EVAGRIO MONACO
TRATTATO PRATICO SULLA VITA
MONASTICA
Tradotto da “Patrologia
Greca”, Vol. 40, col. 1220-1236, 1244-1252, 1272-1276,
da “Traité pratique ou le Moine”,
Vol. 2,
A. e C. Guillaumont,
Sources Chrétiennes N° 171, (Paris, Cerf, 1971),
e da “Evagrius of Pontus”, R. E.
Sinkewicz, Oxford University Press, 2006
(Ndt.
Le note in carattere corsivo e situate al termine di ogni capitolo sono
state estratte da
“Traité pratique ou le Moine”. Tra parentesi quadre: testo non presente nei manoscritti)
[PROLOGO: Lettera ad Anatolio]
[Prol. 1.] Poiché recentemente mi
hai scritto a Scete dalla Santa Montagna (cioè da Gerusalemme. Cfr. Sal
87(86),1: Is 27,13), caro fratello Anatolio, chiedendomi di spiegarti il
simbolismo dell'abito dei monaci egizi; tu ritieni che non sia né casuale né
senza un motivo che [l’abito] sia così diverso da quello che indossano le
altre persone; allora ti farò conoscere tutto quello che abbiamo imparato
riguardo a questo argomento dai santi Padri.
Nota:
Anatolio aveva indirizzato ad Evagrio dalla "Santa Montagna" una richiesta
per una spiegazione del simbolismo dell'abito monastico. Sfortunatamente c'è
poco da dire sull'identità di Anatolio, al di là di alcune congetture. La
"Santa Montagna" è molto probabilmente un riferimento a Gerusalemme ed alla
comunità monastica fondata da Melania la Vecchia e Rufino sul Monte degli
Ulivi. Evagrio, che era stato accolto in questo monastero prima di
trasferirsi in Egitto, mantenne una corrispondenza con Melania, Rufino e la
loro cerchia. L’Anatolio del Prologo può essere lo stesso Anatolio
menzionato nella versione copta della Storia Lausiaca come un ricco notaio,
originario della Spagna, che in seguito divenne monaco e visitò Abba Pambo.
Con la sua ricchezza, potrebbe essersi impegnato a copiare ed a diffondere
le tre opere che Evagrio gli aveva inviato: il Praktikos, lo Gnostikos e il
Kephalaia Gnostika.
Per
quanto dica: “tutto quello che abbiamo imparato
riguardo a questo argomento dai santi Padri”, sembra che sia proprio Evagrio
ad aver dato un significato simbolico alle diverse parti dell’abito
monastico.
[Prol. 2.] La cocolla è un simbolo
della grazia di Dio nostro Salvatore, che protegge il capo, la loro parte
più importante, e ristora il loro infantile [rapporto] con Cristo di
fronte a coloro che stanno sempre cercando di batterli e ferirli. Chiunque
porti questo cappuccio in testa sta cantando in tutta verità il salmo: "Se
il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il
Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella" (Sal
127(126),1). Parole come queste generano umiltà e sradicano il vizio
primordiale dell'orgoglio che gettò sulla terra Lucifero, l'”Astro del
Mattino” (Is. 14,12).
Nota:
Per quanto riguarda la cocolla, sia Palladio nella Storia Lausiaca, che
Sozomeno e Doroteo fanno notare che si trattava del copricapo dei bambini;
da qui il simbolismo sviluppato da Evagrio con l’infanzia spirituale. Si
veda 1 Cor 3,1, dove san Paolo parla di “neonati in Cristo”.
[Prol.
3.] La nudità delle loro mani manifesta assenza di ipocrisia nel loro
modo di vivere; la vanagloria, infatti, è abile nel coprire ed oscurare le
virtù, poiché è sempre a caccia della “gloria che viene dagli uomini” (1 Ts
2,6) e respinge la fede. “E come potete credere, dice (il Signore), voi che
ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene
dall’unico Dio?” (Gv 5,44). Perché il bene non deve essere scelto per
nessun altro [motivo] che per se stesso; se non si è d’accordo su ciò, tutto
ciò che ci spinge a fare del bene apparirà molto più prezioso del bene
stesso e niente potrebbe essere più assurdo che considerare e affermare che
qualcosa è migliore di Dio!
Nota: la nudità delle mani è dovuta al fatto che indossano una tunica di
lino senza maniche (colobium) che lascia l’avambraccio e le mani scoperte,
in contrasto con l’usanza mondana dell’epoca di indossare una tunica con
maniche lunghe.
[Prol. 4.] Ed ancora, lo scapolare
che avvolge le spalle nella forma di una croce, è il simbolo della fede in
Cristo, che “sostiene i poveri”, (Sal 147(146-147), 6) reprime ciò
che le disturba e permette loro di lavorare senza impedimenti.
Nota:
Cassiano così lo descrive nelle Istituzioni Libro I, cap. V: "Indossano
anche due piccole cordicelle intrecciate di filo di lino, che i greci
chiamano analaboi, che noi possiamo chiamare bretelle (subcinctoria) o
cinghie (redimicula) o, correttamente, fasce (rebrachiatoria). Partendo
dalla nuca e separandosi in due attorno al collo, si avvolgono attorno ai
fianchi, sollevano gli indumenti ampi e lunghi e li chiudono vicino al
corpo. E con le braccia così mantenute, essi sono pronti e disponibili per
ogni lavoro".
[Prol. 5.] La cintura legata intorno
ai fianchi respinge tutte le impurità e dichiara, “E' cosa buona per l'uomo
non toccare donna” (1 Cor 7,1).
Nota:
Evagrio riprende il simbolismo tradizionale che risale a Filone di
Alessandria (circa 20 a.C., 45 d. C.) nelle Quaestiones et solutiones in
Exodus, I, 19 (Cfr. Es 12,11: “mangerete con i fianchi cinti”.
[Prol.
6.] Indossano la melota
(mantello di pelle di montone o pecora) coloro che “portano sempre nei loro
corpi la morte di Gesù”: (2 Cor 4, 10) e così imbavagliano tutte le passioni
irrazionali del corpo, mortificando i vizi dell'anima con la loro adesione
alle cose buone; amano la povertà ed evitano l'avarizia in quanto madre
dell'idolatria (Cfr. Col 3, 5).
Nota: Nella traduzione della Bibbia dei LXX il nome di melota viene dato al
mantello dei profeti, soprattutto di Elia (1 Re 19,13 e 19: 2 Re 2,8.13.14).
Le pelli degli animali sono simbolo della mortificazione secondo un’esegesi
tradizionale. Si veda per es. Origene, In Exodum tractatus XIII, 5 e
Gregorio di Nissa, Oratio Catechetica, VIII, 4.
Per quanto riguarda la povertà si veda Basilio, Le Grandi Regole, XXII: “...
dobbiamo cercare di essere gli ultimi di tutti, ... colui che si abbassa con
l'umiltà al rango più trascurabile deve naturalmente anche cercare ciò che
c'è di più povero in fatto di vestiti”.
[Prol. 7.] Il bastone è un albero di
vita per tutti coloro che lo tengono, un fermo sostegno per coloro che si
appoggiano su di esso proprio come [si appoggiano] su Cristo (Cfr. Pr 3,18).
Nota:
Il bastone come albero di vita può essere stato suggerito da 2 Re 4,29, dove
Eliseo affida il suo bastone a Giezi per far risuscitare un bambino. Anche
Cassiano cita esplicitamente questo testo biblico, ma con un diverso
simbilismo. La definizione data da Evagrio si appoggia sull'assimilazione
dell'albero della vita (Gen 2,9) a Cristo. Il versetto dei Proverbi 3, 18 è
relativo alla saggezza ed a Cristo sono sempre collegate le espressioni
della Scrittura concernenti la saggezza.
[Prol. 8] Tali sono le realtà di cui
l’abito è, in modo riassuntivo, il simbolo; e queste sono le parole che
sempre dicono loro i Padri: “La fede, o
figli, è confermata dal timore di Dio e [questo timore] a sua volta [è
rafforzato] dall’astinenza. Quest'ultima [virtù] diventa incrollabile grazie
alla perseveranza ed alla speranza: da queste due nasce l’impassibilità [apatheia],
che ha per figlia la carità; la carità è la porta della conoscenza
naturale, alla quale succedono la teologia e la beatitudine suprema".
Nota:
Evagrio, dopo aver parlato attraverso il simbolismo dell’abito di ciò che
sono i monaci “in realtà”, espone in modo schematico la loro dottrina,
attribuendo queste parole ai “Padri” del deserto. Questo schema abbraccia
tutta la vita spirituale, così come la concepisce Evagrio.
La
“conoscenza naturale” è la scienza delle nature create, che si distingue
dalla conoscenza di Dio o “teologia”, come dice dopo.
