La Regola di
Rabbula di Edessa o la difficoltà del cenobitismo
[1]
Estratto e tradotto da "Solitude et communion. Tome II. Fuite du monde et vie communautaire"
di Jean-Luc Molinier – Ed.
Cerf Patrimoines 2016
Dopo
lo studio di due autori che si sono evoluti nell'universo persiano
[2], la Regola di Rabbula ci
indirizza verso un altro contesto, peraltro congiunto, quello della Siria.
Rabbula (morto nel 435 o
436) è famoso per la sua azione contro il nestorianesimo e con la sua
diffusione dei “Vangeli separati„ che egli avrebbe tradotto. Di conseguenza
proscrisse l'impiego del Diatessaron
[3]. Nel suo articolo del
1928 Peeters si rifiuta di attribuire a Rabbula la paternità della
traduzione in siriaco dei quattro Vangeli e riporta piuttosto quest'opera ad
Ibas
[4]. Nel 1931 Lagrange, nella sua
risposta allo studio di Peeters, ridà una certa credibilità alla vita
siriaca di Alessandro l'Acemeta
[5] ed, in particolare, a ciò che egli
insegna sull'opera di Rabbula. La vita di Rabbula è stata bene studiata ed
il testo dei Canoni monastici sembra ora ben stabilito.
Il fatto è che questi sono stati
poco analizzati nella prospettiva attuale.
Nato in Siria da un sacerdote pagano, Rabbula sembra essere stato poco
influenzato da sua madre, dalla sua nutrice e da sua moglie che erano
cristiane: diventato prefetto dell'Impero, diventa il difensore delle
divinità pagane. In seguito, convertito da due miracoli, è battezzato nel
Giordano, vende i suoi beni ed incita la moglie ed i figli alla vita
monastica. Nel 412, diventa vescovo di Edessa ed esercita il suo episcopato
in una maniera di rigoroso ascetismo. Viene anche in soccorso dei più poveri
facendo costruire ospedali, lebbrosari ed aiutando i più bisognosi. In
occasione del concilio di Efeso, nel 431, si pone a fianco di Cirillo di
Alessandria.
Ecco ciò che scrive al suo riguardo François Graffin, che riassume bene il
modo in cui il suo ricordo passerà alla posterità, sia come santo, che come
persona autoritaria:
Rabbula è temuto più che amato, al punto di essere nominato “il tiranno di
Edessa„ da parte di Ibas, professore alla “Scuola dei Persiani„ della città.
Egli caccia quest'ultimo nel 433, rimproverandogli di avere tradotto in
siriaco le opere di Teodoro di
Mopsuestia
[6]
(tuttavia Ibas diventerà il suo successore come vescovo). Questo accanimento
preoccupa la Chiesa armena, che comunica ciò a Proclo, vescovo di
Costantinopoli, il quale redige allora il suo Tomus ad Armenios per
informare coloro che lo hanno consultato.
Rabbula morì il 7 agosto 435 o
436. La chiesa di rito siriano lo ha messo nei ranghi dei più grandi
santi.
[7]
Studio dei Canoni
[8]
I Canoni
di Rabbula, scritti verso il 430, distinguono i “monaci„ che vivono nei
monasteri (Canoni da 1 a 25) da coloro che si ricollegano senza
dubbio maggiormente ai monaci itineranti, le cui biografie più famose sono
riportate da Teodoreto di Ciro (o Cirro) nella Storia dei monaci della
Siria, Canoni che trattano allo stesso tempo dei chierici e dei monaci (Canoni
26 a 85).
I Canoni
1-25 aiutano a comprendere meglio ciò che ne era realmente di questi due
tipi di monaci nella loro relazione con la Chiesa.
Sull'origine dei Canoni detti di Rabbula, Lagrange non dice parola;
noi ci atterremo dunque
all'analisi di Peeters:
Dell'amministrazione episcopale di Rabbula, il narratore parla lungamente
per non dire nulla di preciso. Tutta la sua amplificazione ritorna a
mostrare come il santo abbia cercato di inculcare ai sacerdoti, ai monaci ed
alle religiose i precetti che si trovano parzialmente codificati
successivamente alla Vita, nello
stesso manoscritto e, più completamente in alcuni altri, sotto il titolo di
“Ammonizioni„ o “Regolamenti di Mâr Rabbula„. Questo artificio sarebbe
soltanto in parte discutibile, se si fosse certi che questa legislazione è
sicuramente di Rabbula. Ma, a partire da san Clemente e sant'Ippolito, senza
contare gli Apostoli, quanti personaggi famosi non hanno coperto del loro
nome e della loro autorità leggi e regole uscite da un'evoluzione secolare?
Anche le raccolte canoniche, che non erano pseudepigrafe (attribuite a chi
non ne era il vero autore) all'origine, lo sono diventate nel corso dei
tempi con le modifiche e gli ampliamenti che le hanno snaturate nel loro
spirito e nella loro lettera. “Il libro dei precetti di Mâr Rabbula„
certamente non è sfuggito a questa evoluzione. Potrebbe anche appartenere
interamente ad uno stesso autore che non sarebbe Rabbula.
[9]
Questi Canoni conosceranno una grande posterità:
sono citati 62 volte nelle fonti
del diritto del patriarcato di Antiochia
[10].
