I CANONI MONASTICI
DI MARUTHA DI MAJPHERQAT
(Estratto e tradotto dall'inglese da: "The so-called canons of Maruta",
in "Syriac
and Arabic Documents regarding legislation relative to Syrian ascetism", a
cura di A. Vööbus - ETSE Stockholm, 1960)
CANONE 25. A
PROPOSITO DEL COREPISCOPO
[1]
E DI COME È GIUSTO CREARLO.
CANONE
26. RIGUARDO LO STESSO [COREPISCOPO].
CANONE 27. RIGUARDO
LO STESSO [COREPISCOPO].
CANONE 36. RIGUARDO
LO XENODOCHIO
[2].
CANONE 40. SENZA IL
COREPISCOPO NON È LECITO NOMINARE UN PRETE O UN MONACO.
CANONE 41. SULLE
MONACHE (BENAT QEIĀMĀ) E LE DIACONESSE.
CANONE 47. SU COLUI
CHE VISITA I PRIGIONIERI (SĀcŪRĀ).
CANONE 48. COME
DEVE ESSERE L'ABATE (rišdairā).
CANONE 49. IL
SERVIZIO DELL'INTENDENTE (RABBAITā),
DEL PORTIERE E DEI GIOVANI SERVITORI AL SERVIZIO DELL'ABATE
(rišdairā).
CANONE 50.
L'INTENDENTE (RABBAITā).
CANONE 51. COME
DEVE ESSERE IL MONACO (PORTINAIO).
CANONE 52. COME
DEVE ESSERE IL VISITATORE (SĀcŪRĀ) DEL MONASTERO.
CANONE 53. COME DEVE COMPORTARSI UN GIOVANE [DISCEPOLO] VERSO L'ABATE
(rišdairā).
CANONE 54. LA DISCIPLINA E LA LEGISLAZIONE DEI MONACI.
CANONE 56. SULLA CONSACRAZIONE DELLA CHIESA.
CANONE 57. L'ALTARE NON DEVE ESSERE SPOSTATO.
CANONE 58. QUESTI CANONI DOVRANNO ESSERE LETTI DUE VOLTE ALL'ANNO.
CANONE 59. IL NAZIREATO
[3]
PER QUANTO RIGUARDA IL MATRIMONIO ED IL VESTIARIO DEL MONASTERO.
CANONE 66. A PROPOSITO DELL'ONORE DATO AL MONASTERO DA CUI PROVIENE IL
COREPISCOPO.
CANONE 25. A proposito del corepiscopo e di come è giusto crearlo.
È la volontà del sinodo generale che:
1. Il vescovo elegga (come corepiscopo) un uomo
dall'ordine dei monaci, che sia di (buona) conversazione, istruito ed abbia
delle buone maniere.
2. Quando l'intera congregazione sarà riunita,
sarà condotto in mezzo ad essa ed un diacono proclamerà ad alta voce e dirà:
"Abbiamo eletto questa persona amante di Dio perché diventi un corepiscopo per
l'intero distretto", affinché tutti possano sapere che è stato nominato.
3. Gli sarà dato (un elenco) numerato di tutte
le chiese ed i monasteri dell'intero distretto della (rispettiva) sede.
4. Egli eleggerà uomini diligenti dalle chiese e
dai monasteri e li farà diventare visitatori (sācūrē)
in tutto il distretto; i visitatori delle chiese non avranno alcun potere sui
monasteri e quelli dei monasteri non avranno alcun potere sulle chiese, ma
ognuno, nel suo rango e nella sua posizione si prenderà cura del proprio dovere.
5. Questo corepiscopo uscirà e andrà in giro per
le chiese ed i monasteri del paese.
6. Se ci sono chiese o monasteri che possiedono
troppo, ed altri che possiedono meno, egli prenderà da quelle che hanno troppo e
colmerà il bisogno di quelle che hanno meno.
7. Vedrà se vi sono villaggi che hanno bisogno
di sacerdoti, dovrà stare in mezzo a loro e non permetterà a questi villaggi di
diventare indecorosi; e ci sono villaggi dove non ci sono "figli del Patto" (benai
qeiāmā)
[4]
da cui fare uscire dei sacerdoti, (in questo caso) farà uscire dei fratelli dai
monasteri o dalle chiese che sono sotto la sua autorità e li nominerà sacerdoti.
Non lascerà che le chiese o i monasteri siano privi di sacerdoti, in modo che
gli altari non vengano disprezzati e le sante chiese non rimangano senza
servizio, in particolare affinché non ci siano Cristiani solo di nome ma pagani
nelle loro opere, perché non ci sono pastori per loro.
