BASILIO DI CESAREA

INTRODUZIONE ALLE "REGOLE DIFFUSE"


Hans Urs von Balthasar

Estratto da “La vocazione cristiana – Un percorso attraverso la Regola di san Basilio” – Ed. Jaca Book 2003


 

1. Il punto di partenza

Quando Basilio (nato intorno al 330) affrontava gli studi insieme con il suo amico Gregorio di Nazianzo in Cesarea di Cappadocia, a Costantinopoli e successivamente ad Atene, il monachesimo era già presente da tempo nella Chiesa. Nell’anno in cui terminò gli studi, nel 356, morì a 105 anni Antonio il grande; all’epoca molti anacoreti avevano seguito il suo esempio vivendo dispersi o in piccoli gruppi. Anche Pacomio in un primo tempo era stato uno di loro; successivamente, però, per chiamata divina intorno al 318 aveva raccolto i dispersi in vita comune, cenobitica; morì nel 346 di peste. A lui si deve la prima regola monastica. In Palestina, Siria e Mesopotamia si diffuse soprattutto la vita anacoretica, in Asia Minore vi era la forte, austera personalità di Eustazio, vescovo di Sebaste, il quale aveva sì aperto le porte al movimento, tendeva, però, ad un aspro integralismo [1]. Eustazio era un po’ come la guida spirituale della illustre famiglia dalla quale proveniva Basilio: sua nonna, Macrina senior, che si prese cura del ragazzo, era allieva di Gregorio il Taumaturgo, il santo vescovo di Neocesarea e discepolo di Origene; sua madre Emmelia, figlia di un martire, e soprattutto sua sorella, Macrina la giovane, che si ritirò in un possedimento della famiglia lungo il fiume Iris, in una sorta di vita eremitica ed esercitò un influsso decisivo sul fratello; tutte queste figure femminili testimoniano di tale cura.

Il giovane Basilio provò a sua volta un’ammirazione non attraversata dal dubbio per Eustazio e più tardi, già vescovo, dovette affrontare una delle esperienze più dolorose quando per motivi dogmatici dovette separarsi in aspra disputa dall’ammirato maestro. Ora, da discepolo, gli scrive la prima sua lettera giunta fino a noi e viaggia disperatamente sulle sue tracce per incontrarlo [2]. Tra il suo ritorno da Atene e la sua decisione di rinunciare al mondo sotto l’influsso di Eustazio, non vi è spazio per una carriera da retore che gli veniva offerta. Al ritorno a casa aveva ricevuto il battesimo da Dianio, vescovo di Cesarea, secondo il costume, all’epoca ancora diffuso, di riceverlo in età adulta. Più tardi, Basilio stesso si rivolgerà contro questa abitudine [3]. Per Basilio, quindi, battesimo e conversione alla vita ascetica andavano in modo significativo di pari passo. In questo modo abbiamo già toccato il nucleo centrale di tutte le questioni che premono intorno alle regole di Basilio: per questo cristiano integrale non si danno né due atti personali di donazione a Cristo né due forme di vita cristiana. Il suo sì alla Chiesa di Cristo è il suo sì alla sequela di Cristo. Cosa significa, difatti, «annunciare la morte di Cristo?». «Si annuncia la morte del Signore assimilando l’insegnamento del Signore che dice: “Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24). Similmente l’apostolo dice: “Il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14). Proprio questo noi abbiamo promesso di fare quando abbiamo ricevuto il battesimo. Lo stesso apostolo dice: “Quando siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte” (Rm 6,3). Spiegando, poi, quello che egli intende con questa espressione aggiunge: “Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato” (Rm 6,6). Purifichiamoci inoltre da ogni disordinata appartenenza a questo mondo e sforziamoci di diventare degni della testimonianza dell’apostolo: “Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3). Pieni di fiducia possiamo allora dire con confidenza: “Viene il principe del mondo; egli non ha nessun potere su di me”» (Gv 14,30) [4].

Per poter comprendere l’unità di battesimo e promessa di vita, bisogna immedesimarsi nella situazione dei primi secoli. All’epoca il battesimo degli adulti con la rinuncia pienamente cosciente al mondo era il modello teologico per il sacramento che tutto fondava. All’epoca, inoltre, non era ancora presente il monachesimo o la vita religiosa separata dal mondo con uno specifico voto.

