EVAGRIO PONTICO
Sugli otto pensieri
Introduzione
di Robert E. Sinkewicz
Estratto e tradotto da "Evagrius of
Pontus - The Greek Ascetic Corpus", Oxford University Press 2003
Il trattato
Sugli otto pensieri
sopravvive in due versioni greche, una più breve (recensione A) ed
una più lunga (recensione B). La recensione A di solito porta il titolo
Trattato sugli otto spiriti malvagi,
mentre la
recensione B più comunemente riporta il titolo
Sugli otto pensieri.
Il testo che
si trova nella Patrologia Greca (PG) di J. P.
Migne, PG vol. 79. col. 1145-64, tratto dall'edizione di J. M. Suares, è quello della
recensione A. Nel
1939 J.
Muyldermans pubblicò le principali varianti e aggiunte trovate nella
recensione B.
[1] La
recensione lunga è anche rappresentata nelle versioni siriaca, etiope,
armena e copta, e, almeno parzialmente, in latino.
[2]
La traduzione
presentata di seguito è quella della recensione B, basata sulle raccolte di
Muyldermans ed una nuova raccolta dei seguenti manoscritti: Paris,
Bibliothèque Nationale, Coislin 109, Coislin
123,
Paris gr.
1188;
Athos, Lavra
Γ
93 (Athous
333);
Gerusalemme, Stavrou 55; Venezia, BNSM, Antico 131 (471).
[3] Nella
tradizione manoscritta siriaca
gli Otto pensieri sono
preceduti da un altro testo, attribuito a Evagrio, a cui vengono
dati vari titoli come
Sui segni della quiete.
A causa della
sua stretta associazione con gli
Otto Pensieri, Muyldermans originariamente suggerì che
questo testo servisse come una sorta di prefazione all'opera, e Gabriel
Bunge lo incluse nella sua traduzione tedesca.
[4] Tuttavia,
non vi è alcuna prova di una prefazione nella trasmissione greca degli
Otto pensieri,
ed il corrispondente testo greco
Sui segni della quiete,
in tre diverse recensioni, è attribuito a Giovanni di Licopoli,
Epifanio di Salamina e Macario di Egitto, come scoprì successivamente
Muyldermans.
[5]
È quindi improbabile che
il testo
Sui segni della quiete appartenga a Evagrio.
Ci sono più di ottanta manoscritti greci esistenti del testo, la maggior
parte dei quali attribuisce la paternità a Nilo di Ancira. Tuttavia, due
importanti testimoni del manoscritto attribuiscono il testo ad Evagrio, vale
a dire, Protaton 26 e Lavra
Γ
93.
[6]
Nella sua pubblicazione del Berlin Evagrius ostracon, H.-M. Schenke
ha mostrato che il testo è stato tradotto in copto saidico in un primo
periodo ed ha mantenuto la sua attribuzione ad Evagrio.
[7]
Inoltre, l'ostracon
copto è un testimone della recensione lunga, poiché fornisce il testo del
paragrafo 22 del capitolo 8, cioè della terza frase dell’ostracon copto. Le
versioni siriaca, araba ed etiope anche collocano il trattato sotto il nome
di Evagrio.
[8]
La paternità evagriana è quindi ora generalmente accettata dagli
studiosi moderni.
[9]
Questo testo evagriano assume la forma letteraria di una serie di saggi
detti o proverbi riguardanti gli otto pensieri o vizi. Molti di questi sono
caratterizzati da un
parallelismus membrorum, dove la prima frase introduce una metafora e la seconda la
chiarisce in relazione al particolare pensiero in questione. In mezzo a
questi brevi aforismi vi sono anche brani più lunghi di discorso ammonitore.
Nella traduzione ho seguito l'esempio della traduzione tedesca di Gabriel
Bunge nel dividere e numerare il testo in modo da indicare queste strutture
letterarie.
