BASILIO DI CESAREA
INTRODUZIONE ALLE "REGOLE"
Umberto Neri [Piccola famiglia dell’Annunziata (PFA)]
Estratto dal libro "Basilio - Opere ascetiche" - Ed. UTET – 2013
(Ndr: Il testo originale è completo di molte note esplicative.)
d) Le Regole Morali
«Questo libro» prometteva Basilio nel Prol. 6
«insegnerà ciò che è determinato dalla Scrittura quanto alle cose da cui
dobbiamo astenerci e a quelle per le quali chi mira alla vita eterna e al
regno dei cieli deve mostrare il massimo zelo, e si tratteranno pure in
dettaglio i doveri particolari di ciascun grado o categoria di persone».
Si tratta, in pratica, di una raccolta di testi per temi: circa 1500
versetti del Nuovo Testamento
[1], ordinati sotto capitoli e titoli,
nei quali, come si esprime lo stesso Basilio, l’insegnamento biblico è
«compendiato in regole, per facilitarne… la comprensione».
L’opera è quindi di apparenza alquanto modesta: a
prima vista, soltanto un’antologia, «una monotona catena di testi biblici»;
e ancora più modesta – appena un «sottile fascicolo» – doveva mostrarsi
nell’edizione alla quale si riferisce il De fide, nella quale i testi
non erano neppure riportati, ma indicati con rimandi numerici: «Abbiamo
apposto a ciascuna regola anche il numero dei capitoli della Scrittura che
essa contiene…, cosicché chi legge la regola… prenda poi la Scrittura
stessa, cerchi il capitolo indicato dal suddetto numero, e trovi la
testimonianza diretta sulla quale si fonda la regola».
Eppure è questa l’opera che Basilio presenta con maggiore ampiezza nei suoi
prologhi, con la quale non cesserà di confrontarsi lungo il corso del suo
ministero e della sua attività letteraria, e nella quale – proprio mentre
vuole nascondersi nelle vesti dell’antologatore – egli maggiormente rivela
la sua originalità e il rigore del suo pensiero: è questo, in una parola, il
cuore del corpus asceticum.
È a quest’opera che Basilio attribuisce la massima importanza, anche perché
questa è l’unica «regola» da lui data, inviata – con questo titolo – ai suoi
asceti: essi – «coloro che combattono la lotta della pietà» – ne sono i
diretti destinatari.
Nella quaestio vexata della datazione – si va
dal 360 agli ultimi anni della vita di Basilio – preferiamo attenerci
all’opinione che colloca le Morali ai primordi dell’esperienza monastica di
Basilio, pur non escludendo che l’opera possa aver avuto – curate dallo
stesso Basilio – diverse successive edizioni.
L’opera si presenta ben costruita, con connessioni in alcune parti evidenti;
dalle condizioni del servizio di Dio, si passa a parlare dell’autorità e
dell’interpretazione delle Scritture, del modo e dello spirito
dell’ubbidienza ai precetti, dei misteri, poi – apparentemente in modo meno
ordinato – della penitenza, delle virtù e dei vizi (con un intermezzo sul
rapporto fra Antico e Nuovo Testamento e un’appendice su un problema di
ermeneutica), e infine dei diversi ordini e delle diverse situazioni dei
fedeli, per chiudere con una stupenda sintesi sulla vita cristiana in
genere.
Ma – se non si vuole svisare tutto l’insieme, intendendolo come la semplice
formulazione di una serie di precetti e la trasformazione del vangelo in
legge – occorre non dimenticare le premesse basilari formulate nei
«prologhi»: da un lato l’estrema serietà e l’assoluta forza obbligante della
parola di Dio, che comporta la necessità vitale – per il singolo e per la
Chiesa stessa – di un’ubbidienza senza riserve, e dall’altro la necessità
primaria di custodirsi irreprensibili nella fede, poiché è in essa l’unica
giustificazione del cristiano.
[1]
A malincuore, e solo perché sollecitato e quasi costretto ad
accelerare i tempi, Basilio rinunciò a inserire i luoghi dell’Antico
Testamento: «In un primo momento volevo anche aggiungere alle regole
quei passi dell’Antico Testamento che erano in parallelo con
ciascuna delle citazioni del Nuovo. Ma… la necessità urgeva, perché
i nostri fratelli in Cristo ora ci facevano particolare pressione
perché adempissimo le vecchie promesse» (De fide 692 b). Comunque
invitò caldamente i lettori a integrare di propria iniziativa: «A
chi lo voglia, quanto ho qui esposto offre un’occasione sufficiente
perché egli possa prendere da sé l’Antico Testamento, e da se stesso
conoscere l’armonia che vi è in tutte le Scritture ispirate» (ib.).