[Prol. 9.] E così, riguardo al santo
abito ed all'insegnamento degli anziani, le cose che abbiamo detto
dovrebbero per ora bastare. Ma riguardo alla vita pratica e conoscitiva
(letteralmente: gnostica), mi
propongo ora di descrivere in dettaglio non tutto ciò che abbiamo visto o
udito, ma solo ciò che ci è stato insegnato di a dire agli altri [da parte
degli anziani]. Abbiamo condensato e ripartito le questioni riguardanti la
vita pratica in cento capitoli e le questioni riguardanti la dottrina
gnostica in seicentocinquanta. Abbiamo nascosto ed oscurato alcune cose, in
modo da “non dare le cose sante ai cani e non gettare le perle davanti ai
porci” (Mt 7, 6). Ma ciò sarà chiaro a coloro che si sono impegnati sulle
stesse tracce degli anziani.
Nota:
Evagrio divide la vita spirituale in due grandi parti: vita pratica e vita
conoscitiva, o gnostica. Egli presenta la sua dottrina come insegnamento
tradizionale dei monaci del deserto e annuncia i suoi tre libri riguardanti
i monaci: il “Trattato pratico” (Praktikos) in cento capitoli (per i monaci
in via di formazione), il “Trattato della conoscenza” (Gnostikos) in
cinquanta capitoli (per i monaci già formati) ed i “Problemi gnostici”
(Kephalaia gnostika) in sei centurie ognuna con novanta sentenze.
TRATTATO
PRATICO
CENTO CAPITOLI
1. Il Cristianesimo è l'insegnamento di
Cristo, nostro Salvatore,
composto da: pratica (ascetica), fisica e teologia.
Nota:
Pratica, fisica e teologia non devono essere qui intese come tre scienze
teoriche ed astratte, bensì per Evagrio esse designano le tre tappe della
vita spirituale. La pratica, o vita attiva ed ascetica, è l’oggetto di
questo trattato, la fisica è la scienza naturale o contemplazione degli
esseri creati, tappa che precede la teologia, intesa non come scienza
discorsiva, ma unitiva di Dio. Queste due ultime tappe sono quelle che nel
Prologo, 9, Evagrio chiama vita conoscitiva (o gnostica). Evagrio presenta
questa dottrina, non senza qualche paradosso, come il “cristianesimo” stesso
e l’insegnamento dello stesso Gesù.
2. Il Regno dei Cieli è
l’impassibilità dell'anima, accompagnata dalla vera conoscenza degli esseri.
Nota: Ciò che Evagrio chiama “Regno dei Cieli” è la “conoscenza naturale” o
“conoscenza degli esseri”, alla quale si giunge tramite l’impassibilità, che
è il fine della vita pratica (la “practiké”). Evagrio la chiama “vera” per
distinguerla dalla “conoscenza falsa”, “falsa contemplazione”, che si ferma
all’aspetto materiale degli oggetti sensibili e che è condivisa dai demoni e
dagli uomini che non vivono secondo la “practické”.
3. Il Regno di Dio è la conoscenza della
Santa Trinità. Questa conoscenza ha la stessa estensione della capacità
dell’intelletto, ma supera la sua incorruttibilità.
Nota: Evagrio fa una distinzione tra “Regno dei Cieli” e “Regno di Dio”, ed
intende quest’ultimo come la conoscenza e la contemplazione di Dio. La
conoscenza della Trinità supera l’incorruttibilità dell’intelletto, poiché a
quest’ultima corrisponde la conoscenza degli esseri (o contemplazione
naturale) definita come “Regno dei Cieli”. Solo la conoscenza della Trinità
colma l’intelletto (“ha la stessa estensione della capacità
dell’intelletto”, oppure è “coestensiva con la sua sostanza”), poiché essa è
il fine per il quale è stato creato.
In conclusione si vede l’unità di questi tre capitoli: il “cristianesimo”
deve condurre al “Regno di Dio”, cioè alla conoscenza della Trinità, avendo
come tappe preliminari l’impassibilità, acquisita con la “practiké”, e la
conoscenza degli esseri o “Regno dei Cieli”. Così si trovano definiti,
all’inizio del libro, il posto ed il ruolo della “practiké”.
4. Ciò che si ama, lo si desidera
ardentemente, e ciò che si desidera, si lotta per acquisirlo; se ogni
piacere comincia dal desiderio, il desiderio nasce dalla sensazione, poiché
ciò che non è soggetto alla sensazione è anche libero dalla passione.
Nota: Evagrio inizia con l’affermare il primato della sensazione,
generatrice del desiderio e di tutte le altre passioni; per raggiungere
l’impassibilità, fine della “practiké”, occorre sottrarsi alle sensazioni,
ovvero praticare l’anacoresi.
5. Contro gli anacoreti i demoni ingaggiano
un combattimento senza armi; ma contro coloro che si esercitano alla virtù
nei monasteri o nelle comunità [cenobitiche] i demoni armano i fratelli più
negligenti. Questa seconda battaglia è molto più leggera della
prima, poiché non si possono trovare sulla terra uomini più rancorosi dei
demoni, o [capaci] al tempo stesso di prendersi in carico tutta la loro
malvagità.
Nota:
L’anacoreta non è al sicuro dai demoni e, quindi, dalle passioni. Anzi,
mentre contro i cenobiti i demoni agiscono per interposta persona, contro
gli anacoreti lottano “senza armi”, letteralmente “nudi”, ovvero senza
intermediari. Secondo la metafisica di Evagrio ciò che distingue gli uomini
dai demoni non è una differenza di natura, ma la sovrabbondanza di collera e
di cattiveria in questi ultimi.
SUGLI OTTO PENSIERI
6. Vi sono otto
principali tipi di pensieri generici che contengono in sé tutti i pensieri:
primo, quello della gola, poi quello della fornicazione, terzo
quello dell'avarizia, quarto quello
della tristezza, quinto quello
della collera, sesto quello dell’accidia, settimo quello della vanagloria
ed ottavo quello dell'orgoglio. Non
dipende da noi se questi pensieri [tentatori] agitano l'anima o no; ma se
rimangono [in noi] o non rimangono, o se suscitano o non suscitano in noi le
passioni, ciò dipende da noi.
[I.
La gola]
7. Il pensiero della
gola suggerisce al monaco il crollo improvviso della sua ascesi; questo
pensiero gli rappresenta lo stomaco, il fegato, la milza e l'idropisia,
insieme ad una lunga malattia, alla mancanza del necessario ed alla
indisponibilità di medici. Spesso lo porta a ricordare quei fratelli che
hanno sofferto queste cose. A volte inganna persino coloro che hanno
sofferto di questo genere di cose mandandoli a visitare coloro che praticano
l'astinenza, per raccontare loro tutte le loro disgrazie e come ciò sia
derivato dal loro ascetismo.
[II. La fornicazione]
8. Il demone della
fornicazione costringe a desiderare seducenti corpi; soprattutto attacca
violentemente coloro che praticano l'astinenza, in modo che la sospendano,
persuasi che non otterranno nulla. Contaminando
l'anima, il demone la piega verso atti vergognosi, la induce a pronunciare
certe parole e ad ascoltarne uguali in risposta, come se l’oggetto (dei suoi
desideri) fosse effettivamente lì per essere visto.
[III. L’avarizia]
9. L’avarizia
suggerisce una lunga vecchiaia, mani impotenti a lavorare, fame e malattie
devono che ancora venire, l'amarezza della povertà e la vergogna di ricevere
le necessità [della vita] dagli altri.
[IV. La tristezza]
10. La tristezza a volte
nasce da desideri frustrati, ma a volte è il risultato della collera. Quando
i desideri sono frustrati, sopraggiunge così: alcuni pensieri per prima cosa
afferrano l'anima e le ricordano la casa, i genitori ed il suo corso di vita
precedente. Quando vedono l'anima seguirli senza resistenza e dissiparsi
interiormente nei piaceri, la prendono e la immergono nella tristezza,
ricordandole che le cose precedenti sono sparite e non possono essere
recuperate a causa del modo di vivere attuale; allora l'anima miserabile,
quanto più si è lasciata attirare dai primi pensieri, tanto più viene
abbattuta e umiliata dai secondi.
[V. La collera]
11. La collera è una
passione molto irruente. Si dice che sia un'ebollizione della parte
irascibile (dell’anima) ed un movimento di indignazione contro il colpevole
di un oltraggio od il presunto colpevole. Essa rende l'anima furiosa tutto
il giorno, ma è soprattutto nelle preghiere che ghermisce l’intelletto,
rappresentandole il volto della persona che l’ha contristata. Talvolta è
anche persistente, si trasforma in rancore e [così] provoca turbamenti
notturni, con debolezza corporea, pallore ed attacchi di bestie velenose.
