San Romualdo: l’«esicasta 
	d’occidente»
	
	di Joseph Wong O.S.B., monaco camaldolese 
	1
	
	Estratto da "San Romualdo: storia, agiografia e spiritualità"
	
	Atti del XXIII Convegno del Centro Studi 
	Avellaniti, Fonte Avellana 23-26 agosto 2000
	
	
	Centro di Studi Avellaniti
	
	
	Il Segno Gabrielli Editori, 2002 
	
	
	
	Dal sito dell’Abbazia di Borzone (GE) - (abbaziaborzone.it)
		
		
	 
	
	
	La «solitudine aurea» e l’hesychia 
	
	
	
	nella tradizione 
	
	dei Padri del deserto
	
		 
	
	
	Nella sua attività di riforma monastica, Romualdo riformò e fondò sia eremi 
	che monasteri; ma è innegabile che le sue preferenze furono rivolte agli 
	eremi. Tuttavia, egli non fu l’innovatore dell’ideale eremitico, giacché da 
	secoli tale vita era praticata in misura notevole anche in Occidente. La sua 
	specifica funzione fu quella di dare una regola ai vari eremiti isolati, i 
	quali, vivendo senza controllo, quasi sempre finivano per giungere a degli 
	eccessi nelle loro forme di ascesi. Perciò Romualdo venne chiamato «il 
	padre degli eremiti razionali che vivono secondo una regola».
	
	
	La regola che egli proponeva ai suoi discepoli era prima di tutto la Regola 
	di Benedetto.
	Ma, per fortuna, Bruno ci ha anche lasciato una 
	«Piccola Regola» 
	che Giovanni ha ricevuto dal maestro Romualdo come guida della sua vita. 
	Trovo una condensazione dell’ideale della «solitudine 
	aurea», ossia il secondo bene del carisma romualdino, in tale «Piccola 
	Regola»:
	
	
	 
	
	
	
	Siedi nella tua cella come nel paradiso.
	Scordati del 
	mondo e gettatelo dietro le spalle.
	Fa’ attenzione ai 
	tuoi pensieri come un buon pescatore ai pesci.
	L’unica via per te 
	si trova nei Salmi, non lasciarla mai.
	Se da poco sei 
	venuto, e malgrado il tuo primo fervore
	non riesci a 
	pregare come vorresti, cerca, ora qua ora là,
	di cantare i Salmi 
	nel cuore e di capirli con la mente.
	Quando ti viene 
	qualche distrazione,
	non smettere di 
	leggere; torna in fretta al testo
	e applica di nuovo 
	l’intelligenza.
	Anzitutto mettiti 
	alla presenza di Dio
	come un uomo che 
	sta davanti all’imperatore.
	Svuotati di te 
	stesso
	e siedi come una 
	piccola creatura,
	contenta della 
	grazia di Dio;
	se come una madre 
	Dio non te la donerà,
	non gusterai 
	nulla, non avrai nulla da mangiare.
	
	
	 
	
	
	La «Piccola Regola» di Romualdo è da studiare insieme al capitolo della 
	“Vita del Beato Romualdo”,
	dove 
	
	s. Pier Damiano racconta l’episodio nel quale Romualdo 
	ricevette il 
	
	dono delle lacrime, della scienza spirituale, e della preghiera mistica. 
	La “Piccola Regola” e il capitolo 31 della sua vita, io credo, situano 
	saldamente Romualdo e i suoi discepoli nell’antica tradizione della 
	
	“spiritualità esicasta”.
	
	
	Il termine «esicasmo» 
	è da comprendere nel senso primitivo, che trova la sua origine presso i 
	Padri del deserto ed è giunto al vertice nella spiritualità del monte Sinai, 
	specialmente negli scritti di Giovanni Climaco e di Esichio.
	
	
	È mia intenzione commentare la «Piccola Regola» e il capitolo 31, 
	collocandoli nel contesto della spiritualità del deserto, specialmente 
	attraverso gli scritti di Giovanni Climaco e di Cassiano.
	