[10]
I manoscritti greci dividono il testo in sezioni corrispondenti
agli otto pensieri, fornendo un titolo per ciascuno. Ho aggiunto dei numeri
ai titoli, pur mantenendo le divisioni "in capitoli" del testo di
Migne/Suares (che non si trovano nei manoscritti) tra parentesi tonde. La
recensione B offre spesso un testo migliore e più comprensibile del testo A
di Migne ed, in modo più significativo, fornisce 18 aggiunte al testo, di
cui 11 alla fine. Le aggiunte sono pienamente in accordo con il resto del
testo sia per quanto riguarda il loro stile che per il carattere evagriano
del loro contenuto. C'è quindi ogni probabilità che appartengano veramente
al testo originale di Evagrio o ad uno da lui rivisto.
La natura dell'esposizione degli otto pensieri nel trattato suggerisce che
l'opera fosse intesa come un'introduzione all'argomento per un lettore od un
pubblico ancora impegnato nelle fasi iniziali della lotta contro le passioni
o la “vita pratica”, come Evagrio la chiama. Anche le istruzioni sulla vita
pratica sono elementari e mancano della sofisticata analisi della tentazione
e dei suoi rimedi, che si trova nel trattato
Sui pensieri.
Ci sono solo riferimenti
temporanei ed allusioni velate agli stadi che si trovano al di là del
raggiungimento dell'impassibilità.
La lotta con la gola sta all'inizio ed è il fondamento della vita pratica.
L'appetito smodato di cibo e bevande alimenta il desiderio e l'attrazione
per i piaceri in senso generale, ma più specificamente la gola, ed una dieta
eccessivamente grassa porta ad un aumento del desiderio sessuale. Un consumo
smodato di cibo provoca anche indolenza, ottundimento dell'intelletto ed
oscuramento della mente, rendendo così impossibile la preghiera ed il
raggiungimento della conoscenza. Il rimedio applicato alla gola è
l'astinenza, che a sua volta è il punto di partenza di ciò che Evagrio qui
chiama "contemplazione pratica". Con ciò presumibilmente intende la
considerazione intelligente della natura della lotta contro i pensieri e
l'applicazione della terapia appropriata a ciascuno di essi. In questo senso
lo stesso trattato
Sugli otto pensieri rappresenta proprio una
tale "contemplazione pratica". Forse, ad un altro livello, il termine può
riferirsi anche alla lettura meditativa delle Scritture per trarne le
intuizioni richieste per la conduzione della vita pratica. L'astinenza
richiede un regime alimentare rigoroso (ma non distruttivo) orientato verso
cibi "magri" ed un limitato apporto di acqua. Soprattutto, bisognava evitare
di mangiare a sazietà. In accordo con le prescrizioni della fisiologia e
delle pratiche sanitarie conosciute del suo tempo, Evagrio capì che
l’astenersi da un eccessivo accumulo di liquidi nel corpo avrebbe limitato
la produzione di sperma e quindi avrebbe frenato i desideri sessuali.
[11]
Inoltre, l'astinenza lasciava il monaco più attento, più sveglio
per la pratica delle veglie notturne. L'astinenza è quindi intesa come il
primo passo nel controllo disciplinato del corpo e dei suoi appetiti ed il
primo passo verso lo "stato di pace" che Evagrio altrove chiama
impassibilità.
Questa presentazione della tentazione della gola è abbastanza semplice e
tratta in gran parte delle pratiche ascetiche esterne e corporee. Nella
sezione 1. 24-5, tuttavia, ci sono i due aforismi del viaggiatore lento e
veloce: quest'ultimo arriva rapidamente in città così come il monaco
astinente raggiunge presto lo stato di pace, mentre il primo si accampa nel
deserto così come il monaco goloso non riesce a raggiungere l'impassibilità.
Successivamente, in 7.13 sulla vanagloria, Evagrio contrappone la "strada piena di
ladri" alla "città della pace" e poi mette in guardia dal vantarsi delle
proprie sostanze mentre si è in viaggio, mentre annuncia il godimento di
tutti i beni entrando in città. La città in tutti questi casi è chiaramente
un simbolo per il raggiungimento dell'impassibilità e probabilmente anche
per l'ingresso nella contemplazione naturale, soprattutto se la "città della
pace" in 7. 14 è intesa come un'allusione a Gerusalemme. Evagrio ha
elaborato questo simbolismo in
KG 6 .