La nostra attenzione riguarderà principalmente i Canoni per i
cenobiti (Canoni da 1 a 25).
Un primo punto attira l'attenzione del lettore: l'incompatibilità della vita
monastica con il fatto di vivere del proprio lavoro.
Perché per nessun motivo il lavoro deve fare mancare le ore di preghiera
(Canone 15), l'autore aggiunge alla “non proprietà personale„ (Canone
11), inerente al fatto monastico, la “non proprietà comunitaria„ (Canoni
9-10). Ecco ciò che scrive a
questo proposito A. Vööbus:
Le Regole
conosciute sotto il nome di Rabbula non permettono alle comunità monastiche
di possedere pecore, capre, animali da soma o altri animali. Vi è permesso
soltanto un asino, e solo per coloro che ne hanno necessità, ed una paio di
buoi, per coloro che seminano campi. Inoltre, non è permesso avere
mercanzie: “Mercanzie comperate o da vendere non si troveranno nei
monasteri, ad eccezione del necessario, senza ingordigia„ (Canone
10). Nonostante queste
concessioni, è sembrato che tali Regole ostacolassero
profondamente ogni sviluppo progressivo.
Non abbiamo del resto alcuna
garanzia - è necessario accennarlo - che le concessioni citate sopra fossero
in realtà una parte primitiva ed originale delle Regole. Al
contrario, alcune discordanze nelle Regole ed alcune flessioni nella
tradizione manoscritta indicano la possibilità di un rimaneggiamento nei
testi che sono sopravvissuti.
[11]
Perché la vita economica non deve essere assunta dai monaci stessi, si può
leggere nei Canoni indirizzati ai monaci itineranti che,
tradizionalmente, spetta ai sacerdoti ed ai laici di provvedervi:
I sacerdoti ed i diaconi prenderanno cura dei monaci che si trovano nel loro
paese; si occuperanno di loro come loro membra; esorteranno anche i secolari
a venire in aiuto per le cose corporali e faranno in modo che le donne non
entrino nei monasteri (Canone
40).
Potendoci essere la tentazione di chiedere alle monache di provvedere al
sostentamento dei monaci, un Canone lo vieta:
I sacerdoti, i diaconi ed i religiosi non molesteranno le religiose affinché
tessano loro dei vestiti per forza
(Canone 28).
[12]
La situazione di dipendenza nella quale i monaci si trovano situati non li
rende atti a difendere le cause dei poveri, dei prigionieri od a sostenere
le loro famiglie in difficoltà. C'è una grande differenza con i Canoni
di Marutha
[13] che fanno della solidarietà con i
prigionieri ed i poveri un elemento costitutivo delle comunità monastiche.
Un Canone
per i cenobiti chiede a coloro che sostentano il monastero di non servirsi
del nome del monastero per ottenere grano ad un migliore prezzo, ma
piuttosto di comperarlo al prezzo di mercato
[14]. Benedetto certamente ha la stessa
preoccupazione quando chiede ai monaci di vendere i prodotti ad un prezzo
più basso di quello dei secolari
[15].
Questa volontà che il lavoro non sia pregiudizievole alla vita monastica è
una preoccupazione che attraversa tutta la tradizione monastica; tuttavia,
dove la maggior parte dei legislatori si accontenta di mostrare il pericolo
pur invitando a vivere una certa tensione tra il mantenimento nella presenza
di Dio e l'attività dell'uomo - tensione che dà luogo ad una teologia del
lavoro - l'autore qui esclude una vera presa in carico da parte dei monaci
dalla loro economia e richiede piuttosto che sia instaurata un'assistenza
delle comunità monastiche da parte della Chiesa locale.
Un secondo punto, che deriva dal precedente, è quello della dipendenza
giuridica dei monaci riguardo al clero locale: solo coloro che sono
sacerdoti o diaconi possono distribuire la comunione (Canone 19),
sono loro che sono superiori nelle loro comunità.
L'argomentazione di Rabbula è che
colui che ha dato prova di capacità per gestire una Chiesa è atto a condurre
una comunità monastica:
Una situazione importante, dove si vede apparire il ruolo del superiore, è
l'accoglienza di un fratello che viene da qualche altra parte:
Nessuno riceverà un fratello che passa da monastero a monastero senza il
permesso del superiore presso il quale dimorava (Canone 25).
Questa disposizione ispirata dal buon senso si trova nella Regola di san
Benedetto (RB
61,13).
Nei Canoni
di Rabbula, i monaci itineranti sembrano così in una certa misura, minima ma
ben reale, dipendenti dal clero locale
[16].
Un terzo punto: la sfiducia nella relazione col mondo.
Non si trova nei Canoni di Rabbula per i cenobiti, eccetto il
Canone 16
[17], la benché minima allusione ad una
relazione positiva del monaco con l'esterno.
Ciò che è indicato si trova
ovunque nella tradizione monastica, ma la caratteristica di questi Canoni
è l'insistenza sui punti negativi:
non rimanere con le donne (Canoni dal 27 al 29);
non passare la notte fuori di un
monastero (Canoni 2 e 3);
fuggire le locande per non bere
vino: Canone 4 (stessa cosa per gli anacoreti, Canoni
48 e 71); non leggere libri che
non trattano della fede (Canone 10).
