Marutha di Maïpherkat
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e da
"A Panoramic View of Patristics in the First Six Centuries",
a cura di Fr. Tadros Yacoub Malaty - St Mina’s Monastery Press 2005
Marutha
(o Maruta, o Maruthas) di
Maïpherkat è stato un monaco, vescovo, diplomatico e scrittore religioso
che visse nel Medio Oriente alla fine del IV e l'inizio del V secolo.
Biografia
Sono state conservate tre Vite a lui riferite: due in greco
[1]
ed una in armeno
[2],
alle quali si aggiungono fonti storiche in siriaco ed arabo. Ma le
informazioni fornite sono spesso poco precise e contraddittorie, quindi
bisogna essere cauti nella ricostituzione dei fatti che lo riguardano.
Inoltre, fu confuso con Marutha di Tikrit (morto nel 649), tanto che si
pensò a lungo che
Maïpherkat fosse il nome primitivo di Tikrit.
Nacque ad Amida, l'attuale Diarbekir in Turchia, e sembra che fosse figlio
di un alto funzionario dell'Impero romano, governatore di Sofene (o Sophene,
regione dell'Armenia, ora Turchia), ed avesse ricevuto una formazione di
medico e diplomatico. Dopo la morte del padre prese il suo posto di
governatore. Secondo la Vita
greca e la Vita armena, la madre
di Marutha si chiamava Mariam (Mariamnè in greco) ed era di origine armena.
Divenne vescovo di Maïpherkat (l'attuale Silvan in Turchia, in curdo
Meyafarqin, in armeno Np'rkert), durante il regno dell'imperatore
romano Teodosio I (379-395), detto il Grande, ultimo imperatore a regnare su
un impero romano unito. Come vescovo fu presente al Concilio ecumenico di
Costantinopoli del 381 e ad un concilio locale ad Antiochia nel 390, durante
il quale venne condannata la dottrina dei Messaliani
[3].
Alla morte del re di Persia, Bahram (o Vahram) IV nel 399, che perseguitava
i cristiani, partecipò ad una delegazione inviata dall'imperatore romano
Arcadio
[4]
(395-408), successore di Teodosio I, all'incoronazione del nuovo re
Yazdegerd I, che si era dimostrato più tollerante (Re dal 399 al 421). Si
sarebbe guadagnato le buone grazie del nuovo re utilizzando le sue
competenze mediche per guarirlo dal mal di testa ed avrebbe ottenuto da lui
la fine delle persecuzioni e la possibilità di riorganizzare la Chiesa. Un
sinodo poté riunirsi a Ctesifonte, detta anche Seleucia-Ctesifonte, ora in
Iraq ed a quel tempo capitale dell'Impero Persiano, ed Isacco (detto Isacco
di Seleucia-Ctesifonte) fu eletto vescovo della città.
Forse durante questo primo viaggio in Persia, Marutha riportò nella sua
città un gran numero di reliquie di martiri vittime delle persecuzioni dei
Sassanidi
[5]
durante il IV secolo. Fu da quel momento che Maïpherkat fu chiamata in greco
Martyropolis.
Nel 403, Marutha prese parte al "Sinodo della Quercia" a Costantinopoli, che
portò alla deposizione di Giovanni Crisostomo, ma non si sa quale parte
abbia avuto. Ritornò a Ctesifonte, dove l'invidia di altri vescovi persiani
e le calunnie di cui fu oggetto avevano portato alla prigionia del vescovo
Isacco. Con una lettera ad Yazdegerd I firmata in modo particolare dal
Patriarca di Antiochia e dal vescovo di Edessa, convinse il re a liberare
Isacco ed a convocare un concilio della Chiesa d'Oriente sul modello del
Concilio di Nicea convocato da Costantino per l'Impero romano.
Questo Concilio fu tenuto a Seleucia-Ctesifonte nel 410 con una quarantina
di partecipanti ed adottò i canoni del Concilio di Nicea portati da Marutha.