49, “
Egitto
significa male; i
deserti
la vita pratica; la terra di
Giuda, la contemplazione dei corpi;
Gerusalemme,
quella degli esseri
immateriali; e
Sion è il simbolo della Trinità
“.
[12]
Il "viaggiatore lento"
accampato nel deserto è quindi uno che è fermo nelle lotte della vita
pratica.
La fornicazione è il marchio dato nella tradizione monastica a tutte le
tentazioni di natura sessuale, siano esse compiute in atti o intrattenute
solo nel pensiero. Evagrio ha tre consigli fondamentali da offrire: evitare
la sazietà nel cibo e nelle bevande, evitare tutti gli incontri con le donne
e praticare la vigilanza sui propri pensieri, ricordi e fantasie. Quindi,
c'è di nuovo qui l'enfasi sull'astinenza come prerequisito assoluto per la
conservazione della castità. Più in particolare, Evagrio insiste sui grandi
rischi che comporta la semplice vista di una donna, per non parlare di
qualsiasi conversazione o familiarità con una di esse. La vista di una donna
è una freccia avvelenata dal veleno di bestie selvagge o da un fuoco
impetuoso o da una potente ondata di tempesta in mare: tutto porta
all'inevitabile rovina e distruzione. Quindi, le occasioni pubbliche come le
feste locali od anche i giorni di festa della chiesa devono essere evitate
per il rischio di incontrare donne che porteranno quasi inevitabilmente
nella tentazione il monaco. Questo è lo stesso senso di pericolo delle donne
che si trova nel
Apophthegmata patrum.
[13]
La vigilanza deve essere
esercitata anche sulla propria vita interiore per evitare che l'immagine di
una donna venga intrattenuta troppo a lungo nella mente ed accenda il
desiderio sessuale. Nelle dichiarazioni del cap. 2. par.
18-19
Evagrio mette in relazione il desiderio sessuale con lo stato di
impassibilità in due circostanze contrastanti. Da un lato, il monaco deve
stare attento a presumere troppo in fretta di aver raggiunto
l'impassibilità, nel caso che gli incontri con le donne non suscitino più la
passione. D'altra parte, è segno di impassibilità se il ricordo di una donna
non suscita più alcun desiderio sessuale, soprattutto se l'asceta è in grado
di interpretare allegoricamente le membra della donna come simboli delle
facoltà dell'anima. Evagrio qui allude a un metodo per contrastare le
tentazioni che discute più a lungo in
Pensieri
24. La pratica si
basa sul principio che la mente non può essere occupata simultaneamente da
due rappresentazioni mentali. Quindi è possibile usare un pensiero od una
rappresentazione mentale per scacciarne un altro, ma questa tecnica è più
appropriata per lo gnostico.
[14]
Anche allora Evagrio avvertirà, come fa qui, che la forma di una
donna non deve essere mantenuta nell'intelletto per molto tempo a causa del
rischio di suscitare il desiderio.
[15]
L'avarizia in primo luogo è un attaccamento alle proprietà, ma alla fine
rappresenta tutti i legami con le realtà materiali. Evagrio la descrive
soprattutto graficamente nel suo ritratto della persona prossima alla morte
che, anche in quel momento, non può lasciare andare i beni di questo mondo e
quindi muore in piena miseria. I beni sono trattati come fardelli che
possono solo causare ansie e preoccupazioni ed in loro assenza si soccombe
ad un senso di perdita e frustrazione che Evagrio chiama tristezza. Un
attaccamento ai beni, siano essi beni reali conservati o anche ricordi di
beni dimenticati, è in definitiva un'anacoresi imperfetta, una rinuncia
incompleta al mondo. Il monaco sensato si prende cura dei bisogni primari
del corpo per cibo, vestiario e rifugio, ma niente di più. In tal modo
ottiene una libertà di mente e di cuore che possono poi essere dedicati alla
preghiera, alla lettura ed agli altri esercizi ascetici che lo aiuteranno ad
“accumulare tesori in cielo” (Matteo 6,20). La presentazione dell'avarizia
di Evagrio qui è molto semplice; mette da parte l'argomento senza discutere
i vari modi in cui un attaccamento ai beni ed al mondo materiale può
manifestarsi nella vita del monaco.