D'altra parte, si rileva il pericolo dell'esibizionismo ascetico dei
cenobiti (Canoni 5 e 6) e quello della pratica dell'Arte divinatoria
(Canone 18).
La rottura con il mondo non consiste soltanto nel non uscire dal monastero -
e ciò anche in caso di malattia - ma anche nel non informare la gente (dei
villaggi), anche in caso di decesso di un fratello (Canoni
1.8.12.23.29).
La prospettiva monastica di Rabbula
Lo studio di Arthur Vööbus apparso nel 1959 tiene conto di un rifiuto del
cenobitismo nel monachesimo siriano nella prima parte del V secolo
[18]. Il suo articolo termina con questa
conclusione:
Nelle nostre ricerche, abbiamo avuto accesso a fonti di carattere diverso,
non soltanto le fonti storiche e le omelie, ma anche i Canoni. Quest'insieme
fornisce una prova incontestabile la cui eclatante evidenza taglierebbe
corto a qualsiasi discussione. E, tuttavia, queste fonti lasciano il lettore
perplesso. Infatti, cosa che colpisce soprattutto è la reazione dell'antico
monachesimo siriaco contro le tendenze dominanti dello sviluppo del
cenobitismo. Altrove questo sviluppo ebbe luogo facilmente. I Siriani, al
contrario, prendevano un'altra via, poiché queste forme nuove non erano
soddisfacenti per la totalità del movimento monastico. Il nostro stupore è
causato dall'azione del monachesimo siriaco che creava un fronte di
opposizione e ricongiungeva attorno a lui le forze relegate alle antiche
tradizioni. Queste prospettive sono molto istruttive e vantaggiose per lo
studio dell'antichità cristiana siriaca. Inoltre, si può comprendere la
storia posteriore e l'evoluzione particolare del monachesimo siriaco
soltanto se si presta a questa realtà storica tutta l'attenzione che merita
[19].
Rabbula ha certamente conosciuto la corrente acemeta che è nata in Siria;
nella biografia greca del suo fondatore, sant'Alessandro l'Acemeta, si fa
menzione di Rabbula. Inoltre, la caratteristica essenziale dell'abbandono
alla Provvidenza nella dottrina di Rabbula che abbiamo appena rilevato si
trova nell'insegnamento di Alessandro. Nel suo articolo, Arthur Vööbus
[20] mostra i legami che collegano la
prospettiva monastica di Rabbula a quella del movimento acemeta. Rabbula e
Alessandro raccolgono attorno a loro dei gruppi di monaci ai quali
comunicano un totale abbandono alla Provvidenza divina. Quando Alessandro
muore verso il430, numerose cerchie imitano già il suo genere di vita:
Nella biografia di Rabbula, si raccontano, in modo molto significativo, le
ultime disposizioni del vescovo morente, poiché rivelano il suo interesse
per il tipo del cenobitismo che intendeva promuovere: “Inviò altre persone
per portare i suoi doni ai conventi all'Ovest ed al Sud che sussistono
confidando solo nella bontà divina„
[21].
Rabbula sarebbe stato convertito da due miracoli compiuti da Alessandro nel
deserto. Questa prova non concorda con la vita siriaca di Rabbula dove egli
è convertito da un miracolo compiuto da Abramo il recluso e da un secondo
miracolo nella basilica di Ciro, ed anche influenzato da indicazioni
ricevute da due vescovi
[22]. Tuttavia si può osservare che, nei
due casi, è un doppio miracolo che ottiene il consenso alla fede di Rabbula.
I commentatori ricusano la storicità degli elementi ricondotti a Rabbula
nella “Vita di Alessandro l'Acemeta „, tuttavia questi stessi eruditi
riconoscono un probabile incontro storico tra i due uomini:
Anche se, dando la precedenza alla vita siriaca, Rabbula è stato convertito
dall'incontro con Abramo il recluso e dalle esortazioni di due vescovi,
nulla impedisce che abbia conosciuto anche Alessandro e che sia stato
impressionato dalla sua vita ascetica e dalla sua predicazione
[23].
È, pertanto, ammissibile che Rabbula abbia visto Alessandro l'Acemeta e che
le austerità di quest'ultimo abbiano fatto impressione su di lui
[24].
Più importante è l'unità di dottrina tra i paragrafi che parlano di Rabbula
nella vita di Alessandro e l'insistenza sulla fiducia nella Provvidenza nei
Canoni monastici chiariti precedentemente.