Questi quattro indizi, che fanno seguito al rancore, possono essere
accompagnati da molti altri pensieri [maligni].
[VI. L’accidia]
12. Il demone
dell'accidia, che è anche
chiamato il demone del mezzogiorno
(Sal 91(90),6), è il più gravoso di tutti i demoni. Assedia il monaco
verso la quarta ora (10 del mattino), circondando la sua anima fino
all'ottava ora (2 del pomeriggio). Innanzitutto gli fa sembrare che il sole
rallenti o si fermi, così che la giornata sembra durare cinquanta ore.
Quindi costringe il monaco a continuare a guardare fuori dalla finestra, a
precipitarsi fuori dalla sua cella, ad osservare il sole per vedere quanto
tempo manca alla nona ora [le 3 del pomeriggio] ed a guardarsi intorno in ogni direzione nel
caso ci fosse qualcuno dei fratelli. Poi lo assale con l'odio verso il luogo
in cui è, il suo modo di vivere ed il lavoro delle sue mani; inoltre gli
ispira l’idea che l'amore tra i fratelli è sparito e non c'è
nessuno che lo
consoli (Cfr. Lam 1,17;
1,21). Se qualcuno ha recentemente contristato il monaco, il demone aggiunge
anche questo per amplificare la sua avversione [per queste cose]. Gli fa
desiderare altri posti dove può facilmente trovare tutto ciò di cui ha
bisogno e praticare un mestiere più facile e conveniente. Dopotutto,
compiacere il Signore non dipende dal luogo, aggiunge il demone; Dio può
essere adorato ovunque. Aggiunge a ciò il ricordo dei suoi parenti e del suo
precedente modo di vivere, e gli descrive una lunga vita, ponendo davanti ai
suoi occhi una visione delle fatiche che comporta la vita ascetica; quindi,
mette in moto, come si suol dire, ogni macchinazione per spingere il monaco
a lasciare la sua cella e fuggire il campo di battaglia. Nessun altro demone
viene subito dopo questo; anzi, dopo la lotta l'anima riceve a sua volta uno
stato di pace ed una gioia indicibile
[VII. La vanagloria]
13. Il pensiero della
vanagloria è un pensiero particolarmente sottile che facilmente si dissimula
in colui che sta vivendo in modo virtuoso, facendogli desiderare di rendere
noti i suoi sforzi e di procurarsi la
gloria che viene dagli uomini. Questo pensiero gli fa immaginare
demoni che gridano, donne da lui guarite
ed una folla che vuole toccare i suoi vestiti; gli profetizza persino
l’ordinazione al sacerdozio,
collocando alla sua porta persone che lo cercano; ed anche se resiste sarà
portato via [per essere ordinato] con la forza. E dopo averlo fatto esaltare
con queste
vuote speranze, improvvisamente va via, abbandonandolo alle
tentazioni sia del demone dell'orgoglio, che di quello della tristezza, che
provoca in lui altri pensieri opposti alle sue speranze precedenti. A volte
lo consegna anche al demone della fornicazione, lui che, poco prima, era
diventato [nel suo pensiero] un santo e venerato sacerdote.
[VIII. L’orgoglio]
14. Il demone
dell’orgoglio conduce l'anima alla peggiore caduta. La sollecita a
non riconoscere l'aiuto di Dio, a
pensare che
sia lei stessa la causa delle sue buone azioni e ad essere
arrogante nei
confronti dei fratelli considerati poco intelligenti perché non
condividono la stessa stima nei suoi confronti. Questo demone è seguito
dalla collera, dalla
tristezza e, quello che è il
male supremo, il turbamento dello spirito, la
follia
e la visione di folle di demoni nell'aria.
CONTRO GLI OTTO PENSIERI
15. L’intelletto
vagabondo è reso stabile dalla
lettura, dalla veglia e dalla preghiera; la concupiscenza infiammata è
placata dalla fame, dalla fatica e dalla solitudine; l’irascibilità è
placata dal canto dei Salmi, dalla
pazienza e dalla
misericordia. Ma tutte queste pratiche devono essere messe in atto al
momento
opportuno e
nella giusta
misura; poiché ciò che viene fatto al momento sbagliato o fuori
misura dura poco, e ciò che dura poco è più dannoso che benefico.
[I. La gola]
16. Quando la nostra
anima anela per una varietà di cibi diversi, allora la sua razione deve
essere ridotta a pane ed acqua perché sia grata anche per un semplice
boccone. È la sazietà che desidera la varietà nel cibo, mentre la fame
considera una benedizione il solo avere la sazietà di pane.
[II. La fornicazione]
17.
Un grande aiuto alla continenza è il ridotto utilizzo dell'acqua. Ti
convincano di ciò i trecento israeliti che sconfissero Madian in compagnia
di Gedeone (Gdc 7, 5-7).
[III. L’avarizia]
18.
Come la vita e la morte non possono coesistere nello stesso soggetto allo
stesso tempo, così anche la carità non può coesistere con le ricchezze. La
carità distrugge non solo le ricchezze, ma anche questa nostra stessa vita
transitoria.
[IV. La tristezza]
19.
Colui che fugge tutti i piaceri mondani è un inaccessibile torre per il
demone della tristezza. Perché la tristezza è la privazione di un piacere
che è presente oppure è atteso; quindi, è impossibile per noi scacciare
questo nemico finché abbiamo un attaccamento appassionato a qualche bene
terreno. Esso tende la sua trappola e produce la tristezza proprio dove vede
che ci conducono le nostre inclinazioni.
[V. La collera]
20.
La collera e l'odio amplificano l'irascibilità, mentre la compassione e la
gentilezza diminuiscono anche quella che è presente.
21. “Il sole non
tramonti sulla nostra ira” (Ef
4,26), in modo che i demoni, insorgendo di notte, non terrorizzino
l'anima e rendano l’intelletto più debole per il combattimento il giorno
successivo. In effetti, le visioni terrificanti sono prodotte dal turbamento
della parte irascibile; ed inoltre, niente porta l’intelletto a disertare
[il combattimento] come la parte irascibile quando viene sconvolta.
22.
Quando, a causa di un occasionale pretesto, la parte
irascibile della nostra anima viene
profondamente turbata, allora i demoni ci
suggeriscono quanto è bello ritirarsi in solitudine per impedirci di
mettere fine a ciò che aveva causato la nostra tristezza e di liberarci dal
nostro turbamento. Ma quando la nostra parte
concupiscibile si infiamma, allora, al contrario, si impegnano per
renderci socievoli, chiamandoci duri ed incivili, così che,
desiderando degli esseri viventi, entriamo in contatto con degli individui.
Non dobbiamo obbedire loro, ma invece dobbiamo fare il contrario.
23. Non concederti al
pensiero della collera combattendo mentalmente la persona che ti ha
contristato, né al pensiero della fornicazione trascorrendo la maggior parte
del tempo in fantasie di piaceri. Perché l'uno oscura l'anima, l'altro
invita a farci bruciare dalla passione; entrambi inquinano il tuo
intelletto.
E come al momento della preghiera ti
rappresenti tali immagini e non
riesci ad offrire una preghiera pura
a Dio, così tu cadrai immediatamente vittima del demone dell’accidia.
Questo demone attacca prontamente approfittando di tali disposizioni d’animo
e, come un cane con una giovane cerbiatta, fa a pezzi l'anima.
24. La natura della
parte irascibile è quella di combattere i demoni e di lottare in vista del
piacere, qualunque esso sia. Per questo motivo gli angeli ci suggeriscono
piaceri spirituali e la beatitudine che viene da essi, per incoraggiarci a
dirigere la nostra irascibilità verso i demoni. Questi, però, ci trascinano
verso desideri mondani e costringono violentemente la parte irascibile ad
andare contro la natura ed a combattere gli esseri umani, così da oscurare
l’intelletto e separarlo dalla Conoscenza, rendendolo un traditore delle
virtù.
Nota: In questo capitolo Evagrio distingue tra un'attività naturale della
parte irascibile ed una attività "contro la natura". La parte irascibile,
come la parte concupiscibile dell'anima e del corpo stesso, è cosa
naturalmente buona ed è stata donata all'uomo per essergli di aiuto nella
guerra contro i demoni.
25.
Guardati bene dal far partire uno dei fratelli per averlo irritato, perché
[a causa di ciò] tu non potrai mai sfuggire durante la tua vita al demone
della tristezza, che sarà sempre per te un ostacolo al momento della
preghiera
26.
I doni estinguono il rancore: credi in Giacobbe che, grazie a dei doni,
ammansì Esaù quando gli venne contro con quattrocento uomini (Gen 32). Ma, poiché siamo poveri, suppliamo alla nostra indigenza
con l'ospitalità a tavola.
