Taizé:
le origini della comunità e l'attesa del Concilio
A cura di Silvia Scatena – Ed.
LIT Verlag Munster,
2011
Introduzione
«Notre unité deviendra question de vie ou
de mort (La nostra unità sarà questione di vita o di morte)»: così scriveva
Roger Schutz a conclusione di un testo iniziato nel 1948 e rimasto incompiuto,
destinato ai nuovi
frères che si accingevano a entrare nella comunità di Taizé. In un
momento difficile nella storia dei rapporti della giovane comunità con il
protestantesimo francese, dodici anni dopo, negli stessi termini si sarebbe
ancora espresso con il presidente del Consiglio nazionale dell’Église Reformée
de France, il pastore Pierre Bourguet. «Attraverso alcuni fratelli che conducono
una vita povera in mezzo a uomini molto poveri, - notava in particolare in uno
scambio dell'ottobre 1960, a seguito di uno dei primi colloqui fra alcuni
vescovi e pastori franco-svizzeri tenutosi a Taizé il mese precedente sul tema
dell'evangelizzazione - sento come l'unità della Chiesa sia questione di vita o
di morte per la missione cristiana. Più che mai sono colto da questa realtà,
cioè che non siamo ascoltati perché non rendiamo vera la preghiera di Cristo:
essere uno perché il mondo possa credere».
Una «questione di vita o di morte»: in queste parole può essere in fondo
individuata la cifra del senso dell'urgenza che ha connotato tutta la peculiare
traiettoria ecumenica di fr. Roger e, con essa, quella di una comunità protesa
nello sforzo «Stare davanti a Dio affinché venga l'unità di tutti in una sola
Chiesa)», come segno anticipatore dell'unità futura capace di sostenere la
speranza dei cristiani «Fino al giorno in cui si supererà questa tappa
definitiva che ci porterà alla visibilità dell'unità)». Precondizione
indispensabile della ricerca di un'unità più universale - «la riconciliazione di
tutti gli uomini passa attraverso l’unità dei cristiani» -, la
tensione, «il duro combattimento per l’unità visibile di tutti i cristiani»,
attraversa variamente come un filo rosso tutta la storia della comunità di
Taizé. Una storia che si snoda attraverso le alterne vicende dell'ecumenismo del
XX secolo: dall'ultimo scorcio di quegli anni '30 in cui si elaborano molti dei
contenuti intellettuali e spirituali che avrebbero informato il cammino
ecumenico dei decenni successivi al «balzo innanzi» auspicato da Giovanni XXIII
all'apertura del Vaticano II. dalle promesse dischiuse dal concilio al
progressivo scivolamento in un'attitudine di «coesistenza pacifica», in cui i
«parallelismi confessionali» e un dialogo protratto indefinitamente sembrano
aggiornare
sine die l'ora in cui tutti i cristiani saranno riuniti alla
stessa mensa. Situata al cuore di quel Novecento religioso che sperimenta
«l’unità della grazia ecumenica fatta al nostro secolo», l'esperienza di Taizé
trova in altri termini le origini nella stagione di una prima «messa in dubbio»
delle frontiere confessionali da parte di una generazione di ecumenisti per la
quale la sete di «una certa unità» è ad un tempo preoccupazione di conversione,
vocazione e grazia; attraversa quell’«età d’oro» a cavallo fra la fine degli
anni '50 e l'inizio del decennio successivo, in cui un'inedita congiuntura di
personalità e avvenimenti rende possibile al movimento ecumenico l'ingresso in
una «fase di emulazione convergente»; conosce il passaggio dall'euforia
ecumenica dei primi anni 60 alle impazienze e ai sussulti di una contestazione
che non risparmia un ecumenismo presto bloccato nelle strettoie di una strategia
che punta preliminarmente al superamento delle differenze dottrinali e si rileva
incapace di assicurare almeno dei «pegni» tangibili di una coesione ritrovata,
come la possibilità di una
communicatio in sacris in alcune circostanze particolari; risponde
a questo cambiamento di clima divenendo uno dei punti di incontro di una sorta
di chiesa ecumenica in gestazione, poco preoccupata delle etichette
confessionali; prosegue in un contesto, quale quello che si delinea all'indomani
della fine della guerra fredda, nel quale l'ecumenismo "classico" appare sempre
più stretto fra l’emergenza del dialogo interreligioso ed i segnali di
ripiegamento identitario delle diverse confessioni cristiane.
Capitolo importante di una storia dell'ecumenismo del secolo scorso, e non meno
significativo della storia di tante chiese europee fra la seconda guerra
mondiale e la fine della cortina di ferro, la «parabola» di Taizé e
il singolare itinerario del suo fondatore sono stati oggetto di un'ingente
quantità di pubblicazioni di differente valore, ora di taglio più giornalistico,
ora più spirituale, ora più sociologico, più raramente storico; una letteratura
nutrita, talora non scevra da toni apologetici o polemici, o ancora, più
recentemente, dal ricorso ad una "grammatica" più tradizionalmente
confessionale, inadeguata, al fondo, ad esprimere la specificità della vocazione
ecumenica di Roger Schutz e della sua comunità, ovvero il tentativo di
anticipare un mistero di comunione che si rifiuta di scegliere escludendo.