Nella sua biografia, Alessandro chiede agli aspiranti al battesimo di
liberarsi dai loro idoli e, una volta compiuto questo atto, egli li conduce
ulteriormente nella fiducia in Dio:
Quanto al beato
Alessandro,
vedendoli tutti esultare di gioia nella fede e rendere grazie a Dio, disse
loro: “Fino ad oggi vi nutrivate di latte. Ma se qualcuno desidera ricevere
in condivisione il nutrimento solido e vuole diventare un cristiano
perfetto, venda ciò che gli appartiene, lo dia ai poveri, non si preoccupi
del domani e allora egli avrà un tesoro nel cielo. „ Ma il discepolo Rabbula
dice: “Non sono ancora un cristiano? E come posso fare ciò? Chi nutrirà la
folla dei miei servi, se non lo faccio io? È menzogna pura. Se lo vuoi,
prova a persuadermi con degli atti, nutri me ed i miei schiavi, anche
soltanto un giorno, ed allora io crederò alle tue parole. Se non puoi farlo
all'interno della città, cosa succederà se partiamo per il deserto? „ Allora
il beato
Alessandro dice:
“Prendi gli schiavi della tua casa e molti altri, quanti ne vorrai, e
portali nel deserto dove tu vorrai. Se il Signore non si prende cura di noi,
non ascoltarmi più„. E Rabbula risponde: “Se tu fai ciò, io seguirò tutto
ciò che è scritto nelle Scritture„
[25].
Il seguito del racconto mostra l'arrivo di un contadino in pieno deserto che
conduce una bestia da soma carica di alimenti (pane caldo e pentole di
verdura). Rabbula, alla vista di questo prodigio, si stacca di tutti i suoi
beni e raggiunge il deserto per dedicarsi all'austerità.
Non è il rifiuto della proprietà che costituisce l'originalità di questo
testo bensì l'associazione di idee tra l'accoglienza della Parola di Dio che
invita all'abbandono delle ricchezze e la fiducia che i beni non
mancheranno.
Per
Alessandro
come per Isacco di Antiochia e Rabbula che rappresentano la stessa tendenza,
la sistemazione dei monaci è un nonsenso
[26].
Alessandro
giudicava la gestione dei monasteri, le loro provviste, riserve e proprietà
come una degenerazione
[27].
Quest'unità di vista sulla fiducia nella Provvidenza divina è certamente il
terreno comune che collega Alessandro l'Acemeta e Rabbula e che permette di
comprendere perché questi due nomi si trovano associati nella biografia
greca di Alessandro.
Secondo Vööbus, molti conventi della diocesi di Edessa, dove il
monaco-vescovo Rabbula aveva voluto propagare lo stesso tipo di monasteri,
erano in relazione con la cerchia di Alessandro.
Sarebbe in ambienti di questo genere che occorrerebbe cercare l'origine, se
non della vita di Alessandro, almeno dell'episodio relativo alla conversione
di Rabbula inserito nella Vita del fondatore
[28].
Questo inserimento, oltre all'inverosimiglianza dei fatti (benché Alessandro
abbia potuto svolgere un certo ruolo nella conversione di Rabbula), vuole
soprattutto dire l'affinità che esiste tra l'ideale monastico dei due santi.
Infatti, “le Regole attribuite a Rabbula, le sue istruzioni
ecclesiastiche e la sua energica vigilanza vanno nello stesso senso
dell'opera di sant'Alessandro„
[29].
Secondo la Vita di Alessandro, al termine di sette anni di vita condotta nel
deserto, il fondatore degli Acemeti teme di essere assimilato al servo pigro
ed inutile e si lancia risolutamente nell'apostolato. Arriva in una città
dedicata all'idolatria e, come più tardi
San Marcello d'Apemea
[30],
mette a fuoco il tempio
[31]. Gli abitanti si precipitano per
vendicare i loro dei, ma una forza superiore li contiene. Rabbula si fa
avanti e si impegna in una discussione che continuerà durante tutta la
notte. Alessandro converte Rabbula facendo scendere il fuoco dal cielo,
sull'esempio di Elia; e dopo un secondo miracolo riesce a convincerlo ad
abbracciare la vita ascetica.
Una delle conseguenze possibili a questo abbandono alla Provvidenza potrebbe
essere l'indolenza. Per rimediarvi, una delle intuizioni principali sarà
l'apostolato monastico:
Io racconterò in tutta verità come la cosa si fece. Poiché gli otto cori
(degli angeli) erano adornati di una fede perfetta e facevano salire verso
Dio per molto tempo le loro preghiere ed i loro inni nella gioia ed il
giubilo del cuore, egli riflette in sé stesso e dice: “Non deve succedere
che la pigrizia venga ad inserirsi nel mezzo di una tale assenza di
preoccupazioni„. Ancor più, secondo la sua abitudine, si impone una
penitenza corporale; quindi chiama con il loro nome dei coraggiosi soldati
di Cristo al numero di centocinquanta, aventi realmente l'armatura della
fede, l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito-Santo e dice loro:
“Fratelli, proviamo noi stessi per vedere se siamo completi nella fede,
percorriamo questo deserto spaventoso che è quello degli infedeli e
mostriamo con i nostri atti che noi crediamo in Dio con tutto il nostro
cuore, e non soltanto a parole
„
[32].
Ma, se Rabbula si situa veramente nel contesto del movimento acemeta, come
comprendere la sua accanita opposizione ad ogni impegno sociale e pastorale
dei monaci?
Se il movimento acemeta ottiene il favore del popolo, esso sfugge alla
gerarchia della Chiesa che teme che la sua autorità sia messa in discussione
dal comportamento carismatico di questi monaci. Ma, quando Rabbula “scrive„
i suoi Canoni monastici, è già vescovo. Di spirito appassionato,
se si crede ai suoi biografi, non è uomo da lasciare installarsi il
disordine nella sua diocesi. Anche se sembra essere stato segnato dalla vita
ascetica che ha condotto lui stesso, non può ignorare gli eccessi ed i
disordini causati dall'apostolato di queste comunità itineranti.
