parole inutili, che impediscono di pensare continuamente al Signore.
Non abbiamo informazioni precise riguardo all'Ufficio divino, ma sappiamo che
era molto lungo, tanto da richiedere in compenso una riduzione della lettura
privata, che qui viene per la prima volta chiamata "meditatio".
Può essere
interessante notare che in questa seconda Regola si menzionano "i monaci che
sono nel monastero e quelli che sono nelle celle": è quindi verosimile che qui,
come altrove, si fossero impiantati degli eremi in prossimità del cenobio.
Vediamo allora queste differenziazioni di struttura.
San Benedetto sceglie senz'altro la forma cenobitica - "la fortissima
stirpe dei cenobiti" - avvalendosi, però, di questa tradizione precedente, ossia
considera adotta per il monachesimo la forma cenobitica insieme a presenze
eremitiche. Dice infatti che quando
uno si è allenato dal combattimento in comunità, sarà capace di stare da solo.
E questo è saggio: non si sceglie l'eremitismo per fuggire la comunità,
occorre invece combattere i nostri difetti, a fianco a fianco con i nostri
fratelli.
***
La tradizione di Lérins
si prolungò nel tempo attraverso personalità di rilievo (come i già menzionati
Cesario d'Arles, Fausto di Rietz), formatesi a Lérins, o comunque nella sua
sfera di influenza, e in seguito insigniti d'incarichi di prestigio, quale la
dignità vescovile.
Per
completare il panorama del monachesimo della Gallia, animata da fervore
spirituale, e più specificamente monastico, vorrei accennare ad altre regole,
che si formavano su questo sfondo geografico e cronologico.
Regole che hanno avuto certamente origine all'interno dell'isola di
Lérins sono
la Regola
dei quattro padri e la Seconda
regola dei padri, ma esiste una rete di altre regole che in qualche modo
fanno riferimento a questa precedente esperienza.
Una di queste è la Regola
di Macario, anche se non è così strettamente legata a Lérins, come sono le
prime due.
REGOLA DI MACARIO
La
Regola
di Macario, menzionata nel 510, fu
probabilmente redatta a Lérins durante il difficile abbaziato di Porcario (ecco
un altro nome egiziano), forse dall'abate stesso.
Qui, come nella Regola dei quattro padri
il nome è fittizio, ma dava prestigio.
Il testo certamente non è una traduzione dal copto o dal greco; è stata
redatta in latino.
I temi sono
quelli fondamentali di tutte le regole:
esortazione alla carità
reciproca, al silenzio, norme per l'ammissione in comunità e per la correzione
delle colpe, una casistica disciplinare che ci suggerisce, da una parte, di
pensare ad una società più violenta attorno al monastero - il potere infatti era
ormai passato ai barbari - e dall’altra, a un cedimento nel rigore strettissimo
delle prime regole. La pratica del
digiuno quotidiano è ridotta al mercoledì e venerdì.
TERZA REGOLA DEI PADRI
Da questa
regola dipende la Terza
regola dei padri, assai breve e che risale, sembra, a una compilazione del
Concilio di Clermont, nel 535. Si
tratta di una regola assai pragmatica, priva di considerazioni spirituali e di
citazioni bibliche. Solitamente le
regole monastiche presentano un vero florilegio biblico; l’ abbiamo visto a
proposito delle cosiddette regole di San Basilio.
Essa insiste
sulla necessità di escludere le donne dal monastero, di uscire il meno
possibile, e mai soli; e, a differenza di quanto stabilito nelle altre regole,
nella Regola di San Benedetto per esempio,
stabilisce che l'Abate mangi con la comunità. Per
San Benedetto, l'Abate deve mangiare sempre con gli eventuali ospiti.
E l'Abate coglie così l'occasione per correggere i comportamenti
irregolari ed esortare alla virtù.
REGOLA ORIENTALE
Ancora
collegata alla tradizione lériniana, la Regola
orientale, contenente estratti dalla Regola
di Pacomio, tradotta da San Girolamo, e dalle regole di Lérins.
