Traduzione e note di
Feliciano Olgiati
- Edizioni Messaggero Padova - © Movimento francescano Assisi -
- Regola -
La Regola
di santa Chiara del 1253, o meglio la Forma di vita dell’Ordine
delle Sorelle Povere di San Damiano, di cui Chiara ebbe l’approvazione dalla
Sede Apostolica solo due giorni prima della sua morte (9 agosto 1253), è il
punto di arrivo di una serie di esperienze, attraverso cui il gruppo di San
Damiano è passato, per decenni, scivolando sempre invitto attraverso pressioni
esterne per mitigare la povertà assoluta, in comune oltre che personale, che –
come è il nucleo centrale della Regola definitiva (c. VI) – così fu certamente
anche il primo fondamento della fraternità, nella «formula vitae» iniziale, data
da san Francesco al sorgere del nuovo Ordine e citata dalla Regola stessa al
cap. VI, oltre che da altre fonti.
Attraverso un
iter complesso, variamente studiato, la formula iniziale data da san
Francesco al monastero di San Damiano (1211-1218) si evolve, senza nulla perdere
tuttavia di quella ispirazione fondamentale che ha determinato l’Ordine nella
mente e nel cuore di san Francesco.
Per questo la Regola del 1253 – a ventisette anni dalla morte di san Francesco –
è detta, con piena verità, dalla Sede Apostolica: «la forma di vita e il modo di
santa unità e di altissima povertà che il beato padre vostro Francesco vi
consegnò a voce e in scritto da osservare».
(Regola, 16).
Alla base della
forma di vita di santa Chiara è l’esperienza dell’umiltà e della povertà del
Figlio di Dio, il messaggio evangelico del «perdere la propria vita» (Mt.
10, 39) sui passi di Cristo e della sua Madre poverella. Un retrocedere di
sé, di fronte a un «dono» di grazia, la stessa di san Francesco: «la grazia di
fare penitenza… vivendo secondo la perfezione del santo Vangelo» (Regola c.
VI, 1.3).
E, accanto a questa, l’altra grazia, ugualmente evangelica e francescana della
fraternità, anch’essa «dono», in cui non più il singolo, ma l’intero gruppo fa
esperienza di quell’amore che comunica e stringe, in un’unica vita, quanti da
Dio sono nati.
La divisione in capitoli non esiste nel testo originale, che si conserva tra le
reliquie del Protomonastero di Santa Chiara in Assisi. La traduzione, di
F. OLGIATI è sulla recente edizione di I. BOCCALI, Concordantiae verbales
opusculorum S. Francisci et S. Clarae Assisiensium, S. Mariae Angelorum –
Assisii 1976, pp. 167-184.
REGOLA
BOLLA DI PAPA INNOCENZO IV
2744
1Innocenzo
vescovo, servo dei servi di Dio(1).
2Alle dilette figlie in Cristo Chiara abbadessa e alle altre sorelle
del monastero di San Damiano d’Assisi, salute e apostolica benedizione.
2745
3La
Sede Apostolica suole acconsentire ai pii voti e benevolmente favorire gli
onesti desideri di coloro che chiedono. 4Ora, da parte vostra ci è
stato umilmente richiesto che ci prendessimo cura di confermare con la nostra
autorità apostolica 5la forma di vita(2),
secondo la quale dovete vivere comunitariamente in unità di spiriti e con voto
di altissima povertà[i],
6che vi fu data dal beato Francesco e fu da voi spontaneamente
accettata, 7quella che il venerabile nostro fratello vescovo di Ostia
e Velletri ritenne bene che fosse approvata, come è ampiamente contenuto nella
lettera scritta a proposito dallo stesso vescovo.
2746
8Noi
pertanto, ben disposti ad accogliere la vostra supplica, ratificando di buon
grado quanto sopra ciò è stato fatto dal medesimo vescovo, lo confermiamo col
potere apostolico e l’avvaloriamo con l’autorità del presente scritto, 9nel
quale facciamo inserire parola per parola il testo della stessa lettera, che è
questo:
2747
10Rinaldo,
per misericordia di Dio vescovo di Ostia e Velletri, alla sua carissima in
Cristo madre e figlia Donna Chiara, abbadessa di San Damiano in Assisi, 11e
alle sorelle di lei, presenti e future, salute e paterna benedizione.
2748
12Poiché
voi, figlie dilette in Cristo, avete disprezzato le vanità e i piaceri del mondo
13e seguendo le orme[ii]
dello stesso Cristo e della sua santissima Madre, avete scelto di abitare
rinchiuse e di dedicarvi al Signore in povertà somma per potere con animo libero
servire a Lui, 14noi, encomiando nel Signore il vostro santo
proposito, di buon grado vogliamo con affetto paterno accordare benevolo favore
ai vostri voti e ai vostri santi desideri.
2749
15Per
questo, accondiscendendo alle vostre pie suppliche, con l’autorità del signor
Papa e nostra, confermiamo in perpetuo per voi tutte e per quelle che vi
succederanno nel vostro monastero e con l’appoggio della presente lettera
avvaloriamo 16la forma di vita e il modo di santa unità e di
altissima povertà[iii],
che il beato padre vostro Francesco vi consegnò a voce e in scritto da osservare
e che è qui riprodotta. 17Ed è questa:
1.
Nel nome del Signore
incomincia la Forma di vita
delle Sorelle Povere
2750
1La
Forma di vita dell’Ordine delle Sorelle Povere(3),
istituita dal beato Francesco(4),
è questa:
2Osservare
il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza
nulla di proprio e in castità.