8. Inoltre, il corepiscopo vedrà tutti i
villaggi ed ogni villaggio allo stesso modo, e dovrà stabilire per essi una
somma (dovuta), in modo che tutti i villaggi possano fare una donazione
sufficiente al vescovo, poiché anche lui ha delle spese.
Il Sinodo generale ha stabilito questi Canoni
senza anatema.
26.
Riguardo lo stesso [corepiscopo].
È la volontà del sinodo generale che:
1. Il corepiscopo, quando esce ed attraversa
l'intero distretto per la visita, dovrà provvedere affinché, se le chiese ed i
monasteri hanno bisogno di fratelli e sorelle, riunisca gli anziani dei
villaggi, li istruisca e li ammonisca tramite una lezione delle Scritture.
2. Ognuno di loro che abbia figli e figlie,
dovrà essere persuaso dal corepiscopo a scegliere alcuni dei loro figli e
figlie.
3. Li segnerà con la preghiera, imporrà loro la
mano, li benedirà e questi diventeranno "figli del Patto" (benai
qeiāmā).
4. Essi dovranno essere istruiti e distribuiti
alle chiese ed ai monasteri, ed ordinerà loro che siano educati nella dottrina e
nell'istruzione di cui diventeranno eredi e che le chiese ed i monasteri saranno
istituiti (o avranno la loro esistenza) attraverso di loro.
Il Sinodo ha stabilito questi Canoni senza
anatema.
27.
Riguardo lo stesso [corepiscopo].
È la volontà del sinodo generale che:
1. Il corepiscopo riunirà tutti i membri del
"Patto" (qeiāmā) dei villaggi due
volte l'anno in egual misura per l'onore del vescovo; parteciperanno col vescovo
ai misteri (dell'Eucaristia) e riceveranno anche una benedizione (būrktā)
da parte del medesimo: una volta nel tempo in cui inizia l'inverno e l'altra
volta dopo la festa della Risurrezione.
2. I monaci, tuttavia, si riuniranno una volta
all'anno ed anche quando il corepiscopo desidera riunirli.
3. Ma quelli che sono diventati di recente
superiori del monastero (rišai-dairātā),
verranno per onorare il vescovo tre volte all'anno: due volte da soli ed una
volta insieme ai loro compagni, in modo da conoscere il vescovo e l'arcidiacono.
Il Sinodo ha stabilito questi Canoni senza
anatema.
36.
Riguardo lo xenodochio.
È la volontà del sinodo generale che:
1. Lo xenodochio debba stare in tutte le città.
2. Il vescovo eleggerà un uomo dal rango dei
monaci, che sia lontano dalla sua patria e dalla sua famiglia, e di cui ci sia
una buona testimonianza; costui sarà l'amministratore dello xenodochio (caksenādākrā).
3. Si dovranno preparare letti e materassi ed
altri oggetti necessari per le necessità dei malati e dei bisognosi.
4. Se, tuttavia, la condizione della casa non è
sufficiente, l'intera comunità dei credenti vi metterà mano, ciascuno secondo la
sua forza, e sarà istituita una casa di fratelli di viaggio - in modo che,
grazie alla nostra sollecitudine per loro, molti dei nostri errori ci siano
rimessi.
Questi Canoni sono senza anatema.
40. Senza
il corepiscopo non è lecito NOMINare un prete o un monaco.
È la volontà del sinodo generale che:
1. Senza l'ordine del corepiscopo, i laici nei
villaggi non hanno l'autorità di eleggere chi desiderano per fare i sacerdoti
nei loro stessi villaggi.
2. Così in un monastero: i fratelli non hanno
l'autorità per eleggere da soli l'abate (rišdairā),
in assenza del vescovo.
3. Se, tuttavia, durante la sua vita l'abate (rišdairā)
ha designato l'uomo che sarà il suo successore, e questo (designato) non è né
suo parente né suo compagno di villaggio, è lecito che venga nominato un abate (rišdairā) secondo l'ordine dei predecessori.
Il Sinodo generale anatemizza chi trasgredisce
queste (sentenze).
CANONE 41. SULLE MONACHE
(benaT qeiāmā) E LE
DIACONESSE.
È la volontà del
sinodo generale che:
1) Le chiese
stabilite in città non devono essere prive di un comunità di sorelle
2) Queste sorelle
dovranno avere un maestro sopra di loro, qualcuno che sia premuroso, e saranno
istruite nella Sacra Scrittura, e specialmente nel servizio dei Salmi.
3) Tra queste
sorelle, si eleggeranno quelle che siano state irreprensibili sin dalla loro
giovinezza - specialmente se si impegnano in questo nuovo dovere (il diaconato)
ed abbiano raggiunto i sessant'anni, come Paolo raccomanda al suo discepolo (1
Tim 5, 9). Tali sorelle saranno ordinate diaconesse, solo per adempiere al
servizio del rito del battesimo.