Gli antichi riti battesimali sottolineavano in modo impressionante la rinuncia a Satana, signore del mondo. Erano, però, solo la parte negativa cui faceva immediatamente seguito quella positiva di votarsi a Cristo. Antichi ordinamenti battesimali alessandrini e copti prescrivono al battezzando di liberarsi di ogni vestito e ornamento per compiere questo solenne atto di abiura e di promessa. Inizialmente questa usanza era diffusa anche in Siria. La liturgia dell’Asia Minore dipendente da Bisanzio presenta ovunque questo preciso parallelismo di distacco, apotaxis (nei confronti di Satana e del mondo) e di syntaxis (a Cristo). Proprio Basilio insiste su questo punto [5]. Il mondo mondano indicato in oriente con l’espressione: «Satana, la sua pompa e i suoi angeli», viene specificato con maggiore chiarezza in occidente al momento del battesimo: Tertulliano usa l’espressione: «rinunciare al mondo» [6] e «rinunciare al diavolo» [7]. Cipriano scrive di «rinunciare al diavolo e al mondo» [8]: per lui le pompae diaboli sono le vanità del mondo, le ricchezze e i godimenti [9]. Ambrogio presenta lo stesso parallelo: «Ti è stato chiesto, ricordati cosa hai risposto: tu hai rinunciato al diavolo e alle sue opere, al mondo, ai suoi godimenti e alla sua opulenza» [10]. Similmente Bario: «In haec sacramenta juramus, renuntiantes diabolo, saeculo, peccatis» [11]. Rinuncia e promessa sono i due lati di un’unica promessa o patto. Già Tertulliano usa le due espressioni: sponsio e pactus [12], egli parla di una firma solenne, scritta (fidei pactionem obsignare) [13]. Più tardi anche Leone parlerà di un pactus divinus [14]. Ildefonso dice a proposito del battesimo: «Duae sunt pactiones, prima in qua diabolo renuntiatur... secunda in qua creditur Deo» [15]. Parimenti anche i libri pseudo(?) basiliani presentano il battesimo come una professione scritta di morire al mondo e al peccato, cosa che farà peraltro anche la Regola diffusa al capitolo 8 [16]. Questi scritti non si rivolgono direttamente alle comunità ascetiche, bensì al clero e ai catechisti, per stabilire le condizioni di ammissione al battesimo. Evidentemente i casi in cui la decisione di battezzarsi coincise con quella della vita ascetica furono molto più numerosi di quanto riteniamo: «Anche se i libri De baptismo non sono autentici, varrebbe comunque che l’atto del battesimo, accolto liberamente e negli asceti di solito coincidente con la decisione di aderire alle fraternità, occupa un posto significativo nella prospettiva di Basilio. Questo carattere sacramentale dell’impegno monastico chiarisce inoltre lo stretto legame stabilito dalle regole di Basilio tra la Chiesa e la comunità ascetica» [17]. Per ora è per noi importante solo la considerazione che nel battesimo cristiano in generale era importante tanto la rinuncia al mondo nella sequela di Cristo morto, quanto il voto per la vita, che nell’ascetismo cristiano non si tratta d’altro che di prendere in tutta serietà questo voto. Per questo, di conseguenza, nell’ascetismo premonastico e nel primo monachesimo i voti non hanno alcuna importanza; sarebbero apparsi in effetti come un doppione inutile della promessa battesimale. Solo le vergini costituiscono un’eccezione, in quanto il loro fidanzamento era inteso come l’equivalente ecclesiastico della promessa matrimoniale, con il gradino intermedio già presupposto da Paolo (1Cor 7,36-38) di un matrimonio spirituale, cioè della casta convivenza di una vergine e di un asceta. Paolo sembra favorevole alla prosecuzione di questo fidanzamento spirituale, ritiene tuttavia possibile la sua trasformazione in un matrimonio [18]. Qui l’istituzione del matrimonio era aperta dall’interno sulla nuova alleanza, cioè al matrimonio tra Cristo e l’umanità come nucleo più interiore della Chiesa. Non importa se poi, per considerazioni pratiche, l’ascetismo nella convivenza dovette essere proibito. L’«istituzionale» nel voto verginale si manifesta proprio là dove si leva alta la protesta contro l’istituzione del matrimonio spirituale, in Cipriano [19], e non a caso il voto di verginità resta delimitato: esplicitamente non include né il voto di povertà, né quello di obbedienza. Al contrario è significativo che la severa vita religiosa nei monasteri pacomiani della Tebaide, nonostante la più rigorosa obbedienza, non conosce i voti. Anche in Basilio c’è da presupporre questa concezione, un mutamento viene inteso e definito come una innovazione [20].

In questo modo abbiamo già toccato la seconda domanda: fino a che punto l’ascetismo forma nella Chiesa un proprio ordinamento o gruppo, al punto da giustificare il successivo concetto di stato? Quando, al ritorno in patria, osserva i gruppi di asceti raccolti intorno ad Eustazio, Basilio vede di fronte a sé lo stesso problema di sociologia ecclesiastica che si era posto dai tempi della Chiesa primitiva fino a lui in molteplici varianti, non molto significative dal punto di vista teologico. Egli vede raccolti intorno al vescovo un gruppo di cristiani che cercano di prendere in tutta serietà le indicazioni del Vangelo, di edificare la loro concreta esistenza sulle parole di Cristo e di mettere la loro vita a disposizione della Chiesa. Formano essi stessi il nucleo della comunità [21]. Secondo il consiglio di Gesù non si sposano e secondo i suoi insegnamenti e l’esempio della primitiva Chiesa gerosolimitana mettono le loro proprietà a disposizione della Chiesa e dei poveri. Anche il deciso commiato dei seguaci di Gesù dalla famiglia è, secondo i sinottici, un incontestabile segno di serietà. In questo modo diviene chiaro che «l’abbandono di tutto» e la «rinuncia a tutto» richiesti da Gesù non potevano essere intesi in senso meramente spirituale. In che rapporto stavano ora queste persone che «facevano sul serio» con il resto della comunità, in particolare con i laici sposati e con il clero (anch’esso per lo più sposato)? Fin dall’inizio si poneva il rischio di considerarsi una élite, anzi come la vera Chiesa. Già Ignazio di Antiochia mette in guardia le vergini e gli asceti dal vantarsi, dal considerarsi al di sopra del vescovo (Ad Polyc. 5,2). A Cartagine, al tempo di Tertulliano, gli asceti si riuniscono solo per la liturgia, benché anche qui essi «formino chiaramente il nucleo invisibile dei fedeli» [22]. La secessione porta, però, allo scisma montanista in cui questo nucleo ritenendosi la santa Chiesa pneumatica si separa dal clero mondanizzato della Chiesa. Ad Alessandria al tempo di Clemente e soprattutto di Origene assistiamo ad una diversa soluzione del problema. Qui i cristiani si dividono in due «gradi»: i credenti semplici (Pistici) e gli gnostici che tendono alla perfezione con una serietà radicale (ascesi di purificazione e contemplazione della Scrittura). Solo questi ultimi realizzano la vera idea di Chiesa, tuttavia l’umiltà induce lo spirituale «ad integrarsi e a sottomettersi alla Chiesa clericale e ad obbedire al vescovo. Lo gnostico rifiuta un incarico nella Chiesa come un onore mondano. Egli concepisce il suo compito come un puro servizio. Egli non è un magister, ma un minister: serve ai fratelli opponendosi ai filosofi pagani e agli eretici, combattendo con i demoni, prendendo su di sé i peccati degli altri, divenendo loro maestro e guida spirituale. Proprio in questo modo, però, egli si pone in piena concorrenza con il clero, poiché come il ministro ecclesiastico ha il diritto di perdonare i peccati. Il chierico e l’uomo spirituale sono qui l’uno di fronte all’altro come i due poli, intorno ai quali si muove la vita religiosa della comunità» [23]. Sono così presenti tutti gli elementi del successivo monachesimo eccetto l’anacoresi, la separazione visibile dalla comunità e il ritiro dal mondo.

