Il monachesimo bizantino
Il Monte Athos (la Santa Montagna)
Estratto da “Il monachesimo bizantino”, di
Maciej Bielawski, Abbazia San Benedetto 2003- Messo a disposizione dall’autrice
su sito
academia.edu
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Origini monastiche sul Monte Athos
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Pietro l’eremita o l’Athonita
Origini monastiche sul Monte Athos
Il Monte Athos è situato a sud-est di Salonicco. È una penisola lunga circa
trenta chilometri, con una larghezza che va da sette a dodici chilometri. La
cima più alta della catena di montagne che copre questa penisola arriva a 2033
metri; chiamata Athos, ha dato il nome a tutta la penisola. Con l’andare dei
tempi questo luogo è diventato il simbolo del monachesimo bizantino. Il Monte
Athos è anche chiamato e considerato Santa Montagna (in greco
Aghion Oros) e i monaci che vi vivono
possono portare l’onorato nome di aghioriti o di athoniti. Basilio di Iviron, un
monaco contemporaneo dell’Athos, in modo poetico e simbolico riassume il fascino
di questo luogo, dal quale proviene anche l’importanza per il mondo monastico:
«Pochi anni fa, il mio ritorno all’Haghion Oros si rivelò una mistagogia. Il
sole tramontava. Il mare era calmo. Navigavamo lontani dalla penisola, movendoci
direttamente, con un piccolo scafo, da Ouranoupolis a Dafni. L’Athos mi è
apparso smeraldo, tutto celeste. La penisola dell’Oros, avvolta dallo stesso
splendore. I monasteri biancheggiavano sulla sponda del mare. Non era uno
spettacolo esteriore che i nostri occhi coglievano. Né una bellezza sensibile.
Non era semplicemente un momento di pace. Tutto l’Oros, la natura, l’Athos, i
monasteri, i boschi, gli scogli erano carichi di luce gioiosa, permeati di una
celeste bellezza. L’Oros si rivelava invisibilmente come veramente Haghion,
santo. L’epiteto della santità non
appariva qualcosa di estraneo alla sua costituzione. Avvertivi che se qualcuno
avesse potuto dissolverlo, come una zolla di terra, da tale dissoluzione sarebbe
scaturita una luce abbacinante, una fragranza simile a quella che ha inondato
l’universo il giorno della Risurrezione» (AA. VV.,
Voci del Monte Athos,
Cens-Interlogos, 1994, pp. 7-8).
Spesso il monachesimo aghiorita o athonita è considerato come la sintesi e il
rappresentante dell’essenza del monachesimo bizantino, perciò spesso si ritiene
che dal Monte Athos tutto derivi, tutto dipenda e a cui tutto converga. Bisogna
però affermare che l’odierna fama, pressoché mitica, del Monte Athos è il
risultato di una storia assai lunga, in cui sono confluiti il genio del luogo,
una ben riuscita legislazione, un numero considerevole di personalità
straordinarie, che lì hanno vissuto e insegnato la via monastica, e forse un po’
di fortuna nella storia, capace di spingere il pensiero a contemplare il mistero
della provvidenza. Per adesso, tuttavia, ci interessano le origini della vita
monastica su questa penisola e i primi secoli della sua esistenza.
Forse i primi eremiti apparvero sul Monte Athos nel VII secolo, attirati dalla
bellezza naturale della penisola, che sembrava fosse stata creata proprio per il
loro stile di vita. Durante la crisi iconoclasta e l’avanzare della conquista
dei musulmani, questo luogo divenne un “rifugio piacevole” per un numero sempre
crescente di monaci. Ma i ricercatori dell’esichia si trasferivano su questa
penisola non solo perché vi erano costretti, ma anche perché piaceva loro: come,
per esempio, si dice di Eutimio il Giovane che, a metà del IX secolo, si spostò
dal Monte Olimpo al Monte Athos, avendo «sentito della tranquillità del luogo».