Inoltre, ci si può interrogare: questi Canoni sono quelli di una
Regola effettiva che sarebbe stata vissuta da una comunità monastica o
sono delle decisioni episcopali che, nello stesso tempo, mantengono il
carisma della vita monastica ma anche lo mettono sotto tutela episcopale?
Di fronte alla itineranza, Rabbula raccomanda la chiusura monastica
[33]; in contropartita egli sopravvaluta
il discorso acemeta sull'abbandono alla Provvidenza, che mette queste
comunità in una situazione inevitabile di dipendenza economica e politica.
Se il monachesimo di Rabbula è da situare nella scia del movimento acemeta,
non occorre - sembra -, come fa Arthur Vööbus nel suo articolo, parlare di
rifiuto del cenobitismo. Esiste un cenobitismo autentico da Alessandro con
una vera presa in considerazione degli elementi principali che lo
costituiscono (preghiera corale, comunione nel combattimento spirituale,
comunione anche nell'itineranza, comunione nella povertà e nell'abbandono
tra le mani di Dio). La prospettiva di Rabbula non deve fuorviare. Ciò a cui
reagisce il vescovo di Edessa, non è il cenobitismo ma piuttosto
l'indipendenza di una corrente monastica che egli mette sotto tutela per
controllarla meglio.
Ma, per quanto riguarda la legislazione propriamente detta di Rabbula e di
ciò che possiamo dedurne, lo studio che abbiamo appena condotto ci permette
di concludere che la volontà del legislatore di mettere i monaci sotto
tutela episcopale li rende inadatti a garantire la loro missione profetica,
sociale e missionaria. Inoltre, non sembra ovvio che un cenobitismo
autentico possa sopravvivere ad un rifiuto di autonomia economica e
spirituale dei monasteri. A monte di questo testo una situazione certamente
troppo marginale rispetto alla gerarchia, troppo distinta dalle Chiese
locali, avrà condotto alla redazione di questi Canoni. Inseriti nella
legislazione della chiesa di Antiochia, conosceranno un certo successo, ma
saranno allora messi in un insieme più ampio, meno legato a lottare contro
situazioni storiche particolari
[34].
Conclusione
Al termine del nostro studio su alcune delle regole monastiche orientali, la
cui scelta è stata determinata dall'anzianità dei testi, possiamo rilevare
alcune delle loro similitudini e delle loro divergenze quanto al loro
rispettivo cenobitismo ed alla loro relazione con gli uomini e con il mondo.
A titolo di preliminare notiamo che esiste una differenza importante tra
l'antica concezione del diritto in Egitto ed in Mesopotamia
[35], dove prevale una visione che non
fonda il potere del re su di una concezione teocratica ma su una ricerca
della giustizia e del bene comune. Questa concezione favorisce una
legislazione che permette al monarca di stabilire leggi che tengono
maggiormente conto delle situazioni e dei contesti locali. Esiste un legame
stretto tra la logica delle leggi civili e quelle delle leggi monastiche
(religiose) in una certa cultura, la prospettiva del diritto mesopotamico si
trova nei Canoni monastici di Marutha attenti allo stesso tempo al
bene delle popolazioni ed a quello dei monaci, non esitando ad innovare su
molti punti. La preoccupazione di
Marutha è di rendere possibili i valori monastici in una data situazione. La
legislazione di Rabbula procede dalla stessa libertà, ma con tutt'altra
prospettiva. La sua situazione di vescovo ed il suo timore di vedere il
monachesimo sfuggire all'autorità della gerarchia lo conducono a mettere i
monaci sotto la tutela delle autorità ecclesiastiche; paradossalmente, in
uno stesso movimento, il suo proprio itinerario spirituale lo conduce a
reagire contro un monachesimo che tende ad istituzionalizzarsi. Da Marutha
come da Rabbula, noi abbiamo a che fare con una concezione della vita
monastica particolarmente attenta al contesto per attuare una legislazione o
per scegliere di raccogliere tale pratica ricevuta dalla tradizione
piuttosto che tale altra.
Per quanto riguarda il servizio dei poveri, appare una divergenza.
L'argomentazione a favore del cenobitismo sviluppato da Cassiano si trova
nelle Regole di Pacomio: la koinônia
[36] rende possibile
l'accoglienza delle donne, delle famiglie, dei poveri, senza che ciò sia
pregiudizievole alla vita monastica.
Aphraate non parlerà
differentemente ai suoi interlocutori tentati da una visione restrittiva del
concetto di “prossimo„. Marutha predispone un'istituzione: un fratello,
eletto dalla comunità, ha l'incarico di visitare i prigionieri della città.
Queste varie forme del monachesimo cenobitico sono aperte alle necessità
della Chiesa e ad una fraternità intesa in senso largo, pur restando
interessate che sia salvaguardato il valore dell'amerimnia
[37]. L'impegno a non
possedere nulla di proprio, che non era vissuto nel deserto nello stesso
modo, appare veramente come un punto determinante della condizione del
monaco semi-anacoreta o cenobita. Ne risulta una volontà più grande di
rispondere insieme alle esigenze monastiche ed alle sollecitudini
dell'esterno. Il “vizio„ della proprietà di cui parla Benedetto nella sua
Regola compromette l'autenticità ed il cemento comunitari che questi
testi legislativi vogliono instaurare.