Il sinodo ha
disposto ciò senza anatema.
CANONE 47. SU COLUI
CHE VISITA I PRIGIONIERI (SĀcŪRĀ).
È la volontà del
sinodo generale che:
1. In tutte le
città, dovrà essere eletto dall'intera comunità di monaci un uomo che sappia
esprimersi bene (o con energia della mente) e che sia sincero (o degno di
fiducia).
2. Gli verrà data
una cella per alloggiare nella chiesa o nella foresteria e sarà un apocrisario
[5]
('apōqrisarā) della prigione.
3. Visiterà tutti i
fratelli imprigionati.
4. Se qualcuno
merita di essere liberato, il visitatore inoltrerà una richiesta per lui.
5. Inoltre, nel
caso che qualcuno abbia bisogno di denaro (e la situazione lo richiede) ed il
medesimo non possiede nulla, l'apocrisario ('apōqrisarā)
raccoglierà un dono da uomini e donne che saranno compassionevoli e ricolmi di
fede, e darà al prigioniero questo dono da parte loro.
6. Allo stesso
modo, se c'è un uomo la cui situazione richiede una sicurezza, egli lo
rassicurerà, si prenderà cura di lui e lo libererà [da preoccupazioni].
7. Se un credente
ha commesso una trasgressione, è stato imprigionato ed il suo caso non permette
che debba essere lasciato libero, [l'apocrisario] si prenderà cura di lui in
modo che non gli manchino né cibo, né vestiti.
8. Non trascurerà
alcun prigioniero, per quanto riguarda tutte le cose corporali, fino a quando
non arriverà il verdetto, perché non sappiamo cosa potrà succedere a noi stessi.
9. Ed ancora, se
c'è un credente che è andato in rovina e non ha perso la sua fortuna in
ghiottonerie, bevande o affari vergognosi, ma una necessità lo ha colpito
inconsapevolmente, verrà fatto un bando per lui e ognuno metterà qualcosa nelle
sue mani; questi (doni) gli saranno offerti e così sarà tirato fuori dalla
necessità che era caduta su di lui.
Il Sinodo generale
ha stabilito questi Canoni senza anatema, senza obiezione.
CANONE 48. COME
DEVE ESSERE L'ABATE (rišdairā).
È la volontà del
sinodo generale che:
1. Nessuno diventi
abate (rišdairā) incidentalmente, così
come può accadere, ma solo colui che è stato educato in un monastero, che
conosce i canoni monastici, che può istruire coloro che sono semplici di
spirito, che è ben educato, che sa leggere e scrivere, in particolare uno che
può risolvere con giustizia i conflitti tra un uomo ed il suo compagno e che può
presiedere con diligenza.
2. Se queste
qualità si sono manifestate in lui durante tutto il tempo in cui era sotto
l'autorità del suo maestro, e se è stato trovato degno di fiducia in tutti gli
affari del monastero affidati alle sue mani - quest'uomo merita di diventare
abate.
3. Quando diventerà
abate (rišdairā), presterà tutta la
sua attenzione per assicurarsi che non manchi nulla nel monastero, in modo che
la comunità dei fratelli non si disperda per la mancanza di qualcosa ed i monaci
non periscano immediatamente non essendo in grado di vivere in modo sereno.
4. Egli dipenderà
da questi superiori: il vescovo, l'arcidiacono ed il corepiscopo.
5. Egli non
comprerà e non venderà nulla senza il permesso del corepiscopo.
Il Sinodo generale
ha stabilito questi Canoni senza anatema.
CANONE 49. IL
SERVIZIO DELL'INTENDENTE (RABBAITā),
DEL PORTIERE E DEI GIOVANI SERVITORI AL SERVIZIO DELL'ABATE
(rišdairā).
È la volontà del
sinodo generale che:
L'abate (rišdairā)
discernerà tra i fratelli coloro che sono pieni del timore di Dio, che sono
attivi e che si prodigano molto, vale a dire quelli che aprono il loro cuore
alle necessità del monastero e dei fratelli - questi uomini saranno messi al
servizio dell'abate (rišdairā), alcuni
all'economato (rabai bātē), altri al
servizio di portineria, altri all'accoglienza dei visitatori. Si prenderanno
cura del monastero, ciascuno per ciò che gli è stato affidato.
Questi Canoni sono
senza anatema.
CANONE 50.
L'INTENDENTE (RABBAITā).
È la volontà del
sinodo generale che:
1. Non è
conveniente che l'intendente (rabbaitā)
del monastero sia avido e mangi e beva da solo, ma [lo faccia] con i suoi
compagni.