Proprio in questo periodo (IX/X secolo), tra i monaci del Monte Athos si
diffuse il racconto riguardante un certo Pietro, chiamato l’eremita o l’Athonita
e rimasto il simbolico iniziatore della ricerca dell’esichia e della solitudine,
che fortemente caratterizza il monachesimo athonita. Le vite dedicate a questo
personaggio narrano che Pietro (vissuto a cavallo dei secoli VIII e IX), in
quanto soldato, fu catturato dagli arabi e imprigionato a Samarra. In prigione
fece voto che, se fosse stato rilasciato, si sarebbe fatto monaco. Appena
liberato grazie a un particolare intervento attribuito a san Nicola, Pietro si
recò a Roma per venerare i luoghi degli apostoli e dei martiri e, accolto dal
papa, si consacrò a Dio come monaco. Il luogo del suo tenore di vita monastica
gli fu indicato, secondo uno dei suoi biografi (il monaco Nicola del X secolo),
dalla Madre di Dio che gli disse: «La tua dimora sarà sul Monte Athos che su mia
richiesta ho ricevuto in eredità da mio Figlio e Dio. Là quelli che
abbandoneranno i turbamenti mondani e abbracceranno le cose spirituali, secondo
le loro forze, e invocheranno il mio nome in verità, fede e disposizione
d’animo, trascorreranno la vita presente nell’assenza di preoccupazioni e
guadagneranno la futura per mezzo di opere gradite a Dio. Questo monte mi dà
grande diletto e il mio spirito su di esso si rallegra: so infatti con certezza
che verrà un tempo in cui sarà colmo di monaci da un capo all’altro e, se essi
seguiranno i comandamenti salvifici, la misericordia del mio Figlio e Dio non si
allontanerà da loro. E li diffonderò nel meridione e nel settentrione del monte,
e l’avranno in possesso da mare a mare, e renderò rinomato il loro nome in ogni
contrada sotto il sole e proteggerò quelli che persisteranno su questo monte».
Secondo la leggenda Pietro, stabilitosi sul Monte Athos, vi visse totalmente
nascosto per 53 anni e la fama della sua santità si diffuse soltanto dopo la sua
morte. Un altro suo biografo (Giuseppe l’innografo, IX secolo) così ha
raccontato le sue vicende in un canone: «Sulla terra ha ucciso le membra per far
vivere l’anima, e ha così guadagnato la vita eterna. Ancora sulla terra è
diventato parte dei cori angelici e ha contemplato nell’esychia
la bellezza divina. Nascosto sulle montagne, lontano dagli uomini, ha elevato la
sua mente alla bellezza celeste. Dimorando nelle montagne e nelle grotte e
aspirando all’elevazione divina, ha inaridito le sorgenti delle passioni.
Salendo sul monte delle virtù, come Mosè ha contemplato Dio. Illuminato in tutte
le facoltà dell’anima, è stato glorificato. Liberato da ogni passione, si è
rivestito dell’impassibilità come di un mantello. (…) Come santo monaco, ha
preso sulle sue spalle la croce. (…) Ha scelto la povertà volontaria,
l’afflizione perseverante e la mitezza e ha così avuto in eredità la terra dei
miti. Ha vinto le passioni e si è addormentato nel sonno dei giusti. Ha abitato
il Monte Athos come Elia il Carmelo. Ha ricercato Dio nell’esychia ed è stato
ritenuto degno di contemplarlo». Queste descrizioni, anche se un po’ leggendarie
e poeticamente stilizzate, riassumono bene l’ideale del Monte Athos, in cui
domina la ricerca della luce di Dio nell’esichia e nel nascondimento, che
tuttavia sboccano nella feconda bellezza che attraversa i tempi e gli spazi al
di là della stessa Santa Montagna e dell’impero bizantino.
Fino alla metà del X secolo, sul Monte Athos dominava una “armoniosa varietà” di
stili di vita monastica; i monaci, nonostante la loro dedizione alla solitudine
e all’esichia, non rifiutavano la possibilità della vita in comunità più
numerose e avevano contatti assai sviluppati con l’Asia Minore e con
Costantinopoli. Un certo cambiamento, che garantì per il futuro lo straordinario
sviluppo della vita monastica in questo luogo, si è verificato quando al Monte
Athos arrivò Atanasio, chiamato ovviamente l’Athonita (ca. 925-1001), che
qualche volta è considerato per certi aspetti fondatore della Santa Montagna in
quanto “repubblica monastica”, perché grazie anche alla sua attività, molte
delle tendenze monastiche già esistenti sul Monte Athos da una parte sono state
in qualche modo riassunte. Ma d’altra parte l’opera di Atanasio ne ha dato uno
nuovo invio sia spirituale sia istituzionale.