Subito dopo il monachesimo eremitico e cenobitico dell’Egitto fece spazio a questo orientamento all’anacoresi. Ma non è questa la linea che conduce a Basilio. Egli, il suo amico Gregorio di Nazianzo e suo fratello Gregorio di Nissa si considerano eredi spirituali di Origene da loro tenuto in grande considerazione. La loro immagine della pura Chiesa sarà caratterizzata molto di più dall’Alessandrino che dai monaci egiziani. Inoltre essi si imbattono nei prodromi del monachesimo dell’Asia Minore, sollecitato e diretto dal vescovo, che per primo realizza l’unione personale, più tardi spesso imitata, di clero e vita secondo i consigli. Basilio proseguirà questa linea. «Non sarà una mancanza di coerenza che lo porterà a lasciare nuovamente la vita solitaria e a divenire vescovo, il monastero non è la Chiesa stessa, bensì rappresenta più chiaramente ciò che la Chiesa sarebbe se fosse pura... Basilio era allo stesso tempo un monaco e un uomo di Chiesa. Egli ha unito i due stati di vita non solo esteriormente: egli fu vescovo in quanto monaco e come vescovo non smise di essere monaco» [24]. Naturalmente, il problema tra cristiani comuni e perfetti, che in senso stretto per Eustazio come per Basilio non esisteva, poteva prendere fuoco da questo nuovo modello, per di più a partire dai due lati: a partire dai «perfetti» che nella Chiesa si concepivano come «sistematici» ed in senso ancora più esteso di Origene si elevavano come lo stato di perfezione pneumatica sopra i semplici fedeli; e a partire dagli essoterici, la Chiesa clericale ufficiale, che rifiutava una tale radicalizzazione dell’ideale della Chiesa come fanatismo. Quest’ultima reazione avvenne al sinodo di Gangra (probabilmente del 340-341), presieduto dal vescovo della corte costantiniana Eusebio di Nicomedia. Il sinodo respinse l’ascesi eccessiva di Eustazio e dei suoi sostenitori, il loro abbassamento degli sposati a cristiani di secondo piano, il loro appartarsi dalla liturgia della comunità, la formazione di alcune conventicole, l’introduzione di un abito obbligatorio per gli asceti e così via. Con il pretesto dell’anacoresi e della castità queste persone abbandonano i consorti, i parenti, i bambini in tenera età; gli schiavi fuggono dai loro padroni. Ciò che viene messo sotto accusa dai prelati è proprio la pretesa di questo movimento di estendere la riforma a tutta la Chiesa, il disprezzo manifesto per gli accomodamenti mondani della nuova Chiesa imperiale. Di fronte al fatto che il movimento venne fatto proprio e sviluppato da Basilio il quale, sia pure tra opposizioni, venne eletto vescovo, ci si può chiedere fino a che punto i contemporanei presero sul serio i sinodi [25]. Si era tuttavia toccato un problema vero: quello del rapporto tra il gruppo di quanti volevano fare sul serio e quello della Chiesa universale. Ed era un problema perché questo gruppo non era ancora classificato come una sorta di «stato» e non era delimitato nei confronti dei mondani nella Chiesa, laici e clero. Per di più il movimento stesso contribuì ad acuire la questione: un discepolo radicale di Eustazio, Erio, che sottolineava proprio quelle parti del programma che erano state condannate a Gangra, spingeva verso l’anacoretismo e verso la separazione dei perfetti dalla comunità; le caratteristiche del messalianismo in formazione si intravedono già con la sua distinzione di una «Chiesa dei giusti» che rispettano i comandamenti e devono esercitare le opere di misericordia corporale ed una «Chiesa dei perfetti» che non hanno bisogno di rispettare i comandamenti dei giusti ma possiedono il carisma massimo, l’amore, e rinunciano ad ogni bene terreno, ma soli giungono alla visione di Dio [26]. Il fatto che vi siano dei punti di contatto tra le sette stravaganti dei Messaliani (che era un ramo estremo degli Eustaziani) e la spiritualità dei grandi padri cappadoci oggi, dopo le ricerche di W. Jaeger su Gregorio di Nissa e le omelie di Macario, non può più essere messo in discussione [27]. Noi non abbiamo bisogno di seguire questa direzione perché l’orientamento fondamentale di Basilio non va nella direzione delle esagerazioni messaliane. Essi hanno in comune solo la questione, da incanalare in un più vasto contesto, del rapporto tra la «Chiesa di tutti» e la «Chiesa dei perfetti».

L’intera portata storico-teologica dell’opera riformatrice di Basilio il Grande, l’intera lotta che si manifesta chiaramente nelle redazioni che si susseguono l’una all’altra delle sue Regole gira intorno a questa domanda: «Il cristiano che intende fare sul serio può, e deve, o meno comprendersi come appartenente ad un gruppo particolare all’interno della Chiesa? Vi sono modi e forme diverse dell’essere cristiano oppure una sola? In altre parole: Dove sta il nucleo forte della Chiesa e della sua idea, lì dove la sequela di Cristo viene presa con serietà inflessibilmente vissuta, oppure lì dove una istituzione impersonale costituisce una cornice generale, neutrale per perfetti e imperfetti? La risposta di Basilio all’ultima domanda non ammette dubbi. Essa è identica alla risposta dei suoi maestri Origene ed Eustazio: la Chiesa nella sua peculiarità si definisce con la sequela vissuta e questa, poi, ha la sua particolarità nel prendere alla lettera i consigli evangelici. Per questo in un primo tempo, l’orientamento di Basilio va completamente nella direzione di impedire, tanto dal punto di vista teologico che pratico, una istituzionalizzazione della vita secondo i consigli, la sua settorializzazione in uno stato particolare e in una forma accanto ad altre. Come tutti i grandi fondatori, come Pacomio, Agostino, Francesco e Ignazio e probabilmente anche Benedetto, egli non ha in un primo tempo in mente alcuna istituzione, bensì l’integrale vita cristiana ed ecclesiale. Se ne deve dedurre che tutti loro, in particolare Basilio e Francesco, si dimostrano per questo degli utopisti estranei al mondo? Oppure, nel caso di Basilio, come degli integristi forse pericolosi, che tengono troppo poco conto della natura umana e mirano in astratta unilateralità ad una meta irraggiungibile? Ma cosa dire allora del discorso della montagna e di tutti i discorsi di sequela e di invio del Vangelo? Il rimprovero contro i discepoli, non si ritorce contro il Maestro? E non è meglio riconoscere con semplicità che come non può esserci un sistema dominato dalla mente umana circa la rivelazione e il suo rapporto alla ragione, parimenti non può esistere un sistema della Chiesa di Cristo in cui tutto, anche lo spirito del tanto più, anche il di più escatologico è incluso in un rapporto soddisfacente, rappresentato e addomesticato dalla reciproca relazione delle differenti forme di vita cristiana?

