LEANDRO DI SIVIGLIA
1. La vita e le opere
Il testo originale è completo di
molte note esplicative e di riferimenti bibliografici.
L'attività pastorale
e la
produzione letteraria di Leandro di Siviglia
coincidono con quello che è stato definito
«il periodo più
brillante e
creativo della
storia dei Visigoti
in Spagna », che si caratterizza per il passaggio definitivo
di questi dall'arianesimo
al cattolicesimo,
grazie alla
conversione del
re Reccaredo, figlio
spirituale
di Leandro
e novello Costantino secondo l'ideologia
politico-religiosa della
storiografia coeva.
Tuttavia
la
vita di
questo protagonista e fondatore del
cattolicesimo spagnolo ci è scarsamente nota; del
santo vescovo di
Siviglia, infatti, non ci sono giunte, né pare che
si redigessero delle
vite e dei « libri di
miracoli», com'era netta
tradizione agiografica medievale.
Notizie frammentarie e per lo
più
leggendarie troviamo
nei più
antichi Martirologi, Messali e Breviari,
redatti in
epoche successive, che in genere conformano del giorno della
morte e del culto liturgico del santo; anche le
« lezioni» che vi leggiamo hanno il carattere dell'elogio
costruito in
funzione della
festività religiosa e fondato su una tradizione devozionale.
Il primo
e fondamentale
biografo di Leandro di
Siviglia resta sempre il suo più giovane e più celebre
fratello Isidoro, succedutogli nella stessa cattedra episcopale il quale ci
ha lasciato un breve ed essenziale profilo storico nel suo
De viris illustribus; ulteriori notizie e rapidi accenni
troviamo anche in altri scrittori più o meno contemporanei.
Primogenito di una illustre famiglia ispano-romana, nacque qualche decennio
prima della metà del VI secolo a Cartagena
(circa nel 534. Ndr.),
dove risiedeva il padre Severiano, che pare vi occupasse una carica
pubblica; la madre, di cui non conosciamo con certezza il nome, si dice che
fosse una nipote del re dei Visigoti, l'ariano Leovigildo, ed è probabile
che inizialmente fosse anch'ella di fede ariana. Poco prima del 549 dovette
nascere anche la sorella Fiorentina perché in quell'anno, essendo Cartagena
saccheggiata dagli ariani di Agila, Severiano con la moglie e i due figli
abbandonò la città
e si stabili definitivamente a Siviglia, dove successivamente
nacquero altri due fratelli, Fulgenzio e Isidoro.
Durante la prima infanzia dell'ultimo figlio muoiono i genitori uno a breve
distanza dall’altro, raccomandando ai superstiti in modo particolare il
piccolo Isidoro. Leandro,
il maggiore degli orfani, si trova così ad esercitare, quasi
per disposizione testamentaria la patria potestà sui fratelli; su tutti
comunque sente il dovere di esercitare una paternità spirituale curando non
solo la preparazione culturale confacente al loro rango sociale, ma
specialmente l'educazione religiosa. Tutti e quattro i fratelli abbracciano
la vita monastica e la
Chiesa avrà quattro santi; i tre maschi saranno tutti e tre monaci e
vescovi,
Particolare cura ebbe Leandro per la formazione e la preparazione del
piccolo Isidoro, che dava già segni sicuri del suo temperamento vivace e del
suo ingegno versatile; non gli risparmiò la verga, principale sussidio
didattico nella pedagogia dell'epoca.
Anche ai fratelli raccomandava di prendersi cura del ragazzo e di amarlo in
modo particolare; «Non ti dimenticare del nostro fratello Isidoro, che è il
più
giovane
—
scrive alla sorella Fiorentina —
; ...
amalo con tanto
più
sentimento... quanto
più
teneramente sai che i nostri genitori lo prediligevano » (c. XXXI).
Leandro aveva abbracciato per tempo lo stato monastico, ma non sappiamo né
dove,
né quando, come non lo sappiamo del resto per gli altri fratelli, le cui
vite, compresa quella del più celebre di
tutti Isidoro, abbondano di leggende, ma sono scarse di notizie biografiche
sicure. Della sorella Fiorentina abbiamo brevi cenni nei vari Martirologi,
in cui il nome stesso appare con diverse varianti
(Fiorentina, Florentiana, Florentia);
le biografie redatte in epoche molto posteriori sono generalmente
inattendibili.
