Spiegazione della Regola di Benedetto,
di Ildegarda di Bingen
Tradotto dal testo originale inglese di Hugh Feiss, osb
[1]
Wipf and Stock Publishers, 21 set 2005
Dal sito:
https://monasticmatrix.osu.edu/cartularium/explanation-rule-benedict
INTRODUZIONE
Ildegarda e le sue opere
Il profilo della vita di Ildegarda è ben
noto, grazie all'attenzione che ha ricevuto recentemente dai medioevalisti.
Secondo la ricostruzione di Sr. Marianna Schrader
[2], la nobile e numerosa famiglia di
Ildegarda proveniva da Bermersheim, vicino ad Alzey, a circa dieci miglia da
Magonza. La famiglia era ben collegata nella chiesa e nella società civile,
sebbene non appartenesse ai ranghi più alti della nobiltà. Quando fu
badessa, Ildegarda avrebbe permesso solo alle donne di nobile famiglia, come
era prassi comune a quell’epoca, di unirsi al monastero di Rupertsberg, che
includeva membri della più alta nobiltà, come Richardis von Stade. Più
tardi, i suoi fratelli cedettero parte della proprietà della famiglia al
monastero di Rupertsberg.
Ildegarda nacque nel 1098, la decima e
figlia minore nata dai suoi genitori, Hildebert e Mechtilde. Mentre era
ancora una piccola bambina ebbe un'esperienza visionaria; durante l'infanzia
fu anche turbata dalla malattia. All'età di otto anni fu mandata nel
monastero benedettino di Disibodenberg, che era stato da poco rifondato. Lì
fu rinchiusa con una donna eremita di nome Jutta, la bellissima giovane
figlia di un conte locale. Presto altre si unirono a Jutta ed insieme
fondarono un monastero soggetto all'abate di Disibodenberg. Nel 1136 Jutta
morì e Ildegarda le successe come capo della comunità. Cinque anni dopo ebbe
una visione di luce accecante, nel momento stesso in cui ricevette la
comprensione celeste della Bibbia. Nella visione le fu detto di scrivere ciò
che aveva visto e sentito, ma esitò a farlo per molto tempo. Si ammalò e lo
interpretò come un segno di divino malcontento. Quindi, con l'aiuto del
monaco Volmar e di Richardis von Stade, iniziò a scrivere le visioni su cui
si fondava la sua prima opera, Scivias
["scite-vias-domini: conoscete le vie del Signore"] e che terminò una
decina anni dopo. Nel frattempo, una commissione nominata da Papa Eugenio
III a Treviri nel 1147-1148 aveva approvato le sue visioni come autentiche.
In quel periodo, Ildegarda annunciò che le
era stato comandato da Dio di spostare la sua comunità a Rupertsberg, alla
confluenza della Nahe e del Reno, a circa quindici miglia da Disibodenberg.
Con l'aiuto di un'altra malattia (una visione) e un po' di supporti esterni,
Ildegarda e la sua comunità di una ventina di monache si spostarono a
Rupertsberg intorno al 1150. Sebbene ci fossero state controversie tra le
due comunità per alcuni anni, la comunità di Disibodenberg accettò di
fornire loro un cappellano. Ai primi anni di permanenza a Rupertsberg
probabilmente appartengono molti degli inni e delle sequenze di Ildegarda e
le sue opere mediche e scientifiche, le quali potrebbero aver contribuito al
benessere liturgico e fisico della nuova comunità e dei suoi ospiti.
Nel frattempo, Ildegarda stava diventando
sempre più conosciuta nel mondo e corrispondeva con molte persone
importanti. Sebbene fosse malata tra il 1158 e il 1161, trovò l'energia per
continuare a lavorare al suo secondo lavoro principale, Liber vitae
meritorum [Libro dei meriti della vita]. Fece anche alcune visite di
predicazione nei monasteri ed in altre chiese, che la portarono a notevoli
distanze sia via fiume che via terra. Nel 1163 iniziò il suo Liber
divinorum operum [Libro delle opere divine], che riuscì a completare in
dieci anni. Intorno al 1165 la sua comunità istituì una fondazione a
Eibingen vicino al Reno; nel 1170 scrisse la vita di San Disibod
[3]- ma solo dopo aver subito un altro attacco
di malattia - e nel 1170/71 fece un altro giro di predicazioni.
Intorno al 1174 Volmar, suo consigliere e
confessore, morì ed il suo posto fu temporaneamente occupato prima da
Ludovico di Sant'Eucario di Treviri e poi dal nipote di Ildegarda, Vezelino,
prevosto di Sant'Andrea a Colonia. Alla fine, dopo che Ildegarda fece
appello al papa, un monaco di nome Goffredo fu inviato dal monastero di
Disibodenberg all'inizio del 1175. Iniziò a scrivere una vita della badessa,
ma morì nel 1176 prima che potesse finirla. Il suo lavoro di segretario fu
rilevato dal fratello di Ildegarda, Ugo, che alla sua morte fu sostituito
come cappellano da un canonico di Magonza. Nello stesso periodo il monaco
Ghilberto di Gembloux, monaco dell’abbazia di Villers (Belgio) iniziò a
corrispondere con Ildegarda. Quando Ugo ed il canonico morirono nel 1177,
Ghilberto li sostituì entrambi e rimase a Rupertsberg fino al 1180. Durante
l'ultimo anno della sua vita, Ildegarda fu coinvolta in una disputa con il
clero di Magonza sulla sepoltura di un uomo che era stato scomunicato. La
questione fu risolta prima della sua morte il 17 settembre 1179.