	
	Mentre sappiamo che Romualdo leggeva il libro delle 
	Vite dei Padri
	e seguiva gli insegnamenti delle loro Conferenze trasmesse da 
	Cassiano, non voglio affermare che Romualdo avesse letto gli scritti di 
	Giovanni Climaco. Tuttavia, essendo “La 
	Scala del Paradiso” di Giovanni Climaco un manuale di noviziato per i 
	monaci orientali, è molto probabile che Romualdo avesse conosciuto 
	indirettamente gli insegnamenti del maestro sinaitico grazie a contatti con 
	monaci della tradizione greca.
	
	
	Il termine greco 
	hesychia 
	significa lo stato di silenzio, di quiete, e di tranquillità, che è il 
	risultato della cessazione del disturbo e dell’agitazione, esterni e 
	interni. L’espressione «purità 
	di cuore» di Cassiano contiene l’aspetto di «tranquillità 
	dell’anima» 
	(tranquillitas 
	mentis), e, perciò, l’idea di 
	hesychia. 
	Inoltre, il termine indica anche solitudine e ritiro. In quanto valore 
	essenziale della vita monastica, 
	l’hesychia 
	è cercata sia dagli anacoreti che dai monaci cenobitici. Tuttavia, 
	nelle fonti più antiche, il termine «esicasta» normalmente significa un 
	monaco che vive nella solitudine, ossia un eremita, diversamente da un 
	monaco cenobita, come osserva Kallistos Ware, uno studioso monaco ortodosso.
	
	
	 
	
	
	
	Siedi nella tua cella
	
	
	La frase iniziale della «Piccola Regola» di Romualdo, «siedi 
	nella tua cella», è un’indicazione fondamentale per gli esicasti 
	che abitano nelle celle. Così il padre Mosè disse ad un fratello che si recò 
	a Scete per chiedergli una parola:
	
	
	 «Va’, rimani nella 
	tua cella, e la tua cella ti insegnerà ogni cosa». 
	
	
	Il padre Rufo 
	diede la seguente spiegazione del senso dell’hesychia:
	«L’hesychia 
	è il rimanere in cella con timore e conoscenza di Dio, tenendosi lontano dal 
	ricordo delle offese e dalla superbia». 
	
	
	Il legame stretto fra l’hesychia 
	e la cella si trova anche in un detto famoso di Antonio il Grande: 
	
	
	“Come 
	i pesci muoiono se restano all’asciutto, così i monaci che si attardano 
	fuori della cella o si trattengono fra i mondani, snervano il vigore 
	dell’unione con Dio. Come dunque il pesce al mare, così noi dobbiamo correre 
	alla cella; perché non accada che, attardandoci fuori, dimentichiamo di 
	custodire il di dentro”.
	
	
	L’idea della cella come 
	paradiso 
	può ritrovarsi in Girolamo, che disse al monaco Rustico: 
	
	
	
	«Fin quando rimani 
	nel tuo paese, prendi la tua cella come paradiso». 
	
	
	Nella 
	tradizione del deserto, la cella è considerata luogo di riposo, casa di 
	preghiera, e abitazione di Dio.
	
	
	 
	
	
	
	Scordati del mondo e gettatelo dietro le spalle
	
	
	Prosegue la «Piccola 
	Regola»: «Scordati 
	del mondo e gettatelo dietro le spalle». La spiritualità 
	esicasta distingue tra 
	
	hesychia esteriore e interiore. Mentre 
	l’hesychia 
	esteriore si riferisce a un luogo remoto e quieto, in particolare la 
	cella di un eremita, l‘hesychia
	interiore indica la calma interiore di un esicasta. 
	L’hesychia 
	esteriore serve come condizione favorevole per coltivare il silenzio 
	interiore che è l’obiettivo cercato. Perciò 
	
	non basta rimanere nella propria cella; 
	
	occorre coltivare la cella del cuore. A questo riguardo, 
	Giovanni Climaco esorta gli esicasti a chiudere tre porte una dopo l’altra:
	
	
	
	«Chiudi 
	fisicamente la porta della cella per il tuo corpo, ferma la porta alla 
	lingua perché non parli, sbarra la porta dal di dentro contro gli spiriti».
	