Nel 1584, Roderico di Yepes, dell’Ordine di san Girolamo, pubblica in lingua
spagnola una
«
Storia della gloriosa vergine s. Fiorentina»
per la quale aveva attinto abbondantemente dalle «lezioni» degli antichi
Breviari e dai diversi
Leggendari spagnoli.
Anche per Fiorentina è impossibile fissare date sicure; da un passo di
Leandro sembra quasi certo che sia nata a Cartagena e non a Siviglia,
come vogliono alcuni autori.
Dopo la morte della
madre, fu lei praticamente ad allevare il piccolo Isidoro. Della sua
formazione culturale e della sua vita monastica si sa ben poco; secondo la
tradizione agiografica, sarebbe entrata abbastanza giovane
in un monastero della Betica, ed esattamente nella città di Astygis,
l'odierna
Ecija,
di
cui il fratello
Fulgenzio
sarà poi vescovo;
divenuta
superiora del proprio monastero, ne avrebbe fondati in seguito 40-50 in
varie località.
Attraverso gli scritti dei
fratelli
intravediamo una donna d’ingegno vivace e di una certa familiarità con le
discipline teologico-esegetiche; in una lettera di esortazione, attribuita a
Isidoro, leggiamo: « Conosco bene il tuo grande amore per le Sacre
Scritture,
conosco bene la tua assiduità nella lettura e lo scrupolo tuo di mettere in
pratica quel che leggi
».
Sappiamo che le dedicherà un'opera ed
esattamente il trattato sulla fede cattolica contro gli ebrei, scritto su
suggerimento della sorella stessa. In qualche dizionario biografico si dice,
non si sa su quale fondamento, che fosse anche una poetessa.
Visse press'a
poco sotto
i
regni visigotici che vanno da Leovigildo a Sisebuto e sarebbe morta un
decennio circa dopo Leandro, tra il 610 e il 612,
L’ascetismo monastico nella penisola iberica proprio agli inizi del VI
secolo aveva conosciuto un periodo di larga fioritura dopo le diffidenze e
le ostilità che in precedenza le gerarchie ecclesiastiche avevano dimostrato
nei suoi riguardi e non senza ragione. Se in Africa e in Provenza era
circolata per i monasteri aria di
semipelagianismo, in quelli iberici gli eccessi e gli estremismi dello
spirito priscillianista, oscillante tra un autentico ascetismo, sia pure con
qualche deviazione eterodossa da una parte, ed una irrequieta riottosità e
insubordinazione nei riguardi
delle autorità religiose dall'altra,
avevano portato alle dure condanne e alla repressione sanguinosa dei capi
più
in vista, L'ostilità antimonastica
dei concili di Saragozza (a. 380) e di Toledo
(a.
400) aveva quasi, elevato un muro d'insofferenza
tra
l'ordine dei chierici e quello dei monaci,
giungendo il primo concilio a proibire praticamente ai chierici di entrare
in monastero.
Ma già agli inizi del V secolo la pratica monastica rientra a poco a poco
nell'alveo
più ortodosso e si presenta più deferente e disciplinata nei riguardi delle
autorità ecclesiastiche, le quali ora guardano ai monaci sia come a
possibili collaboratori nella «cura delle anime»,
sia
al loro inserimento nelle gerarchie della Chiesa,
E sarà proprio il monachesimo
che, tra il VI e il VII secolo,
fornirà una serie di vescovi d’indiscusso prestigio; in un ambiente lacerato
dalle controversie ariane e in un momento particolarmente critico per la
storia dell'unità
politica e religiosa della
penisola
iberica, la loro attività pastorale sarà determinante.
Le sedi episcopali di particolare importanza come Girona,
Saragozza, Cartagena, Barcellona,
Mérida, Toledo e Siviglia, sono governate saldamente da personaggi di primo
piano; la loro nomina sarà suggerita od osteggiata di volta in volta dagli
stessi re
visigoti.