 

2. Il percorso delle regole di Basilio

 

In base alle ricerche di F. Laun [28] il benedettino J. Gribomont ha scritto una ampia storia testuale degli scritti ascetici di san Basilio e ha potuto documentare, accanto a singoli risultati parziali, il fatto che il santo ha compiuto un percorso dall’originaria concezione attraverso diversi stadi intermedi fino ad una redazione conclusiva.

La prima stesura, l’unica che può essere definita «regola» in senso stretto e che venne come tale intesa da Basilio e dai suoi contemporanei, non è proprio una regola monastica, bensì una «regola ecclesiastica». Essa è la prima opera di colui che, tornato a casa dagli studi, si era ritirato nel romitaggio sull'Iris. Sono estrapolati più di 1500 versetti dal Nuovo Testamento, ripartiti in 80 regole (öρος) con sottocapitoli e brevi, incisivi titoli e frasi-guida. Formano così quel che si può definire l’enchiridion del cristiano deciso. Sono le HΘIKA, le «Regole morali» [29]. Esse si rivolgono a tutti i cristiani di buona volontà, contengono verso la fine anche istruzioni bibliche per il clero e i laici: gli sposati, le vedove, le vergini, i genitori, i padroni e i soldati. Basilio non ha mai voluto scrivere un’altra regola. Tuttavia i veri destinatari dell’opera erano probabilmente il gruppo di asceti, riuniti intorno ad Eustazio. Con le «Regole morali» Basilio cerca di guadagnare l’unico possibile fondamento teologico per collocare il loro movimento, sospettato di settarismo e di conventicola, all’interno della Chiesa universale. Egli non tratta della loro particolarità, bensì dell’esistenza cristiana in generale. Nel momento, però, che interpreta questa con la radicalità del Vangelo, come Origene ed Eustazio, fa del particolare l’universale. Non si può allora, come fa p. Humbert Claude [30], asserire che con queste regole Basilio si rivolge esclusivamente ai monaci, né al contrario, con L. Vischer [31] affermare che egli «plasma la Chiesa sul modello del monastero», dato che di fronte alla situazione in cui Basilio venne a trovarsi e che egli intenzionalmente cercò di interpretare arcaicamente, come appartenente al primo cristianesimo, non si può parlare di «monachesimo» e di «monastero».

Il secondo stadio è costituito da quello che Gribomont ha chiamato il «piccolo Asceticon», che ci è conservato solo nella traduzione latina di Rufino ed è stato incorporato da Benedetto di Aniane nella sua raccolta di regole [32]. In questo stadio troviamo ancora unito quanto nel terzo passaggio verrà separato, con notevoli aggiunte, nelle due collezioni: le «regole diffuse» e le «regole brevi». All’origine vi è la redazione di conversazioni che Basilio, già sacerdote e forse vescovo, tenne nei suoi viaggi con i gruppi di asceti di Eustazio, nelle ore notturne dopo la liturgia della sera, in conversazioni familiari dove gli venivano poste delle domande cui egli rispondeva nello spirito delle sue regole evangeliche. Queste sue risposte vennero trascritte dagli «stenografi» di Eustazio [33]. Anche nella stesura successiva ampliata quando la forma della domanda-risposta è poco più che una finzione letteraria, Basilio ha voluto per questi intrattenimenti la forma di domanda e risposta. Non solo    dal punto di vista letterario, ma anche per la teologia e la storia della Chiesa «il piccolo Asceticon» costituisce una interessante forma di passaggio tra un gruppo di cristiani decisi, aperti alla Chiesa universale e un ordine monastico che si stava organizzando e istituzionalizzando. I carismi dell’organismo generale della Chiesa passano a funzioni e ministeri, senza rinunciare all’interpretazione carismatica; l’obbedienza verso la regola di Cristo così fortemente sottolineata dalle «Regole morali» prende la forma di un’obbedienza concreta anche nei confronti dei superiori della fraternità. Una certa anacoresi (contemporaneamente intesa come distacco dai beni temporali), che già i parenti di Basilio avevano compiuto ed egli stesso aveva praticato e incoraggiato, diventa una premessa molto utile, anzi necessaria della perfezione [34]. Tuttavia tutto resta ancora aperto all’ideale delle Etica (le Regole Morali. Ndr): obbedire a Dio in Cristo in tutto ciò che è richiesto dalla regola del Vangelo. In questo modo, infatti, è già compiuto per Basilio il passo difficile e decisivo, è già presa la grande decisione della vita, è rifiutato il pericoloso libertinismo degli eremiti in cui ogni anacoreta dava l’impressione di poter agire secondo il proprio beneplacito. La dodicesima questione dice: «È lecito o conveniente permettersi di fare o dire ciò che si crede bene ma non è confermato dalla testimonianza delle Scritture ispirate da Dio?».

La risposta rimanda alla perfetta obbedienza del Figlio di Dio così come la presenta Giovanni e continua: «Chi dunque può giungere a tal grado di follia da osare qualcosa da sé stesso o anche solo concepirlo nel pensiero, proprio lui che ha bisogno dello Spirito santo e buono quale guida per dirigersi sulla via della verità nei pensieri, nelle parole e nelle azioni ed è cieco e avanza nelle tenebre privo del sole di giustizia, il Signore nostro Gesù Cristo, che lo illumina con i suoi comandamenti come con raggi di luce?» [35]. Non è tanto difficile obbedire ad un uomo quanto lasciar spazio in sé al divino Spirito di obbedienza nei confronti del comandamento di Cristo. Se una parola della Scrittura è comandamento per il cristiano, allora bisogna obbedirvi in ogni situazione e fino alla morte; se, invece, la Scrittura permette la libera scelta, allora vale la considerazione di Paolo che dice: «Tutto mi è lecito, ma non tutto edifica. Nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma ciascuno quello degli altri» (1 Cor 10,23s) [36].