2751
3Chiara,
indegna serva di Cristo e pianticella del beatissimo padre Francesco, promette
obbedienza e riverenza al signor papa Innocenzo e ai suoi successori,
canonicamente eletti e alla Chiesa Romana.
2752
4E,
come al principio della sua conversione, insieme alle sue sorelle, promise
obbedienza al beato Francesco, cosi promette di mantenerla inviolabilmente ai
suoi successori.
2753
5Le
altre sorelle siano tenute ad obbedire sempre ai successori del beato Francesco
e a sorella Chiara e alle altre abbadesse, che le succederanno mediante elezione
canonica(5).
2.
Di coloro che vogliono abbracciare questa vita
e come devono essere ricevute
2754
1Quando
qualcuna, per divina ispirazione, verrà a noi con la determinazione di
abbracciare questa vita, l’abbadessa sia tenuta a chiedere il consenso di tutte
le sorelle, 2e se la maggioranza acconsentirà, la possa accettare,
dopo aver ottenuto licenza dal signor cardinale nostro protettore.
2755
3Se
le sembra idonea ad essere accettata, la esamini con diligenza, o la faccia
esaminare intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della Chiesa.
2756
4E
se crede tutte queste cose, ed è risoluta a confessarle fedelmente e ad
osservarle con fermezza sino alla fine; 5e non ha marito, o se l’ha,
ha già abbracciato la vita religiosa con l’autorità del vescovo diocesano ed ha
già fatto voto di continenza; 6e se, inoltre, non è impedita
dall’osservare questa vita da età avanzata o da qualche infermità o deficienza
mentale, 7le si esponga
diligentemente il tenore della nostra vita.
2757
8E
se sarà idonea, le si dica la parola del santo Vangelo: che vada e
venda[iv]
tutte le sue sostanze e procuri di distribuirle ai poveri. 9Se
ciò non potesse fare, basta ad essa la buona volontà.
2758
10Si
guardino però l’abbadessa e le sue sorelle dal preoccuparsi per le cose
temporali di lei, affinché ne disponga liberamente, come le verrà ispirato dal
Signore. 11Se tuttavia domandasse consiglio, la indirizzino a persone
prudenti e timorate di Dio[v],
col consiglio delle quali vengano distribuiti i suoi beni.
2759
12Poi,
tosati i capelli in tondo e deposto l’abito secolare, le conceda tre tonache e
il mantello. 13Da quel momento non le è più lecito uscire fuori di
monastero, senza un utile, ragionevole, manifesto e approvato motivo.
2760
14Finito
poi l’anno della prova, sia ricevuta all’obbedienza, promettendo d’osservare
sempre la vita e la forma della nostra povertà.
2761
15Non
si conceda a nessuna il velo durante il tempo della prova. 16Le
sorelle possono avere anche le mantellette per comodità e convenienza del
servizio e del lavoro. 17L’abbadessa poi le provveda di vestimenti
con discrezione, secondo la qualità delle persone, i luoghi e i tempi e i paesi
freddi, conforme vedrà essere richiesto dalla necessità.
2762
18Le
giovanette, accolte in monastero prima della legittima età, siano tosate in
tondo 19e, deposto l’abito secolare, indossino un abito da religiosa,
come parrà all’abbadessa. 20Raggiunta poi l’età legittima, vestite
alla maniera delle altre, facciano la loro professione.
2763
21Ad
esse, come alle altre novizie, l’abbadessa assegni con sollecitudine una maestra
tra le più assennate del monastero, 22la quale le istruisca con cura
intorno al modo di vivere santamente da religiose e alle oneste costumanze
secondo la forma della nostra professione. 23Le medesime norme si
osservino nell’esame e nell’accettazione delle sorelle che presteranno il loro
servizio fuori del monastero; esse però potranno usare calzature(6).
2764
24Non
si ammetta nessuna a dimorare con noi in monastero se non sia stata ricevuta
secondo la forma della nostra professione.
2765
25E
per amore del santissimo Bambino, ravvolto in poveri pannicelli e
adagiato nel presepio[vi],
e della sua santissima Madre, ammonisco, prego caldamente ed esorto le mie
sorelle a vestire sempre indumenti vili(7).
3.
Dell’ufficio divino e del digiuno.
Della Confessione e Comunione
2766
1Le
sorelle che sanno leggere celebrino l’ufficio divino secondo la consuetudine dei
frati minori, e perciò potranno avere i breviari, leggendo senza canto(8).
2Se qualcuna, per un motivo ragionevole, a volte non potesse recitare
leggendo le sue Ore, le sia lecito dire i Pater noster, come le altre
sorelle.
2767
3Quelle
invece che non sanno leggere, dicano ventiquattro Pater noster per il
Mattutino, cinque per le Lodi; 4per prima, terza, sesta e nona, per
ciascuna di queste Ore, sette; per il Vespro dodici; per Compieta sette. 5Inoltre
dicano ancora per i defunti sette Pater noster con il Requiem per
il Vespro e dodici per il Mattutino, 6quando le sorelle che sanno
leggere sono tenute a recitare l’Ufficio dei morti. 7Alla morte poi
di una sorella del nostro monastero, dicano cinquanta Pater noster.
2768
8Le
Sorelle digiunino in ogni tempo. 9Ma nel Natale del Signore, in
qualunque giorno cada, possano rifocillarsi due volte. 10Con le
giovanette, le deboli e le sorelle che servono fuori del monastero, si dispensi
misericordiosamente, come parrà all’abbadessa. 11Ma in tempo di
manifesta necessità, le sorelle non siano tenute al digiuno corporale.