Il testo è ascrivibile all'anonimo autore della
Vita dei padri del Jura, che è un altro
ambito geografico tra la Francia e la Svizzera, culla di
monachesimo pre-benedettino. Se si
collega a regole monastiche del passato, la Regola orientale
anticipa anche dei dettami della Regula
magistri, alla quale ha attinto San Benedetto.
***
L'immagine di un Medioevo
monastico interamente benedettino appare un luogo comune errato.
E nemmeno possiamo immaginare questo monachesimo sulla base di quanto
conosciamo del più organizzato monachesimo di epoca posteriore.
La vita monastica non era codificata in nessun modo; i primi gruppi di
asceti si formavano per iniziativa di ricchi privati come i vescovi, i membri
della famiglia reale o della corte, o personaggi dotati di un particolare
carisma spirituale, si sviluppavano in comunità ordinate, o si dissolvevano alla
morte del fondatore.
C'era anche
un filone anarchico, sempre deplorato, ma ancora presente ai tempi della Regola
di Benedetto: i monaci girovaghi. San Benedetto parla di quattro tipi di monaci, tra i quali si trovano i
girovaghi. Essi si spostavano soli,
o due o tre insieme, e facevano di questa forma di sradicamento la base della
loro esistenza monastica. E anche là dove la comunità era stabilizzata,
rimanevano però anche altre forme alternative di monachesimo in libertà,
ad esempio, in isolamento.
D'altronde,
non abbiamo elementi concreti che ci permettono di costruire la vita quale
veramente si svolgeva in queste comunità che, lentamente, in modo non
rettilineo, cercavano di approdare a un assetto stabile.
Né queste regole sembrano avere la pretesa di organizzare la vita comune
in ogni suo dettaglio. Sono brevi;
incomplete per quanto riguarda tutte le esigenze di una comunità, e inadeguate
nell'aspetto disciplinare. Sono più
adhortationes che testi legislativi, e in
effetti tutte queste regole venivano continuamente utilizzate per intero o in
compilazione come lettura comunitaria.
C'è, dall'altra parte, un elemento da tener sempre presente, se vogliamo
veramente capire la funzione che questi testi avevano nella mente del fondatore.
Esse sono in genere sentite come complementi alla vera, indiscussa regola
che deve ispirare tutti gli atti del monaco, ossia,
la Bibbia.
La vera regola è la Bibbia e il vero monaco è il cristiano, il
battezzato, colui che prende consapevolezza del suo battesimo in tutte le sue
dimensioni.
***
Vorrei accennare ad altri centri monastici di questi secoli poco noti.
A parte il già menzionato
Marmoutier, fondato da San Martino, e Ligugé, dove il Santo visse per diversi
anni, abbiamo notizie di quattro monasteri con annessi eremi nelle isole Ieres,
anch'esse sede di un primitivo stazionamento monastico, vicino a Marsiglia.
E nella città stessa di Marsiglia, nella parte antica, troviamo
l'antichissimo San Vittore, dove è sepolto Cassiano, colui che portò in
occidente tutta l'esperienza del monachesimo orientale.
Un altro
centro monastico importante è nel Jura, con i monasteri di Condat e Laucone,
della prima metà del V secolo, precedente quindi a San Benedetto: si tratta di
monasteri fondati ed eretti dai fratelli Romano e Lupicino e poi da Eugendo.
In seguito la comunità maschile diede origine a Romainmôtier, ora in
territorio svizzero. Nella stessa
regione fioriva il monastero femminile di
La Balme, fondato da una sorella di Romano e Lupicino.
Le comunità del Jura erano in stretto rapporto con Agaune, anch'esso in
territorio svizzero, sopra la tomba dei martiri della legione tebana, dove si
instaurò per la prima volta in occidente la pratica della
laus perennis, che ritroveremo in seguito a
Cluny.
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12 aprile 2016 a cura
di Alberto "da Cormano"
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