A più di settant’anni di distanza dall'arrivo del giovane studente svizzero
sulla collina borgognona all'indomani della disfatta francese, una rigorosa
ricostruzione storica dell'esperienza di Taizé - che proceda per tappe e
approfondimenti analitici dei principali momenti e passaggi che ne scandiscono
il percorso - appare così quanto mai opportuna: una ricostruzione che trovi il
"baricentro " nell'evoluzione di chi è stato fondatore ed «entraîneur
(trascinatore)» di una comunità che in lui ha sempre trovato «le souffle
dynamique (il respiro dinamico)», ma che sia al contempo anche più “plurale”,
consapevole che la parabola di Taizé non possa essere ridotta solo
all'itinerario umano e spirituale di fr. Roger. Una ricostruzione, quindi, che
dovrà prendere le mosse dai primissimi progetti di vita comunitaria abbozzati
sul liminare della guerra dall’allora studente della facoltà di teologia
dell'Église libre di Losanna, per soffermarsi quindi sui primi passi della
giovane comunità nel composito scenario dell’ecumenismo francofono e poi sui
contatti sempre più frequenti con Roma. Sull’attivismo ecumenico dispiegato
nella prima metà degli anni 60, sull'accoglienza di un universo giovanile
multiforme ed inquieto con l'apertura di un «concilio dei giovani» nel 1974,
sulla dilatazione della geografia ecclesiale su cui Taizé si muove dal tornante
del Vaticano II con la presenza di piccole fraternità negli altri continenti e
gli incontri organizzati dalla fine degli anni 70 alle più diverse latitudini,
sulla costruzione delle tante reti informali di solidarietà e amicizia
pazientemente e spesso clandestinamente intrecciate per oltre un ventennio fra i
cristiani di un'Europa divisa. Una ricostruzione, ancora, che cerchi inoltre di
situare l'originale parabola di Taizé sullo sfondo complessivo di una storia
dell'ecumenismo del 900 ancora priva di uno studio di insieme, non dipendente ma
tuttavia sensibile agli interrogativi che la presente congiuntura confessionale
e gli esiti della stagione dei dialoghi teologici bilaterali pongono alla
ricerca storica. In questa prospettiva, l'approfondimento di un'esperienza
specifica quale quella di Taizé può rappresentare un contributo all'avvio di una
riflessione più ampia e condivisa, attenta ai “fili lunghi" di una storia che
inizia alla fine del XIX secolo ed ai diversi fattori che, assieme a quelli
squisitamente dottrinali, hanno giocato nella vicenda della progressiva
frantumazione dell'unità cristiana, così come in quella dei tentativi di
superamento della stessa.
Reso possibile dalla disponibilità della comunità a favorire uno sforzo di
storicizzazione esterno e autonomo della sua storia - a ormai sei anni di
distanza dalla morte di fr. Roger, notoriamente restio alla costituzione di un
archivio per documentare un passato che potesse intralciare quella «dinamica del
provvisorio» che voleva informasse l'evoluzione dell'esperienza di Taizé -, di
questo pluriennale progetto di ricerca si offrono in questo volume due primi
risultati che ci si propone di restituire poi al loro insieme in una
ricostruzione complessiva attenta ai mutevoli, delicati equilibri di volta in
volta raggiunti fra cambiamenti e continuità. Si tratta di due contributi
dedicati ad anni e periodi molto diversi della settantennale storia di Taizé,
studiata, prima, nel suo momento ''genetico", quindi sulla soglia di
un'evoluzione che, iniziata al concilio, prelude per molti versi e in modo non
sempre indolore ad un "secondo inizio" nel primo tornante degli anni ‘70. Il
primo contributo cerca in particolare di risalire alle origini della "scommessa
" comunitaria di Roger Schutz: si concentra così anzitutto sugli anni delicati
della sua formazione losannese - nei quali la ricerca di una prospettiva
comunitaria, tema e bisogno di tutta una generazione, si impone progressivamente
con tutta l'urgenza di una questione esistenziale per soffermarsi
successivamente sul prender forma di una prima
confrérie (confraternita),
sulla cesura rappresentata dall'inizio della guerra e dall'arrivo a Taizé, sulle
intuizioni e gli incontri che segneranno quindi la successiva evoluzione del suo
progetto comunitario. Il secondo contributo si propone invece di ‘'fotografare "
il dinamismo ecumenico di una comunità ormai numerosa e matura, a vent’anni
dall'insediamento di fr. Roger sulla collina di Taizé, in un segmento importante
della sua storia, cronologicamente situato fra
l’annuncio del concilio Vaticano II nel gennaio 1959 ed il suo
inizio nell'autunno 1962, segnato dall'incontro con Giovanni XXIII e
dall'ardente attesa di un concilio «ecumenico»: un periodo nel quale si accentua
la «dominante oecuménique» della vocazione comunitaria di Taizé ed in cui
iniziano a dilatarsi gli spazi di una presenza sulle diverse "linee di frattura"
della storia, da una Berlino divisa all’Algeria in guerra.
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14 novembre 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net