2769
12Si
confessino almeno dodici volte l’anno, con licenza dell’abbadessa. 13E
devono guardarsi allora dal frammischiare altri discorsi che non facciano al
caso della confessione e della salute dell’anima.
2770
14Si
comunichino sette volte l’anno, cioè: nel Natale del Signore, nel Giovedì santo,
nella Resurrezione del Signore, nella Pentecoste, nell’Assunzione della beata
Vergine, nella festa di san Francesco e nella festa d’Ognissanti.
2771
15Per
comunicare le sorelle, sia sane che inferme, è lecito al cappellano celebrare
all’interno.
4.
Della elezione e dell’ufficio di abbadessa.
Del capitolo,
delle responsabili degli uffici
e delle discrete
2772
1Nella
elezione dell’abbadessa le sorelle siano tenute ad osservare la forma canonica.
2773
2Esse
poi procurino con sollecitudine di avere il ministro generale o provinciale
dell’Ordine dei frati minori, 3il quale mediante la parola di Dio le
disponga alla perfetta concordia e alla utilità comune nella elezione da farsi.
2774
4E
non si elegga se non una professa. 5E se fosse eletta una non
professa o venisse data in altro modo, non le si presti obbedienza se prima non
avrà fatta la professione della forma della nostra povertà(9).
6Alla sua morte, si faccia l’elezione di un’altra abbadessa.
2775
7E
se talora sembrasse alla generalità delle sorelle che la predetta non fosse
idonea al servizio e alla comune utilità di esse, 8le dette sorelle
siano tenute ad eleggerne, quanto prima possono e nel modo sopraddetto, un’altra
per loro abbadessa e madre(10).
2776
9L’eletta
poi consideri qual carico ha accettato sopra di sé e a Chi deve rendere conto[vii]
del gregge affidatole(11).
10Si studi anche di presiedere alle altre più per virtù e santità di
vita che per ufficio, affinché le sorelle, provocate dal suo esempio, le
obbediscano più per amore che per timore.
2777
11Si
guardi dalle amicizie particolari, affinché non avvenga che, amando alcune più
delle altre, rechi scandalo a tutte.
2778
12Consoli
le afflitte. Sia ancora l’ultimo rifugio delle tribolate[viii]
perché, se mancassero presso di lei i rimedi di salute, non abbia a prevalere
nelle inferme il morbo della disperazione(12).
2779
13Conservi
la vita comune in tutto, ma specialmente in chiesa, in dormitorio, in
refettorio, nell’infermeria e nelle vesti. 14E ciò è tenuta a fare
allo stesso modo anche la sua vicaria(13).
2780
15L’abbadessa
sia tenuta a convocare a Capitolo le sue sorelle, almeno una volta la settimana.
16Ivi, tanto lei quanto le sorelle debbano accusarsi umilmente delle
comuni e pubbliche mancanze e negligenze. 17Ivi ancora discuta con le
sue sorelle circa le cose da fare per l’utilità e il bene del monastero. 18Spesso
infatti il Signore manifesta ciò che è meglio al più piccolo(14).
2781
19Non
si contragga alcun debito grave, se non di comune consenso delle sorelle e per
manifesta necessità, e questo per mezzo del procuratore. 20Si guardi
poi l’abbadessa con le sue sorelle dal ricevere alcun deposito in monastero,
21poiché da ciò nascono spesso disturbi e scandali.
2782
22Allo
scopo di conservare l’unità della scambievole carità e della pace, tutte le
responsabili dell’ufficio del monastero vengano elette di comune consenso di
tutte le sorelle. 23E nello stesso modo si eleggano almeno otto
sorelle delle più assennate, del consiglio delle quali l’abbadessa è obbligata a
servirsi in ciò che è richiesto dalla forma della nostra vita.
24Se
qualche volta sembrasse utile e conveniente, le sorelle possano anche e debbano
rimuovere le responsabili e le discrete ed eleggerne altre al loro posto.
5.
Del silenzio, del parlatorio e della grata
2783
1Le
sorelle osservino il silenzio dall’ora di compieta fino a terza, eccettuate le
sorelle che prestano servizio fuori del monastero. 2Osservino ancora
silenzio continuo in chiesa, in dormitorio e in refettorio soltanto quando
mangiano. 3Si eccettua l’infermeria, dove, per sollievo e servizio
delle ammalate, sarà sempre permesso alle sorelle di parlare con moderazione.
4Possano tuttavia, sempre e ovunque, comunicare quanto è necessario,
ma con brevità e sottovoce.
2784
5Non
sia lecito alle sorelle accedere al parlatorio o alla grata, senza licenza
dell’abbadessa o della sua vicaria; 6e quelle che ne hanno licenza,
non ardiscano parlare nel parlatorio, se non alla presenza e ascoltate da due
sorelle.
2785
7Non
presumano poi di recarsi alla grata, se non siano presenti, assegnate
dall’abbadessa o dalla vicaria, almeno tre di quelle otto discrete che furono
elette da tutte le sorelle come Consiglio dell’abbadessa. 8Questa
forma nel parlare siano tenute ad osservarla per conto proprio anche l’abbadessa
e la sua vicaria. 9E quanto si è detto per la grata avvenga molto di
rado; alla porta poi non si faccia in nessun modo. 10A detta grata
sia applicata dalla parte interna un panno, che non sia tolto se non quando si
predica la divina parola o alcuna parli a qualcuno. 11Abbia inoltre
una porta di legno, ben difesa da due differenti serrature in ferro, da imposte
e chiavistelli, 12affinché, specialmente di notte, sia chiusa con due
chiavi, una delle quali la tenga l’abbadessa e l’altra la sacrestana; 13e
rimanga sempre chiusa, fuorché quando si ascolta il divino ufficio e per i
motivi sopra esposti. 14Non è lecito assolutamente a nessuna parlare
ad alcuno alla grata prima della levata del sole o dopo il tramonto.