La Chiesa d'Oriente ricevette la sua organizzazione definitiva: il vescovo
della capitale Seleucia-Ctesifonte fu chiamato "grande metropolita e capo di
tutti i vescovi" (denominati poi "catholicos"); il suo potere non era
assoluto, poiché doveva convocare il sinodo dei vescovi ogni due anni.
Furono istituite altre cinque metropoli: Nisibe, Erbil, Kirkuk (Karka di
Beth Slok), Gundishapur (Beth Lapat) e Bassora (Perat di
Maïsan). Era stato istituito il nucleo del Sinodo orientale, vale
a dire del Diritto Canonico della Chiesa d'Oriente. Alla fine del sinodo, i
vescovi prescrissero di pregare per il "Re dei re" e sottoposero al monarca
i risultati dei loro lavori; Yazdegerd I li approvò e garantì ai
partecipanti che lo Stato persiano li avrebbe fatti applicare.
Questi buoni rapporti tra il re persiano e la Chiesa cristiana vengono
nuovamente compromessi poco dopo, nel 414, a causa della distruzione di un
"pireo" (altare del fuoco zoroastriano) da parte di un sacerdote cristiano a
Hormizd-Ardachir e del rifiuto del vescovo Abdas di Susa di farlo
ricostruire a spese della sua Chiesa. Yazdegerd I cambiò allora politica
verso i cristiani, ordinando che venissero espulsi dal regno e che tutte le
loro chiese fossero distrutte.
Ma questo Concilio del 410, in cui Marutha ebbe un ruolo determinante, è
comunque considerato il vero fondamento della Chiesa d'Oriente.
Marutha morì in una data sconosciuta, probabilmente qualche anno dopo, tra
il 415 ed il 420, ed il suo corpo fu in primo tempo tumulato a Maïpherkat,
ma più tardi fu trasferito nel monastero della Vergine Maria (Monastero
Siriaco) in Egitto.
Viene festeggiato il 4 dicembre nella chiesa cattolica ed il 16 febbraio in
quella ortodossa.
Opere
Vari testi conservati in siriaco e armeno sono attribuiti a Marutha. Il più
citato è un Catalogo di eresie che è stato completato dopo di lui, ma
dove si riconosce che la maggior parte del catalogo è opera sua
[6].
Inoltre, vi sono testi relativi al Concilio di Selucia-Ctesifonte del 410:
nell'edizione di A. Vööbus intitolata "I Canoni attribuiti a Maruta di
Maipherqat e relative fonti", redatta partendo da numerosi manoscritti
con testi in siriaco attribuiti a Marutha, vi sono ventuno canoni del
Concilio di Nicea completati da settantatré Canoni "pseudo-niceni", la
maggior parte dei quali sarebbe dovuta a Marutha.
Scrisse anche una serie di Canoni monastici conosciuti come i "Canoni di
Maruta". Lui stesso era un monaco ed era interessato alla diffusione di un
ascetismo disciplinato. Questi Canoni forniscono la prova dell'esistenza del
monachesimo nella Chiesa persiana all'inizio del V secolo.
Contiene inoltre, tra l'altro, un breve resoconto del Consiglio di Nicea
scritto da Marutha su richiesta del "Catholicos" Isacco e delle lettere di
Marutha a lui indirizzate. Inoltre gli si riconosce la stesura degli "Atti
dei martiri persiani", durante le persecuzioni messe in atto da Sapore II in
Persia, iniziate intorno all'anno 340. Gli viene anche attribuita con
sicurezza un'omelia per la seconda domenica di Pasqua (Domenica in Albis) ed
un piccolo lessico per la traduzione del vocabolario teologico greco in
siriaco.
Inoltre, nell'edizione di Vööbus si trovano brevi testi intitolati Il
monachesimo, Le
persecuzioni, La
vera fede dei nostri santi padri, Il martirio di Alessandro, ecc.