Una caratteristica di questo episcopato del VI secolo è, com’è stato
osservato, il sistema familiare nella reggenza delle diocesi,
che si presenta inizialmente con ben quattro fratelli vescovi-monaci:
Giustiniano di Valenza,
Elpidio
di Osca, Pietro di Lleida
e
Giusto di Urgel; sistema che si ripete alla fine del secolo con i fratelli
Leandro,
Fulgenzio e Isidoro, tutti e tre vescovi-monaci.
La rinascenza culturale e la riorganizzazione dell’insegnamento
ecclesiastico nella Spagna visigotica, dopo la sparizione della scuola
antica, sono opera e merito di questo episcopato di estrazione monastica.
Come monaco, Leandro ha una grande influenza sul giovane Ermenegildo, figlio
del re ariano Leovigildo, e sulla moglie Ingonda, figlia di Sigeberto e di
Brunechilde. La conversione definitiva di Ermenegildo al cattolicesimo ad
opera di Leandro, coadiuvato dalla stessa Ingonda, aggrava il dissidio tra
padre e figlio ed apre un decennio di crisi acuta per il regno visigoto, che
dopo un’accanita lotta armata, si conclude con la sconfitta, la cattura e la
decapitazione di Ermenegildo a Tarragona nel 585.
Nel corso di questi avvenimenti, che assumono l’aspetto di scontro tra
arianesimo e cattolicesimo a livello dinastico, emerge la figura di primo
piano e si dispiega la più intensa attività di Leandro come inviato
diplomatico, come polemista antiariano e infine come promotore ed artefice
della rappacificazione finale raggiunta, dopo la morte dell’ariano
Leovigildo,
con la conversione del giovane Reccaredo, fratello del
ribelle-martire. Il concilio Toledano III del 589, svoltosi sotto il
prestigio e l’autorità morale di Leandro stesso e dell’abate Eutropio di
Valenza, sanziona solennemente con un trionfo l’attività del vescovo di
Siviglia.
Questi, schierandosi dalla parte del suo figlio spirituale in ribellione
aperta col re, che tentava l'unificazione
di un regno
visigoto
ariano,
è
travolto
insieme
ad altri vescovi
cattolici
dagli
avvenimenti
e,
suo
malgrado,
diventa un esponente della
«resistenza».
La repressione scatenata da
Leovigildo,
che vede compromessa la propria politica unificatrice,
colpisce tutti coloro che in qualsiasi modo appoggiano il ribelle; i primi
ad essere mandati in esilio sono Leandro e,
forse, il fratello Fulgenzio,
Giovanni
di Biclaro e il goto Màsona,
vescovo cattolico di Mèrida.
Ermenegildo
aveva affidato a Leandro l'incarico
di patrocinare la sua causa a Costantinopoli chiedendo aiuti prima
all'imperatore Tiberio II e poi al suo successore Maurizio. Politicamente la
missione falli; ma il soggiorno nella capitale bizantina segnò una tappa
fondamentale nella vita e nel pensiero del vescovo di Siviglia grazie
all'incontro che vi fece col diacono romano Gregorio, apocrisario di papa
Pelagio II.
Tra l'hispalense
e il futuro papa Gregorio Magno nacque un'amicizia fatta di stima e di
venerazione reciproca,
largamente documentataci dallo stesso epistolario gregoriano e culminata con
il conferimento del
pallium
a Leandro da parte del papa.
Durante gli incontri e le conversazioni frequenti a Costantinopoli, Leandro
deve aver informato
l'amico
romano abbastanza dettagliatamente sulle vicende
politiche
e sulle controversie che
l'episcopato
spagnolo sosteneva contro gli ariani visigoti. Deve averlo
informato anche dei propri fratelli,
tutti avviati
alla vita monastica, e in particolare del più giovane Isidoro;
sembra che Gregorio manifestasse il
desiderio
di conoscerlo personalmente e che Isidoro stesso scrivesse in seguito una
lettera al pontefice dietro suggerimento del fratello. Com’è noto inoltre,
Gregorio portò avanti il suo lavoro esegetico sul libro di Giobbe
(Moralia in Iob)
proprio mentre era a Costantinopoli
e dobbiamo forse al sivigliano
e alle sue amichevoli insistenze se il malaticcio e debole diacono si
decidesse a pubblicare la grande opera.