2786
15Al
parlatorio poi, vi sia sempre, dalla parte interna, un panno che non deve essere
rimosso per nessun motivo. 16Durante la quaresima di san Martino e la
quaresima maggiore nessuna parli al parlatorio, 17se non al sacerdote
per motivo di confessione o di altra manifesta necessità. Ciò è riservato alla
prudenza dell’abbadessa o della sua vicaria.
6.
Le promesse del beato Francesco
e del non avere possedimenti
2787
1Dopo
che l’altissimo Padre celeste si degnò illuminare l’anima mia mediante la sua
grazia perché, seguendo l’esempio e gli insegnamenti del beatissimo padre nostro
Francesco, io facessi penitenza, poco tempo dopo la conversione di lui,
liberamente, insieme con le mie sorelle, gli promisi obbedienza(15).
2788;
*2789
2Il
beato padre, poi, considerando che noi non temevamo nessuna povertà, fatica,
tribolazione, umiliazione e disprezzo del mondo, che anzi l’avevamo in conto di
grande delizia, mosso da paterno affetto, scrisse per noi la forma di vita in
questo modo: 3»Poiché per divina ispirazione vi siete fatte figlie e
ancelle dell’altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo
Spirito Santo, scegliendo di vivere secondo la perfezione del santo Vangelo,
4voglio e prometto, da parte mia e dei miei frati, di avere sempre di
voi, come di loro, attenta cura e sollecitudine speciale».
5*Ciò
che egli con tutta fedeltà ha adempiuto finché visse, e volle che dai frati
fosse sempre adempito.
2790
6E
affinché non ci allontanassimo mai dalla santissima povertà che abbracciammo, e
neppure quelle che sarebbero venute dopo di noi, poco prima della sua morte di
nuovo scrisse per noi la sua ultima volontà con queste parole: 7»Io
frate Francesco piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo
Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e perseverare in
essa sino alla fine[ix].
8E prego voi, mie signore e vi consiglio che viviate sempre in questa
santissima vita e povertà. 9E guardatevi molto bene dall’allontanarvi
mai da essa in nessuna maniera per l’insegnamento o il consiglio di alcuno»(16).
2791
10E
come io, insieme con le mie sorelle, sono stata sempre sollecita di mantenere la
santa povertà che abbiamo promesso al Signore Iddio e al beato Francesco,
11così le abbadesse che mi succederanno nell’ufficio e tutte le sorelle
siano tenute ad osservarla inviolabilmente fino alla fine: 12a non
accettare, cioè, né avere possedimenti o proprietà né da sé, né per mezzo di
interposta persona, 13e neppure cosa alcuna che possa con ragione
essere chiamata proprietà, 14se non quel tanto di terra richiesto
dalla necessità, per la convenienza e l’isolamento del monastero; 15ma
quella terra sia coltivata solo a orto per il loro sostentamento.
7.
Del modo di lavorare
2792
1Le
sorelle alle quali il Signore ha dato la grazia di lavorare, lavorino, dopo
l’ora di terza, applicandosi a lavori decorosi e di comune utilità, con fedeltà
e devozione, 2in modo tale che, bandito l’ozio, nemico dell’anima,
non estinguano lo spirito[x]
della santa orazione e devozione, al quale tutte le altre cose temporali devono
servire.
2793
3E
l’abbadessa o la sua vicaria sia tenuta ad assegnare in capitolo, davanti a
tutte, il lavoro che ciascuna dovrà svolgere con le proprie mani(17).
4Ci si comporti allo stesso modo quando qualche persona mandasse
delle elemosine, affinché si preghi in comune per lei.
2794
5E
tutte queste cose vengano distribuite dall’abbadessa o dalla sua vicaria col
consiglio delle discrete a comune utilità.
8.
Che le sorelle non si approprino di nulla.
Del chiedere l’elemosina
e delle sorelle ammalate
2795
1Le
sorelle non si approprino di nulla, né della casa, né del luogo, né d’alcuna
cosa, 2e come pellegrine e forestiere[xi]
in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, con fiducia mandino
per la elemosina. 3E non devono vergognarsi, poiché il Signore si
fece per noi povero in questo mondo. 4È questo quel vertice dell’altissima
povertà[xii],
che ha costituto voi, sorelle mie carissime, eredi e regine del regno dei cieli[xiii],
vi ha reso povere di sostanze, ma ricche di virtù. 5Questa sia la
vostra parte di eredità, che introduce nella terra dei viventi[xiv].
6Aderendo totalmente ad essa, non vogliate mai, sorelle dilettissime,
avere altro sotto il cielo, per amore del Signore nostro Gesù Cristo(18)
e della sua santissima Madre.
2796
7Non
sia lecito ad alcuna sorella mandare lettere, o ricevere o dare cosa alcuna
fuori del monastero, senza licenza dell’abbadessa. 8Né sia lecito
tenere cosa alcuna che non sia stata data o permessa dall’abbadessa. 9Che
se le venga mandato qualche cosa dai parenti o da altri, l’abbadessa gliela
faccia consegnare. 10La sorella poi, se ne ha bisogno, la possa
usare; se no, né faccia parte caritatevolmente alla sorella che ne ha bisogno.
11Se poi le fosse stato mandato del denaro, l’abbadessa, con
consiglio delle discrete, le faccia procurare ciò di cui ha bisogno.