Il       terzo e ultimo stadio è costituito dalla redazione, conservata in greco, delle regole diffuse e brevi, che correttamente dovrebbe chiamarsi il «grande Asceticon» e non contiene propriamente delle regole, bensì istruzioni e precisazioni che regolano la forma di vita degli asceti che ora si può ben chiamare monastica. Benché le regole diffuse tendano a una certa sistemazione teologica, più che sviluppare un argomento esse in realtà presuppongono alcune situazioni di fatto (ad esempio la vita celibataria e tutto ciò che ha a che fare con la castità). Le regole diffuse contengono quanto di definitivo Basilio ha selezionato e ordinato dal materiale informe di innumerevoli singole disposizioni (regole brevi) date oralmente. Qui la vita ascetica ha preso forma a partire dalle necessità della convivenza. Questa stessa, peraltro, viene ampiamente giustificata a partire dalla Scrittura: l’uomo è di natura socievole, lo è ancora di più come cristiano; l’apologo paolino del corpo e delle membra viene applicato alla più ristretta comunità dei monasteri. L’anacoreta non ha la possibilità né di praticare umilmente l’amore del prossimo né di lasciarsi correggere dal prossimo. Corre allora il pericolo della superbia. ministeri nella vita religiosa sono carismi della guida. Il superiore è «l’occhio», solamente Cristo è il «capo». L’ordinamento carismatico è ancora presente dappertutto: lì dove sono presenti diversi e dichiarati carismi di guida, gli interessati devono succedersi nella guida e prestarsi reciprocamente obbedienza nell’umiltà, mentre la comunità deve vigilare sul corretto esercizio del carisma ed eventualmente criticarlo. Basilio appare qui più arcaico e, per quel che riguarda la possibilità di applicazione, più ingenuo del saggio Pacomio o di Benedetto quali a priori concepiscono l’obbedienza in modo più rigoroso. «Basilio non fu né fondatore né superiore, per questo per tutta la sua vita gli rimase estranea l’espressa preferenza di Pacomio per una concezione assoluta e centralistica dell’obbedienza» [37]. L'obbedienza al superiore non è mai al centro dell'attenzione, al contrario nelle Etica, ad esempio, si parla con grande veemenza di obbedienza cristiana fino alla morte, anzi fino alla morte di croce come la regola più esigente verso il Vangelo. La grande finalità dell'ascesi basiliana è la morte con Cristo: come distacco (apotaxis) da tutti i beni terreni e rinuncia (enkrateia) a tutte le passioni e desideri [38]. Questo aspetto ci conduce all'ultimo argomento: allo spirito cristiano che prende corpo nelle regole basiliane.

 

3. Lo spirito della regola di Basilio

 

L’osservatore superficiale ritiene di vedere in Basilio un cristianesimo fortemente impregnato di spirito umanistico, soprattutto in base a due brevi e celebri passaggi stilistici che sono diventati popolari: la lettera (n. 2) al suo amico Gregorio sul fascino della vita eremitica lungo l’Iris e il trattato sulla lettura dei classici greci nelle scuole. Certo, Basilio ha uno stile eccellente e venne per di più toccato dallo spirito della filosofia religiosa greca. Ma ciò che qui lo interessava era soprattutto la possibilità di servirsi della metafisica platonica e dell’etica stoica per esprimere e rendere comprensibili le esigenze ascetiche del Vangelo. Se il monachesimo egiziano reagì ai compromessi della nuova ideologia dell’impero cristiano soprattutto con il distacco fisico, il colto cappadoce reagì con una teologia morale ben delineata che difficilmente può sfuggire alla qualifica di integralismo, anzi di rigorismo evangelico. Soprattutto Dom Amand ha posto il dito sul punto più delicato, la dottrina, evidentemente desunta da Zenone e da Crisippo, dell’identica gravità di tutte le mancanze. Almeno a livello teorico, Basilio non vuole riconoscere la differenza tra peccati gravi e «veniali». Come i comandamenti del Signore costituiscono un tutto indivisibile, così anche l’atteggiamento di obbedienza. Colui che trasgredisce un comandamento, implicitamente li ferisce tutti [39]. Non si può mettere in dubbio che il santo ha sostenuto e più volte ripetuto questo insegnamento. C’è invece da chiedersi che cosa egli voleva esprimere con questa dottrina. Essa lo caratterizza in quanto presso di lui tutto si basa sul comandamento dell’amore e questo è indivisibile: lo si ha o non lo si ha. Per lui, però, che può fare affidamento sul Vangelo di Giovanni l’amore si dimostra in modo assoluto nel rispetto dei comandamenti di Cristo. Se uno preferisce la sua propria volontà a quella del Signore, manifesta in questo i suoi veri sentimenti, il suo deficit d’amore. L’unità di amore appassionato e di zelo per la legge di Cristo è il centro dell’autentico ethos di questo santo. La pienezza del Vangelo gli si fa incontro nei tratti della pretesa di Dio verso l’uomo; ogni parola richiede per lui il sì di risposta dell’intera persona. Come suo fratello Gregorio di Nissa [40], egli sperimenta il lacerante crescendo dell’amore divino, a differenza però di Gregorio sperimenta questo fuoco non nella forma mistico-estatica, bensì pienamente in forma etica. Solo in questo modo si spiega il brivido di terrore presente in quasi tutte le opere del santo di fronte al terrore del giudizio divino che è tanto più sorprendente in quanto Basilio respirava il clima spirituale dei due Gregori e in Origene, di cui egli insieme con il Nazianzeno preparò un florilegio di testi, non si trovava nulla di simile. Donde questo shock spirituale? Gli venne, alla fine del suo periodo di formazione, da uno sguardo improvviso al vero stato della Chiesa: «Colei per la quale Cristo morì, sulla quale egli effuse abbondantemente lo Spirito Santo» è interiormente divisa. I cristiani litigano tra di loro e si contraddicono nella comprensione della Scrittura. «E ciò che è ancora più terribile, ho visto gli stessi ministri della Chiesa confrontarsi in tale contrasto di opinioni e di vedute, li ho visti in tale opposizione agli insegnamenti di Gesù Cristo nostro Signore, li ho visti divorare con una tale mancanza di pietà la Chiesa di Cristo e confondere senza riserbo il suo gregge... che oggi più che mai si adempie in loro la parola: “Perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di loro” (At 20,30)» [41]. Basilio prova non tanto paura per sé, quanto ansia per la Chiesa. «È assolutamente necessario che la Chiesa di Dio sia interamente unita nello Spirito Santo con vincoli di armonia e di concordia secondo la volontà di Cristo. D’altro canto la Scrittura mi ha convinto quanto è pericolosa e dannosa la disobbedienza nei confronti di Dio, soprattutto quando ha per conseguenza la divisione e il litigio interno». A partire da questi pensieri - così prosegue il santo - egli ha studiato la Scrittura per conoscere la volontà di Dio, per sistemare la Chiesa nuovamente nell’ordine dell’obbedienza [42]. A questo aprono l’accesso già le prime regole, le Etica. Partendo dall’invito alla penitenza di Giovanni e dello stesso Gesù, dalla dura esigenza di liberarsi da ogni commistione mondana, conducono nella terza regola al fondamentale comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, che, però, deve essere subito provato dal rispetto dei comandamenti e dimostrato come cristiano dall’amore dei nemici. Il piccolo e il grande Asceticon sfociano ancora più immediatamente nel principale comandamento e giustificano tutto ciò che ne segue con l’unico amore. Il fatto che l’amore viene descritto come un istinto immesso da Dio nella più intima natura dell’uomo serve a Basilio solo per radicare ancora più a fondo l’inesorabilità della pretesa dell’amore cristiano. Certamente la tematica fondamentale della riforma della Chiesa è accompagnata da alcuni soggetti dell’etica individuale, tanto evangelica che ellenistica: il tema dell’interiorizzazione di tutto, l’esigenza di sottrarre la coscienza dall’intreccio delle vicende mondane, per sfuggire ai legami e ai doveri, per raccogliersi su Dio e in Dio, per ricordarsi sempre di lui, il desiderio di pace dell’anima (ήδυχία) e solitudine [43]. Questo desiderio, tuttavia, non diviene assoluto in Basilio, che è perfettamente convinto della necessità della vita sociale proprio a causa dell’amore; egli stesso, abbandonando la solitudine, si metterà a disposizione della vita della Chiesa. Hanno qui un ruolo importante alcuni argomenti dell’etica stoica e cinica, l’esigenza filosofica di abbandonare ogni realtà terrestre e di non legarsi a nulla. Anche questi comandamenti, però, non vengono accolti in modo assoluto, bensì messi al servizio e superati dall’etica evangelica. La realtà spirituale da Ignazio denominata e richiesta con il termine indiferencia·. la libertà da ogni appetito disordinato ò άπροσπαθές) [44], l’essere morto con Cristo ai beni di questo mondo, per il suo nuovo amore, è la condizione previa di ogni autentica decisione cristiana. E certo anche la logica dei rapporti umani spinge la fraternità verso una propria forma sempre più delineata. Questa evoluzione, tuttavia, viene condivisa da Basilio piuttosto controvoglia e sotto la pressione degli eventi.