[VI. L’accidia]
27.
Quando siamo oppressi dal demone dell’accidia, è allora che con le lacrime
dividiamo la nostra anima in due parti: una parte incoraggia l'altra e,
seminando buone speranze dentro di noi, confortiamoci con il canto di
Davide: “Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in
Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio.” (Sal 42(41), 6).
28.
Non si deve abbandonare la cella nel tempo della tentazione, per quanto
siano plausibili i pretesti che ci inventiamo: dobbiamo stare seduti
all'interno, essere perseveranti e coraggiosamente ricevere tutti gli
avversari, in particolare il demone dell’accidia
che, essendo il più malvagio di tutti, opprime l’anima al massimo
grado; poiché fuggire da tali conflitti e cercare di evitarli orienta
l’intelletto ad essere pigro, pauroso e fuggitivo.
29. Il nostro santo maestro, che aveva una grande esperienza, diceva: “Il monaco deve essere sempre pronto come se dovesse morire domani, ma deve anche trattare il suo corpo come se dovesse vivere con esso per molti anni. Il primo criterio tronca i pensieri dell’accidia e rende il monaco più zelante, mentre il secondo mantiene il suo corpo in buona salute e mantiene sempre uguale l’astinenza”.
[VII. La vanagloria]
30.
È difficile sfuggire al pensiero della vanagloria, dal momento che tutto
quello che fai per sbarazzartene diventa per te l'occasione per una
rinnovata vanagloria. I nostri giusti pensieri non sono tutti contrastati
dai demoni, ma talvolta ad essi si oppongono i vizi di cui siamo affetti.
31.
Ho osservato che il demone della vanagloria viene cacciato via da quasi
tutti gli altri demoni; ma, quando vengono sconfitti i suoi rivali, si fa
avanti senza vergogna, proclamando al monaco quanto sono grandi le sue
virtù.
32.
Colui che ha raggiunto la conoscenza (cioè la contemplazione spirituale) e
raccolto il piacere che essa porta, non si lascerà più persuadere dal demone
della vanagloria che gli pone davanti tutti i piaceri del mondo. Perché cosa
potrebbe offrirgli di meglio della contemplazione spirituale? Ma nella
misura in cui non abbiamo assaporato il sapore della conoscenza, dobbiamo
impegnarci con entusiasmo alla pratica, dimostrando a Dio che il nostro
obiettivo è quello di fare di tutto in vista della sua conoscenza.
[VIII. L’orgoglio]
33.
Ricordati della tua vita trascorsa e delle tue vecchie trasgressioni, come
eri soggetto alle passioni, tu che sei giunto all’impassibilità grazie alla
misericordia di Cristo e come poi hai lasciato il mondo che ti aveva
umiliato così frequentemente ed in tanti modi. Rifletti ancora su ciò: chi
ti custodisce nel deserto e scaccia i demoni che digrignano i denti contro
di te? Pensieri di questo tipo infondono umiltà e negano l'ingresso al
demone dell’orgoglio.
SULLE PASSIONI
34. Se abbiamo di certe
cose dei ricordi pieni di passione, è perché una volta abbiamo accolto
queste stesse cose con passione. Al contrario, tutte quelle
cose che accogliamo ora con passione, le ricorderemo in seguito con passione.
Quindi, chiunque ha sconfitto i demoni operando attivamente, farà poco caso
ai modi da essi impiegati per molestarlo. La battaglia immateriale è più
difficile della battaglia materiale.
Nota:
I sei capitoli seguenti, 34-39, studiano la fonte ed il meccanismo che fa
scatenare le passioni. Il capitolo 4 ha posto all'origine delle passioni la
sensazione; qui Evagrio precisa che può essere sia l'origine diretta, per
contatto con gli oggetti, sia l'origine indiretta per l'intermediazione dei
ricordi. Così succede agli anacoreti che sono lontani dagli oggetti a causa
del loro stato. Presso di loro sono soprattutto i pensieri che scatenano le
passioni (Cfr. Cap. 5-33) e per questo motivo Evagrio riprende qui l'esame
del meccanismo delle passioni a partire dai pensieri. Prima di affrontare la
"battaglia immateriale", quella contro i pensieri, bisogna aver trionfato su
quella materiale che sorge in occasione degli oggetti, poiché quella
immateriale è ben più difficile.
35.
Le passioni dell'anima hanno origine dagli esseri umani, quelle del corpo
[provengono] dal corpo. E mentre le passioni del corpo vengono eliminate
dall'astinenza, quelle dell'anima dall'amore spirituale.
36.
I demoni che presiedono alle
passioni dell'anima (cioè l’ira) persistono
ostinatamente fino alla morte; quelli che presiedono alle passioni
del corpo si ritirano più rapidamente. Ed altri demoni sono come il sole che
sorge e tramonta, interessando solo una parte dell'anima; ma il demone del
mezzogiorno (cioè l’accidia)
generalmente avvolge l'intera anima e soffoca l’intelletto. Per questo
motivo la vita solitaria è dolce dopo che sono state eliminate le passioni;
allora rimangono solo ricordi puri e la
lotta del monaco non consiste più nel prepararlo a combattere, ma
piuttosto nella
contemplazione [della
lotta]
in sé.
37. Si deve riflettere se sia la rappresentazione a scatenare le passioni o le passioni a scatenare la rappresentazione. Alcuni propendono per la prima opinione, altri per la seconda.
Nota: La prima opinione, che sia la rappresentazione (o il pensiero) a
scatenare le passioni, sembra essere derivata dagli stoici. Per esempio
Epitteto dice: “Ciò che turba gli uomini non sono le cose in se stesse, ma
le opinioni che si fanno sulle cose". La seconda opinione, che siano le
passioni a scatenare la rappresentazione, è di più difficile attribuzione:
forse è formulata da Aristotele. Evagrio sembra essere del parere che
probabilmente sono vere entrambi, a seconda dei casi.
38. Di solito le passioni sono suscitate dalle sensazioni: se sono presenti sia la carità che l'astinenza non saranno suscitate; ma, se assenti, saranno eccitate. La parte irascibile richiede più rimedi della parte concupiscibile, ed è a causa di ciò che la carità è chiamata "la più grande" (1 Cor 13,13), perché mette un freno alla parte irascibile; e quindi il santo Mosè nel suo trattato sulla natura la chiama simbolicamente ofiomaco, cioè "combattente di serpenti" (Lv 11,22).
Nota: Mosè possiede la virtù della carità in modo eminente (Cfr. Nm 12, 3:
"Mosè era un uomo assai umile, più di qualunque altro sulla faccia della
terra") e con ragione lo Spirito Santo aveva mostrato le sue vie a Mosè
(Cfr. Sal 103(102),7: "Il Signore ... ha fatto conoscere a Mosè le sue
vie"). Il trattato sulla natura di Mosè non è altro che l'elenco degli
animali commestibili del cap. 11 del Levitico. In particolare al versetto 22
cita l'ofiomaco, letteralmente "combattente di serpenti" (Tradotto nella
Bibbia C.E.I. con "cavallette").
39. A causa del cattivo fetore che regna nei demoni, l'anima è solita infiammarsi contro i pensieri [tentatori] quando li percepisce avvicinarsi, essendo colpita dalla passione del demone che la tormenta.
Nota: Nella Vita di Antonio, cap. 63, di Atanasio, viene detto che:
"Antonio, lui soltanto, sentì un odore disgustoso e penetrante... Tutti
riconobbero allora che il fetore proveniva dal demonio".
ISTRUZIONI
40. Non è possibile in ogni circostanza conformarsi alla norma [di vita] abituale, ma è necessario aver riguardo alle circostanze e sforzarsi di compiere il meglio possibile i comandamenti praticabili in quel momento. Su queste circostanze i demoni stessi non sono impreparati. Infatti, nei loro atti contro di noi ci impediscono di realizzare ciò che si può fare e ci costringono a intraprendere ciò che non può essere fatto. È così che impediscono ai malati di rendere grazia per le loro sofferenze e di sopportare pazientemente coloro che badano a loro; di contro [questi demoni] esortano i deboli a digiunare e quelli che sono gravati dal male a cantare i Salmi stando in piedi.
Nota:
Dopo una serie di capitoli dedicati ai pensieri (Cap. 6-33), ed un'altra
serie dedicata alle passioni (Cap. 34-39), ora viene una serie dedicata ai
demoni (Cap. 40-53). La "norma" non è una regola scritta, cosa sconosciuta
nei centri monastici di Scete e di Nitria a quel tempo, ma il regime di vita
che i monaci si imponevano seguendo l'insegnamento dei maestri e le usanze
fissate dalla tradizione. Qui il consiglio è quello di addolcire il proprio
regime di vita tenendo conto delle circostanze. Evagrio parla anche della
tentazione dei demoni che spingono il monaco ad un'ascesi che supera le sue
possibilità.