2797
12Riguardo
alle sorelle ammalate, l’abbadessa sia fermamente tenuta, da sé e per mezzo
delle altre sorelle, a informarsi con sollecitudine di quanto richiede la loro
infermità, sia quanto a consigli, sia quanto ai cibi ed alle altre necessità,
13e a provvedere con carità e misericordia, secondo la possibilità
del luogo. 14Poiché tutte sono tenute a provvedere e a servire le
loro sorelle ammalate, come vorrebbero essere servite esse stesse nel caso che
incorressero in qualche infermità(19).
2798
15L’una
manifesti all’altra con confidenza la sua necessità. 16E se una madre
ama e nutre la sua figlia carnale, con quanta maggiore cura deve una sorella
amare e nutrire la sua sorella spirituale!(20)
2799
17Quelle
che sono inferme, potranno usare pagliericci e avere guanciali di piuma sotto il
capo; 18e quelle che hanno bisogno di calze e di materasso di lana,
ne possano usare. 19Le suddette inferme, poi, quando vengono visitate
da quelli che entrano nel monastero, possano, ciascuna per proprio conto,
rispondere brevemente con qualche buona parola a chi rivolge loro la parola.
2800
20Le
altre sorelle, invece, che pur ne hanno licenza, non ardiscano parlare a quelli
che entrano nel monastero, se non alla presenza e ascoltate da due discrete,
designate dall’abbadessa o dalla sua vicaria. 21Questa forma nel
parlare siano tenute ad osservarla anche l’abbadessa e la sua vicaria.
9.
Della penitenza
da imporre alle sorelle che peccano,
e delle sorelle
che prestano servizio fuori del monastero
2801
1Se
qualche sorella, per istigazione del nemico, avrà peccato mortalmente contro la
forma della nostra professione e, ammonita due o tre volte dall’abbadessa o da
altre sorelle, 2non si sarà emendata, mangi per terra pane e acqua in
refettorio, alla presenza di tutte le sorelle, tanti giorni quanti sarà stata
contumace, 3e, se l’abbadessa lo riterrà necessario, sia sottoposta a
pena anche più grave. 4Frattanto, finché rimarrà ostinata, si preghi
affinché il Signore disponga il suo cuore a penitenza.
2802
5Tuttavia,
l’abbadessa e le sue sorelle si guardino dallo adirarsi e turbarsi per il
peccato di alcuna, 6perché l’ira e il turbamento impediscono la
carità in se stesse e nelle altre(21).
2803
7Se
accadesse, il che non sia, che fra una sorella e l’altra sorgesse talvolta, a
motivo di parole o di segni, occasione di turbamento e di scandalo, 8quella
che fu causa di turbamento, subito, prima di offrire avanti a Dio
l’offerta[xv]
della sua orazione, non soltanto si getti umilmente ai piedi dell’altra
domandando perdono, 9ma anche con semplicità la preghi di intercedere
per lei presso il Signore perché la perdoni. 10L’altra poi, memore di
quella parola del Signore: «Se non perdonerete di cuore, nemmeno il Padre
vostro celeste perdonerà voi[xvi],
11perdoni generosamente alla sua sorella ogni offesa fattale»(22).
2804
12Le
sorelle che prestano servizio fuori del monastero, non rimangano a lungo fuori,
se non lo richieda una causa di manifesta necessità. 13E devono
andare per via con onestà e parlare poco, affinché possano essere sempre motivo
di edificazione per quanti le vedono. 14E si guardino fermamente
dall’avere rapporti o incontri sospetti con alcuno. 15Né facciano da
madrine a uomini o donne, affinché per queste occasioni non nasca mormorazione o
turbamento.
2805
16Non
ardiscano riportare in monastero le chiacchiere del mondo. 17E di
quanto si dice o si fa dentro siano tenute a non riferire fuori dal monastero
nulla che possa provocare scandalo. 18Se capitasse a qualcuna di
mancare in queste due cose, per semplicità, spetta alla prudenza dell’abbadessa
imporle con misericordia la penitenza. 19Se invece lo facesse per
cattiva consuetudine, l’abbadessa, secondo la qualità della colpa, col consiglio
delle discrete imponga una penitenza.
10.
Della ammonizione
e correzione delle sorelle
2806
1L’abbadessa
ammonisca e visiti le sue sorelle e le corregga con umiltà e carità, non
comandando loro cosa alcuna che sia contro la sua anima e la forma della nostra
professione.
2807
2Le
sorelle suddite, poi, ricordino che hanno rinunciato alla propria volontà per
amore di Dio. 3Quindi siano fermamente tenute a obbedire alle loro
abbadesse in tutte le cose che hanno promesso al Signore di osservare e che non
sono contrarie all’anima e alla nostra professione.
2808
4L’abbadessa
poi, usi verso di loro tale familiarità che possano parlarle e trattare con lei
come usano le padrone con la propria serva, 5poiché così deve essere,
che l’abbadessa sia la serva di tutte le sorelle.
2809
6Ammonisco
poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino le sorelle da
ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cura e sollecitudine di
questo mondo[xvii],
dalla detrazione e mormorazione, dalla discordia e divisione(23).
2810
7Siano
invece sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole
carità, che è il vincolo della perfezione.
2811
8E
quelle che non sanno di lettere, non si curino di apprenderle, 9ma
attendano a ciò che soprattutto debbono desiderare: avere lo Spirito del Signore
e la sua santa operazione, 10a pregarlo sempre con cuore puro e ad
avere umiltà, pazienza nella tribulazione e nella infermità, 11e ad
amare quelli che ci perseguitano, riprendono e accusano, 12perché
dice il Signore: «Beati quelli che soffrono persecuzione a causa della
giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli. 13Chi
persevererà sino alla fine, questi sarà salvo»[xviii].