	
	L‘hesychia
	interiore può essere disturbata dall’attaccamento agli uomini o 
	alle cose di questo mondo, o dalle preoccupazioni per gli affari terreni.
	
	
	Nella tradizione del deserto, 
	l’amerimnia,
	
	
	che significa libertà dalle preoccupazioni, è intimamente connessa all‘hesychia
	
	
	interiore. Sulla scia di tale tradizione Giovanni Climaco 
	dichiara: 
	
	
	«E’ 
	proprio dell’hesychia il dono dell’amerimnia che guida tutte le nostre 
	azioni in qualunque affare spirituale o materiale: poiché la preoccupazione 
	per il primo conduce a quella per il secondo». 
	
	
	L’ingiunzione 
	categorica della «Piccola Regola» a dimenticare il mondo appartiene 
	chiaramente a tale tradizione. Il motivo è che, mentre sta nella cella 
	fisicamente, il monaco deve evitare di vagare per il mondo con la mente. 
	Questo è anche il significato della descrizione classica che Giovanni 
	Climaco fa di un esicasta: 
	
	
	«L’esicasta 
	è colui che lotta per circoscrivere dentro il corporeo l’incorporeo, 
	cosa veramente straordinaria», 
	
	
	ossia l’esicasta è colui che conserva lo 
	spirito dentro il proprio corpo.
	
	
	 
	
	
	
	Fa’ attenzione ai tuoi pensieri come un buon pescatore ai pesci
	
	
	La «Piccola Regola» continua: 
	«Fa’ attenzione ai 
	tuoi pensieri come un buon pescatore ai pesci». 
	Per raggiungere e mantenere 1‘hesychia
	e l‘amerimnia,
	altri due termini sono usati dalla tradizione del deserto: 
	nepsis 
	(la vigilanza) e 
	prosochè 
	(l’attenzione).
	
	
	Secondo Giovanni Climaco, l‘hesychia
	e la vigilanza si trovano sempre insieme: 
	
	
	
	«Ama 
	l’hesychia il pensiero vigoroso e conciso, sempre vigile alla porta del 
	cuore per eliminare o respingere quelli che dall’esterno vorrebbero in esso 
	irrompere». 
	
	
	
	È interessante notare che, prima di Romualdo, 
	Giovanni Climaco aveva già usato l’immagine del pescatore a proposito della 
	vigilanza: 
	
	
	
	«Il 
	monaco che veglia è come un buon pescatore che ripesca i pensieri della 
	mente perché nella tranquillità della notte li può più facilmente recuperare». 
	
	
	
	L’oggetto della vigilanza, per Romualdo come per Giovanni Climaco, sono i «pensieri»
	(logismoi),
	che sono le 
	
	passioni viziose. A questo riguardo, Giovanni Climaco 
	dimostra una dipendenza creativa dalla trattazione classica di Evagrio 
	riguardo agli 
	«Otto pensieri».
	
	
	L’hesychia
	non è un fine in sé, bensì è coltivata come un mezzo per 
	ottenere un obiettivo nobile: la contemplazione o la 
	
	preghiera incessante. Nella tradizione monastica, la 
	preghiera e la contemplazione nascono come risposta alla parola di Dio.
	
	
	 
	
	
	
	«L’unica via per te si trova nei Salmi – non lasciarla mai»
	
	
	Perciò, dopo l’esortazione a vigilare sui pensieri, la «Piccola Regola» 
	spiega qual è il 
	
	lavoro principale del monaco quando dimora nella propria cella: 
	
	«L’unica via per te si trova nei Salmi – non lasciarla mai». 
	nei Salmi. Poiché i Padri, Atanasio e Cassiano in particolare, vedono i 
	Salmi come la condensazione di tutta la Bibbia, la via dei Salmi si 
	riferisce alla Bibbia tutta intera, e, in modo particolare, al Salterio come 
	compendio della Bibbia. 
	