Il futuro monaco Atanasio nacque, circa nel 925, a Trebizonda e fu battezzato
col nome Avraamos (Abramo). La sua famiglia era benestante, ma i genitori
morirono presto e della sua educazione si occupò Zobinezar, lo stratega della
capitale, Costantinopoli. In questo periodo, Avraamos, da una parte, si preparò
a una carriera burocratica, coltivando le conoscenze che aveva nella capitale
dell’impero, dall’altra – secondo i suoi agiografi –, praticò l’ascesi, essendo
“come monaco in mezzo a non-monaci”. A un certo punto Avraamos semplicemente
lasciò la capitale per recarsi presso Michele Maleinos (894-961), abate di un
monastero sulla montagna Kyminas in Bithynia, da lui conosciuto durante il
periodo dei suoi studi, quando questo abate veniva a Costantinopoli per visitare
suo nipote, il futuro imperatore Niceforo Foca (963-969), su cui cercava di
esercitare un certo influsso. Il monastero di Kyminas era una lavra
semi-anachoretica, dove la vita di comunità era considerata una preparazione
alla solitudine. Atanasio passò in questo monastero circa quattro anni, e poi
ancora due come eremita nelle sue vicinanze (ca. 952-958). In seguito, mosso dal
desiderio di una solitudine più assoluta, e forse anche per fuggire da Michele
Maleinos che lo voleva quale suo successore nel monastero di Kyminas, Atanasio
si ritirò sul Monte Athos, stabilendosi nell’estremo sud della penisola.
Nel 961, trovandosi a Creta per ragioni tutt’oggi sconosciute, Atanasio incontrò
un amico dei tempi degli studi a Costantinopoli, Niceforo Foca. Questi, in
qualche modo, riuscì a convincerlo a fondare proprio sul Monte Athos un
monastero strettamente cenobita, di tipo studita, nel quale lo stesso Niceforo
desiderava entrare – purtroppo, col diventare nel 963 imperatore (ucciso poi
presto, cioè nel 969), non riuscì a realizzare questo progetto. Ma la spinta era
stata data e Atanasio si mise al lavoro costruendo la Grande Lavra e
organizzandovi la vita comunitaria. Questo fu uno dei cambiamenti più misteriosi
nella vita di Atanasio e nella storia del monachesimo athonita – una certa
rinuncia all’ideale eremitico e lo spostamento d’attenzione verso la vita
comunitaria. Di fatti, la Grande Lavra, anche se chiamata “lavra” (cioè luogo
che per definizione favorisce la vita eremitica), divenne veramente un monastero
cenobitico, ispirato alla tradizione studita.
Negli anni successivi, (prima del 969), Atanasio divenne consigliere privato
dell’imperatore Niceforo. Era anche molto legato ad alcune famiglie
aristocratiche della capitale. Proprio grazie a questi legami, in breve tempo,
riuscì a costruire un imponente edificio, non a caso chiamato la “Grande” Lavra.
Atanasio dedicò tutte le sue energie e i lunghi anni della sua vita alla
costruzione materiale e spirituale di questo monastero. Morì durante i lavori
dell’edificio della chiesa, o forse durante un incendio, tra il 997 e il 1001.
Oltre alle mura della Grande Lavra, Atanasio ha lasciato alla posterità del
Monte Athos anche il suo Typikon. Questo testo, finora conservato nella torre di
Karyès, fu redatto nel 972 e, in quanto scritto su una pelle di capra lunga
circa tre metri, è chiamato tràgos (che in greco significa caprone). Firmato
dall’imperatore stesso e da 47 tra monaci e abati, è forse il documento più
importante del Monte Athos. Con esso la Grande Lavra divenne autodespotos, cioè
esentata, libera dal governo ecclesiale o civile, e dipendente in modo diretto
soltanto dal proprio abate e dall’Imperatore, che però risiedeva lontano. Forse
proprio questo fatto, che in seguito ha segnato tutte le future legislazioni
athonite, oltre allo splendore della natura e all’impegno dei monaci, ha
garantito uno sviluppo del tutto speciale del Monte Athos.
