L'ATTUALITÀ DELLA REGOLA DI S. BENEDETTO

SAN BENEDETTO E L'EUROPA


 

IL CONTRIBUTO DELLA REGOLA DI SAN BENEDETTO ALLE ISTITUZIONI

Gérard Guyon

Estratto e tradotto da "Les amis des Monastères" - N. 182 - Fondation des Monastères - Aprile 2015


 

I modelli cristiani dominanti nella società occidentale sono appartenuti a lungo al mondo monastico, in particolare all'ordine benedettino. Per secoli ha esercitato un'influenza decisiva sulla concezione delle istituzioni politiche e sulla natura del potere. Il monachesimo può sembrare una forma specifica e minoritaria di vita cristiana, ma a partire dal VI secolo ne è stato l'espressione per eccellenza. Allo stesso modo, i suoi ideali riguardano tutti i cristiani, siano essi monaci o meno. Non solo li illuminano con la loro spiritualità e danno loro un senso, ma sono anche modelli per l'intera società, nella quale l'istituzione monastica svolge un ruolo importante.

San Benedetto ha esercitato un'influenza decisiva nella cruciale area giuridica delle istituzioni. Infatti, la Regola benedettina contiene una serie di disposizioni che stabiliscono che non ci può essere sovranità e durata delle istituzioni senza un precedente fondamento divino. Nel diritto occidentale, tuttavia, esiste un'eredità specifica della Regola benedettina e delle consuetudini benedettine che è stata duratura, poiché grazie alla Regula benedicti, l'originario carattere divino delle istituzioni - sancito dal diritto naturale classico - ha potuto prevalere fino al XVIII secolo. È a questo punto che emerge la teoria del contratto, che stabilisce l'autonomia della volontà, la libera adesione e l'iniziale capacità plenaria degli esseri umani come diritti sovrani che li dispensano da qualsiasi riferimento al loro Dio Creatore.

Lo storico del diritto può vedere chiaramente le ragioni per cui San Benedetto legiferò nel VI secolo. Il periodo fu segnato dal crollo delle strutture politiche, amministrative, giudiziarie e militari dell'impero. La stessa religione ufficiale dello Stato era profondamente colpita; il cristianesimo era diviso: gli ariani da una parte e i sostenitori dell'ortodossia della fede dall'altra. L'unità dell'Impero cristiano era giunta al termine. In entrambe le sfere del potere spirituale e temporale, l'autorità, che aveva perso le sue fondamenta, fu stabilita sulla base della proprietà, della forza militare o della monopolizzazione delle funzioni amministrative.

San Benedetto operava quindi in un momento molto particolare, in cui il diritto benedettino fungeva da modello in un'epoca in cui il diritto civile aveva perso gran parte delle sue prerogative. Questo perché l'organizzazione sociale e politica, attraverso istituzioni appropriate, stava ancora lottando per affermarsi pienamente sulla base della legge scritta, lo ius scriptum, e perché la società era costruita su uno schema organico concepito sulla base di una canonizzazione dei poteri e delle strutture politiche e sociali. Infine, nella gerarchia dei tre ordini istituiti - monaci, sacerdoti e laici - gli abati erano al di sopra dei vescovi.

Nella Regola benedettina, l'armonia della legge e delle istituzioni, da cui deriva l'armonia della "società", si misura con il suo riferimento più alto, l'armonia divina; è anche una miscela di equilibrio cosmico e terreno. Per i benedettini, la funzione del diritto è quella di stabilire il più perfettamente possibile la concordanza dei tempi divini e umani. Da questo punto di vista, la Regola benedettina obbligava il giurista ad aggiungere alla ricerca dell'interpretazione della legge e delle possibilità di adattamento delle istituzioni, l'obbligo di tenere conto dei loro fondamenti, che devono rimanere perenni, nonostante i cambiamenti che interessano i luoghi di applicazione e, più in generale, l'evoluzione delle società. Per molto tempo, i primi esegeti del diritto sono stati inseparabilmente teologi e giuristi. Non hanno messo in discussione la gerarchia, stabilita secondo il diritto naturale, tra la sapienza divina e la scienza del diritto (ratio legis). Essa impone loro di porre sempre le istituzioni sotto l'egida della legge divina e di conciliare indissolubilmente l’auctoritas e la ratio: in altre parole, l'autorità suprema della legge di Dio e i dati della ragione che ne consentono l'attuazione in ogni tempo e in ogni luogo.

