Abramo di Kashkar
Regole monastiche
Le
Regole di Abramo di Kashkar, che non sono altro che rimeditazioni della
Scrittura e dei padri non si propongono, secondo le parole dello stesso Abramo,
di legiferare sulla vita monastica, ma semplicemente d'ispirare l'ascesi del
monaco, rivelandola come via di conversione e di guarigione, nella ricerca della
profonda comunione con i fratelli.
La semplicità e la profonda evangelicità di queste
Regole furono le ragioni principali della grande diffusione che questo
scritto conobbe in seno alla chiesa siro-orientale.
Regole
scritte nei giorni del nostro santo padre mar Abramo, presbitero e monaco,
priore dei fratelli pellegrini che abitano nel cenobio del monastero
di Marde, cioè il Grande monastero che è sul monte Izla.
Nel
mese di Haziran del quarantesimo anno del re Kosroe, sotto la guida dell'amico
di Dio mar Simone, vescovo metropolita di Nisibe, noi fratelli che abitiamo nel
monastero di Marde ci siamo riuniti; e questa è la comune volontà di noi tutti,
che è a motivo della grazia del nostro adorabile Dio; di lui, che "vuole che
tutti gli uomini siano salvi e si volgano alla conoscenza della
verità" (cf. 1Tm 2,4); che ha effuso anche su di noi "la ricchezza" della sua
compassione (cf. Ef 1,7); che ci ha resi degni di questo Nome del quale eravamo
indegni, essendo noi miseri e fragili più di tutti gli uomini. Lui, infatti,
nella sua benevolenza, ci ha dato di essere, e di essere belli essendo da lui;
ma noi, per la dissolutezza delle nostre condotte e la nostra negligenza,
abbiamo disprezzato "questo Nome invocato su di noi" (cf. Gc 2,7), così che si è
adempiuto quanto è detto nella santa Scrittura: "Tutti camminano secondo la
volontà del loro cuore e secondo la loro propria intelligenza" (cf. Ger 16,12).
E anche noi confessiamo di essere peccatori e piccoli più di tutti.
Perciò noi tutti invochiamo la misericordia di Dio, perché venga in aiuto alla
debolezza della nostra volontà, e porti a termine e compia in noi l'intero
compiacimento della volontà di Dio. Infatti: "E’ lui che suscita in voi sia il
volere sia l'agire, qualsiasi cosa voi vogliate" (Fil 2,13). E ancora, dice
nostro Signore: "Senza di me voi non potete fare nulla" (Gv 15,5). E poiché
questo è degno di fede e vero per noi, imploriamo la sua grazia che metta in noi
la sua potenza, affinché in pensieri, parole e opere siamo trovati secondo il
compiacimento della sua volontà; e ci conceda un luogo di conversione.
Poiché da quando risiediamo in questo luogo i fratelli che abitano qui hanno
lavorato e si sono affaticati scavandosi grotte e costruendosi celle per
abitarvi, e anche perché è da poco che ci siamo accostati a questa forma di
vita, abbiamo trascurato di stabilire su di noi qualcosa di adatto al carattere
di questa forma di vita.
Ora, invece, che per la grazia del Signore nostro abbiamo un pò di riposo dalla
fatica e dal lavoro del corpo, essendo insieme tra di noi, abbiamo pensato di
scegliere per noi dalle divine Scritture e dalle parole dei santi padri qualcosa
di adatto alla guarigione delle nostre ferite e alla rimarginazione delle nostre
piaghe.
Cominciamo dunque di qui, per la potenza del Signore nostro, supplicando e
implorando quanti si imbatteranno in queste parole di non pensare della nostra
pochezza che noi abbiamo fatto qualcosa da noi stessi. Noi, infatti, non siamo
legislatori né per noi stessi, né per gli altri, ma siamo servi e sudditi dei
comandamenti adorabili del nostro Dio buono (cf. Mc 10, 18). Quindi, ad ogni
regola che abbiamo estratto dalle sante Scritture e dalle parole dei santi
padri, abbiamo aggiunto [solo] brevi esplicitazioni.
1. Prima di tutto [è necessaria]
la quiete,
secondo il comando dei padri e secondo la parola dell'Apostolo ai Tessalonicesi
[dove dice]: "Noi vi preghiamo, fratelli, di sovrabbondare e di essere diligenti
nel restare quieti e nell'occuparvi delle vostre cose" (1Ts 4,10-11); e ancora
dice: "A costoro ordiniamo e li preghiamo, nel Signore nostro Gesù Cristo, che
lavorino e mangino il proprio pane nella quiete" (2T5 3,12). E ancora, Isaia
dice: "Opera della giustizia è la pace, e pratica della giustizia è la quiete" (Is
32,17).