2. Egli rimarrà in
pace con tutti.
3. Per tutto ciò
che è sotto la sua autorità, egli darà, quando gli sarà chiesto di dare, con un
volto gentile e di buon cuore.
4. Egli terrà nota
dei fratelli che lavorano nel monastero più dei loro compagni.
5. Si prenderà
particolare cura dei malati.
6. Non disprezzerà
gli amici, i benefattori e gli insegnanti del monastero, ma li riceverà bene con
tutto ciò che ha.
7. Egli non
disprezzerà i beni messi a sua disposizione: farà in modo che questi non vengano
persi o gettati via senza essere consumati ed impedirà che siano prelevati da
fratelli e da estranei: se permetterà ciò egli opprimerà la sua anima col
peccato perché distrugge i beni di Dio e fa gioire Satana.
Questi Canoni sono
senza anatema.
CANONE 51. COME
DEVE ESSERE IL MONACO (PORTINAIO).
È la volontà del
sinodo generale che:
1. Un fratello che
è portinaio deve essere tranquillo e caloroso nel parlare con coloro che vengono
da lontano come con quelli che sono vicini.
2. Deve essere
umile verso coloro che sono arrabbiati con lui; non deve litigare o insultare
coloro che lo provocano.
3. Non deve essere
loquace, né scontroso, né piantagrane; sarà estremamente paziente e sopporterà
anche quelli che lo insulteranno; non disprezzerà nessuno, poveri o ricchi che
siano.
4. Risponderà
rapidamente a chiunque bussa alla porta; si tirerà indietro e darà a tutti
l'onore che si addice loro.
5. Quando l'abate (rišdairā)
verrà criticato dagli uomini che vanno e vengono nel monastero, il portinaio non
correrà ad annunciare ciò all'abate per agitarlo e disturbare anche l'intera
comunità dei fratelli, in modo che a causa di ciò non si verifichi alcun
turbamento. Invece, sceglierà l'ora ed il momento propizio nel quale l'abate
sarà tranquillo per parlargli, affinché l'abate possa sapere chi, tra quelle
persone, lo stima e chi lo disprezza.
6. Non farà uscire
i fratelli dalla porta del monastero senza l'ordine dell'abate (rišdairā).
7. Non permetterà
ai fratelli di mangiare e bere nella sua cella di portinaio.
8. Non prenderà
nulla di ciò che serve ai fratelli del monastero per metterlo da parte per se
stesso.
9. Inoltre, i
fratelli non potranno radunarsi e sedersi con lui vicino alla porta e chiedere
notizie (o chiacchiere senza senso).
10. Quando arriva
uno estraneo e deposita i suoi bagagli vicino a lui, il portinaio non deve
aprirli, né dare un'occhiata all'interno o rovistarli con le mani.
11. Sebbene sia
giusto che riceva tutti gli uomini come persone onorevoli, è anche giusto che
stia in guardia nei confronti di alcuni di loro.
12. Come egli sa
cosa è in grado di offrire il monastero, così egli distribuirà i doni a ciascuno
dei richiedenti esterni sulla porta.
13. Non diventerà
amico di chiunque, poiché ciò preoccuperebbe l'abate (rišdairā) – come Giuda Iscariota che, a proposito del profumo di
nardo, fingeva di essere amico dei poveri (Cfr. Gv 12, 3) – ma con amore e senza
astuzia servirà con tutto il suo cuore.
Il Sinodo ha
stabilito questi e quei Canoni senza anatema.
CANONE 52. COME
DEVE ESSERE IL VISITATORE (SĀcŪRĀ)
[6]
DEL MONASTERO.
È la volontà del
sinodo generale che:
1. Il fratello che
è visitatore (sācūrā)
entrerà ed uscirà dal monastero per i suoi fratelli - è giusto che si spogli di
tutto e non si lasci conquistare dalla cupidigia
2. Non possiederà
nulla per se stesso, ma disporrà solo di ciò che avrà ricevuto con la
benedizione (būrktā) del suo abate (rišdairā).
Ciò che dovesse possedere senza averlo ricevuto con la benedizione del suo abate
sarebbe per lui una maledizione.
3. Domerà il suo
corpo e la sua mente e regolerà i suoi desideri e le sue emozioni; non sarà
attratto da ciò che i suoi occhi vedono o da ciò che le sue orecchie sentono;
prima di essere trascinato sui pendii scivolosi riconoscerà e combatterà le sue
cupidigie.
4. Non cadrà nelle
trappole e negli scandali che incontrerà, ma costruirà un muro di innocenza e
santità per tutti i sensi delle sue membra.