In compenso, nella Regola di Rabbula, la situazione è diversa:
perché il lavoro e la gestione di
un patrimonio sono una minaccia per l'equilibrio della vita monastica (in
particolare per l'abbandono spirituale) i monaci non possiedono nulla
comunitariamente e dunque non conducono delle vere attività lucrative. Altri
hanno l'incarico di provvedere alle loro necessità e sono coloro che - in
fine - garantiscono il governo della comunità. A causa dell'assenza
di redditi comunitari risulta che i monaci non possono occuparsi dei poveri.
Il servizio del Popolo di Dio, vissuto nell'articolazione del doppio
comandamento dell'amore e del paradosso
[38] che ne consegue invariabilmente, non
può essere garantito dal monaco cenobita se la comunità non si occupa del
suo futuro. Questa deve dotarsi dei mezzi concreti per giungervi, in
particolare con il lavoro ma anche con una cura particolare nel vigilare sul
cammino spirituale dei fratelli e con una vera carità per gli ospiti e per
più i poveri.
Questa funzione della legislazione monastica è raramente valorizzata dai
commentatori, ma sembra avere presieduto a molte delle pagine della
Regola di san Benedetto. Essa permette anche di capire che uno dei
tratti caratteristici dell'insieme di questi testi legislativi sia la
volontà di mantenere i valori monastici tradizionali in un contesto nuovo in
cui emergono incessantemente nuove sollecitazioni.
L'essere cristiano in generale ed il progetto di vita monastica in
particolare tendono verso l'unità interiore e questa non può essere ottenuta
dal solo rispetto dei comandamenti. Matteo, nel Sermone della montagna,
riprende molti dei comandamenti fondamentali della legge mosaica e mostra
che la loro osservanza non è mai completata, tanto è vero che questi
invitano sempre ad un superamento che conduce più lontano. Egli conclude con
un invito all'amore, non soltanto dei suoi fratelli ma anche di quelli che
ci sono stranieri ed ostili al fine di amare come Dio ama: “Voi dunque,
sarete perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto„
(Mt 5,48).
Più avanti nello stesso Vangelo,
il giovane uomo ricco intende dire da parte di Cristo: “Se vuoi essere
perfetto, vai, vendi tutto ciò che possiedi, dallo ai poveri, ed avrai un
tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi„ (Mt 19,21).
La sequela Christi
implica, dunque, la rinuncia ai beni e la condivisione con i poveri. Questa
“perfezione„ che diventa la “misericordia„ in san Luca
(Lc 6,36) è la via
che adegua l'uomo a Dio ed alla sua paternità, fonte ed impegno di ogni
fraternità. La gestione quotidiana
del doppio comandamento dell'amore è un combattimento spirituale per il
monaco, tentato di lasciarsi monopolizzare dal servizio dei poveri, tentato
di lasciarsi sviare dalle esigenze dell'amore fraterno
[39]. La Regola diventa
allora il mezzo offerto per vivere il Vangelo nell'unità del doppio
comandamento.
NOTE: oltre alle note contenute nel testo originale sono state
aggiunte altre note del traduttore ricavate da diverse fonti.
[2]
Ndt. L'autore si riferisce alla Regola di Aphraate (o Afraate),
detto il Sapiente Persiano, ed ai Canoni monastici di Marutha,
vescovo di Maipherqat (in Armenia e alla frontiera con la Siria).
[3]
Ndt. Diatessaron (Che in greco significa "Attraverso i quattro") è
il titolo dell’armonia evangelica, composta con i passi dei quattro
Vangeli canonici da Taziano (Apologeta cristiano nato probabilmente
in Siria tra il 120 e il 130), intorno al 172, e usata fra i
cristiani di Siria fino ai primi del 5° sec. Dell’opera, assai
diffusa in rifacimenti arabi e latini per tutto il Medioevo, restano
ora un brevissimo frammento in greco, frammenti della versione
siriaca (soprattutto nel commento di Efrem), una versione araba (11°
sec.) dal siriaco ed un rifacimento in latino.
[4]
Ndt. Ibas
⟨ibℎa⟩
(sir. Ḥībā, gr. Ιβας). - Teologo e scrittore siro (m. 457), capo
della scuola di Edessa sotto il vescovo Rabbūlā. Presente al
Concilio di Efeso, non approvò la condanna delle opere di Teodoro di
Mopsuestia e, in conflitto col suo vescovo, fu espulso dalla città
(433). Allora forse scrisse la famosa lettera al vescovo persiano
Mārī contro il Concilio di Efeso e Cirillo d'Alessandria. Questa
lettera, rimastaci in versione greca, distingue tra l'altro il Verbo
ed il suo tempio nato da Maria. Insieme agli scritti di Teodoro di
Mopsuestia e di Teodoreto di Ciro, essa costituisce i Tre Capitoli.