San Benedetto volle creare un modello perfettamente attuabile di comunità umana, in cui tutti fossero rigorosamente uguali, cedessero i loro beni alla comunità, facessero dono assoluto della loro libertà e prestassero giuramento di obbedienza e stabilità. La dotò di un capo la cui autorità era per certi versi paragonabile a quella del paterfamilias dell'antica famiglia romana, la domus, ma che si differenziava per il suo carisma spirituale e per la base del suo potere. Infine, la società benedettina combina due tipi di istituzione in un'unità inscindibile. Il primo tipo mostra che la comunità è posta sotto l'autorità dell'istituzione gerarchica, una forma originale di governo in cui l'abate prende il posto di Cristo e agisce come principio di unità verticale in cui ogni membro è unito agli altri solo attraverso questa relazione comune. Il secondo tipo prevede un'istituzione comunitaria orizzontale e fraterna, che lega strettamente i monaci. Entrambe queste istituzioni si fondano su basi divine.

 

I - Il potere abbaziale è stato un modello importante per le istituzioni politiche

L'abate non è solo il padre dei suoi monaci. Egli detiene anche le due prerogative che avrebbero incarnato la maestà sovrana nelle istituzioni politiche per i secoli a venire: la promulgazione della legge e l'esercizio della giustizia. Nel suo monastero, come vicario di Cristo, è sia legislatore che giudice. È chiaro che parte della sua autorità poggia sulla paternità spirituale e temporale di cui l'imperatore, diventato capo dei sacerdoti, pontifex maximus, e padre della patria, pater patriae, era stato un tempo la figura suprema, attingendo per il suo beneficio alle antiche istituzioni religiose pubbliche augurali e alle istituzioni private della famiglia. Ma queste caratteristiche antiche erano mescolate a componenti cristiane. Esse danno una fisionomia originale al potere abbaziale. L'abate divenne presto una forma istituzionale di riferimento. Il termine latino "ordinatus", su cui si innestava il suo potere giuridico in un'eredità agostiniana molto visibile, prese il posto tradizionalmente occupato dall’auctoritas e dalla potestas nell'eredità classica del diritto romano.

San Benedetto ha creato l'istituzione abbaziale dandole la forma umana di una legge vivente. Per farlo, usò l'espressione "lex animata", ben nota ai giuristi che studiano il diritto romano. Ma quando il potere politico imperiale forgiò questi elementi costitutivi, che sembrano essere i tratti ineffabili di ogni regalità umana, attingendo all'antica religione augurale, era ancora solo agli inizi. È con l'impero cristiano che l'imperatore romano diventa il padre delle leggi, pater legum, ed è d'ora in poi la scrittura vivente, il νομος έμψυχος: un essere la cui caratteristica è quella di avere tutte le leggi nell'archivio del suo petto, omnia habet in scrinio pectoris sui. Ciò significa che la legge ha il carattere di un respiro animato e che il petto del legislatore è la sua sede. Queste metafore mostrano che esiste una relazione stretta e consustanziale tra la legge e l'uomo, al quale il soffio divino ha dato vita quando Dio lo ha creato.

La Regola benedettina riprende queste nozioni istituzionali e le fonda su precetti cristiani ancora più assertivi. Ne fa la base dell'edificio della sua società, l'ordinamento della sua gerarchia e la sua autorità suprema. L'abate incarna, nella sua assoluta pienezza, il carattere vivo della legge di Cristo.

Si tratta di un modello istituzionale importante, così profondamente radicato nella storia da costituire il nucleo del "sistema istituzionale monarchico". Secondo questo modello, non potrebbe esistere una struttura giuridica più naturalmente in linea con la natura divina del potere. Infatti, l'autorità abbaziale si costruisce all'interno di un ordine soprannaturale, da cui è inseparabile, in modo diverso dalla concezione istituzionale di quella romana - sia privata che pubblica. In particolare, essa assume le caratteristiche di una paternità divina, diversa da quella della patria potestas del padre di famiglia, le cui regole San Benedetto conosce perfettamente.