Il significato che Evagrio attribuisce al vizio dell'ira ed al suo opposto,
la virtù della mansuetudine, è immediatamente indicato dal ruolo loro
assegnato nel progresso spirituale dell'individuo. Un'"anima libera
dall'ira" è un tempio dello Spirito Santo; una persona mansueta è ricordata
da Dio; "Cristo reclina il capo su uno spirito mite"; ed "un intelletto in
pace" è "un rifugio per la Santissima Trinità"; la pazienza e la libertà dal
risentimento aprono la strada alle visioni dei santi angeli, alla
contemplazione delle ragioni spirituali ed alle risposte ai misteri. In
altre parole, la libertà dalla rabbia e le virtù della mitezza e della
pazienza sono direttamente correlate al culmine della vita spirituale,
mentre l'irascibilità e tutte le manifestazioni di rabbia "oscureranno la
mente", "ispessiranno l'intelletto", e renderanno la stessa preghiera un
abominio a Dio. La rabbia e l'irascibilità disumanizzano l'individuo stretto
nelle loro mani, trasformandolo sempre più verso un animale, verso una
natura bestiale, e per Evagrio la rabbia è la caratteristica dominante del
demoniaco.
[16]
La persona consumata dalla rabbia perde gradualmente la sua umanità
anche nel senso di una graduale ma inevitabile discesa in una sorta di
follia e perdita di intelligenza, che si manifesta in allucinazioni ed
incubi terrificanti.
In questo trattato Evagrio inverte il suo solito ordinamento dei pensieri in
cui la rabbia segue la tristezza.
[17]
Tuttavia, non è assolutamente rigido sul suo schema, perché si
rende conto che ci sono variazioni nell'esperienza ascetica di diversi
individui e personalità. Così, in
Praktikos 10, ammette che la
tristezza può derivare da una frustrazione dei propri desideri, specialmente
quei desideri che ancora legano l'individuo ai beni a cui ha rinunciato,
oppure può seguire da vicino la rabbia. Anche all'interno di questo capitolo
degli
Otto pensieri,
Evagrio consente entrambe le possibilità. Il primo aforisma scorge
tristezza derivante da pensieri di rabbia, ma in seguito viene detto che è
costituito dalla “frustrazione di un appetito”, proprio come in
Praktikos
10. Evagrio offre quindi un elenco più dettagliato di questi “appetiti
frustrati”: per il cibo, per il piacere sessuale, per la vendetta, per la
stima umana e per i beni - oppure in sintesi l’insoddisfazione di qualsiasi
piacere mondano. Ciò indica molto chiaramente che l'ordine schematico
Evagriano non è destinato ad essere applicato rigidamente all'esperienza
ascetica di tutti, anche se Evagrio sostiene che lo schema ha una validità
generale che è utile per discernere il funzionamento dei pensieri. Il
rimedio alla tristezza è il distacco assoluto da tutti i piaceri del mondo,
perché quando non si desidera nulla dal mondo materiale, la tristezza non
può trovare punto d’appoggio. Questa è “tristezza mondana”, ma Evagrio
ammette anche una “tristezza divina”, che purifica l'anima dai peccati.
Questo è un riferimento alla compunzione
(katanuxis) ed al lutto
(penthos) che costituiscono l'operato del pentimento.
[18]
I consigli che Evagrio
offre riguardo alla tristezza sono ancora per lo più di natura elementare,
con solo riferimenti temporanei agli ostacoli posti dalla tristezza per la
contemplazione e la pura preghiera.
Evagrio definisce l'accidia come un rilassamento o perdita della “tensione”
dell'anima. Con ciò significa una perdita del proposito di impegno o
dedizione alla meta della vita ascetica ed agli esercizi necessari per
raggiungere quella meta. Questa perdita di cuore per la vita ascetica si
manifesta in numerosi modi, che vanno dall'abbandono della cella alle
distrazioni durante la lettura. Il monaco afflitto da accidia andrà
dappertutto pur di evitare il compito a portata di mano. Egli visiterà i
malati, si impegnerà a servire gli altri, fantasticherà su di un viaggio da
qualche parte, cambierà il suo solito lavoro manuale o si trasferirà in un
altro luogo che immagina essere più favorevole alla vita monastica. Poi c'è
il meraviglioso quadro che Evagrio dipinge del monaco che non riesce ad
applicarsi alla sua lettura (6. 15). La
perseveranza, la pazienza e l'attenta applicazione ad ogni compito fino al
suo completamento sono qui forniti come rimedi per l'accidia.