Il Typikon di Atanasio contiene 28 capitoli, di cui 14 sono stati letteralmente
trascritti dai 24 capitoli del Testamento di Teodoro Studita, ed è accompagnato
da altri documenti ispirati alla riforma studita, come l’Hypotyposis
(regolamento che contiene tra le altre le indicazioni per il refettorio e la
liturgia) e la Diatyposis, che completa alcune direttive soprattutto
penitenziali del Typikon. Alla luce di questi testi si nota come, nella visuale
di Atanasio, il monaco fosse chiamato alla conversione e al pentimento, mediante
la scelta del martirio interiore dell’obbedienza, che lo legava intimamente a
Cristo. Il lavoro principale del monaco era la preghiera, concepita come un atto
liturgico e comunitario. Nella Grande Lavra, allo stesso modo della preghiera,
anche i pasti erano comunitari. Si vede chiaramente come la preoccupazione per
la dimensione comunitaria della vita dei monaci fosse al centro della
legislazione di Atanasio. Per questo, anche l’ospitalità era vista come un atto
comunitario e non individuale. Alcuni scorgono in tutto questo anche un
possibile influsso non solo di Teodoro Studita, ma anche della Regola di San
Benedetto – si sa che tra i membri del nucleo originario della Grande Lavra vi
erano alcuni monaci latini.
Nonostante questa insistenza sulla vita e l’organizzazione cenobitica, Atanasio
non ha escluso però dalla sua visione della vita monastica la possibilità della
vita eremitica, che tuttavia doveva mantenere un qualche legame con la comunità
del monastero (per esempio, attraverso la presenza alle celebrazioni domenicali
e festive). Secondo Atanasio, ambedue gli stili di vita monastica erano uguali –
ognuno era in grado di portare alla perfezione. Questa finestra del monastero di
Atanasio, schiusa verso l’eremo, da una parte costituiva una “novità” di
Atanasio rispetto alla legislazione studita, e, d’altra, ha conferito un certo
dinamismo fecondo e ben riuscito al rapporto tra la comunità e il solitario,
segnando profondamente e così ben caratterizzando lo stile della vita athonita.
Nella visuale di Atanasio anche la povertà doveva essere comunitaria. Povero
rimaneva allora non solo il monaco, ma anche la comunità. Per questo era vietato
da Atanasio il possesso di bestiame di sesso femminile: senza di esso non
sarebbe stato possibile sviluppare fattorie e in seguito dedicarsi al commercio
– i monaci del Monte Athos non sono mai diventati i cistercensi di Bisanzio. Il
divieto di avere bestiame femminile era di provenienza studita – si ricordi che
nello studion la povertà era di enorme importanza. Atanasio non ha fatto che
applicare le esigenze di una riforma monastica urbana, avvenuta più di cento
anni prima, al suo progetto realizzato sulla Santa Montagna. Nella stessa linea
si situava il divieto di avere schiavi nel monastero, anche se Atanasio –
essendo figlio del suo tempo – non condannava la schiavitù in sé.
Figura centrale della struttura comunitaria della Grande Lavre era l’abate (hegoumenos
– da cui egumeno). Tutto il governo dipendeva da lui, mentre egli stesso era
lasciato quasi totalmente indipendente (autexousion)
da altri poteri civili ed ecclesiali. Atanasio nel suo
Typikon raccomandava all’abate di non
viaggiare, ma di rimanere nel monastero. L’abate, poi, non doveva distinguersi
dagli altri per il vestito e non poteva dispensarsi dai lavori manuali. La sua
occupazione centrale era di tipo spirituale, inclusa la prassi del discernimento
e della conoscenza dei pensieri, che venivano esercitate a favore dei suoi
monaci. Atanasio non faceva distinzione tra abate e padre spirituale – il
governo era totalmente centralizzato.
La struttura originaria della Grande Lavra allora era: l’abate, il suo consiglio
composto da 15 altri monaci, 5 posti per gli eremiti. Il noviziato, della durata
da 1 a 3 anni. Il monastero originariamente era progettato per 80 monaci, ma ben
presto dovette accoglierne 120. Si dice infatti che, già a 50 anni dalla sua
fondazione, nella Grande Lavra risiedessero 150 monaci, mentre in tutta la
penisola ve ne fossero forse circa 3.000.