5. Non mangerà né
berrà con giovani donne quando non sarà presente alcun uomo.
6. Inoltre non
parlerà molto con loro; non leggerà un libro in loro compagnia. Voi leggete alla
giovane un libro, ma ella medita un suo inganno; state attenti che la sua
astuzia non vi conquisti mentre voi leggete.
7. Inoltre, il
visitatore si preoccuperà delle necessità del monastero e delle esigenze dei
fratelli.
8. Non passerà la
notte in un luogo indecente.
9. Non darà ad un
congiunto, né a suoi amici, né ad un parente nulla che appartenga al monastero.
10. Chiunque lo
guarderà trarrà del profitto attraverso di lui, in modo che si compia nei suoi
confronti ciò che sta scritto: "Beato quel
servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così" (Lc 12,43; Cfr. Mt
24,46)
[7].
Il Sinodo ha
stabilito questi e quei Canoni senza anatema.
CANONE 53. COME
DEVE COMPORTARSI UN GIOVANE [DISCEPOLO] VERSO L'ABATE
(rišdairā).
È la volontà del
sinodo generale che:
Colui che è
discepolo dell'abate e sta davanti a lui per servirlo, disporrà il suo cuore
come il santo profeta Eliseo figlio di Safat, figlio di uno dei nobili di
Israele e che, con amore e timore, serviva il santo Elia, figlio di uno dei
colonizzatori di Galad. Eliseo non aveva detto in se stesso: "Come potrò io,
figlio di signori nobili del paese, servire un pover'uomo, un figlio di
colonizzatori?" Inoltre, i signori del paese non erano per niente degni di
diventare discepoli di Elia, poiché egli aveva lasciato la sua patria e la sua
tribù ed era diventato uno straniero per amore del Messia (Cfr. 1 Sam 1, 19
seg.). Questo è ciò che un discepolo deve pensare e dire nel suo cuore. E se non
riusciamo a premiare i nostri padri spirituali con cose corporali, come possiamo
fare? Ma l'abate (rišdairā) deve fare
come il santo Giobbe che si alzava presto ogni giorno ed offriva sacrifici a Dio
per i suoi figli (Cfr. Gb 1, 5).
Questi Canoni sono
senza anatema.
CANONE 54. LA
DISCIPLINA E LA LEGISLAZIONE DEI MONACI.
È la volontà del
sinodo generale che:
1. La comunità di
tutti i fratelli (in Cristo) persevererà nel servizio di Dio, nella preghiera,
nella lettura e nello zelo secondo la tradizione stabilita dall'abate (rišdairā).
2. (I fratelli)
lavoreranno le loro "settimane", tutti allo stesso modo.
3. Ogni straniero
che è un "figlio del Patto" (bar qeiāmā)
si siederà con loro a tavola, ma un laico siederà da solo o separatamente con
l'abate (rišdairā).
4. Se un fratello
mormora riguardo al pasto e non si sbarazza di questo vizio, il suo caso verrà
giudicato dal corepiscopo. Se è in grado di accusare l'abate (rišdairā)
che ci sono abbastanza provviste nel monastero ma che egli le rifiuta ai suoi
fratelli, (l'abate) riceverà un biasimo dal corepiscopo, come è giusto che sia,
e riceverà l'ordine di non continuare a farlo. Ma se si scopre che il fratello
(accusatore) è tacciato di essere amico del suo stomaco, riceverà la punizione
dovuta per la sua trasgressione.
5. Un fratello che
alza la sua mano e picchia il suo compagno: se colui che viene colpito sopporta
ciò e non alza la mano, non subirà nessuna pena; se, tuttavia, anche lui alza la
mano, il primo che avrà alzato la sua mano riceverà una punizione di 40 veglie
ed il secondo di 20 (veglie)
[8].
(Il primo che alza la mano sarà sempre punito)
6. Un fratello che
alza la mano contro l'abate (rišdairā)
riceverà 40 frustate e l'abate (rišdairā)
lo manderà in esilio in un altro monastero, e dovrà trascorrere un anno nel
digiuno e nel nazireato, senza che nessuno abbia il permesso di conversare con
lui fino a quando non si vergognerà. Quando avrà compiuto questa penitenza
canonica, tornerà nel suo monastero; anche se egli è un fratello anziano,
riceverà l'ultimo posto in tutto.
7. Un fratello che
calunnia esca immediatamente dal monastero.
8. Un fratello che
beve sarà perdonato fino a tre volte; e riceverà una penitenza adeguata
all'offesa.
9. Un fratello che,
sebbene sano, non lavora, starà seduto a tavola da solo e mangerà meno dei suoi
fratelli.