L'attività letteraria di Leandro si sviluppa durante questi anni travagliati
e di esilio,
in exilii sui peregrinatione,
come dice Isidoro, il quale ci ha lasciato un elenco delle opere del
fratello:
I) due libri contro gli insegnamenti degli ariani;
2)
un opuscolo contro le istituzioni ariane;
3)
un libretto sulla verginità dedicato alla sorella Fiorentina;
4) molte lettere a Gregorio Magno e a vari coepiscopi;
5) opere di
carattere liturgico.
Ad eccezione del
libellus
alla sorella, tutte le opere elencate da Isidoro sono andate perdute; per il
loro contenuto e per il loro valore dobbiamo accontentarci delle notizie e
dei giudizi espressi dallo stesso Isidoro o dei raffronti e delle analogie
con opere similari, Le due prime opere rientrano senz'altro
nella produzione controversialista che in quegli anni era copiosa e vivace;
basti pensare a Martino di Braga,
a Màsona di Mérida, a Severo di Màlaga. Leandro aveva quindi dei modelli e
delle fonti cui attingere per la sua cultura teologica in materia di
polemica antiariana, cultura che, scrive J.
Fontaine, paté approfondire a Costantinopoli; inoltre, «scrittore di lingua
latina, egli trovava ispirazione ed alimento nelle tradizioni
antiariane
della letteratura cristiana d’Africa».
Di quest'opera Isidoro dice che era «ricchissima di erudizione
scritturistica
e che con stile veemente combatte e smaschera le perversità dell'eresia
ariana», L’altra opera contro le istituzioni ariane «nella quale proponendo
i loro dogmi, oppone di volta in volta le sue risposte ed argomentazioni»,
era forse esemplata sul
Liber responsionum
di Giustiniano vescovo cattolico di Valenza; anche Fulgenzio di Ruspe aveva
adottato lo stesso metodo opponendo le sue risposte ai quesiti e agli
aforismi del re Trasamondo.
J. Madoz pensa che Leandro nella composizione di queste opere polemiche
tenesse sott'occhio il
libellus
redatto dal concilio
di vescovi ariani convocato da Leovigildo nel 581 per
elaborare una formula di fede accettabile dai vescovi cattolici, i quali
invece nella quasi totalità la respinsero.
Sulla produzione epistolare del fratello, Isidoro fa delle riserve per
quanto riguarda la forma stilistica pur riconoscendone il valore del
contenuto: «scrisse molte lettere private non sufficientemente eleganti
nella forma, ma acute nei giudizi »
.
In particolare Isidoro ricorda una lettera al papa Gregorio Magno relativa
al rito battesimale,
che allora si faceva per immersione; il problema era se il battezzando si
doveva immergere nell'acqua una sola volta, come pretendevano gli ariani
assertori dell'assoluta unicità di Dio, oppure tre volte,
come
invece
praticavano i cattolici in ossequio al dogma della Trinità. La risposta di
Gregorio non si
formalizza e non vuole aggravare la polemica antiariana con una questione
puramente rituale; con tutto il realismo pragmatico che caratterizza lo
spirito latino,
il pontefice stabilisce che
«
non ha alcuna importanza nel battesimo immergere il fanciullo una volta o
tre volte, dal momento che con le tre immersioni si designa la Trinità delle
persone, e con una sola immersione si può designare la unicità di Dio».
Un'altra lettera che Isidoro ricorda è quella diretta al fratello Fulgenzio
nella quale lo si esorta a non aver timore della morte. Dall'argomento
cosi riassunto, sembra che si
trattasse di uno scritto che rientrava forse nel genere letterario
dell'esortazione a preparazione al martirio per la fede, che proprio la
letteratura cristiana d'Africa
aveva inaugurato con Tertulliano e Cipriano, autori che Leandro non doveva
ignorare.
Un opera del genere ci fa intravedere indirettamente quale fosse la
condizione religiosa all'epoca
della rivolta di Ermenegildo e a quali pericoli esponesse
l'episcopato
cattolico. Sarebbe stato interessante vedere sino a che punto il sivigliano
imitava e utilizzava
i
suoi modelli,
tenuto conto delle condizioni e delle vicende spagnole nel VI secolo.