11.
Della custodia della clausura
2812
1La
portinaia sia matura come condotta e prudente, e sia di età conveniente. Di
giorno rimanga ivi in una cella aperta, senza uscio. 2Le si assegni
anche una compagna idonea, la quale, quando ci sarà bisogno, faccia in tutto le
sue veci.
2813
3La
porta sia ben difesa da due differenti serrature in ferro, da imposte e
chiavistelli, 4affinché, specialmente di notte, sia chiusa con due
chiavi, una delle quali la tenga la portinaia, l’altra l’abbadessa. 5E
di giorno non si lasci mai senza custodia e sia stabilmente chiusa a chiave.
6Badino poi, con ogni diligenza e procurino che la porta non rimanga
mai aperta, se non il minimo possibile secondo la convenienza. 7E non
si apra affatto a chiunque voglia entrare, ma solo a coloro cui sia stato
concesso dal sommo pontefice o dal nostro signor cardinale.
2814
8E
non permettano che alcuno entri in monastero prima della levata del sole, né vi
rimanga dopo il tramonto, se non l’esiga una causa manifesta, ragionevole e
inevitabile. 9Qualora per la benedizione dell’abbadessa, o per la
consacrazione a monaca di qualche sorella, o per qualche altro motivo, venga
concesso a qualche vescovo di celebrare la Messa nell’interno del monastero, si
accontenti del minor numero possibile di compagni e ministri che siano di buona
fama.
2815
10Quando
poi fosse necessario introdurre nel monastero qualcuno per compiervi dei lavori,
l’abbadessa con sollecitudine ponga alla porta una persona adatta, 11che
apra solo agli addetti ai lavori e non ad altri. 12Tutte le sorelle
si guardino, allora, con somma diligenza, che non siano vedute da coloro che
entrano.
12.
Del visitatore, del cappellano
e del cardinale protettore
2816
1Il
nostro visitatore sia sempre dell’Ordine dei frati minori, secondo la volontà e
il mandato del nostro cardinale. 2E sia tale che ne conosca bene
l’integrità di vita. 3Sarà suo compito correggere, tanto nel capo che
nelle membra, le mancanze commesse contro la forma della nostra professione.
4Egli, stando in luogo pubblico, donde possa essere veduto dalle
altre, potrà parlare a molte o a ciascuna in particolare, secondo riterrà più
conveniente, di ciò che spetta all’ufficio della visita.
2817
5Chiediamo
anche in grazia, allo stesso Ordine, un cappellano con un compagno chierico, di
buona fama, discreto e prudente, e due frati laici, amanti del vivere santo e
onesto, 6in aiuto alla nostra povertà, come abbiamo avuto sempre
misericordiosamente dal predetto Ordine dei frati minori; 7e questo
per amore di Dio e del beato Francesco.
2818
8Al
cappellano non sia lecito entrare in monastero senza il compagno. 9Ed
entrando, stiano in luogo pubblico, così che possano vedersi l’un l’altro ed
essere veduti dagli altri. 10È loro lecito entrare per la confessione
delle inferme che non potessero recarsi in parlatorio, per comunicare le
medesime, per l’Unzione degli infermi, per la raccomandazione dell’anima.
11Per le esequie poi, e le messe solenni dei defunti, o per scavare o
aprire la sepoltura, o anche per rassettarla, possono entrare persone idonee a
sufficienza, secondo il prudente giudizio dell’abbadessa.
2819;*2820
12Inoltre
le sorelle siano fermamente tenute(24)
ad avere sempre come governatore, protettore e correttore, quel cardinale della
santa Chiesa romana che sarà stato assegnato ai frati minori dal signor Papa;
13*affinché suddite sempre e soggette ai piedi della stessa santa
Chiesa, salde nella fede[xix]
cattolica, osserviamo in perpetuo la povertà e l’umiltà del Signore nostro Gesù
Cristo e della sua santissima Madre, e il santo Vangelo, come abbiamo fermamente
promesso. Amen.
2821
14Dato
a Perugia, il 16 settembre, l’anno decimo del pontificato del signor papa
Innocenzo IV(25).
2822
15Pertanto
a nessuno sia lecito invalidare questa scrittura della nostra conferma od
opporvisi temerariamente.
16Se
qualcuno poi presumerà di attentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio
onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo.
Dato in Assisi, il 9 agosto, l’anno undicesimo del nostro pontificato(26).
(1) Seguiamo la divisione in versetti disposta da I. BOCCALI, Concordantiae verbales opusculorum S. Francisci et S. Clarae Assisiensium, S. Mariae Angelorum – Assisii 1976.
(2) Forma di vita, corrisponde a Regola e vita delle due Regole di san Francesco per i frati minori: espressione più comprensiva del semplice termine Regola. I due documenti ecclesiastici, come poi il seguito del testo, affermano l’identità tra il testo che segue, elaborato certamente assai più tardi, sulla falsariga della Regola bollata di san Francesco, e l’abbozzo consegnato a «voce e in scritto» da Francesco.
(3) Sorores Pauperes, Sorelle Povere è il primo nome dato alle suore del secondo Ordine, fondato da Francesco d’Assisi. Tale nome sottolinea le due note fondamentali del medesimo, come del resto fa la Bolla d’approvazione: unità nella carità, altissima povertà.
(4) Chiara afferma categoricamente che la forma di vita da lei abbracciata l’ha ricevuta da san Francesco, rivendicando a lui la paternità del suo Ordine.