Allo stesso modo, nel Catalogo delle antiche traduzioni armene
pubblicato nel 1889 dai Mechitaristi, a Marutha sono attribuiti dei testi
intitolati Il mistero della Chiesa, Il mistero del terzo giorno
della settimana, Il martirio di San Simeone, La santità di
Cristo. Queste attribuzioni sono arbitrarie.
Edizioni dei testi
- A. Vööbus (ed.), The Canons
Ascribed to Mārūtā of Maipherqaṭ
and Related Sources
(I Canoni attribuiti a Maruta di Maipherqat e relative fonti), testo
siriaco e traduzione inglese, CSCO 439 e 440 (Scriptores Syri 191 e 192),
Leuven, 1982.
- Per il martirologio persiano, i testi sono in: Paul Bedjan e Claude
Détienne (a cura di), Acta Martyrum et Sanctorum, 7 voll., Testo
siriaco (ristampa Atti di Martiri e Santi, Gorgias Press, 2009).
- A. von Harnack, Der Ketzer-Katalog des Bischofs Maruta von Maipherkat
(Il catalogo delle Eresie, scritto
dal Vesovo Maruta di Maipherkat) (testo presentato e tradotto), Testo e
ricerche sulla storia della letteratura paleocristiana, NF 4, Lipsia, 1899.
[1]
Prima Vita greca da "Manoscritti
della Bibliotheca Hagiographica Graeca , Society of
Bollandists". Seconda Vita
greca da "Jacques Noret "La
vie grecque ancienne de saint Maruta de Mayferqat", testo
greco e traduzione francese, AB 91, 1973. p.
77-103".
Altre fonti greche per Marutha includono la breve menzione del
vescovo da parte di Sozomeno (in una discussione di un incontro
ecclesiastico nell'Impero romano non correlato alla sua missione in
Persia) ed un resoconto molto più lungo di Socrate basato sulla
Vita di Marutha. Si veda
Sozomeno Historia
Ecclesiastica VIII, 16; e Socrate
Historia Ecclesiastica
VII, 8.
[2]
R. Marcus, "The
Armenian Life of Marutha of Maipherkat", Theological
Review Harvard 25/1, 1932, p.
47-71.
[3]
Queste sono le proposizioni messaliane condannate (definitivamente) ad
Efeso nel 431: la presenza del demonio nell’anima; l’affermazione che il
battesimo non basta ad espellere il demonio, perché solo la preghiera ha
questa efficacia; l’inabitazione dello Spirito Santo o dello sposo
celeste; la liberazione dalle passioni, chiamata qualche volta anche
apatheia. A questi cinque
punti dottrinali, seguono le pratiche o le dichiarazioni dei messaliani,
che sono: visioni e profezie; rifiuto del lavoro e desiderio di dormire;
sonno eccessivo e valore profetico dato ai sogni; indifferenza verso la
comunione ecclesiale e la sua struttura; il negare d’essere messaliani,
lo spergiuro, la prevaricazione.
Fonte: "I Padri cappadoci",
di Claudio Moreschini - Città Nuova 2008.
[4]
Altre fonti dicono che fu mandato da Teodosio II (408-450) ed altre
ancora che si recò di sua iniziativa.
[5]
La dinastia dei Sassanidi nell'antica Persia fu fondata da Artaserse
nel 224 d.C. e con loro lo zoroastrismo (la religione del dio
Zarathustra) divenne religione di Stato e portò alla persecuzione
del cristianesimo e del manicheismo.
Sozomeno afferma che i Sassanidi fecero sedicimila morti.
[6]
"Non c'è nessun dubbio che la maggior parte provenga veramente da
Marutha..."
(A. von Harnack, op. cit. in Bibliografia,). L'edizione di Vööbus
menziona tredici eresie, quella di Braun quindici, quella di Abramo
Ecchellense diciassette.
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15 novembre 2019 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net