La descrizione della vanagloria è presentata in termini molto semplici:
qualsiasi desiderio di stima umana può interferire e distruggere tutte le
virtù e le pratiche della vita ascetica, siano esse astinenza, elemosina,
preghiera od altro. Il ricorso necessario è l’essere diligenti nel
nascondere la propria virtù mentre si è ancora sulla strada della vita
pratica. Solo con l'arrivo nella Città, simbolo del raggiungimento
dell'impassibilità e della conoscenza spirituale, cesseranno i pericoli
posti dalla vanagloria e si potrà allora godere di “tutte le cose buone”.
[19]
Per Evagrio, l'orgoglio è fondamentalmente il mancato riconoscimento di Dio
come fonte di ogni virtù e bontà nella propria vita; non c'è vittoria o
risultato ascetico che si distingua dall'aiuto di Dio. Con orgoglio, quindi,
l'individuo si allontana da Dio riponendo tutta la sua fiducia nelle proprie
forze. Per un essere umano seguire una tale direzione significa uscire dai
confini della natura e rifiutare il Creatore. Di conseguenza, la persona
orgogliosa viene abbandonata da Dio e ceduta ai demoni che poi tormentano il
poveretto con fantasie e allucinazioni terrificanti fino a quando non viene
sopraffatto da una specie di vile paranoia.
I capitoli aggiuntivi posti alla fine dalla recensione B formano una
miscellanea che tratta una varietà di argomenti già trattati in precedenza
(8. 21-31). I primi due aforismi
continuano la discussione sulla pratica della virtù nascosta in contrasto
con l'orgoglio; i successivi quattro trattano la vita pratica sotto il
simbolo del bastone; tre aforismi sono dedicati alla castità ed al pericolo
del piacere; e gli ultimi due chiudono il trattato con un ulteriore
riferimento alla vanagloria ed all'orgoglio.
Infine, vale la pena notare che in questo trattato Evagrio si riferisce agli
otto tipi di tentazione quasi esclusivamente con il termine "pensiero/i".
Solo quattro volte designa un vizio con la formula "lo spirito di x" (2. 4;
6. 3, 5, 18) e neanche una volta usa la formula "il demone di x". C'è
infatti un solo riferimento al termine "demone" in tutto il trattato, in
8.10: "L'anima dell'orgoglioso è
abbandonata da Dio e diventa un oggetto di gioia maligna dei demoni". Ciò è
in netto contrasto con altri trattati in cui i termini "demone" e
"demoniaco" sono onnipresenti, ad esempio 55 volte in
Eulogios, 72 volte in
Praktikos e 98 volte in
Pensieri.
[1] J.
Muyldermans, “Une nouvelle recension du De octo
spiritibus malitiae de S. Nil”,
Le Muséon,
52 (1959), 23
5—74. Muyldermans offre informazioni dettagliate sulle prime edizioni del
testo greco, sui manoscritti utilizzati, nonché informazioni sulle versioni
latina, siriaca, etiope e armena del testo.
[2] Sulle
versioni latina, etiope e armena vedi Muyldermans, ibid., 259-61, 263-4 e
264-73. Per la versione siriaca vedere J. Muyldermans, Evagriana Syriaca.
Textes inédits du British Museum et de la Vaticane,
Library of the Muséon, 31.
(Louvain: University Publications, 1952),
55-9.
[3] L'elenco delle principali varianti e aggiunte si trova
nell'Appendice 1.
[4] J. Muyldermans, Evagriana Syriaca, 84-6, 120-22, 154-5; G.
Bunge (trad.), Evagrios Pontikos:
Über die acht Gedanken (Würzburg: Echter, 1992), 26-7, 31-3.