L’attività di Atanasio l’Athonita, la costruzione della Grande Lavra e la redazione del Typikon del 972 sono un momento-matrice che, da una parte, riassume in sé le tendenze anteriori del monachesimo bizantino sul Monte Athos e, d’altra, le indirizza verso futuri sviluppi. Come si è detto, l’ambiente naturale della Santa Montagna, la riuscita combinazione tra il cenobio e l’eremo e la protezione da parte dell’imperatore hanno fatto sì che il luogo col tempo diventasse il centro del monachesimo, della spiritualità e della santità bizantine.
All’epoca dell’Impero bizantino, al primo
Typikon si aggiunsero il Typikon
di Costantino IX Monomonaco, del 1045, e finalmente quello di Manuele II
Paleologo, del 1406. Nel 1313 un decreto di Andronico II sottomise il Monte
Athos all’autorità del patriarca di Costantinopoli. Lungo i secoli la pace della
Penisola non di rado venne disturbata: fu invasa dai pirati, distrutta dalla
quarta crociata (1204-1261) e, tra il 1387 e il 1403, per la prima volta cadde
nelle mani dei Turchi che la ripresero di nuovo, in seguito, nel 1430,
stendendovi sopra per secoli il loro potere – senza però mai riuscire a
provocare totalmente la cessazione della vita monastica sulla Penisola.
Ancora nella stessa epoca in cui viveva Atanasio l’Athonita, vennero edificati
molti altri numerosi e prestigiosi monasteri della Santa Montagna come:
Vatopedi, Dochiariu, Stavronikita, Filotheu, Iviron, Panteleimon o Chilandari.
Una nuova fioritura e il moltiplicarsi della presenza di grandi monasteri si
verificarono nel XIV secolo, quando furono fondati monasteri come: Grigoriu,
Simonos Petra, Pantocratoros o Dionissiu. Con il tempo si è venuto anche
costituendo un modo di governare la vita su questa Santa Montagna, attuato
attraverso un consiglio comune dei rappresentanti di alcuni tra i principali
monasteri. Bisogna ricordare, inoltre, che sul Monte Athos, accanto a questi
grandi o principali monasteri (col tempo il loro numero arrivò a 20), erano
sempre presenti realtà monastiche più piccole, come
skiti e numerosissimi eremitaggi.
Ancora all’epoca bizantina, il Monte Athos era il luogo in cui diverse nazioni e
chiese locali volevano costituire i loro propri monasteri. Questo fenomeno fu
visto come un modo per possedere propri rappresentanti in un luogo sacro.
D’altra parte, attraverso questi contatti il monachesimo dell’Athos ha
esercitato il suo influsso sui monasteri e sulla vita ecclesiale di altre chiese
e nazioni. Così, per esempio, il monastero di Iviron era georgiano, Sografu
bulgaro e le origini del monastero Kultumussiu risalgono forse a qualche santo
venuto dall’Etiopia. Il monastero di Chilandari fu rifondato e occupato dai
Serbi, Panteleimon prevalentemente dai monaci russi e quello di Grigoriu da
Valichi e Moldavi. È bene forse ricordare che nel monastero di S. Maria degli
Amalfitanti dal 985 al 1287 abitarono i monaci benedettini di Benevento.
Come è stato affermato (H.G. Beck), uno dei lati deboli del monachesimo
bizantino fu la mancanza di continuità e una debolezza nell’organizzazione
strutturale, per cui tale monachesimo non ha potuto giocare un ruolo importante
nella cultura dell’impero, come avvenne in Occidente con i benedettini, i
cistercensi e altri ordini religiosi. Si potrebbe discutere su questa tesi e
sicuramente verrebbe a contraddirla l’esempio del Monte Athos. Un insieme di
monasteri e di convivenze di monaci lungo i secoli ha fatto di questo luogo un
vero tesoro, in cui confluiscono: la ricchezza delle forme architettoniche, la
bellezza degli affreschi e delle icone, avvolte da sempre con l’incenso, con il
canto e con il silenzio dei monaci oranti, l’immenso materiale accumulato nelle
biblioteche, che danno testimonianza di una cultura monastica bizantina
estremamente valida. La Santa Montagna ha conservato, sviluppato e trasmesso
questi valori attraverso i tempi della storia ed è divenuta anche epicentro
della loro irradiazione in svariate terre fuori di Bisanzio. Sarebbe difficile
immaginare il monachesimo bizantino e il monachesimo cristiano nell’insieme
senza il Monte Athos.
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12 febbraio
2021 a cura
di Alberto "da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net