L'originalità istituzionale di questo modello deriva dal fatto che l'abate non è un semplice vicario. Il suo potere non è semplicemente "jure vicario". Egli lo detiene da una surrogazione divina che non può essere completamente equiparata all'unzione regale. Il suo scopo, la sua funzione teleologica, comprende il corpo dell'intera comunità, nel senso della Chiesa. Così come Cristo è il capo del corpo della Chiesa, l'abate è il Cristo della comunità dei monaci impegnati nel cammino della santità. L'ufficio dell'abate è di ordine sacramentale superiore alla monarchia e attraverso di esso ci avviciniamo il più possibile al modello divino. Appare come un modello di sovranità che non mette in discussione la grande eredità della regalità di Davide, ma la chiarisce e ne offre una visione più contemporanea, libera dai particolarismi del mondo biblico troppo tipicamente ebraico.

Questa paternità spirituale e giuridica del potere abbaziale era un esempio potente per la società laica in un momento in cui era assolutamente necessario dimostrare che le istituzioni umane non potevano essere al servizio della violenza. Le formule utilizzate per descrivere l'autorità abbaziale ne sono una chiara illustrazione. Vicario di Cristo nella sua abbazia, l'abate deve servire, non governare e punire. San Benedetto lo dice in termini che sottolineano fortemente questo obbligo e sarebbe inutile cercare nella Regola i termini usati per descrivere un governo autoritario.

È anche possibile mostrare l'originalità del modello di governo istituito dalla Regola. Come se questo fosse lo scopo primario delle istituzioni, essa parla soprattutto della cura delle anime, cura animarum. È il vocabolario di una medicina che riguarda sia le anime che i corpi e che deve assumere la forma di una pedagogia individuale. In questo governo, l'abate "che porta il nome stesso dato al Signore, secondo le parole dell'Apostolo, Abba, Pater", è come un padre per i suoi figli, li conosce a fondo e agisce in modo appropriato secondo il loro carattere e le loro necessità. Il testo della Regola è molto chiaro: "L'abate deve sempre ricordare ciò che egli è e ricordare il nome che porta; sappia che si richiede di più a colui al quale è stato affidato di più. Consideri quanto sia difficile e faticoso il compito che ha ricevuto di dirigere le anime e di adattarsi al carattere di molti...". RB 2,81-89.

Oltre alle ragioni sopra esposte, San Benedetto aggiunge un argomento tratto dalla sua lunga esperienza: ogni legge, ogni istituzione deve essere un insegnamento pratico. I precetti giuridici devono essere accettati e vissuti il più intimamente possibile, altrimenti la loro accettazione è superficiale e fragile.

La funzione della legge è quella di essere indicativa, di dare linee guida, perché la complessità della vita sociale si oppone alla rigidità del testo scritto. C'è però un'esigenza fondamentale, che avrà una forte influenza sul diritto civile: la reverentia legum. Essa assume la forma di un solenne richiamo alla coscienza piuttosto che di una cieca sottomissione alla norma. E le esortazioni dell'abate possono essere a volte severe, a volte dolci, a seconda di quanto sia difficile per lui obbedire rigorosamente alla legge.

Per San Benedetto, la legge divina e la legge terrena si trovano in una relazione indissociabile. È chiaro che le istituzioni non possono esistere né funzionare senza questa duplice natura e che è necessario tenerla presente per comprendere le componenti della forza di questa alleanza tra l'ordine divino e quello umano. La comunità sociale e politica ha la sua fonte nella parola divina. Senza di essa, nelle relazioni umane regnano il caos, la violenza e la brutalità.

Gli uomini e le donne devono ascoltare questa parola divina, rispettarla e seguire la sua legge. Così come è il re a dare forma e sostanza al suo popolo, è lui a guidarlo facendosi servo del bene comune. I giuristi medievali utilizzavano metafore: Mosè incoronato, ministro, figlio e vicario, che include il monarca in una parentela spirituale simbolica, in cui sembra difficile negare che la Regola benedettina possa aver giocato un ruolo importante, poiché è l'unica legge ad aver posto l'abate al posto di Cristo: "Christi agere vices in monasterio creditur", secondo una gerarchia che non ha altri esempi umani. Offrendo un esempio singolare del rapporto tra le istituzioni, la legge ed il governo della giustizia, la Regola benedettina sviluppa, a suo modo, un modello di conciliazione tra le esigenze del potere ed il necessario rispetto della libertà.