Per lui, vescovo, la fraternità resta sempre aperta alla comunità della Chiesa; più che favorire, rallenta lo sviluppo verso l’evoluzione; non vuole mai che si spezzi il legame tra battesimo e voti, tra il carisma della Chiesa universale e le cariche monastiche, tra la pura obbedienza al Vangelo e l’obbedienza monastica. Se la fraternità deve essere modello per la Chiesa, a sua volta la fraternità deve essere articolata secondo il modello ideale della primitiva Chiesa di Gerusalemme. Al riguardo i corrispondenti versetti degli Atti vengono citati ininterrottamente [45]. Questa aspirazione verso la Chiesa delle origini la si ritrova certo alla base della fondazione di tutti i grandi ordini, di quello pacomiano e benedettino [46] e di quelli successivi; essa è, tuttavia, caratteristica di Basilio in quanto non tende all’organizzazione di un modello, per così dire, ridotto della Chiesa primitiva, cerca invece di conservare una comunione viva con questa.

Si riconoscerà qui la distanza tra la grande fondazione egiziana di Pacomio, il cui pensiero fondamentale si ritroverà poi in Benedetto, e il modello cappadoce. Il giovane Basilio tra il 356 e il 358 intraprese certo un viaggio in Egitto, Palestina, Armenia e Mesopotamia per conoscervi le forme esistenti di monachesimo. Ma come Girolamo, Cassiano e le due Melanie non fece mai il più esteso viaggio verso i monasteri pacomiani nella Tebaide. Anche Rufino non si spinse mai al di là di Pispir. Certo Basilio ed anche Girolamo poterono ricevere ad Alessandria delle informazioni sui pacomiani, ma una dipendenza letteraria della regola di Basilio da quella di Pacomio non solo non è stata dimostrata [47] ma è del tutto da escludere [48]. Soprattutto la visione di fondo è diversa. Pacomio edifica nel deserto una città di Dio ed invita i cristiani a stabilirvisi sotto la regola salvifica della rinuncia e dell’obbedienza. «Pacomio ha di mira e vuole quanto segue: creare un luogo in cui il numero maggiore possibile di uomini possano purificarsi e santificarsi a gloria di Dio, senza essere esposti a quei pericoli e crisi con cui, secondo l’esperienza, si era soggetti nella vita eremitica» [49]. Il monastero pacomiano è un grande villaggio senza mura, non dissimile da una caverna, le abitazioni sono distribuite secondo le professioni esercitate, sotto una gerarchia rigidamente costituita. E tuttavia l’apparenza di ordinamento draconiano inganna: lo spirito della regola di Pacomio è di saggia moderazione e mitezza e se la Regola (anche qui in piena opposizione a Basilio) dà disposizioni solo circa l’atteggiamento esteriore dei monaci e ammassa un insegnamento accanto all’altro senza un piano visibile [50], gli sparuti resti delle sue opere [51], una volta numerose, danno l’idea di un insieme molto più caloroso e interiore: amore appassionato per Dio e le anime, conoscenza eccellente e molto personale della Sacra Scrittura, devozione che si nutriva interamente del Vangelo, del tutto estranea alla spiritualità ellenistico-alessandrina, che presto, attraverso Evagrio, si diffonderà nei circoli monastici. Verrebbe quasi da parlare di umanesimo evangelico che si distanzia non poco da Basilio. Ma per quanto la pretesa evangelica sia forte in Basilio, la sua fraternità resta aperta al mondo; esteriormente i contatti con le persone di fuori sono più numerosi; alla comunità è annessa una scuola per ragazzi, mentre numerose opere sociali, come ospedali e trattorie, sono gestite dai fratelli [52]. Da questo punto di vista la fraternità è molto di più di un’opera sociale della Chiesa, è un gruppo di persone per vivificare il tutto. J. Gribomont, il miglior conoscitore delle regole, non ha esitato a riconoscere Basilio come patrono non solo degli ordini religiosi dediti all’insegnamento e alla sanità, ma anche delle nuove comunità senza voti. La sua concezione della vita religiosa che dai tempi di Pacomio si è organizzata in forma ben definita, resta intenzionalmente aperta anche se, avanti negli anni, come vescovo dovrà cedere alla tendenza all’organizzazione dove difficilmente si potrà capire fino a che punto questa scelta venne condizionata dall’onda dello sviluppo o invece dalla volontà di ordine della gerarchia, che era ostile tanto dal punto di vista cristiano che umano ad ogni disordine sociale [53].