41.
Quando siamo costretti a trascorrere del tempo nelle città o nei villaggi,
dobbiamo soprattutto mantenere l’astinenza nelle occasioni in cui
interagiamo con persone laiche, per timore che la nostra mente, diventata
pesante e privata dall’abituale vigilanza a causa della attuale circostanza,
non agisca contro la sua volontà e non diventi fuggitiva, attaccata dai
demoni.
42.
Non pregare immediatamente quando sei tentato;
prima pronuncia
alcune parole con rabbia a chi ti tenta. Perché quando la tua
anima è soggetta a pensieri tentatori, la preghiera non può essere pura. Ma
se tu dici loro qualcosa con rabbia, li confondi
e distruggi le rappresentazioni suggerite dai tuoi nemici. Questo è
l’effetto
naturale della collera anche nel caso di buone rappresentazioni.
43.
È necessario imparare
a conoscere le differenze tra i demoni e
di interpretare le diverse
occasioni della loro venuta;
noi sapremo dai pensieri - ed i pensieri li riconosciamo dagli
oggetti che raffigurano - quali demoni sono meno frequenti e più pesanti,
quali sono più frequenti e più leggeri, e quali sono quelli che ci assalgono
all'improvviso e trascinano l’intelletto alla bestemmia.
Queste cose è necessario saperle,
in modo che quando i pensieri iniziano a scatenare ciò che costituisce il
loro contenuto e prima che ci allontaniamo troppo dal nostro stato,
possiamo rivolgere
loro [con ira] delle parole ed indicare quale di loro è presente.
In questo modo progrediremo facilmente
con l’aiuto di Dio: quanto a loro li faremo
fuggire da noi, pieni di ammirazione per noi e sgomenti.
44.
Quando i demoni sono impotenti nella loro lotta con i monaci, si
ritirano per un po' e con attenzione notano quali virtù sono nel frattempo
[da loro] trascurate; poi all'improvviso attraverso di esse si precipitano
dentro e fanno a pezzi la disgraziata anima.
45.
I demoni malvagi
chiamano in loro aiuto demoni ancora più malvagi di loro per assisterli.
Nonostante si oppongano gli uni agli altri per le diverse inclinazioni, essi
si accordano unicamente nel cercare la distruzione dell'anima.
46. Non lasciamoci
turbare dal demone che trascina l’intelletto a bestemmiare contro Dio e ad
immaginare fantasie indicibili che non oso nemmeno mettere per iscritto; né
cose del genere devono ostacolare il nostro fervore. Poiché il Signore, “che
conosce il cuore”, (At 1,24) sa che finché saremo nel mondo non conosceremo
mai una simile follia.
L'obiettivo di
questo demone è quello di ostacolare la nostra preghiera, in modo da
non farci stare davanti al Signore nostro Dio e da non osare più alzare le
mani verso Colui contro il quale abbiamo concepito tali pensieri.
47. Segno delle passioni
all'interno dell'anima è una parola che pronunciamo o qualche movimento del
corpo, attraverso i quali i nemici percepiscono se abbiamo in noi i loro
pensieri e se li nutriamo dentro di noi, oppure se li abbiamo rigettati per
preoccuparci della nostra salvezza. Perché
solo il Dio che
ci ha creati, conosce il nostro intelletto e non ha bisogno di segni
per sapere ciò che è nascosto dentro il nostro cuore.
48.
I demoni preferiscono
combattere i secolari per mezzo degli oggetti. Ma attaccano i monaci in
primo luogo attraverso i pensieri; infatti, gli oggetti mancano loro a causa
della solitudine. E poiché è più facile peccare interiormente che con
l'azione, la guerra interiore è più difficile di quella che si fa a causa
degli oggetti. L’intelletto è qualcosa che può essere facilmente mosso e
difficile da frenare di fronte a proibite fantasie.
49. Non ci viene comandato
di lavorare, di vegliare e di digiunare sempre, mentre per noi è legge il
fatto che dobbiamo “pregare ininterrottamente”
(1 Ts 5,17). Le prime
tre attività, che guariscono la parte dell'anima in cui si trovano le
passioni, hanno bisogno del nostro corpo per la loro pratica, ed esso è
congenitamente troppo debole per tali fatiche; ma la preghiera rende la
mente forte e pura in vista della lotta, poiché la mente è formata di sua
natura per la preghiera, anche senza il corpo, e per combattere i demoni a
favore di tutti le potenze dell'anima.
50. Se un monaco vuole
fare esperienza dei crudeli demoni e vuole conoscere la loro arte, deve
osservare i suoi
pensieri,
prendere nota delle loro tensioni, delle loro tregue, dei loro collegamenti,
dei loro momenti, e quali demoni fanno una cosa o l’altra, quale
demone viene dopo l'altro e quale
demone non segue un altro; e chieda
a Cristo i significati di queste cose. I demoni non sopportano
coloro che si dedicano alla vita pratica
con maggiore conoscenza,
poiché desiderano “colpire nell’ombra i retti di cuore”.
(Sal 11(10), 2).
51. Attraverso
l'osservazione tu scoprirai che due dei demoni sono molto veloci, in modo
che quasi sorpassano il movimento della nostra mente: sono il demone della
fornicazione e quello che ci trascina a bestemmiare Dio. Ma il secondo si
trattiene poco, mentre il primo, purché i nostri pensieri che scatena non
siano accompagnati dalla passione, non sarà per noi un impedimento alla
conoscenza di Dio
52.
Separare il corpo
dall’anima appartiene solo a Colui che li ha uniti; ma separare l'anima dal
corpo appartiene anche a colui che desidera la virtù. Il ritiro in
solitudine, cioè l’anacoresi, è stato chiamato dai nostri Padri meditazione
sulla morte e fuga dal corpo.
53. Coloro che nutrono troppo bene la loro carne e che “si lasciano prendere dai desideri della carne” (Rm 13,14) devono biasimare se stessi, non la carne. Poiché conoscono la grazia del Creatore coloro che hanno raggiunto l'impassibilità (apatheia) dell'anima per mezzo del corpo, ed in una certa misura si applicano alla contemplazione degli esseri.
Nota: Il corpo è stato donato da Dio agli intelletti decaduti per il loro
bene, per aiutarli sulla strada della salvezza. Il corpo è loro utile per
esercitare la praktiké ed attraverso di essa ottenere l'impassibilità
dell'anima, finché siamo sottomessi alle passioni. Ed ancora, è grazie al
corpo, partendo dalla conoscenza sensibile, che l'intelletto decaduto può
giungere alla conoscenza spirituale ed in certo modo percepire la
contemplazione degli esseri.
QUELLO CHE SUCCEDE DURANTE IL SONNO
54.
Quando, nelle fantasie che si presentano durante il sonno, i demoni
attaccano la parte concupiscibile dell'anima e ci mostrano incontri con gli
amici, banchetti di famiglia, canti di donne ed altri spettacoli simili che
generano piacere, e noi con entusiasmo li riceviamo, è perché in quella
parte dell’anima siamo malati e vi domina passione. E quando invece i demoni
turbano la nostra parte irascibile, costringendoci a seguire sentieri
pericolosi e facendo comparire uomini armati e bestie velenose o carnivore,
e noi siamo terrorizzati da questi sentieri e fuggiamo, inseguiti da queste
bestie e da questi uomini, allora dobbiamo prenderci cura della parte
irascibile e, invocando Cristo nelle nostre veglie, utilizzare i rimedi già
descritti.
55. Se durante il sonno
non ci sono immagini che accompagnano i movimenti naturali del corpo, allora
questo significa che l'anima è in qualche misura in buona salute: ma la
formazione di immagini è un segno di cattiva salute. Se si tratta di
immagini indefinite sono segno di una vecchia passione, mentre le immagini
definite sono il segno di una ferita recente.
56. Le prove
dell’impassibilità (apatheia) le riconosciamo durante il giorno dai
pensieri e di notte dai sogni.
E noi diremo che, se
l’'impassibilità è la salute dell'anima, il suo cibo è la conoscenza, che è
l'unico mezzo con cui possiamo essere uniti alle sante Potestà, poiché la
nostra unione con gli [esseri] incorporei avviene naturalmente a causa della
somiglianza della nostra indole con la loro.