	
	La «Piccola Regola» continua a 
	dare istruzioni sulla via dei Salmi: 
	
	
	
	Se da poco sei 
	venuto, e malgrado il tuo primo fervore non riesci a pregare come vorresti, 
	cerca, ora qua ora là, di cantare i Salmi nel cuore e di capirli con la 
	mente. Quando ti viene qualche distrazione, non smettere di leggere; torna 
	in fretta al testo e applica di nuovo l’intelligenza.
	
	
	Qui la “Piccola Regola” ci presenta una visione integrale di come leggere e 
	pregare i Salmi. 
	
	Lectio, 
	
	meditatio, 
	
	oratio sono i diversi momenti di un’unica continua 
	attività spirituale nella quale uno può passare liberamente da un momento 
	all’altro senza seguire un ordine fisso. Anche se la parola non si trova, 
	l’idea di «meditazione»
	(melete),
	nel senso antico di recitare un testo ripetutamente per capirne 
	meglio il significato e per memorizzarlo, è sicuramente contenuta in questo 
	brano.
	
	
	
	Esiste un intimo legame fra l‘hesychia,
	
	
	o il silenzio interiore, e l’assidua meditazione della parola di Dio. 
	Secondo la «Piccola Regola», per poter seguire la via dei Salmi il monaco 
	deve dimenticare il mondo e vigilare costantemente sui propri pensieri, cioè 
	coltivare il silenzio interiore. A loro volta, 
	
	la lettura e la meditazione assidua della Parola di Dio servono come 
	strumenti che aiutano a mantenere ferma l’attenzione di una mente vagante: 
	«Quando ti 
	viene qualche distrazione, non smettere di leggere; torna in fretta al testo 
	e applica di nuovo l’intelligenza.». Quindi il silenzio 
	interiore e l’assidua meditazione della Parola di Dio sono due elementi 
	essenziali della spiritualità della cella, reciprocamente indispensabili.
	
	
	Un simile approccio già si trova in Cassiano, secondo il quale è impossibile 
	dedicarsi alla lettura spirituale senza conservare il silenzio interiore o 
	la purezza di cuore: 
	
	
	
	Pertanto, se 
	volete innalzare nel vostro cuore il tabernacolo santo della scienza 
	spirituale, purificatevi dalla bruttura di tutti i vizi, spogliatevi di 
	tutte le preoccupazioni di questo mondo. È impossibile che un’anima, anche 
	moderatamente occupata nelle faccende del mondo, meriti il dono della 
	scienza, o sia feconda nell’intelligenza spirituale, o ritenga fermamente le 
	sante letture che ha fatto.
	
	
	D’altra parte, secondo Cassiano, la lettura e la meditazione 
	
	sono i mezzi più efficaci per custodire la mente dai pensieri dannosi, 
	nutrendo le sante memorie e i pii sentimenti. La necessità di coniugare i 
	due aspetti, silenzio e meditazione, è stata splendidamente formulata nelle
	Eremiticae 
	Regulae del Beato Rodolfo, quarto Priore del sacro Eremo di 
	Camaldoli: 
	
	
	
	Seguono per ultimo il silenzio e la meditazione. Queste due cose, la regola 
	del tacere e la vigile occupazione del meditare, sono così unite 
	indissolubilmente che nessuna senza l’altra è valevole a salute; poiché il 
	silenzio senza la meditazione è morte e quasi tomba di un sepolto vivo; la 
	meditazione senza il silenzio non viene a capo di nulla ed è come lo 
	smaniare di un infelice chiuso in un sepolcro. Uniti in spirituale connubio, 
	sono gran quiete dell’anima e culmine di contemplazione.
	