10. Un fratello
litigioso sarà perdonato dieci volte e riceverà una penitenza adeguata
all'offesa fatta.
11. Un fratello che
non obbedisce verrà immediatamente rimosso dal monastero.
12. Un fratello che
odia il servizio divino ed il digiuno e che non ama l'istruzione verrà rimosso
dal monastero.
13. Un fratello
caduto in fornicazione verrà perdonato una volta e come penitenza dovrà entrare
nel nazireato e dovrà essere "vigile" (vedere nota 8) per un anno.
14. Un fratello che
ruba alla comunità verrà immediatamente rimosso dal monastero.
15. Un fratello che
disturba la comunità e causa divisioni verrà immediatamente rimosso dal
monastero.
16. Un fratello che
dorme costantemente durante il servizio divino siederà a tavola da solo e
mangerà meno dei suoi fratelli.
17. Un fratello che
intenzionalmente viene meno alla settimana di lavoro e spreca il cibo verrà
immediatamente rimosso dal monastero. Se succede una volta, per caso, e non per
abitudine, sarà perdonato e riceverà solo un rimprovero.
18. Per quanto
riguarda cibo e bevande, vestiti e sonno, si farà quanto segue: se è un
monastero di monaci lavoratori, essi mangeranno due volte al giorno, alla sesta
ora e alla sera. Ma se i monaci non lavorano, basterà loro mangiare solo una
volta; se essi lo desiderano, possono mangiare la sera o alla nona ora.
19. Dormiranno in
una stanza sul pavimento, ma l'abate (rišdairā)
ed i fratelli malati, se lo desiderano, dormiranno nei letti. Per dormire non si
spoglino e non allentino la cintura sul fianco. Non dormano sul tappeto di un
altro; essi devono essere preparati e pronti per il servizio divino e per la
veglia, come un soldato è pronto per la guerra.
20. Il servizio
divino sarà compiuto sette volte al giorno: una volta al mattino, poi alla
terza, sesta e nona ora, durante i pasti, la sera e la notte, in modo che i
monaci compiano ciò che disse il santo Davide: "Sette
volte al giorno io ti lodo, per i tuoi giusti giudizi" (Sal 119 (118),164).
21. Se ci sono
molte attività con molto lavoro nel monastero, coloro che sono indeboliti
saranno dispensati dal compiere la totalità del servizio divino; coloro che sono
in salute lavoreranno.
22. Riceveranno
vestiti per l'inverno alla fine di novembre (Tešrī);
ognuno scriverà il proprio nome sugli abiti estivi che possiede e li porrà nella
comunità. Quando l'inverno sarà finito, prenderanno i loro abiti estivi, ognuno
i suoi propri vestiti con scritto con il proprio nome; ed allora scriveranno il
loro nome sugli abiti invernali che metteranno via.
23. Riguardo la
lettura. In estate, quando i giorni sono caldi, i monaci lavoreranno finché sarà
fresco; e quando il giorno comincia ad essere caldo si siederanno a leggere fino
al tempo del servizio divino di metà giornata; dopo il servizio divino
prenderanno il cibo e riposeranno fino alla fine della giornata (cioè la sera
presto); e quando la giornata sarà più fresca, usciranno al lavoro fino all'ora
di cena e mangeranno dopo il servizio divino.
24. Le giornate
saranno organizzate in tre parti: una parte per il servizio divino e la lettura,
una parte per il lavoro ed una parte per il pasto ed il riposo (in silenzio).
25. Per quanto
riguarda il vino, faranno ciò che è utile ai bisogni del corpo (Cfr. 1 Tm 5,
23). Un'emina (hemīnā) di vino a testa
sarà distribuita nei giorni festivi e, nei giorni della loro festa personale,
avranno una porzione separata per loro.
26. Quando l'abate
(rišdairā) riceve un nuovo fratello
nel monastero, lo deve esaminare; dovrà interrogare accuratamente chi chiede di
essere ricevuto, sia riguardo alla sua professione, quanto alla sua provenienza
e riguardo ai motivi per i quali vuole diventare monaco.
27. Se è uno
schiavo ed il suo padrone è un credente, non lo riceverà a meno che il suo
padrone non lo permetta.
28. Se è un uomo
libero ed ha dei genitori credenti che non approvano, non lo riceverà.
29. Se è un uomo
libero separato dai suoi genitori, se è indipendente e vive da solo, lo
riceverà.
30. Se ha una
moglie e sua moglie non approva, non lo riceverà.
31. Se, tuttavia,
ha figli e figlie, anche se sua moglie è d'accordo, non sarà ammesso.
32. Un uomo
perseguitato da sua moglie e fuggito da lei sarà ricevuto.