E ancora, abba Antonio dice: "Come il pesce, quando è strappato al mare, muore,
così il monaco che si attarda fuori della sua cella". E da Marco il Monaco [è
detto]: "Se il corpo non è nella quiete, non è nella quiete [neppure] la mente"
La quiete, poi, si custodisce per mezzo di queste due
vie: o con la lettura costante e la preghiera, o con il lavoro manuale
e la meditazione. Come dice abba Isaia e come anche [dice] la Sapienza:
"Molti mali genera l'ozio" (Sir 33,28);
e ancora: "Colui che non è occupato in un lavoro,
giace costantemente nei desideri" (Pr 21,25).
Perseveriamo dunque nella nostra cella, nella quiete, e fuggiamo l'ozio che
reca danno.
2. Sul digiuno
Dalle
parole del Signore nostro [apprendiamo]: "Quando sarà innalzato il Figlio
dell'uomo, allora, in quei giorni, digiuneranno". E ancora, l'Apostolo dice:
"Nel digiuno frequente" (2Cor 11,27). E ancora [è detto]: "Digiunando e
supplicando Dio" (At 14,23).
E ancora, dai padri [è detto]: "Il digiuno ti rinvigorisce davanti a Dio"; e
ancora: "Non essere [mai] stanco dell'obbedienza del digiuno".
I frutti del digiuno, infatti, e l'aiuto che da esso viene, li apprendiamo con
esattezza da Mosè, da Elia e i suoi compagni, dal Salvatore nostro, dagli
apostoli e dai santi padri. Custodiamo quindi il digiuno, come un qualcosa che è
causa di molti beni.
3. Sulla preghiera, la lettura e l'ufficio delle ore
Dalla
parola del Salvatore nostro [apprendiamo]: "Disse loro anche una parabola sulla
necessità di pregare sempre, senza stancarsi" (Lc 18, 1); e ancora:
"State svegli e pregate in ogni tempo, eccetera" (Lc 21,36); e ancora: "Vigilate
e pregate per non entrare in tentazione" (Mc 14,38). E l'Apostolo dice:
"Perseverate nella preghiera, in essa siate vigilanti e rendete grazie" (Col
4,2). E anche Marco dice: "La preghiera è madre delle virtù".
Sulla lettura, poi, quando l'Apostolo scrive al suo amico Timoteo, così dice:
"Finché io vengo, impegnati nella lettura, nell’invocazione e nell'insegnamento;
intrattieniti in queste cose e in esse dimora" (1Tm 4,13.15). E il Signore
nostro Dio disse a Giosuè figlio di Nun: "Questo libro della Legge non si
allontani dalla tua bocca, meditalo notte e giorno, eccetera" (Gs 1,8). E
ancora, Mosè disse al popolo: "Sia segno sulle tue mani e memoriale tra i tuoi
occhi, perché la Legge del Signore sia sulla tua bocca" (Es 13,9).
E dai padri [è detto]: "Se la lettura non è perseverante, come anche la
supplica rivolta a Dio, non può esserci nell'anima una bella condotta". E il
santo Marco dice: "Prega Dio e si aprirà l'occhio della tua intelligenza, perché
[tu] conosca l'utilità che [viene] dalla preghiera e dalla lettura".
Riguardo, poi, all'ufficio delle ore, il Salmista dice: "Sette volte al giorno
ti lodo a motivo dei tuoi giusti giudizi" (Sal 119,164). E [ancora sta scritto]:
"[Daniele] piegava le ginocchia tre volte al giorno, pregando davanti a Dio" (Dn
6,11); e: "Simone e Giovanni salivano insieme al tempio, al momento della
preghiera dell'ora nona (At 3,1); e ancora: "Mentre loro erano pronti per lui,
Simone salì sulla terrazza per pregare, all'ora nona, E ancora [è detto]:
"Signore, al mattino ascolti la mia voce e al mattino mi preparo e mi mostro a
te" (Sal 5,4); e ancora: "La mia preghiera è come incenso davanti a te e
l'offerta delle mie mani è come l'offerta della sera" (Sal 141,2).
Comprendiamo queste cose e applichiamoci ad esse, ripetendo la parola del
Salmista: "In eterno non dimenticherò i tuoi comandamenti perché in essi è la
mia vita" (Sai "9,93).