 

II - Il contributo di San Benedetto alla forma originaria dell’istituzione comunitaria monastica si basa su una concezione originale del bene comune

Questa nozione non era sconosciuta ai giuristi romani. È molto presente anche tra i pensatori medievali e tutte le opere giuridiche medievali fanno riferimento al trascendente, a Dio e al suo giudizio finale. La struttura relazionale inclusa in essa è modellata sulla caritas benedettina. È il risultato di una combinazione tra la necessità di tenere conto in modo oggettivo della realtà sociale - compresi l'uomo e la società - e la necessità di includerla nel piano divino della creazione. Le istituzioni non fanno eccezione, contrariamente a quanto pensano oggi i giuristi positivisti, secondo i quali le istituzioni non sono altro che modalità organizzative transitorie, prive di contenuto morale, indefinitamente modificabili perché derivano unicamente da un contratto, opera della volontà umana e che consentono compromessi adattabili a qualsiasi situazione.

È vero che i sintagmi "bonum publicum" e "bonum commune" sono rari e raramente utilizzati prima del XIII secolo. Ma ci sono espressioni che ne richiamano il significato, anche se non sono concetti formati: utilitas communis, salus populi, salus omnium. È su questa base che il ruolo del Principe e delle istituzioni da lui ordinate consiste nell'impedire al suo popolo di commettere atti malvagi che lo porterebbero alla rovina.

Il bene vivere che la Regola benedettina pone al centro della vita del monaco sotto l'occhio vigile dell'abate e dei suoi fratelli è superiore a tutti gli altri insegnamenti dottrinali istituzionali. Fa parte della teologia dei Padri della Chiesa sulla salvezza e sulla natura peccaminosa dell'uomo. San Benedetto lo include nella Regola. Di conseguenza, il bene comune diventa, per imitazione, un modello vivente di ciò che le persone possono cercare di realizzare nella società. In effetti, la preoccupazione del legislatore monastico è quella di iscrivere il funzionamento della comunità in una stretta relazione interpersonale. Prende come esempio l'obbedienza, che secondo San Benedetto è il primo obbligo umano - l’incipit del testo della Regola inizia con la frase: "È detta Regola, perché regge i costumi di quelli che obbediscono" (Ndt: Frase presente solo in alcuni manoscritti). Ma l'obbedienza non è richiesta in virtù di una legge scritta, bensì per il vincolo d'amore che unisce ogni persona a Cristo e, indissolubilmente, tra di loro.

Da questa "costruzione sociale" San Benedetto ricava tutta una serie di disposizioni istituzionali. Esse sono innanzitutto generali, poiché si applicano a tutti gli ambiti della vita comunitaria, comprese le questioni penali. Sono talvolta severe, ma sempre caratterizzate da una preoccupazione per le persone coinvolte. Questa soggettività rende sopportabile il duro giogo della "disciplina regolare". Essa colloca il rapporto degli uomini con la legge in un atto di acquiescenza consapevole e sempre consenziente, in cui ciascuno può esprimere la propria libertà, poiché questo rapporto risulta da un dono pieno della propria persona. Il tutto in una forma giuridica più coerente e completa di un istituzione basata semplicemente sul contratto.

L'errore sarebbe quello di vedere in questa organizzazione una gerarchia pura e semplice, mentre essa porta anche a relazioni orizzontali. Da qui la sua originalità e il suo valore come modello. Per San Benedetto, l'uguaglianza non è semplicemente un principio sociale e civile, e ancor meno economico. Essa deriva soprattutto da un'esigenza morale comune che ordina le relazioni sociali. Nel cristianesimo, la caritas, l'atto di carità, è la chiave del rapporto tra la legge della coscienza - la legge del cuore intesa come legge privata - e la legge del vincolo comune, sociale e politico.

È indiscutibile che è su questo fondamento che si fondano le parole chiave del pensiero giuridico: diritto, giustizia, istituzioni, bene comune.

Il cristianesimo è stato imposto alla società attraverso una doppia rete: l’istituzione ecclesiale, incarnata dal sacerdote, e l'istituzione monastica, modello di accesso alla santità di un destino tanto collettivo quanto individuale, che presuppone una sacralizzazione delle istituzioni. Nella Regola benedettina, queste istituzioni assumono un significato pieno che per secoli in Occidente è stato considerato non appartenente alla semplice utopia. È in questo modo che San Benedetto ha dato un vero significato alle strutture giuridiche, non solo nel mondo ristretto delle comunità monastiche, ma per la società civile e politica nel suo complesso.


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29 luglio 2024                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net