[5] J. Muyldermans, " Un texte grec
inedit attribué a Jean de Lycopolis ", Recherches de Science Religieuse, 41 (1953), 525-30; e "
À propos, d’un texte grec attribué a Jean de Lycopolis ", ibid., 43
(1955), 395-401. Cfr. CPG2. 2469.
[6] Per la descrizione dei manoscritti, si veda A. Guillaumont, SC
170, 166-82.
[7] H.-M. Schenke, " Ein koptischer
Evagrius ", in P.
Nagel (ed.),
Graeco-Coptica:
Griechen mid Kopten im bytrantinischen Ägypten,
Wissenschaftliche Beitrage der
Martin-Luther-Universität
(Halle-Wittenberg, 1984), 219-30; id., "Das Berliner
Evagrius-Ostrakon (P. Berol. 14 700)",
Zeitschriftfur für ägyptische Sprache und Altertumskunde, 116 (198 9), 90-107
[8] A. e C. Guillaumont, "Évagre le Pontique", Dictionnaire de
spiritualité, 4 (1961), 1737. Per la versione etiope si veda O. Spies, "Die
äthiopische überlieferung der Abhandlung des Evagrius
περί
όκτώ
λογισμών", Oriens
Christianas, 3a ser., 7 (1932), 203-28; e sull'arabo si veda Kh.
Samir, "
Évagre le Pontique dans la tradition arabo-copte ", in Marguerite Rassart-Derbergh e Julien Ries (a cura di),
Actes du IVe
Congrès Copte. Louvain-la-Neuve,
5—10 septembre 1988 Publications de l’Institut Orientaliste de Louvain,
41 (Louvain-la-Neuve: Institut Orientaliste, 1992), 2: 135-6.
[9] A. Guillaumont, “Evagrius Ponticus. Leben, Werk,
Nachwirkung, Quellen/Literatur ", Theologische Realenzyklopädie, 10 (1982), 566.
[10] Evagrios
Pontikos:
Über die acht Gedanken
(Wurzburg:
Echter, 1992).
[11] Per i retroscena
sull'argomento si veda Teresa M. Shaw,
The Burden of the Flesh.
Fasting and Sexuality in Early Christianity (Minneapolis, Minn.:
Fortress, 1998), 53-64.
[12] Cfr. anche
KG 5.
6 e 5.
88.
[13] Cfr.
Apophthegmata A66 (Arsenio 28), "Non sai che sei una donna e che il nemico si
serve delle donne per combattere i santi?"; A184 (Daniele 2), "Non intingere
la mano nella scodella di una donna e non mangiare con lei, e così ti
allontanerai un poco dal demone della concupiscenza".
[14] Cfr.
Praktikos 58, “E se dovessi essere
in grado (di dissipare un pensiero di fornicazione con uno di vanagloria o
viceversa), sappi che sei vicino alle frontiere dell'impassibilità”, perché
la tua mente ha trovato la forza di annientare i pensieri dei demoni per
mezzo di pensieri umani. La capacità di scacciare il pensiero della
vanagloria "mediante l'umiltà o il pensiero della fornicazione mediante la
castità sarebbe la prova della più profonda impassibilità".
[15] Se uno
dovesse o meno affrontare i pensieri direttamente ed entrare in una lotta
con essi era una questione di qualche controversia nella tradizione del
deserto. Si veda Apophthegmata A 728 (Poemen 154): "Il padre Poemen disse:
“Fornicazione e maldicenza, l’uomo non deve mai nemmeno parlare di pensieri
di questo genere, né covarli in cuore; perché appena vuole esaminarli nel
suo cuore, non ne ricava vantaggio. Solo se è feroce con essi, troverà
quiete“”.
[16] Cfr.
Praktikos
5; KG
1. 68, 3. 44,5. 11.
[17]
L'ordinamento abituale si trova in Antirrhetikos, Praktikos e Vizi.
[18]
Si veda
Eulogios
7. 6-7.
[19] Cfr.
Praktikos 51. “La persona che ha
raggiunto la conoscenza e gode del piacevole frutto che ne deriva non si
lascerà più persuadere dal demone della vanagloria ”.
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15 aprile 2021 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net