Nell'elenco di
Isidoro sorprende che non figuri il discorso che il fratello tenne a
chiusura del Toledano III, conservatoci
da una buona tradizione manoscritta
e inserito d’altra parte negli stessi atti conciliari
col titolo
Il trionfo della Chiesa, oppure
Omelia in lode della Chiesa per la conversione del popolo goto.
L'entusiasmo e una certa enfasi di cui è pervaso sono dettati dalla
solennità della circostanza e anche dalla legittima soddisfazione di vedere
così coronata la propria più che decennale attività missionaria, di cui
anche Gregorio Magno da Roma si compiaceva convinto che la conversione dei
giovani re, seguiti da gran parte del loro popolo, fosse frutto
dell'apostolato e dello zelo del suo amico di Costantinopoli.
Il discorso di Leandro, che potremmo anche intitolare
Lode della Spagna cattolica, fa quasi riscontro e anticipa
idealmente la
Lode della Spagna che pochi anni dopo anche Isidoro premetterà
alla sua «Storia dei goti»; entrambi i fratelli sono concordi nell’esprimere
ed esaltare la fierezza di un popolo al quale, ora che si è convertito
all'ortodossia cattolica, sentono di appartenere per più motivi.
Allo stesso concilio, svoltosi alla presenza del neoconvertito Reccaredo, fu
lo stesso re ad aprire i lavori con un discorso altrettanto solenne, che era
anche la confessione di fede cattolica ch'egli faceva a nome proprio, della
regina e di tutto il popolo goto. Un po’ per lo stile, ma molto più per
l’inconsueta erudizione teologica e scritturistica, ivi profusa dal neofita
visigoto, non è azzardato vedervi il lavoro di una mano più esperta e
competente, pensare cioè alla diretta collaborazione di un teologo e
precisamente dello stesso Leandro, artefice principale di quella conversione
e dell’organizzazione dello stesso concilio.
Dell’attività del vescovo nel decennio successivo a questo avvenimento e
sino alla sua morte si hanno notizie scarse e frammentarie. Nel maggio del
590 Leandro riunì i suoi vescovi suffraganei in un sinodo provinciale a
Siviglia per dare attuazione ad alcune disposizioni disciplinari prese nel
Toledano III dell’anno precedente. Il suo impegno pastorale si rivolse in
modo particolare al riordinamento ecclesiastico attraverso continui rapporti
epistolari con gli altri vescovi della Betica e con Roma. Secondo quanto
riferisce Isidoro, si dedicò con molto zelo anche al canto e alle
celebrazioni liturgiche componendo orazioni per il salterio, per il
sacrificio della messa e per il canto delle ore canoniche; ma da questi
brevi accenni è difficile farsi un’idea esatta dell'attività di Leandro nel
campo della liturgia.
Nel
599 gli giunge da Roma una lettera con la quale il suo amico
Gregorio gli comunica di averlo insignito del
pallium. Se il conferimento
di un tale privilegio può apparirci inspiegabilmente tardivo, ad un decennio
cioè di distanza dai grossi avvenimenti di cui Leandro era stato in gran
parte protagonista, e considerati i rapporti personali tra mittente e
destinatario, tuttavia
esso costituiva una novità per
l'episcopato
spagnolo. Il
pallium
inizialmente e fino a tutto il V secolo è un'insegna onorifica esclusiva del
vescovo di Roma; solo nei
secolo successivo questi comincia a conferirla anche ad alcuni vescovi,
specie se si tratta di metropoliti. In Gallia per la prima volta è Cesario
d’Arles che nel 513 è insignito del
pallium
dal papa Simmaco; alla fine del secolo Leandro,
metropolita di
Siviglia, è il primo vescovo spagnolo che riceve questo privilegio,
che purtroppo si godrà per breve tempo.
A
proposito della data della sua morte, la testimonianza di Isidoro è
abbastanza indeterminata; scrive infatti: « Leandro fiorì
all'epoca
di
Reccaredo, uomo religioso e principe glorioso, sotto il cui regno concluse
la sua vita con una morte mirabile ». Reccaredo muore nel 601, perciò la
morte di Leandro sarebbe avvenuta
tra il 600 e il 601.
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29 Gennaio 2016 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net