LO STATO PROSSIMO ALL’IMPASSIBILITÀ
57. Sono due gli stati pacati dell'anima: il primo nasce da sementi naturali; mentre l'altro è generato dal ritiro dei demoni. Al primo si accompagna l’umiltà, la compunzione, le lacrime, un desiderio illimitato del Divino ed uno zelo incommensurabile per il lavoro. Dal secondo sorge la vanagloria che, accompagnata dall’orgoglio, trascina in rovina il monaco quando gli altri demoni se ne vanno. Chi, dunque, rispetta i limiti del primo stato pacato riconoscerà più rapidamente gli attacchi dei demoni.
Nota:
I capitoli 57-62 trattano dello stato che precede immediatamente
l'impassibilità e delle forme inferiori di questa. Lo stato pacato
dell'anima è altra cosa rispetto all'impassibilità, come lo mostra il
parallelismo in Otto spiriti: "Il viandante che cammina di buona lena
raggiungerà presto la città e il monaco temperante arriverà presto ad uno
stato di pace; il viandante lento si fermerà solo, all'aperto, ed il monaco
ghiottone non raggiungerà la casa dell'apátheia (l'impassibilità)". Evagrio
distingue qui due tipi d'impassibilità, la cui natura verrà precisata nei
capitoli seguenti.
Le sementi naturali sono le virtù: Evagrio riceve l'idea stoica che le virtù sono le sementi messe naturalmente in noi le quali, se coltivate a dovere, producono i loro frutti.
58.
Il demone della vanagloria si oppone al
demone della fornicazione ed è impossibile per entrambi attaccare
l'anima allo stesso tempo, poiché il primo promette gli onori mentre il
secondo conduce al disonore. Nel caso che uno dei due ti si avvicini e ti
opprima, forma dentro di te i pensieri del demone avversario e se sei
riuscito, come si suol dire, ad usare un
chiodo per scacciare l’altro, sappi che sei vicino ai confini
dell'impassibilità. Perché
il tuo intelletto è abbastanza forte da impiegare pensieri umani per
cancellare i pensieri demoniaci. Ma impiegare l'umiltà per scacciare il
pensiero della vanagloria, o la continenza per scacciare il pensiero della
fornicazione, sarebbe un segno dell’impassibilità più profonda. Tenta di
praticare questo metodo a tutti i demoni che si oppongono gli uni agli altri
e, nello
stesso tempo, arriverai a sapere quale passione ti colpisce di più.
Tuttavia, per quanto puoi, supplica Dio che allontani i tuoi nemici in
questo secondo modo.
Nota:
Scacciare un chiodo con un altro chiodo: proverbio già citato da Aristotele
(Politica, 5,11,3) e da Cicerone: "Taluni pensano che occorre scacciare il
vecchio amore con un amore nuovo, come un chiodo scaccia l'altro (Tusculanae
Disputationes IV,75). Questo proverbio lo si ritrova in Evagrio e,
probabilmente sotto la sua influenza, nella Vita di Santa Sincletica dello
Pseudo Atanasio e nella Storia Lausiaca di Palladio. Anche Cassiano, senza
citare il proverbio e citando Isaia 48,9, raccomanda di utilizzare il
pensiero della vanagloria per scacciare lo spirito di fornicazione
(Conferenza V, 12).
59.
Più l’anima
progredisce, tanto più forti sono gli antagonisti che si succedono contro di
essa. Non sono convinto che siano sempre gli stessi demoni che le rimangono
vicini. Questo fatto è meglio conosciuto da coloro che percepiscono le
tentazioni in un modo più penetrante e che vedono vacillare l'impassibilità
che hanno raggiunto a causa dei successivi assalti dei demoni.
Nota: Il progresso dell'anima per quanto riguarda l'impassibilità può essere
misurata dalla qualità e dal vigore dei demoni che l'attaccano. Colui che è
entrato nella vita gnostica deve affrontare delle tentazioni che prima non
conosceva.
60. La perfezione dell’impassibilità nasce nell'anima dopo la sconfitta di tutti i demoni che si oppongono alla vita pratica; l’impassibilità imperfetta viene considerata in relazione al potere del demone che sta ancora attaccando l’anima.
Nota: In “Pensieri” 15, Evagrio denomina l'impassibilità imperfetta con la
"piccola impassibilità", in contrasto con la "salute perfetta". il monaco
che si trova nella fase imperfetta può ancora essere vittima del demonio
della vanagloria.
61. L’intelletto non potrà progredire, né partire per il grande viaggio ed entrare nel luogo degli incorporali se non ha corretto la sua vita interiore. Poiché i turbamenti dell’anima lo fanno ritornare abitualmente nel luogo da cui era partito.
Nota:
Il grande viaggio è quello verso la vita gnostica. L'espressione si
ricollega al tema filoniano della migrazione spirituale, la cui figura è
quella di Abramo. "Entrare nel luogo degli incorporali", ovvero arrivare
alla contemplazione spirituale; "se non ha corretto la sua vita interiore",
ovvero se non ha raggiunto l'impassibilità.
62. Sia le virtù che i vizi accecano l’intelletto: le prime perché non veda i vizi; i secondi per impedirgli di vedere le virtù.
Nota: Lo stato di cecità spirituale provocato dall'impassibilità, di cui si
parla qui, è poi descritto nella seguente sezione, in particolare nel
capitolo 66, dove appare precisamente la nozione di insensibilità.
I SEGNI DELL’IMPASSIBILITÀ
63. Quando l’intelletto inizia a svolgere le sue preghiere senza distrazioni, allora ha inizio la battaglia, sia di giorno che di notte, contro la parte irascibile dell’anima.
Nota: I capitoli 63-70 concernono le forme superiori dell'impassibilità ed
analizzano, sotto i loro diversi aspetti, l'insensibilità dell'intelletto
che le caratterizza.
"La battaglia contro la parte irascibile":
per Evagrio la collera è la tentazione principale dello gnostico, cioè di
colui che, avendo raggiunto l'impassibilità, gioisce della contemplazione
spirituale.
64. Una prova dell’impassibilità si ha quando l’intelletto comincia a vedere la sua propria luce [interiore], quando rimane tranquillo in presenza di visioni durante il sonno e quando guarda gli oggetti con serenità.
Nota:
"Vedere la sua propria luce": la visione che l'intelletto ha della sua
propria luce nel momento della preghiera è un tema essenziale della mistica
evagriana. Questa visione non è possibile senza l'impassibilità.
65.
L’intelletto
è vigoroso quando non immagina qualcosa di questo mondo al momento della
preghiera.
66. L’intelletto che, con l'aiuto di Dio, ha completato con successo la propria vita pratica e si è avvicinato alla conoscenza non sente quasi più, o niente del tutto, la parte irrazionale dell'anima, perché la conoscenza lo rapisce verso cose sublimi e lo separa dalle cose percettibili.
Nota:
"Completare la propria vita pratica" significa giungere all'impassibilità,
condizione necessaria per "avvicinarsi alla conoscenza".
67.
L’anima che possiede l’impassibilità non è quella che rimane
indifferente verso gli oggetti, ma quella che rimane imperturbabile anche
davanti al loro ricordo.
68. Colui che è perfetto non pratica l'astinenza, né colui che ha raggiunto l'impassibilità pratica la perseveranza, poiché la perseveranza attiene a chi è soggetto alle passioni e l'astinenza a chi è tormentato.
Nota: Questo capitolo è omesso nella versione siriaca S1 e
probabilmente non è un'omissione accidentale. Il traduttore ha eliminato un
testo che sembra affermare che il perfetto non ha più bisogno di praticare
le virtù, secondo la concezione degli eretici messaliani (o euchiti)
dell'impassibilità. Costoro asserivano che, raggiunto lo stato di "apatheia"
nel quale avviene l'unione con lo Spirito Santo, non è più possibile nemmeno
peccare. In realtà Evagrio la pensava diversamente, come precisa nel
capitolo 70. Colui che ha raggiunto l'impassibilità pratica le virtù, non
più per obbedienza alla legge o per timore dei castighi, ma spontaneamente,
poiché egli ha stabilito dentro di sé le virtù e si è mescolato interamente
con esse. A tale proposito si veda anche il seguente capitolo 85.
69. È una grande cosa il pregare senza distrazioni, ma è ancora più grande il cantare salmi senza distrazioni.
Nota:
Questo capitolo lo si trova identico negli Apoftegmata Patrum, Evagrio 3.
“Cantare salmi senza distrazioni” suppone un’impassibilità maggiore riguardo
al pregare senza distrazioni. Evagrio ne dà una spiegazione nel testo di
Preghiera 85: “La salmodia appartiene alla saggezza multiforme, ma la
preghiera è il preludio della conoscenza immateriale ed una”.
70. Colui che ha stabilito le virtù in se stesso ed è interamente permeato di esse non si ricorda più della legge, dei precetti o della punizione, ma dice e fa tutto ciò che gli suggerisce la sua ottima disposizione d’animo.