(5) Il testo della Regola di santa Chiara segue ordinatamente quello della Regola bollata dei frati minori; Chiara però veglia sulla stesura per fermare e sottolineare con chiarezza i legami che ritiene essenziali per il nuovo Ordine: osservanza del Vangelo, obbedienza al Papa e alla Chiesa, obbedienza a san Francesco e ai successori di lui. Tutte poi sono tenute ad obbedire alla abbadessa che esprime tali impegni e legami.
(6) Si ricorda l’eccezione, anche se non appare nella Regola di santa Chiara – e neppure in quelle di san Francesco – un precetto specifico riguardante il divieto di portare calzature. È dato per scontato, avendo abbracciato il modo di vita degli apostoli (cfr. Mt. 10, 18).
(7) Nel contesto dell’ammonizione, comune alla Reg. boll. 2, 17, Chiara inserisce la motivazione dell’uso di vesti vili: amore a Cristo e alla sua madre povera (cfr. Testamento, 45; IV Lett., 19-21).
(8) Anche per l’ufficio divino, Chiara sceglie la forma seguita dai frati minori, piuttosto che quella in uso presso i monasteri di più antica Regola. La forma avverbiale ex quo è diversamente interpretata: perciò (una legittimazione riguardante la povertà: potranno avere i breviari), oppure da quando (in senso temporale. Ma se questa assenza di breviari era capibile nel 1223 per i frati minori – cfr. Reg. boll. 3 – e legittimava il ricorso all’ufficio dei Pater noster, lo è meno nel 1253 e in un monastero).
(9) Ad assicurarsi la custodia fedele della «forma della nostra povertà» – e qui si intende l’essenza della Regola stessa – santa Chiara dispone due norme: la preparazione della elezione mediante la presenza del rappresentante dell’Ordine dei frati minori; che la eligenda abbia professato secondo questa Regola.
(10) Chiara applica al governo interno del suo monastero quanto Francesco aveva stabilito per i frati nel caso di insufficienza del ministro generale eletto. Cfr. Reg. boll. 8, 5.
(11) Come per Francesco, anche per Chiara l’autorità è soprattutto una enorme responsabilità sulle anime affidate al superiore. Riprende perciò le parole della Reg. non boll. 4, 6 e 5, 1 incentrate sul passo evangelico, risolvendo però in modo proprio la riflessione che Francesco desume dall’esempio di Cristo venuto «non per farsi servire ma per servire» (cfr. Mt. 20, 28): esortando a presiedere con la vita e con l’amore più che in forza dell’ufficio.
(12) Questi due passi: sulle amicizie particolari e sulla consolazione delle afflitte, li troviamo nella descrizione che Francesco ha fatto della figura del ministro generale dei frati; cfr. 2 Cel. 185. E qui la frase «privatis amoribus careat» viene dilatata ad indicare tutte le forme di preferenze: «non presenti alcun angolo oscuro di turpe favoritismo».
(13) La versione ufficiale (in italiano) di questo passo è: «Osservi la vita comune in tutto». Questa interpretazione della frase latina: Communitatem servet in omnibus, ha una sua suggestività, in quanto caratterizzerebbe il regime fraternitario di una comunità di clarisse: anche la abbadessa e la sua vicaria devono vivere come le altre, con l’esclusione di ogni privilegio; ma il verbo latino servare non significa osservare (observare) quanto piuttosto conservare, custodire; indicherebbe dunque una attitudine di vigilanza perché sia conservato qualche cosa. D’altra parte la voce Communitas non significa propriamente vita comune (in senso giuridico), quanto piuttosto uguaglianza di vita, di diritti, ecc. E perciò la frase significa che la abbadessa ha il compito di vigilare perché non sorgano nella comunità situazioni di privilegio per nessuna delle sorelle e in nessun luogo: sottolineano l’uguaglianza nella vita per conservare l’»unità della scambievole carità», come è detto più sotto (22). Nel Testamento (65) troviamo un’altra possibile interpretazione del termine Communitas: «Sit etiam tam benigna et communis…», sia ancora tanto affabile e alla portata di tutte. Ed avremmo: «Conservi l’affabilità in tutto…».
(14) Anche qui santa Chiara prende la istituzione del «Capitolo», che, secondo la Reg. boll. 8, i ministri provinciali potevano fare ogni anno nelle loro province, e la introduce nel suo monastero. Come i primi Capitoli dei frati, questi incontri settimanali delle suore non erano solo per confessare le proprie colpe (Capitolo dele colpe) e neppure prima di tutto per eleggere l’abbadessa, ma veri incontri familiari nei quali si studiava e organizzava e rivedeva la propria vita.
(15) È questo il capitolo centrale di tutta la Regola, poiché in esso è espresso il punto-chiave, il principio fontale di questa nuova forma di vita religiosa. Mentre negli altri capitoli si avverte la presenza di giuristi e consiglieri ed anche l’attenzione a seguire passo passo il testo della Regola bollata dei frati minori, in questo si ha l’impressione che parli direttamente Chiara; e difatti è una storia della propria vita, più che un complesso di norme. Il capitolo è ripreso nel Testamento di Chiara (24-43), dove però non sono riportati i due scritti di Francesco che qui Chiara rievoca con parole commosse. Si noti anche l’attenzione di Chiara al Testamento di san Francesco: la sua conversione è, anche per Chiara, incominciare «a fare penitenza».