Eletto (435) vescovo di Edessa, più volte accusato di nestorianesimo
fino ad essere deposto (449), Ibas fu riabilitato dal Concilio di
Calcedonia (451) dopo aver anatematizzato Nestorio. Importanti
versioni dal greco in siriaco completano la sua opera. (Da
Enciclopedia Treccani)
[5]
Ndt. Alessandro l'Acemeta. - Educato a Costantinopoli (morto a Gomon
430 circa), asceta (380 circa) in Siria, evangelizzò la Mesopotamia
fondando un grande monastero sull'Eufrate. Tornato poi, dopo un
soggiorno ad Antiochia, a Costantinopoli, vi fondò la comunità degli
acemeti, attirando a sé, per la novità e la serietà della regola,
numerosi monaci di altri conventi, ma anche rimostranze e
persecuzioni da parte delle autorità, che infine lo costrinsero a
trasferirsi altrove; fondò allora un monastero a Gomon, sulla riva
asiatica del Bosforo. (Da Enciclopedia Treccani)
[6]
Ndt. Teodoro di Mopsuestia sosteneva che nel Cristo coesistevano due
nature distinte, quella divina e quella umana.
[7]
« Rabboula », in
Dictionnaire de Spiritualité,
Beauchesne, 1988, t. 13, colonna 13.
[8]
François
Nau,
Ancienne littérature canonique syriaque,
fascicolo 2,
Les canons,
Paris, 1906, p. 83-91.
Ndt. La numerazione dei canoni è diversa da quella che si trova sul
sito "ora-et-labora.net".
[9]
Paul PEETERS, « La vie de Rabboulas, évêque d’Édesse », p. 183-184.
[10]
Sacra Congregazione per la Chiesa orientale,
Fonti (Serie II
-
Fascicolo XXVI) : Disciplina Antiochena antica SIRI
-
II.
Les personnes,
Tipografia poliglotta Vaticana, 1951, p. 561.
[11]
Arthur VŐŐBUS, « Sur le développement de la phase cénobitique et la
réaction dans l’ancien monachisme syriaque », dans
RSR,
t. 47/3, 1959. p. 403-404.
[12]
Il
Canone
seguente che non fa menzione dei monaci dimostra che questa
tentazione era senza dubbio riferita al clero; « I sacerdoti ed i
diaconi non saranno serviti da donne e tanto meno da religiose » :
Canone
29.
[13]
Si veda in particolare il
Canone
51 di Marutha che riguarda la funzione dei portinai. Costoro, tra i
vari compiti a loro affidati, devono fare in modo di conciliare
l'accoglienza con il mantenimento della riservatezza della vita
monastica. Al par. 11: "E' giusto che lui riceva tutti gli uomini
come persone onorabili; è giusto che stia in guardia"
[14]
"Se qualcuno procede alla vendita del raccolto a beneficio del
monastero, non prenda qualcosa di più del prezzo di mercato
stabilito al momento del raccolto, così che non sia tentato di
vendere con avidità in nome del monastero". Canone 24
[15]
RB
57, 7-8.
[16]
I monaci itineranti non possono partecipare alle riunioni senza la
presenza di sacerdoti, e per le religiose questa missione è devoluta
alle diaconesse (Canone 62): sono i sacerdoti che portano davanti al
giudice la situazione di una monaca che si lega ad un secolare
(Canone 53) e che si assicurano che la penitenza sia ben fatta
(Canone 54). Inoltre fanno attenzione a che la distanza con i
secolari sia ben rispettata (Canoni 35 e 43).
[17]
"Riceveranno cordialmente gli estranei e non chiuderanno la porta
davanti a nessun fratello".
[18]
« A partire dalla comparsa del cenobitismo nella sua forma
progressiva, una parte del monachesimo siriaco entrò in controversia
su questa evoluzione. Questa controversia produsse il suo effetto.
La polemica fomentò la rivolta contro un tale sviluppo e, poco a
poco, si creò un fronte dell'opposizione »: Arthur VŐŐBUS,
« Sur le développement de la phase cénobitique... », p. 431.
[19]
Arthur VÔÔBUS, « Sur le développement de la phase cénobitique... »,
p. 406- 407; senza impegnarci con Arthur Voobus, sul fatto di sapere
se in Siria l'anacoretismo abbia preceduto o meno il cenobitismo,
vogliamo solo mostrare con questa citazione che, nella prima parte
del V secolo, stiamo assistendo in
Siria ad un rifiuto del
cenobitismo.
[20]
Arthur VÔÔBUS,
«Sur le développement de la phase cénobitique et la réaction dans
l’ancien monachisme syriaque », in
RSR,
t.47/3, 1959, p. 401-407.
[21]
Arthur VÔÔBUS, « Sur le développement de la phase cénobitique... »,
p. 403.
[22]
Si veda Paul PEETERS, « La vie de Rabboulas, évêque d’Édesse
»,
p. 173-176.
Il manoscritto unico che ci ha conservato la biografia di Rabboulas
è nel British Museum, sotto il simbolo Add. 14652.
[23]
Les moines Acémètes, Présentation, traduction et notes par le F.
Jean-Marie Baguenard,
Bellefontaine, 1988, p. 84. note 26.
[24]
Émile de STOOP, « Vie d'Alexandre l’Acémète », in PO, Tomus sextus.