e) Le cosiddette «Regole»
«Di seguito alle Morali aggiungeremo tutte le risposte date alle domande dei fratelli a proposito del comune esercizio della vita secondo Dio»; con queste poche parole, nella prefazione al corpus asceticum se ne annuncia la parte più cospicua: le cosiddette Regole ampie e le Regole brevi. Su queste «domande dei fratelli» e sulle «risposte» di Basilio ci dà un’informazione di prima mano Basilio stesso, scrivendo nel 375 a Eustazio di Sebaste, e ricordando i tempi ormai lontani degli inizi della sua vita monastica: «Visitavo le fraternità e vi passavo le notti in preghiera, e parlavo e ascoltavo, intrattenendomi in discorsi su Dio». Altrove è più prodigo di dettagli: «Noi, a cui è stato affidato il ministero della Parola, …permettiamo in privato a tutti quelli che si presentano di interrogarci liberamente, sia su quanto concerne la sanità della fede, sia sulla verità della vita secondo il vangelo del Signore nostro Gesù Cristo. Da parte vostra, … oltre a quello che imparate in comune, dovete interrogare anche privatamente. (…) Se dunque per questo ci ha riuniti Iddio, e c’è piena quiete dai tumulti esteriori, … non diamo di nuovo i nostri corpi al sonno, ma trascorriamo quel che resta della notte… nella ricerca di ciò che è necessario». Basilio, che si presenta come un
πρεσβύτερος, al quale è stato dato il «carisma dell’insegnamento», e «affidato il ministero della Parola», e che altre volte, con la predicazione, «rende testimonianza in pubblico alla Chiesa tutta», è ora – dopo la preghiera notturna dei monaci alla quale ha partecipato – disponibile a rispondere a ogni questione, sulla fede o sulla vita evangelica, postagli dai fratelli: le sue risposte sono spesso accuratamente annotate dai tachigrafi. così è nata la raccolta delle «Regole», che – come si vede bene – di regole non hanno altro che il nome; anzi, neppure quello, come un tempo si credeva: Basilio non le ha mai chiamate così, e i titoli più primitivi le designano, correttamente, come «domande».
D’altra parte, fa opportunamente notare Gribomont, «chiamare le “domande”
őpor è un controsenso, del tutto opposto al pensiero di Basilio, per il quale solo la Scrittura faceva legge, e che non ha mai pensato di presentarsi personalmente come un’autorità»; tuttavia, poiché le edizioni continuano a chiamarle «Regole», anche noi – dopo aver ben messo in guardia sul valore di questo termine – ci atterremo all’uso comune.
Questa serie di domande-risposte ha avuto due edizioni successive curate dallo stesso Basilio. Introduzione alla prima era il citato proemio alle attuali «Regole brevi»; il testo di quell’edizione – perduta nel greco – è stato conservato in una traduzione latina del sec. V°, opera di Rufino— conosciuto dalla
Regula Benedicti, inserito nella
Concordia regularum
di Benedetto di Aniana (sec. IX, e largamente diffuso in tutto il mondo occidentale – e in alcuni manoscritti siriaci. Quello che il Gribomont, scopritore del testo siriaco, ha chiamato
Piccolo asceticon, comprendeva, dopo il proemio, 203 domande-risposte (183 nella tradizione siriaca)
come risulta dal proemio stesso, fu pubblicato da Basilio quando, o presbitero o già vescovo, visitava assiduamente le comunità monastiche che vivevano sotto l’influsso congiunto suo e di Eustazio.
Rispetto a questa edizione, quella di cui abbiamo il testo greco è di non poco posteriore e alquanto più vasta (Grande asceticon): amplia infatti notevolmente, suddividendoli in 23 capitoli, i primi 11 numeri dell’edizione precedente, li fa seguire da 32 nuovi capitoli del medesimo genere, e – lasciando invariate le altre domande-risposte preesistenti – ne aggiunge un buon centinaio; venendo così a costituire, il tutto di questa nuova edizione, 55 capitoli lunghi e 318 domande-risposte (Alle 313 comunemente note, Gribomont ne ha aggiunte 5 (extravagantes), riportate in alcuni manoscritti).
Sia nel
Piccolo
che nel
Grande asceticon
sono nettamente individuabili due sezioni. Ad esse – come ben mostra la storia del testo – certo non corrispondevano, originariamente, due serie numericamente distinte o diversamente intitolate: ma nemmeno si può dar torto a quelle recensioni manoscritte che le hanno contrassegnate con i nomi, rispettivamente, di ampie (sono i primi 55 «capitoli» dei quali si è detto) e brevi
(le domande-risposte seguenti).
Questa titolazione, tuttavia, non è ancora adeguata, perché non è soltanto questione di lunghezza: più intrinsecamente, la natura stessa delle due serie è alquanto diversa. Le attuali
Regole ampie, infatti – come già i primi 11 numeri del
Piccolo asceticon
– sono una vera e propria «catechesi sistematica», cioè una ordinata e distesa esposizione di princìpi e di norme generali, accuratamente elaborata e redatta, certo sulla base dell’esperienza e della problematica concreta, da Basilio; mentre le
Regole brevi
non sono che una semplice «raccolta di improvvisazioni orali, senza dubbio scritte dagli uditori così come erano state dette». Quindi, se la forma di domanda appare nelle ampie una «finzione letteraria», nelle brevi possiamo leggere – e tali ci appaiono con immediatezza impressionante – domande verissime, trascritte sovente senza alcuna correzione, e risposte date d’impulso, senza che alcuna mano sia poi intervenuta ad arrotondare la forma o a smorzare la forza. Le ampie e le brevi, dunque, non si ricoprono affatto e – per diversi motivi – sono documenti per noi ugualmente preziosi.
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1 novembre 2023 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net