4. Sul silenzio, sulla mitezza, sulla solitudine e sulla [necessità] che
nessuno parli mentre parlano i suoi fratelli e che si parli con voce mite e non
gridando o con ira
Sul silenzio il profeta Geremia dice: "Beato l'uomo che prende il tuo giogo su
di sé nella sua giovinezza, che siede nella solitudine e fa silenzio, eccetera"
(Lam 3,27-28). E ancora, ad Arsenio fu detto in rivelazione: "Fuggi, fa'
silenzio e sta' nella quiete"; e ancora: "Fa' silenzio, non pensare a te stesso"
Sulla solitudine, poi, Elia dice a Dio: "Ho avuto paura davanti alla tua mano e
mi sono seduto nella solitudine"
Sulla mitezza, il Signore disse a Isaia: "Su chi
poserò lo sguardo e [in chi] abiterò, se non in chi è mite, nell'umile di
spirito e [in chi] e mosso dalla mia parola?" (Is 66,2); e ancora
[dice]: "Imparate da me che sono mite e umile nel mio cuore, e voi troverete
ristoro per le vostre vite" (Mt 11,29).
Sulla [necessità] che nessuno parli mentre parla suo
fratello, dalla Sapienza [è detto]: "In mezzo ai discorsi non parlare" (Sir
11,8); e: "Il silenzio è frutto della sapienza" (Sir 20,5); e
[ancora]: "Chi parla molto rivela la deficienza
della sua mente" (Sir 20,8).
Sulla [necessità] di parlare con mitezza, senza gridare e senza ira,
dall'Apostolo [è detto]: "[Scompaia da voi] ogni asprezza, collera, turbolenza e
maldicenza, eccetera" (Ef 4,31). E ancora [sta scritto]: "Sii mite, recedi
dall'ira, eccetera" (Sal 37,8).
Applichiamoci dunque a queste cose, senza le quali non è possibile piacere al
Signore nostro.
5. Che durante il digiuno quaresimale nessun fratello esca
fuori dalla sua cella senza necessità, e [privo] del permesso della comunità.
6. Che il fratello non vaghi per monasteri e villaggi; che non
entri in città, se non è costretto da malattia, e con il permesso della
comunità; che non vaghi di casa in casa, né mangi in casa dei fedeli; che non
prenda qualcosa in nome della comunità, o a qualsiasi altro titolo, finché è con
noi.
7. Che nessuno mormori contro suo fratello, né [lo corregga]
davanti a un altro. Dal Salmista [è detto]: "Faccio perire chiunque calunnia in
segreto il suo compagno" (Sai 101,5); e: "Siedi e mediti contro tuo fratello,
eccetera" (Sal 50,20); e [ancora]:
"Non mormorate come alcuni di essi i quali mormorarono, eccetera" (1Cor 10,10).
Guardiamoci, dunque, dal calunniare, come da un veleno mortale, affinché non
siamo compagni dei malvagi.
8. Che nel giorno di domenica, quando
i fratelli si riuniscono, il fratello che arriva prima in chiesa, prenda un
libro santo, sieda nel posto stabilito e lo legga finché non giungano
tutti i fratelli. Così il pensiero di ciascuno di coloro che arrivano sia
catturato dall'ascolto della lettura, e non si dissipino in discorsi nocivi.
9. Che non ci sottragga al digiuno se non per questi motivi:
una malattia del corpo, la venuta di ospiti, un lungo viaggio, un lavoro pesante
durante l'intera giornata. All'infuori di questi casi, chi sarà trovato che si
sottrae [al digiuno] per pigrizia, sappia che è estraneo al nostro cenobio.
10. Che i fratelli che si sono procurati le loro celle
osservino, con ogni diligenza, le cose dette sopra.
Quanto ai nuovi fratelli che arrivano, siano provati per il tempo stabilito. Se
la comunità permette loro che si fabbrichino celle, i loro fratelli anziani non
lavorino in nessun modo; ma, secondo quanto è possibile alla forza della
comunità, li si aiuti come è consuetudine.
11. Il fratello che si ammala e viene
portato in città, non entri in casa dei fedeli, ma stia nello xenodochio perché
non sia motivo di scandalo per i fedeli.
12. Se qualcuno si accorge che suo fratello disprezza una di
queste cose dette sopra, non divulghi il fatto presso i suoi fratelli, così da
turbarli, perché la parola di turbamento turba il cuore dell'uomo. Ma lo chiami
e gli parli a tu per tu, in solitudine, secondo la parola del Salvatore nostro:
"Ammoniscilo tra te e lui solo" (Mt 18, 15); e se non [si corregge], [lo
ammonisca] davanti a due; e se non ascolterà, sia ammonito da tutta la comunità;
e se resisterà e non accoglierà la correzione, sappia che è estraneo al nostro
cenobio (cf. Mt 18,16-17).
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27 maggio 2015 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net