1911, Introduzione, p. 654
[25]
« Vie de notre saint Père Alexandre », 18, in
Les moines Acémètes,
1988, p. 91.
[26]
Jean-Marie
Baguenard,
« Introduction à la Vie de notre saint Père Alexandre », in
Les moines Acémètes,
1988, p. 52.
[27]
A. VŐŐBUS, « Sur le développement de la phase cénobitique... », p.
402.
[28]
« Sur le développement de la phase cénobitique... », p. 403, note
41.
[29]
Jean-Marie
Baguenard,
«
Introduction à la Vie de notre saint Père Alexandre », p. 53.
[30]
Ndt. San Marcello d'Apemea, in Siria, era magistrato della città e
venne eletto vescovo. Morì assassinato dai pagani nel 389 mentre
sorvegliava la distruzione di un tempio di idoli conformemente ad un
editto dell'imperatore Teodosio.
[31]
Si veda anche l'atteggiamento di San Martino e San Benedetto.
[32]
«
Vie de notre saint Père Alexandre », 31,2, in Les moines
Acémétes,
p.
102.
[33]
Il monachesimo di Alessandro sperimenterà la stessa evoluzione a
Costantinopoli quando il suo secondo successore, Marcello, anch'egli
siriano, rinuncerà all'itineranza. In questa epoca, i monasteri
degli Acemeti sembrano aver trovato un certo credito presso le
autorità religiose dal momento che il nome di Marcello, sacerdote e
archimandrita, è apposto con gli altri nomi di coloro che hanno
firmato la deposizione di Eutiche (considerato il fondatore della
teoria del monofisismo, secondo la quale nell'unica persona di Gesù
Cristo, dopo l'incarnazione, vi è una sola natura (physis),
quella divina).
[34]
Sacra Congregazione per la Chiesa orientale,
Fonti
(Serie II
-
Fascicolo XXVI).,
p.
345-421.
[35]
«
Il diritto babilonese non appare avere un così marcato carattere
teocratico. Il potere, certamente, è concepito sulle rive
dell'Eufrate come di origine divina, ma è al servizio di un ideale
di giustizia considerato come ai margini della monarchia incaricata
di applicarlo e di farlo rientrare nelle usanze. La missione del Re
è quella di far regnare la giustizia e l'ordine che ne risulta e, se
la sua autorità è assoluta, deve obbedire a degli imperativi
indiscutibili e superiori tanto alla sua persona che alla stessa
istituzione reale. Egli ha il dovere di cercare il bene del suo
popolo, lo Stato non è di sua proprietà ed è distinto dalla persona
del sovrano. C'è, quindi, in Babilonia, contrariamente a quanto
abbiamo visto in Egitto, una nozione di Stato che si confonde in un
certo modo con la nozione religiosa della giustizia considerata
sotto una più ampia visuale e di un reale carità, anche se
imperfetta. Il re Urukagina, che regnava intorno all'anno 2400,
dichiara, per esempio, con legittimo orgoglio, che egli a protetto
la vedova e l'orfano ed ha soppresso la poliandria. Questa ricerca
di una giustizia sociale più adeguata, come diremmo oggi, è ancora
messa in risalto dal codice di Hammurabi, animato da un ampio
spirito di equità che appare già nelle antiche codificazioni sumere.
Hammurabi intende proteggere il debole contro il potente. Diverse
disposizioni mirano alla protezione del lavoratore contro i
possibili abusi di potere del suo capo. Il re si considera il
guardiano della pace e dell'equità; egli è incaricato di far regnare
la giustizia [Si veda DAUVILLIER, "Problèmes
juridiques de l'époque paléolithique",
in
Mélanges Henri
Levy,
Brühl, Paris. Sirey, p. 12] Presso
gli Ittiti, il sovrano si presenta al suo popolo come
l'intermediario provvidenziale tra il dio e le sue creature e si
ritrova, nel loro regno, come in Babilonia ed in Assiria, una
distinzione abbastanza netta tra la persona del sovrano e lo Stato
ma, a differenza di ciò che possiamo constatare in queste due
imperi, il mondo ittita è regolato da leggi feudali. Tuttavia, è
sempre affermata la stessa concezione del diritto dipendente da un
ideale di giustizia e garantito dalla fede religiosa »:
Pierre
Andrieu-Guitrancourt,
Introduction
à
l'étude du droit en général et du droit canonique contemporain,
Paris, Sirey, 1963, p. 102-103
[36]
Ndt.
La « koinonia », ovvero la « comunione » consiste fondamentalmente
nel fatto che i monaci hanno tutto in comune.
[37]
Ndt. Amerimnia: Secondo la mistica cristiana, stato spirituale (gr.
ἀμεριμνία, «senza preoccupazione») di colui che ha realizzato il
distacco da tutto: uomini, cose e affari terreni; frutto
dell’amerimnia è la pace interiore.
[38]
Ndt. Paradosso tra l'amore di Dio, che obbliga alla separazione, e
l'amore del prossimo, che obbliga alla comunione.
[39]
«Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio:
chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non
ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.» :
1 Gv
4, 7-8.
Ritorno alla pagina sulla "Regola di Rabbula"
Ritorno alla pagina iniziale "Regole monastiche e conventuali"
| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |
| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |
21 novembre 2017 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net