Tenendo conto dell’insieme, il testo che segue è solo una scelta che, però, vorrebbe rispecchiare il più fedelmente possibile lo spirito della Regola. Al centro sono state collocate le Regole diffuse (Regulae fusius tractatae, PG 31,889-1052) [54]. Mi è tuttavia sembrato importante far vedere anche il movimento di pensiero di cui esse sono il risultato definitivo. Per questo ho premesso all’inizio il passo conclusivo della prima ed autentica «regola», le Etica, da cui diventa chiara l’intenzione che fin dall’inizio determina il tutto. Ugualmente ho fatto il tentativo di dividere le regole in due gruppi: il primo mira a chiarire soprattutto l’atteggiamento interiore, la mente e la decisione cristiana; il secondo la forma esteriore e la struttura di vita che ne derivano. Anche questa suddivisione rispecchia a grandi linee lo sviluppo interno: le regole più importanti del secondo gruppo risalgono all’età avanzata, quelle del primo gruppo, invece, sono già presenti nel piccolo Ascetico, dunque nell’età di passaggio. Dalle Regole brevi (Regulae brevius tractatae, PG 31,1052-1305) sono state riportate quelle che aggiungono o meglio evidenziano un tratto essenziale. Il passo «milizia di Cristo», ugualmente collocato all’inizio, è desunto dalla conclusione della premessa alla più ampia raccolta degli Scritti ascetici (Asketika), di cui fanno parte, oltre le 3 raccolte di regole, altre omelie e discorsi (Praevia institutio ascetica, PG 31,620s). Per quanto sia scritturistico e tradizionale il confronto della vita cristiana con il servizio militare (cfr. Benedetto) si ha qui l’impressione di sentire, a più di 1200 anni di distanza, l’eco delle parole del fondatore della Compagnia di Gesù, una testimonianza in più di quanto tutte le grandi fondazioni siano imparentate nello spirito e di -quanto si va contro lo Spirito quando si isolano le spiritualità, contrapponendole tra di loro.

 


[1] Su di lui confronta, in particolare, F. Loofs, Eusthatius von Sebaste und die Chronologie der Basiliusbriefe, Halle 1898. Altra bibliografia in David Amand, L’ascèse monastique de St. Basile, Maredsous 1948, p. 53.

[2] J. Gribomont, Eusthate le Philosophe et les voyages du jeune Basile de Césarée, in Rev. Hist. Eccl., 1959, pp. 115-124.

[3] PL 31,440A.

[4] Regole brevi 234 (PG 31, 1240 AB).

[5] Exh. ad s. bapt., 5 (PG 31, 435-438); 2 libr. De bapt. (PG 31, 1573 B); De Spir. S., 11,27 (PG 32, 113; ibid., 26,66; 32,118). Gregorio di Nazianzo, Or. 6,22 (PG 35,749); Or. 40,45 (PG 36,421). Crisostomo, Hom. 6 in Col 4 (PG 62,341s).

[6] Ad martyras 2: renuntiare saeculo, PL 1,622.

[7] De anima 35

[8] De lapsis 8: diabolo et saeculo; De bono pat. 12: diabolo et mundo.

[9] De dom. or. 19; De hab. Virg., 7.

[10] De mysteriis 2,2 (PL 16,389); Anon. De Sacramentis 1,2,5 (PL 16,417).

[11] Tr. In Ps 14,14 (PL 9,306); in PS 118,14,18 (PL 9,597).

[12] De anima 35.

[13] De pudic. 9.

[14] Serm. 66,3 (PL 54,366)

[15] De cogn. Bapt. C. 110,111 (PL 96,157s).

[16] PG 31,1573 B; 31,1524C.

[17] J. Gribomont, Le renoncement au mond dans l’idéal ascétique de S. Basile, in «Irénikon» 31 (1958) 307. Per il rapporto tra battesimo e consacrazione monastica cfr. O. Casel, Die Mönchsweihe, in Jhb. hit. 5 (1925); E.E. Malone, Martyrdom and monastic Profession as a second Baptism, in Vom Chr. Mysterium, Zum Ged. v. O. Casel, 1951, pp. 115-134.

[18] Hans Achelis, Virgines subintroductae, 1902; Ad. Jülicher, Die geistliche Ebe in der alien Kirche, in Arch. F. Rei. Wiss. 7 (1904) 373s; cfr. Didaché 11,11.

[19] Hugo Koch, Virgines Christi (TU 31,2) 1907.

[20] Cfr. Lettera ad Anfilochio n. 199, canone 19: «Ma non conoscevamo i voti emessi dagli uomini. Alcuni, però, consideravano se stessi come appartenenti alla vita monastica: di conseguenza davano l’impressione di aver scelto tacitamente la vita celibataria. Del resto, io sono dell’idea che anche in questi casi si può far precedere una interrogazione ed emettere un voto formale affinché, successivamente, nel caso di un’eventuale caduta in una vita carnale e peccaminosa si può procedere contro di loro con la pena propria dei lussuriosi».