33. Verrà ricevuto
un fratello che ha ucciso qualcuno senza odiarlo fino al giorno prima o prima
ancora e che non lo abbia ucciso volontariamente. Se viene organizzata una
vendetta contro di lui, l'abate (rišdairā)
con l'intera comunità si alzeranno e lo proteggeranno in modo che non venga
ucciso.
Il Sinodo ha
stabilito questi Canoni senza anatema.
CANONE 56. SULLA
CONSACRAZIONE DELLA CHIESA.
È la volontà del
sinodo generale che:
1. Quando verranno
costruite chiese, santuari e monasteri in una città o nelle vicinanze, il
vescovo le consacrerà.
2. Ma quando queste
saranno costruite lontano dalle città, comunque all'interno della giurisdizione
della sede episcopale, e se la situazione merita che il vescovo vada, allora è
giusto (che vada e le consacri).
3. Altrimenti è il
corepiscopo che andrà a consacrarle.
4. Il corepiscopo
ed il vescovo non devono avere il diritto di dare ad altri il permesso di fare
(la consacrazione), poiché ciò sarebbe una sfrontatezza.
Questo Canone è
senza anatema.
CANONE 57. L'ALTARE
NON DEVE ESSERE SPOSTATO.
È la volontà del
sinodo generale che:
1. L'abate (rišdairā)
ed il sacerdote del villaggio non avranno il potere di spostare l'altare di una
chiesa o di un monastero da un posto all'altro senza il permesso del
corepiscopo.
2. Se, tuttavia,
l'urgenza lo richiede ed a causa di questa va spostato, allora possono
spostarlo. Tuttavia non è lecito che essi celebrino il Sacrificio su di esso
senza il permesso del corepiscopo.
Il Sinodo generale
anatematizza chiunque vada oltre queste regole.
CANONE 58. QUESTI
CANONI DOVRANNO ESSERE LETTI DUE VOLTE ALL'ANNO.
È la volontà del
sinodo generale che:
1. Due volte
l'anno, il corepiscopo dovrà leggere i Canoni davanti all'assemblea dei "figli
del Patto" (benai qeiāmā).
2. I Canoni per i
monaci li leggerà davanti ai monaci.
3. I Canoni per le
feste davanti alla comunità riunita per le feste.
4. Tutti si
atterranno [alle disposizioni del] proprio gruppo e non saranno come pecore che
non hanno un pastore e periscono a causa della mancanza di controllo dei
superiori.
CANONE 59. IL
NAZIREATO PER QUANTO RIGUARDA IL MATRIMONIO ED IL VESTIARIO DEL MONASTERO.
1. Ai monaci non è
lecito avere nemmeno un'unione pura come (invece è lecito) per il resto del
clero e dei laici.
2. Non mangeranno
carne nei loro monasteri.
3. Non indosseranno
abiti o cappotti bianchi.
4. Non indosseranno
stivali ai piedi ma sandali, gambali e scarpe con legacci di cuoio.
5. Quando si radono
la testa, non lasceranno una corona di capelli, tranne i chierici.
6. Dovranno
allacciare i lombi con una cintura di pelle; dovranno vestirsi e coprirsi in
modo modesto e si dovranno comportare bene in tutte le loro condotte.
7. Staranno lontani
dalle abitudini dei laici, come hanno fatto i nostri primi padri che ci hanno
istruiti, loro che erano i veri monaci.
8. Un fratello che
lascia il monastero e risiede in un villaggio dovrà comportarsi come un "figlio
del Patto" (bar qeiāmā) del villaggio;
chiunque risieda in città dovrà comportarsi come un "figlio del Patto" (bar
qeiāmā) della città.
9. Dopo che un
fratello ha lasciato il mondo, non è lecito che compaia nella veste dei monaci,
perché potrebbe (eventualmente) non essere in grado di onorare la sua veste e
potrebbe verificarsi uno scandalo contro la comunità (dei monaci).
Il Sinodo generale ha stabilito questi Canoni senza anatema.
CANONE 66. A PROPOSITO DELL'ONORE DATO AL MONASTERO DA CUI PROVIENE IL
COREPISCOPO.
È la volontà del sinodo generale che:
Se c'è un
monastero vicino alla città e c'è in esso un abate (rišdairā)
che merita di diventare un corepiscopo, qualora lo diventasse, il monastero non
dovrà essere ostacolato né limitato nella (celebrazione) del Sacrificio, ma
grazie a lui anche il suo monastero sarà onorato.