	
	Se seguiamo la suddivisione delle due tappe della vita spirituale: 
	praktike e 
	theorìa, ossia ascesi e contemplazione, la via dei Salmi si 
	trova in tutte e due le tappe, in quanto la lettura e la meditazione assidua 
	conducono all’hesychia
	e aprono la porta alla contemplazione. Per questa ragione 
	Cassiano colloca la lettura e la meditazione fra le pratiche ascetiche che 
	conducono alla purezza di cuore. Allo stesso tempo la lettura e la 
	meditazione portano il frutto della «scienza spirituale». ossia la 
	contemplazione: 
	
	
	
	Poi, dopo aver 
	allontanato da voi stessi tutte le preoccupazioni e le ansietà terrestri, 
	sforzatevi con tutte le forze di applicarvi assiduamente, anzi 
	continuamente, alla lettura sacra, cosicché questa meditazione continua 
	pervada la vostra anima e la formi, poi così dire, a sua immagine… La 
	lettura allora farà dell’anima vostra una nuova arca dell’alleanza, che 
	conserva in sé le due tavole di pietra, vale a dire l’eterna fermezza 
	dell’uno e dell’altro Testamento. Farà di voi una nuova urna d’oro, simbolo 
	d’una memoria pura e sincera, che conserva per sempre il tesoro nascosto 
	dalla manna, vale a dire l’eterna e celeste dolcezza del senso spirituale e 
	del pane degli angeli.
	
	
	Cassiano insiste sull’intima connessione fra ascesi, meditazione e scienza 
	spirituale, ossia contemplazione. Questi elementi sono così inseparabili tra 
	loro che il monaco li deve coltivare lungo l’intero cammino spirituale.
	
	
	 
	
	
	
	L’esperienza di san Romualdo
	
	
	La «Piccola Regola» di Romualdo contiene una breve sintesi di questi 
	elementi. La via dei Salmi 
	
	presuppone l’ascesi attraverso la vigilanza sui pensieri e 
	allo stesso tempo prepara la strada alla contemplazione. Poiché la «Piccola 
	Regola» è scritta per i principianti nel cammino monastico, parla poco della 
	contemplazione, ma giustamente esorta i discepoli ad aspettare pazientemente 
	la grazia di Dio. Per avere un’idea della grazia promessa nella «Piccola 
	Regola», bisognerebbe rivolgersi alla 
	Vita del Beato 
	Romualdo. Nel capitolo 31, S. Pier Damiano racconta l’episodio 
	nel quale Romualdo ricevette per la prima volta 
	
	il dono delle lacrime della compunzione. Qui la 
	compunctio 
	va oltre il significato usuale di dolore penitenziale ed indica ogni 
	esperienza estatica di gioia e di esultanza che si ha durante la preghiera. 
	Insieme al dono delle lacrime fu concesso a Romualdo un altro dono 
	importante, cioè 
	
	la conoscenza spirituale, o la comprensione del senso 
	nascosto delle Sacre Scritture. Così scrive Pier Damiano: 
	
	
	
	Un giorno, mentre 
	stava in cella a salmodiare, si imbatté in questo versetto: ‘Ti farò saggio, 
	t’indicherò la via da seguire; con gli occhi su dite, ti darò consiglio (Sal 
	31, 8). Gli sopraggiunse improvvisamente una così larga effusione di 
	lacrime, e la sua mente fu talmente illuminata nella comprensione delle 
	Scritture divine, che da quel giorno in poi, finché visse, ogni volta che lo 
	voleva, poteva versare con facilità lacrime abbondanti e il senso spirituale 
	delle Scritture non gli era più nascosto.
	
	
	Secondo l’agiografo, in questa occasione Dio innalzò Romualdo al culmine 
	della perfezione, tanto che, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, 
	Romualdo poté prevedere alcuni eventi futuri e penetrare con intelligenza 
	molti misteri nascosti delle Scritture. 
	
	
	Nello stesso capitolo leggiamo che 
	tale esperienza mistica non restò un caso isolato nella vita di Romualdo, ma 
	ebbe un effetto permanente su di lui. Da quel momento in poi le lacrime 
	quasi sempre accompagnavano la sua preghiera estatica: 
	
	
	
	Sovente, rimaneva 
	così rapito nella contemplazione di Dio che si scioglieva quasi interamente 
	in lacrime e bruciando di fervore indicibile per l’amore divino, usciva in 
	esclamazioni come queste: ‘Caro Gesù, caro! Mio dolce miele, desiderio 
	inesprimibile, dolcezza dei santi, soavità degli angeli!’ Parole che, sotto 
	il dettato dello Spirito santo, gli si tramutavano in canti di giubilo e che 
	noi non sapremmo rendere compiutamente mediante concetti umani. Era come 
	dice l’Apostolo: ‘Noi non sappiamo neppure come dobbiamo pregare, ma lo 
	Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili (Rm 8, 26).
	