Nota: La virtù è lo stato eccellente dell’anima razionale, nel quale stato
essa è difficilmente messa in movimento verso il male. Per questo motivo
l'impassibilità può offrire all'intelletto una solida base per la
contemplazione.
CONSIDERAZIONI PRATICHE
71. I canti demoniaci muovono il nostro desiderio e gettano l'anima in fantasie inconfessabili. Ma “ salmi, inni, canti ispirati” (Ef 5,19) invitano l'intelletto al continuo ricordo della virtù, raffreddando la nostra irascibilità in ebollizione e spegnendo i nostri desideri.
Nota:
I capitoli 71-90 concernono ancora l’impassibilità e formulano un certo
numero di verità la cui conoscenza è utile all’impassibilità.
72.
Se è proprio dei lottatori essere battuti ed a loro volta battere [i
rivali], così i demoni lottano con noi e quando ci battono, a loro volta
sono da noi battuti. Come viene detto, "Li
ho colpiti e non si sono rialzati"
(Sal 18(17), 39), ed ancora "sono
essi, avversari e nemici, a inciampare e cadere”. (Sal 27(26),
2)
Nota:
Con le due citazioni dei Salmi, Evagrio vuol dimostrare che dopo molte
vicissitudini nella lotta contro i demoni durante la “practiké”, dove il
vantaggio torna talvolta a noi e talvolta ai demoni, arriva infine un
momento in cui noi abbiamo su di essi il vantaggio decisivo e durevole: è
l’impassibilità.
73. Il riposo [dell’anima] (Cfr. Sal 116(114-115),7) è collegata alla saggezza, mentre il fervore [dell’anima] alla prudenza. Poiché proprio come la saggezza non può essere raggiunta senza la lotta, così la lotta non può essere condotta correttamente senza la prudenza. Ad essa è affidato [il compito di] resistere all'irascibilità dei demoni, costringendo le facoltà dell'anima ad agire secondo la natura e preparando la via della saggezza.
Nota: Il “riposo dell’anima” che segue le sofferenze e le fatiche della
“practiké” è l’impassibilità. Evagrio collega l’impassibilità con le virtù,
in particolare la saggezza e la prudenza. Questa concezione delle virtù di
saggezza e di prudenza è conforme alle definizioni di Aristotele, secondo
cui la prudenza è per eccellenza la virtù dell’azione, la virtù pratica,
mentre la saggezza è la virtù contemplativa, quella che si ricollega alla
conoscenza dei principi.
74.
La tentazione del monaco è un pensiero che sale attraverso la parte
passionale dell'anima ed oscura l’intelletto.
75. Il peccato del monaco consiste nel dare il consenso al piacere proibito che propone il pensiero.
Nota: I capitoli 74 e 75 si completano a vicenda e, dato il parallelismo con
due simili capitoli della Gnostica, per monaco qui si deve intendere il
pratico (colui che si esercita alla practiké). Questa definizione di peccato
da parte di Evagrio è analoga alla teoria stoica secondo la quale il
passaggio dalla rappresentazione all’atto si fa con il consenso. Il pensiero
(logismos) non è lui da solo causa di peccato.
76. Gli Angeli gioiscono quando il vizio diminuisce, mentre i demoni quando la virtù diminuisce. Perché i primi sono al servizio della misericordia e dell'amore, mentre i secondi sono asserviti alla collera ed all'odio. Quando i primi si avvicinano a noi, ci riempiono di contemplazione spirituale, mentre i secondi gettano l'anima in fantasie vergognose.
Nota: Colui che si esercita alla “practiké” ha i demoni per avversari ma, di
contro, è sostenuto dagli angeli.
77. Le virtù non fanno cessare gli assalti dei demoni, ma ci mantengono incolumi da essi.
Nota: Colui che ha acquisito le virtù, cioè è giunto all’impassibilità,
conosce sempre le tentazioni, ma ne resta indenne.
78. La pratica [ascetica] è il metodo spirituale che purifica la parte passionale dell'anima.
Nota: Questo capitolo definisce ciò che è l’oggetto stesso del libro, la
“practiké”. Questa purifica la parte passionale dell’anima ma purifica
anche, indirettamente, l’intelletto, facendo cessare i pensieri che vengono
da essa. In “Gnostico” 49 (ed. Guillaumont): “Il fine della pratica è quello
di purificare l’intelletto e di renderlo impassibile”.
79. L’efficacia dei precetti impartiti non è sufficiente a guarire perfettamente le facoltà dell'anima, se ad essi non seguono le appropriate contemplazioni dell’intelletto.
Nota: Per pervenire all’impassibilità perfetta non basta la pratica pura e
semplice dei comandamenti, ma occorre aver acquisito le “contemplazioni” dei
comandamenti, ciò che equivale alla conoscenza teorica dei rimedi. Come
Evagrio ha già detto nel capitolo 50 occorre “dedicarsi alla vita pratica con maggiore conoscenza”.
80. Non è possibile resistere a tutti i pensieri che ci vengono suggerito dagli angeli, ma è possibile respingere tutti i pensieri suggeriti dai demoni. I pensieri degli angeli sono seguiti da uno stato di pace, i secondi da uno stato di turbamento.
81. La carità è figlia dell’impassibilità; l’impassibilità è il fiore della vita pratica; la vita pratica riposa sull'osservanza dei comandamenti; questi hanno per custode il timore di Dio, generato dalla retta fede; la fede è un bene immanente che esiste naturalmente anche in coloro che non credono ancora in Dio.
Nota: La genealogia delle virtù che costituisce questo capitolo appartiene
ad uno schema che figura nella sua forma completa in Prologo, par. 8, e che
si ritrova diverse volte nelle opere di Evagrio. L'ordine dei termini è qui
rovesciato, in modo di mettere a capo la carità e presentare il suo stretto
rapporto con l'impassibilità.
82. Proprio come l'anima, operando per mezzo del corpo, percepisce le membra che sono malate, così anche l’intelletto, esercitando la propria attività, riconosce i propri poteri e, attraverso ciò che ostacola l’anima, scopre la prescrizione che è in grado di guarirla.
Nota:
Quando l'intelletto giunge vicino all'impassibilità, diventa capace di
"esercitare la propria attività", cioè la contemplazione (si veda anche il
cap. 86), ed è in grado di fare una diagnosi sullo stato della sua anima e
prescrivere i rimedi appropriati.
83. L’intelletto, mentre fa guerra contro le passioni, non è in grado di contemplare le ragioni della guerra, poiché è come qualcuno che combatte nella notte; ma quando avrà acquisito l'impassibilità riconoscerà facilmente gli stratagemmi dei nemici.
Nota:
Vi sono due specie di guerra contro i demoni: quella che si fa nella notte,
cioè in modo empirico e senza una vera strategia, e quella che si fa in modo
in modo chiaro, con la conoscenza. La prima è fatta da coloro che sono
ancora assoggettati alle passioni, mentre la seconda presuppone
l'impassibilità, poiché essa discende dalla contemplazione spirituale,
quella che considera gli esseri nei loro logoi (cioè nella loro essenza).
84. Il termine della
vita pratica è la carità, quello della conoscenza è la teologia; l’inizio
dell’una è la fede e l’inizio dell’altra è la contemplazione naturale. Quei
demoni che attaccano la parte passionale dell'anima sono quelli che si
oppongano alla vita pratica, mentre quelli che disturbano la parte razionale
sono chiamati nemici di
ogni verità ed avversari della
contemplazione.
Nota: Questa distinzione tra due categorie di demoni si ritrova nell'opera
In PS. 117,10: "Tra i demoni, gli uni gli facevano la guerra in quanto
"pratico", gli altri in quanto "contemplativo"; egli respingeva i primi con
la giustizia ed i secondi con la saggezza. Riguardo a giustizia e saggezza
si veda il cap. 89.
85. Nessuna delle cose che purificano i corpi rimane con loro una volta che sono stati purificati, ma le virtù tutte insieme purificano l'anima e rimangono con essa quando è purificata.
Nota: Le virtù non giuocano solo un ruolo
nel corso della practiké, servendo a purificare l'anima. Esse rimangono in
essa una volta raggiunta l'impassibilità, continuano ad assisterla e la
proteggono dagli assalti dei demoni.
86. L’anima ragionevole agisce secondo la natura quando la sua parte concupiscibile anela alla virtù, quando la sua parte irascibile combatte per la virtù e quando la sua parte razionale percepisce la contemplazione degli esseri.