(16) Questi due biglietti sono riportati tra gli «scritti di san Francesco» come: «forma di vita» e «ultima volontà». Che Francesco abbia steso per santa Chiara e le sue figlie una «forma di vita» e si sia preoccupato di loro durante tutta la sua vita e perfino sul letto di morte, è documentato anche da 2 Cel. 204; il quale, pur non parlando di tale «forma», ne trascrive però la sostanza, che è la professione e osservanza perfetta della «povertà altissima, nello splendore di ogni virtù», e l’impegno di Francesco di averne cura fino alla fine, impegno che, «prossimo a morire, comandò con premura che si continuasse sempre».
(17) Così viene intesa la frase latina: «Et id quod manibus suis operantur, assignare in capitulo abbatissa vel eius vicaria coram omnibus teneatur», anche dalla traduzione ufficiale italiana, conferendo un profondo significato al lavoro, nella linea della fraternità: spetta a tutte la programmazione del lavoro di ognuna delle sorelle. Altri – e decisamente l’Iriarte (cfr. Letra y espiritu de la Regla de santa Clara, Valencia 1975, p. 123) – interpreta invece: «… sia tenuta a distribuire, nel capitolo, alla presenza di tutte, quanto è stato prodotto col lavoro delle loro mani»: «los trabajos realizados», con sottolineatura, in ordine alla povertà, della assenza di qualsiasi diritto da parte delle singole a trattenersi per sé il frutto del loro lavoro. In questo caso, però, non ci si spiegherebbe il comma conclusivo (5), che parla appunto della distribuzione di tutto quanto viene prodotto o donato al monastero «a comune utilità», e questa distribuzione fatta dalla abbadessa o vicaria col consiglo delle discrete.
(18) Fino a qui Chiara ha trascritto letteralmente il capitolo VI della Regola bollata dei frati minori. Suo è il richiamo all’amore per la Madre di Cristo.
(19) Memore degli esempi e degli insegnamenti di Francesco riguardo alla cura dei frati infermi, Chiara sviluppa secondo la sua sensibilità materna, l’invito schematico della Reg. boll. 6.
(20) Collocata nel contesto delle norme per la cura delle sorelle inferme, questa frase che in Reg. boll. 6 è di carattere generale, sembra ridotta nella ricchezza umana e spirituale. Ma che Chiara l’applichi poi per tutti i rapporti tra le suore, lo si può ricavare abbondantemente dal capitolo che segue e dal Testamento, 59.
(21) Là dove Francesco imponeva soltanto il ricorso ai ministri perché essi imponessero la penitenza, Chiara studia una pratica penitenziale immediata e concreta in seno alla comunità stessa, badando ai molteplici effetti che tale peccato e conseguente penitenza pubblica possono arrecare a chi ha peccato e all’intera comunità: esempio, preghiera comune, misericordia e carità. Da Francesco prende l’esortazione a non adirarsi; cfr. Reg. boll. 7, 5.
(22) Esempio di questa pratica in Spec. 51.
(23) Questo capitolo riprende integralmente Reg. boll. 9, ma Chiara vi inserisce di proprio questo duplice monito che accentua ancor più le esigenze della carità reciproca: «… dalla discordia e dalla divisione. Siano invece sollecite…». L’espressione: «unità della scambievole carità» è già ricorsa al cap. 4, 22. L’amore reciproco è con la povertà uno dei cardini della loro vita e vocazione. Cfr. Testamento, 59-70.
(24) Da questo punto Chiara si affida di nuovo alla Regola dei frati minori, per concludere con una ferma protesta di fedeltà al Vangelo e alla professione dell’umiltà e povertà di Cristo e della sua Madre, mediante il vincolo del cardinal protettore; che deve essere quello stesso che sarà assegnato per i frati minori.
(25) Anno 1252.
(26) Anno 1253. Dalla Leggenda apprendiamo le circostanze sia della lettera del cardinal Rinaldo contenente il testo da lui approvato della Regola – in seguito alla pressante richiesta di Chiara quando il cardinale venne a farle visita al suo capezzale (c. 27) –, sia della bolla pontificia. L’anno dopo, il 9 agosto, papa Innocenzo IV, avendo saputo delle condizioni della Santa, viene a farle visita, e Chiara ne approfitta per esprimergli il suo supremo desiderio: vedere approvata con una bolla pontificia la sua Regola (c. 28). E così avviene: nello stesso giorno o il successivo, dei frati recapitano alla Santa la bolla che Innocenzo ha fatto stendere immediatamente, inserendovi la lettera di Rinaldo con il testo della Regola; Chiara può stringerla tra le mani e baciarla; il giorno dopo, 11 agosto, muore felice confortata da una visione celeste (cfr. Atti del Processo, III testimone).
[i] Cf. 2 Cor. 8, 2
[ii] Cf. 1 Pt. 2, 21
[iii] Cf. 2 Cor. 8, 2
[iv] Cf. Mt. 19, 21
[v] Cf. At. 13, 16
[vi] Cf. Lc. 2, 7.12
[vii] Cf.: Mt. 12, 36 e… Eb. 13, 17
[viii] Sal. 31, 7
[ix] Cf. Mt. 10, 22
[x] Cf. 1 Ts. 5, 19
[xi] Cf. Sal. 38, 13; 1 Pt. 2, 11
[xii] Cf. 2 Cor. 8, 9 e… 2 Cor. 8, 2
[xiii] Cf. Mt. 5, 3; Lc. 6, 20
[xiv] Cf. Sal. 141, 6
[xv] Cf. Mt. 5, 23
[xvi] Mt. 6, 15; 18, 35
[xvii] Cf. Lc. 12, 15 e… Mt. 13, 22; Lc. 21, 34
[xviii] Mt. 5, 10… Mt. 10, 22
[xix] Cf. Col. 1, 23
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21 giugno 2014 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net