	
	 
	
	
	
	Le lacrime: «orazione infuocata»
	
	
	Le descrizioni di lacrime, di fervore ardente, e di giubilo che 
	accompagnavano le preghiere estatiche di Romualdo ricordano la 
	oratio ignita 
	spesso menzionata da Cassiano. Nelle preghiere estatiche di Romualdo, che 
	andavano oltre le immagini e le parole per sfociare in gemiti inesprimibili, 
	si trova quasi un’eco dell’ 
	
	«orazione infuocata» descritta da Cassiano:
	
	
	
	La preghiera di cui stiamo parlando non si fissa su qualche immagine, anzi 
	non s’esprime neppure attraverso parole: nasce di balzo, da una mente 
	infuocata, da un rapimento indicibile, da una insaziabile alacrità di 
	spirito. L’anima, trasportata fuori dei sensi e delle cose visibili, si 
	offre a Dio tra sospiri e gemiti inenarrabili.
	
	
	Cassiano adopera varie espressioni per descrivere la preghiera estatica: 
	essa è infuocata, ardente, pura, ineffabile, esprimibile solo attraverso i 
	gemiti e non con le parole… ecc. Anche le lacrime sono segno della preghiera 
	estatica. Mentre sia Evagrio che Cassiano parlano dell’«orazione 
	pura» che va oltre le immagini e le parole, è la presenza 
	delle lacrime, del fuoco, e dei gemiti che distingue la descrizione di 
	Cassiano da quella di Evagrio. Come Diadoco di Foticea, secondo Columba 
	Stewart, Cassiano ha effettuato una sintesi fra l’approccio intellettuale di 
	Evagrio e il misticismo affettuoso dello Pseudo-Macario nella sua 
	presentazione dell’orazione 
	pura.
	
	
	In modo simile, le lacrime di compunzione costituiscono un tema importante 
	per Giovanni Climaco, anche se questi accentua di più la compunzione intesa 
	come dolore e pentimento. Nel capitolo sulla preghiera, Climaco raccomanda 
	la semplicità della 
	
	“preghiera con una sola espressione” (preghiera
	
	monologistos) 
	per evitare le distrazioni. Inoltre, insegna che, quando uno è arrivato a 
	possedere la presenza del Signore nel suo cuore, non deve più preoccuparsi 
	di intessere la sua orazione con parole, perché allora lo Spirito 
	intercederà per lui e in lui con gemiti inenarrabili. Ugualmente Giovanni 
	Climaco esorta a tener lontana dalla mente ogni immagine sensibile che 
	potrebbe turbare il nostro raccoglimento. In modo particolare dà grande 
	importanza alla presenza del fuoco dello Spirito che 
	
	
	«inabitante 
	nel cuore del monaco orante, innalzando l’anima nella preghiera, ne 
	sollecita lo slancio fino al cielo, rinnovando la sua discesa nel cenacolo 
	dell’anima». 
	
	
	In tutti questi aspetti si percepisce una chiara 
	consonanza con le esperienze delle preghiere estatiche di Romualdo così come 
	sono presentate nel capitolo 31 della sua 
	Vita.
	
	
	È molto significativo che Romualdo abbia ottenuto il dono delle lacrime, la 
	scienza spirituale e l’esperienza della preghiera estatica, mentre stava 
	recitando un Salmo. È quasi una conferma alla validità della 
	
	«via dei Salmi» indicata dalla «Piccola Regola» come l’unica 
	via da seguire. Se ci volgiamo alla «Piccola Regola» e leggiamo le parole: 
	«Se da poco sei venuto, e malgrado il tuo primo fervore non riesci a pregare 
	come vorresti…», dobbiamo ricordare il capitolo più bello della 
	Vita 
	di S. Romualdo e possiamo consolarci con la convinzione che la grazia 
	promessa dalla «Piccola Regola» sarà concessa a coloro che perseverano sulla 
	via dei Salmi.
	