Nota:
Evagrio riprende la concezione filosofica, di origine platonica, secondo la
quale la virtù è l'attività conforme alla natura. Questa concezione è
largamente diffusa presso i Padri greci; si veda per esempio Vita di Antonio
di sant'Atanasio, cap. 20: "Se l’anima custodisce la sua facoltà spirituale
conforme alla natura, allora nasce la virtù. La custodisce conforme alla
natura quando essa rimane tale e quale è stata creata, ed è stata creata
bella e retta al di là di ogni misura... L’anima, infatti, è retta quando
custodisce la facoltà spirituale conforme alla natura così come è stata
creata; ... se perseveriamo nello stato in cui siamo stati creati, dimoriamo
nella virtù".
87. Colui che
progredisce nella pratica riduce le sue passioni, mentre colui che
progredisce nella contemplazione riduce la sua ignoranza. Delle passioni ci
sarà infine una completa distruzione, ma per quanto concerne l'ignoranza si
dice che ce n’è una che avrà un termine, mentre ce n’è un’altra che non
l’avrà.
88.
Le cose che sono buone
o cattive, a seconda di come vengono utilizzate, producono sia le virtù che
i vizi. Sta alla prudenza usarle con lo scopo di raggiungere l’uno o l'altro
di quei due fini.
89. Dato che l'anima
razionale è costituita da tre parti, secondo il nostro saggio maestro,
quando la virtù è nella parte razionale essa si chiama prudenza, intelligenza e
saggezza; quando si trova nella
parte concupiscibile si chiama continenza, carità ed astinenza; quando si
trova nella parte irascibile si chiama coraggio e perseveranza; e quando si
trova nell’intera anima si chiama giustizia. Ora il compito della prudenza è quello di dirigere l'attacco contro
le potenze opposte, proteggendo le virtù, opponendosi ai vizi ed
amministrando ciò che sta nel mezzo secondo le diverse circostanze; compito
dell’intelligenza è quello di dirigere armoniosamente tutte le cose che ci
aiutano a raggiungere il nostro obiettivo; compito della saggezza è quello
di contemplare le ragioni degli esseri corporei ed incorporei. Il ruolo
della continenza è quello di guardare in modo impassibile gli oggetti che
provocano in noi fantasie irrazionali; ruolo della carità è quello di
comportarsi nei riguardi di ogni immagine di Dio [, cioè di ogni uomo,]
quasi nello stesso modo che nei riguardi del Prototipo [perfetto dell’uomo],
quand’anche i demoni esercitassero le loro arti per contaminarla; ruolo
dell’astinenza è quello di rigettare con gioia ogni piacere del palato; non
temere i nemici e sopportare validamente le calamità appartiene alla
perseveranza ed al coraggio. Quanto alla giustizia, il suo ruolo è quello di
realizzare una certa sinfonia ed armonia tra le [diverse] parti dell'anima.
90. Il
frutto delle sementi
sono i covoni di frumento, quello delle virtù è la conoscenza; e come le
sementi sono accompagnate dalle lacrime, così i covoni sono accompagnati
dalla gioia (Sal 126(125), 6)
I DETTI DEI SANTI MONACI
91. È necessario anche consultare i percorsi dei monaci che
hanno viaggiato rettamente prima di noi e correggersi con riferimento ad
essi. Perché si possono trovare molte pregevoli cose che hanno detto e
fatto; ad esempio, uno di loro disse che una dieta un po' secca e regolare,
unita alla carità, porta un monaco più rapidamente al porto
dell’impassibilità. Lo stesso [monaco] ha liberato uno dei fratelli che era
turbato da visioni notturne raccomandandogli di aggiungere al digiuno il
servizio ai malati. Quando veniva interrogato diceva che nulla spegne tali
passioni come la misericordia.
92. Uno dei saggi di quel tempo venne a trovare il giusto
Antonio, dicendo: "Come puoi resistere, o padre, senza il conforto dei
libri?" Rispose: "Il mio libro, o filosofo, è la natura degli esseri creati,
ed esso è lì ogni volta che desidero leggere i pensieri e le parole di Dio".
93. Il “vaso di elezione” [cioè lo strumento della scelta divina, Cfr. At 9,15], che era il vecchio Macario l'egiziano, mi chiese: “Perché mai quando proviamo rancore verso gli uomini facciamo sparire dalla nostra anima la facoltà di ricordarci [di Dio], mentre nel provare rancore verso i demoni ne rimaniamo indenni?”. E siccome non sapevo come rispondere e gli chiedevo di darmene una ragione, disse: “È perché nel primo caso si va contro la natura della parte irascibile dell’anima, mentre nel secondo si usa di essa secondo la sua natura”.
Nota: Fa parte della natura della parte irascibile il combattere i demoni.
Si vedano i capitoli 24, 42 e 73. Si confronti anche il Trattato a Eulogio
21: “Colui che prova rancore verso i demoni non ne prova riguardo agli
uomini, ed è in pace con i demoni colui che prova rancore nei riguardi di
suo fratello”. Questo Apoftegma mette in evidenza l’opposizione tra ricordo
dei mali e ricordo di Dio: se noi conserviamo il ricordo del male che ci
hanno fatto gli uomini, perdiamo il ricordo di Dio.
94.
In un'occasione ho
fatto visita al santo Padre Macario nel pieno calore del mezzogiorno ed ho
chiesto dell'acqua da bere mentre ardevo di sete. E lui disse: “Accontentati
dell'ombra, perché ci sono molte persone che ora sono in viaggio per terra o
per mare e non hanno neanche questa”. In seguito, mentre discorrevo con lui riguardo
all’astinenza, disse: “Coraggio, figlio mio. Per venti interi anni non ho
assunto pane, acqua o sonno a sazietà. Infatti, controllavo il peso del pane che mangiavo, la
misura dell’acqua che bevevo e poi, appoggiandomi contro il muro, mi concedevo una piccola parte di sonno.
95.
Uno dei monaci fu
informato della morte di suo padre e disse a colui che lo informò: "Smettila
di bestemmiare, mio padre è immortale".
96.
Un fratello chiese a uno degli anziani se gli permetteva di mangiare
con sua madre e le sue sorelle quando tornava a casa per una visita. Ma lui
disse: "Non devi voler mangiare con una donna".
97.
Un fratello possedeva solo una copia del Vangelo; lo vendette e
destinò il ricavato al nutrimento degli affamati, dicendo queste memorabili
parole: "Ho venduto lo stesso libro che mi diceva: ‘Vendi quello che
possiedi, dallo ai poveri’" (Mt
19,21)
98.
Nei pressi di
Alessandria c'è un'isola situata nella parte settentrionale del lago che si
chiama Maria; là vi abita un monaco, il più eccellente dei seguaci degli
Gnostici, che ha proclamato che tutto ciò che fanno i monaci viene fatto per
cinque motivi: Dio, la natura, l’abitudine, la necessità, il lavoro manuale.
Diceva anche che la virtù è per natura una, ma che assume una specifica
forma in ciascuna delle facoltà dell'anima; infatti, diceva, la luce del
sole, pur non avendo forma, prende naturalmente la forma dalle finestre
attraverso le quali passa.
99.
Un altro monaco disse: “Io mi spoglio dei piaceri in modo da
eliminare ogni pretesto alla parte irascibile. Io so che [l’ira] combatte
sempre a profitto dei piaceri, disturba il mio intelletto e bandisce la
conoscenza”. Uno degli anziani diceva che la carità non sa come
immagazzinare cibo o denaro. E lo stesso [monaco] diceva: “Io non so di
essere mai stato ingannato due volte dai demoni sullo stesso argomento”.
100.
Non è possibile amare
in modo uguale tutti i fratelli, ma è possibile agire con sopportazione nei
rapporti con tutti, purché non abbiamo in noi rancori ed odio. I sacerdoti
sono da amare dopo il Signore, perché per mezzo dei sacri misteri e dei
sacramenti ci purificano e pregano per noi. Dobbiamo venerare i nostri
anziani come gli angeli, poiché sono loro che ci addestrano ai combattimenti
e ci guariscono quando siamo morsi dalle bestie selvagge [i demoni].
[EPILOGO]
Ecco quello che volevo dirti, mio
caro fratello Anatolio, riguardo alla vita ed alla virtù pratica: questo è
tutto ciò che abbiamo trovato da raccogliere, per grazia dello Spirito
Santo, spigolando tra le nostre uve in maturazione: ma quando “il sole di giustizia”
(Mal 3,20) splenderà su di noi nella sua altezza, e l'uva sarà
completamente matura, allora noi berremo il suo vino,
che “allieta il cuore dell'uomo”
(Sal 104(103),15), grazie alle preghiere ed all'intercessione del
giusto Gregorio che mi ha piantato e dei santi Padri che ora mi irrigano e
per la potenza di Cristo Gesù nostro Signore che “mi fa crescere” (1
Cor 3, 6-7), “al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli
dei secoli. Amen!” (1 Pt 4,11).
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8 giugno 2021 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net