[1] Il nome corepiscope o corepiscopo (pl. corepiscopi)
deriva dal greco
Χωρεπίσκοπος e significa vescovo rurale. La più antica attestazione
del termine risale ad Eusebio di Cesarea (II secolo). Inizialmente,
sembra che esercitassero le funzioni episcopali nei loro distretti
rurali; dal tardo III secolo essi furono soggetti alla città, ovvero ai
vescovi metropolitani.
[2]
Lo xenodochio (in Latino: xenodochium, dal greco
ξενοδοχεῖον - xenodochèion, da xénos, ospite, e dochèion,
ricettacolo, da dèchomai ricevo) era una struttura di appoggio ai viaggi
fin nell'antichità, adibita a ospizio gratuito per pellegrini e
forestieri. Era in genere posto sul percorso di una via di
pellegrinaggio e veniva gestito da monaci che offrivano alloggio e cibo.
In ambito urbano era un edificio delegato ad ospitare attività
assistenziali presso le cattedrali di epoca tardo antica. Unito ad altri
spazi con funzioni varie, portava alla costituzione del complesso
episcopale.
[3] Il nazireato (o nazirato) era un'antica usanza ebraica
che consisteva nel votarsi solennemente a Dio, per un periodo variabile,
da parte del fedele che voleva ottenere una grazia o dedicarsi a vita
più pura. Tale consacrazione particolare comportava il rispetto di norme
rigorose, tra cui il lasciarsi crescere i capelli e l'astenersi dal vino
e da qualsiasi rapporto impuro. Allo scadere del voto ci si radeva e si
facevano sacrifici. Le prescrizioni del nazireato si trovano in Numeri
6,2-21. (Fonte: sapere.it)
Anche nella prima generazione cristiana i nazirei, ovvero coloro che
osservavano il voto di nazireato, dovevano essere frequenti. Si veda per
esempio Atti 18,18 e 21,23-26.
[4] I "Figli del Patto" o "dell'Alleanza" sono un'istituzione
tipica della chiesa sira. I Figli del Patto vivevano coi loro familiari
o completamente da soli; spesso formavano piccoli gruppi intorno a una
chiesa. Tutti dovevano restare celibi, astenersi da vino e carne,
portare un abito speciale, ecc. Per la disciplina e il mantenimento
dipendevano generalmente dal clero, che per lo più era reclutato tra le
sue fila. (Da "Il monachesimo
primitivo in Siria e in Palestina" di Fotios Ioannidis, Università
di Tessalonica.
[5] Apocrisario (gr.
ἀποκρισιάριος, da
ἀποκρίνω attraverso
ἀπόκρισις "risposta"; lat. responsalis, apocrisiarius, ma nel lat.
medievale apocrisarius). - Si chiamava così dapprima colui che faceva da
intermediario tra due persone le quali, stando lontane, dovevano trattar
di affari (ἀπόκρισις nel senso di "affare, incombenza" è frequente nella bassa
grecità); poi troviamo designata con questo nome una categoria di
funzionarî imperiali. (da Enciclopedia Treccani)
[6]
Questa figura sembra essere quella di un amministratore che assiste
l'abate ed è responsabile delle condizioni fisiche del monastero. Tra i
suoi doveri c'è la responsabilità di fare commissioni e di fungere da
collegamento con il mondo fuori dalla porta del monastero. Il termine
originale siriaco sācūrā
viene anche tradotto con "visitatore", ovvero colui che visita i
villaggi per le varie incombenze.
[7]
Il testo inglese "Blessed is the
servant because of whom the name of his master will be praised",
tradotto letteralmente sarebbe: "Benedetto il servo, a causa del
quale il nome del suo padrone sarà lodato". Io ho preferito
riportare la frase estratta dalla Bibbia C.E.I.
[8]
Il testo inglese "the first one
who raised his hand shall go through 40 vigils, the latter 20 (vigils)
(il primo che ha alzato la mano passerà attraverso 40 veglie, l'ultimo
20 (veglie))" non mi è chiaro ed io intendo che la punizione
consiste nel togliere le ore di sonno intermedie tra la recita delle
Veglie (o Vigilie o Ufficio Notturno) e la recita delle Lodi.
Altre
interpretazioni:
- Secondo
l'Alexandrinischen Codex - A.: "Se lo tollera, solo il primo viene
punito; se non lo tollera, allora entrambi vengono puniti, ma di più il
primo".
- Secondo
il Makariuscodex - Ma.: "Se lo tollera, l'autore del reato viene
"scomunicato per 40 giorni, interdetto dall'eucarestia"; in caso
contrario, questa punizione ricadrà su entrambi".
Fonte: "Kirchengeschichtliche
Studien - De Sancta Nicaena Synodo" a cura di Oscar Braun - Ed.
Heinrich Schoeningh 1898
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15 novembre 2019
a cura di
Alberto
"da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net