	
	 
	
	
	
	Mettiti alla presenza di Dio
	
	
	Continuiamo la nostra riflessione sulla «Piccola Regola»: 
	«Anzitutto mettiti 
	alla presenza di Dio come un uomo che sta davanti all’imperatore». 
	L’esortazione ad avere la consapevolezza della presenza di Dio è presente 
	nella Regola 
	di S. Benedetto. Il primo gradino dell’umiltà si basa sulla 
	consapevolezza di 
	
	essere sempre e ovunque sotto lo sguardo di Dio (RB 7, 
	10-30). Inoltre, la memoria della presenza di Dio deve ispirare il nostro 
	comportamento soprattutto durante la preghiera comunitaria (RB 19,1-2.).
	
	
	La vigilanza 
	(nepsis) e l’attenzione 
	(prosoche) 
	sono due aspetti indispensabili per l’hesychia:
	
	
	la vigilanza ci libera dall’agitazione dei pensieri perché possiamo 
	conservare l’attenzione continua alla presenza di Dio. Nel 
	capitolo sulla vigilanza Giovanni Climaco parla di stare costantemente in 
	preghiera davanti a Dio nostro Re. Nel capitolo sull’hesychia 
	si trova il famoso testo che invita ad unire il ricordo continuo di Gesù al 
	proprio respiro: 
	
	
	
	L’esichia consiste 
	nello stare in continua adorazione del Signore, sempre alla sua presenza, 
	con il ricordo di Gesù aderente al proprio respiro, allora potrai toccare 
	con mano i vantaggi dell’hesychia.
	
	
	 
	
	
	
	Svuotati di te stesso
	
	
	Finalmente, giungiamo all’ultimo paragrafo della «Piccola Regola»: 
	«Svuotati di te 
	stesso e siedi come una piccola creatura, contenta della grazia di Dio; se 
	come una madre Dio non te la donerà, non gusterai nulla, non avrai nulla da 
	mangiare». 
	
	
	Per potersi 
	
	sedere pazientemente in attesa della visita della grazia di Dio, 
	senza agire di propria iniziativa, 
	
	è necessario svuotarsi completamente. L’intero paragrafo ci 
	ricorda il Salmo 131 che, con soli tre versetti, è uno dei più bei salmi di 
	fiducia nel Signore. L’immagine di un pulcino in attesa di essere nutrito 
	dalla mamma richiama il bimbo in braccio a sua madre del secondo versetto 
	del Salmo: 
	«Io 
	sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un 
	bimbo svezzato è l’anima mia».
	
	
	L’ingiunzione a svuotarsi completamente, invece, corrisponde al primo 
	versetto del Salmo: 
	
	«Signore, 
	non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; 
	non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze».
	
	
	Tutti e due i versetti sono citati nel capitolo sull’umiltà della 
	Regola di S. 
	Benedetto, come introduzione ai vari gradini dell’umiltà (RB 7, 
	3-4).
	
	[1] 
	Nota del redattore del sito:
	L'autore, cinese di Hong Kong, è monaco dell'Eremo di New Camaldoli in 
	California, ove è maestro degli studenti. Già professore di teologia presso 
	l'Università Pontificia Salesiana, è attualmente ricercatore presso The 
	Ricci Institute for Chinese-Western History (San Francisco),. E' autore 
	di numerosi saggi di teologia e spiritualità in lingua inglese, cinese e 
	italiano. Il testo qui riprodotto è una piccola parte dell'intervento tenuto 
	al ven. Eremo di Fonte Avellana al convegno organizzato dal Centro Studi 
	Avellaniti (23-26 agosto 2000). (Fonte: "Vita monastica", anno LV, 
	n. 217 - 2001 Edizioni Camaldoli).
	
	Il testo originale contiene molte annotazioni che non ho riportato.
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3 febbraio 2022        a cura 
di Alberto "da Cormano"    
   
      
alberto@ora-et-labora.net