[21] K. Heussi, Der Ursprung des Mönchtums, 1936, p. 39.

[22] Ibid., p. 40.

[23] Ibid., p. 47, facendo riferimento a Völker, Volkommenheitsideal des Origenes, del 1931 e rimandando agli esempi da lui portati.

[24] Lukas Vischer, Basilius der Große (diss.) 1953, pp. 49-51.

[25] J. Gribomont, Le Monachisme au ΙV siècle en Asie Mineure: de Gangres au Messalianisme, in Aland-Cross, Studia Patristica II, 1957, pp. 400-415.

[26] Liber Graduum, ed. Kmosko (Patrol. Syr. ih, 1926); Alf Kemmer, Charisma Maximum, 1938.

[27] Two Rediscovered Works of Arie. Chr. hit., 1954. Sul punto controverso e lo stato della controversia cfr. Alf. Kemmer, Gregor von Nyssa und Ps. Makarius, in Studia Anselmiana 38 (1956), 268-282.

[28] Die beiden Regeln des Basilius, ihre Echtheit und ihre Entstehung, in ZfKG 44 (1925), 1-61.

[29] PG 31,70-869. Cfr. Gribomont, Histoire, cit., p. 256s.

[30] La doctrine ascétique de S. Basile de Césarée, 1932, p. 35.

[31] J. Gribomont, Les Règles Morales de S. Basile et le Nouveau Testament, in Aland-Cross, Studia Patristica II (1957) 416-426: «Gli asceti ai quali si unì san Basilio non si presentavano come un ordine religioso che chiede il suo piccolo spazio nella Chiesa, ma come un movimento di riforma che pretende di imporre le sue vedute, più o meno completamente, all’insieme dei cristiani» (cit. a p. 417).

[32] PL 103, 403-554. Oggi la si può consultare nella ristampa anastatica (Graz 1957, vol. I, 67-108) della collezione di regole di Holsten, in cui è contenuta e sviluppata l’antica raccolta di Benedetto di Aniane. Una collezione siriaca è stata trovata da J. Gribomont. Io cito da Holsten.

[33] Holsten I, p. 67s. Lettera 223,5.

[34] Sul cambiamento delle formule cfr. Gribomont, Monachisme, cit., p. 411.

[35] Holsten 1,78 (= Regole brevi 1; PG 31,1080-81).

[36] Ibid., cfr. H. Dórries, Simeon von Mesopotamien, 1941, TU 55,1. Appendice, il contenuto delle domande di Basilio: «Nei Vangeli sinottici e nelle lettere paoline - così si dovrà dedurre dalle questioni esegetiche della collezione - si cercava la regola della propria vita» (cit. a p. 458).

[37] J. Gribomont, Obéissance et Evangile selon S. Basile le Grand, in «Vie Spir. Suppl.» 21 (maggio 1952), 192-215. Cfr. p. 213.

[38] Su questo tema ha scritto in modo esauriente David Amand, op.cit., capitoli 4 e 5: L’ascesi monastica negativa di S. Basilio, pp. 145-262.

[39] Prologo alle Regole diffuse, PG 31, 892D-893 AC. D. Amand, op. cit., 103s., 154-175. I testi stoici, p. 171. Ma anche Origene si era espresso in questo modo: «Chi possiede una virtù le possiede tutte, chi non ne ha una, non ne ha alcuna» (In Mt. Comm. 25; PG 13, 1700A). Similmente Cassiano: «L’essenza di tutte le virtù è una sola» (De coenob. Inst. 5,11; PL 49, 226A). Anche Evagrio era della stessa idea, così come le Omelie di Macario (37,9; PG 34, 756C). Un’idea similare è che le virtù formano una catena indistruttibile finché un anello porta con sé l’altro. Così sosteneva Gregorio di Nissa (De Virg., PG 46, 344; De Inst. Christ., ibid., 301) e dopo di lui lo Pseudo-Macario (Hom. 40,1; PG 34, 764A e la cosiddetta seconda lettera: «le virtù sono di uguale valore tra di loro», ibid., 432B). Bisogna dunque essere molto prudenti quando (come fa D. Amand) si attribuisce a Basilio un rigorismo eccessivo a causa di questa dottrina.

[40] Cfr. il mio Présence et pensée. Essai sur la phil. Religieuse de Grégoire de Nysse, Beauchesne 1942.

[41] De Judicio Dei 1; PG 31, 653B.

[42] Ibid., 4; PG 31, 661 AB.

[43] Lettera 2,2.

[44] Regole diffuse S.

[45] Amand, op. cit., a p. 129, n. 88, dà un elenco delle citazioni.

[46] G. Morin, L’idéal monastique et la vie chrétienne des premiers jours, 3, 1921.

[47] Nonostante quanto sostengono L. Clarke, S. Basil the Great. A Study in Monasticism, 1913, pp. 37-39 e D. Amand, op. cit., p. 45.

[48] Gribomont, Obéissance, cit., p. 193.

[49] H. Bacht, Pachôme, der große «Adler», in «Geist und Leben» 22 (1949), 375.

[50] A. Boon, Pachomiana latina, Lovanio 1932. Ivi anche sunti copti della traduzione greca dalla quale Girolamo tradusse la regola in latino. Integrazioni del testo copto in Th. Lefort, La règle de S. Pachôme, Un nouveau fragment copte, Muséon 48 (1935), 75-80.

[51] Th. Lefort, Oeuvres de S. Pachôme et de ses disciples, CS Chr. Or. 160, Scopt.

[52] E.F. Morison, St Basil and bis Rule, 1912; S. Giet, Les idées et l’action sociale de St. Basile, 1941.

[53] Obéissance, cit., p. 192.

[54] Lavoro previo all’edizione critica: Gribomont, Histoire du texte, cit. Il cambiamento di posizione a causa della chiarezza interna è giustificato anche dal fatto che le Regole diffuse non vennero composte in un unico getto, «sono, invece, l’opera che ha continuamente occupato il suo autore e che ha perso la panoramicità della prima stesura con sempre nuove aggiunte» (Dôrries, op. cit., p. 453).

 


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1 novembre 2023        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net