Le circostanze della spiegazione di
Ildegarda della Regola di San Benedetto
(Ndt. Si veda
anche la nota 3)
Ci sono molti aspetti sconcertanti su
questo breve lavoro di Ildegarda. Per prima cosa, sebbene fosse membro di un
monastero benedettino per tutta la sua vita adulta e badessa per oltre
quarant'anni, nelle sue opere menziona molto raramente Benedetto o la sua
Regola. Questo potrebbe essere stato semplicemente un altro esempio della
sua pratica di evitare citazioni di autorità umane. In ogni caso, dobbiamo
fare affidamento su questo breve lavoro per la maggior parte di ciò che
sappiamo delle opinioni di Ildegarda sulla pratica monastica. La pratica, a
quanto pare, è al centro del lavoro, poiché Ildegarda non commenta gli
aspetti più teologici dell'insegnamento di Benedetto.
Un
leggero indizio del tempo di composizione potrebbe essere la prefazione al
Liber vitae meritorum che menziona il fatto che aveva passato un
certo tempo a fornire "risposte ed ammonimenti a molte persone grandi e
piccole. . . e lettere, con alcune altre esposizioni”. Se la sua
Spiegazione della Regola di San Benedetto era tra queste esposizioni, la
scrisse alla fine del 1150 o all'inizio del 1160.
L'identità
e l'ubicazione dei destinatari della Spiegazione sono ancora più
incomprensibili. La lettera che richiede il commento proviene dalla "congregatio
Hunniensis". I suggerimenti accademici sull'identità di questa comunità
includono il monastero delle monache cluniacensi di Huy vicino a Liegi,
Heningense nella diocesi di Worms e Ravengiersburg (Hunsrück) nella diocesi
di Treviri. I firmatari sembrano essere maschi ("perjuri"
nel par. 3a), seguaci della Regola di Sant'Agostino ("B.
Pater... Religionem nostram" nel par. 4a). La loro mancanza di
trasparenza sull'osservanza sembra improbabile in una casa venerabile come
Ravengiersburg, soprattutto perché era circondata da case che seguivano i
costumi accuratamente elaborati dall’abazia agostiniana di Springiersbach.
Sembra più probabile che una piccola casa canonica fuori mano con
consuetudini eclettiche tratte da varie fonti (Crodegango, Benedettini) sia
stata accusata dai Benedettini di osservanza lassista. Per acquisire
autorità riguardo alle loro pratiche esistenti e/o consigli su come
riformare le loro consuetudini, hanno invocato Ildegarda, un'autorità
benedettina riconosciuta. Qualunque teoria si proponga, tuttavia, rimane
difficile sapere perché Ildegarda abbia risposto alla loro lettera piuttosto
generica con una risposta così specifica. Forse un messaggero non ha portato
solo la lettera, ma alcune domande specifiche. In ogni caso, è sconcertante
come l'identità degli "Hunniensis"
non sembra influenzare molto l'interpretazione del testo.
Come
ha notato J.B. Pitra (Cardinale e teologo francese, 1812-1889), lo stile di Ildegarda
nella Spiegazione della Regola
di San Benedetto è più semplice e più schietto che altrove nelle
sue opere. Solo all'inizio ed alla fine c'è un accenno della sua esperienza
profetica e visionaria.
Testo e traduzioni
La lettera da parte della "congregatio
Hunniensis cœnobii" e la risposta di Ildegarda, la Regulae S.
Benedicti Explanatio, sono pubblicate insieme alle sue opere nel volume
197 della Patrologia Latina di Migne, col. 1053-1066. Migne
ripubblicò il testo partendo dal volume 23 della Maxima bibliotheca
veterum patrum (Lione, 1677) che, a sua volta, ripubblicò il testo di J.
Blanckwalt, ed., Epistolarum liber (Colonia, 1566). Nessuna di queste
edizioni stampate è del tutto soddisfacente. Il testo tratto dalla
Patrologia Latina di Migne (M), viene spesso corretto riferendosi ad altri
codici. Per esempio: Riesenkodex, Wiesbaden, Hessische Landesbibliothek MS 2
e Pitra (P), Analecta Sacra 8:495.
Tre traduzioni moderne hanno offerto una
guida nel chiarire difficili passaggi: la traduzione olandese di M. Pot, la
traduzione tedesca e la parafrasi di Maria Assumpta Hönmann, "Die Regula
Sancti Benedicti (RB) im Kommentar der heiligen Hildegard von Bingen",
Artz und Christ 27 (1981): 32–45 ed una traduzione preparata da Pamela
Jouris nell'ambito di una tesi di laurea magistrale presso Bishop's
University, Lennoxville, Québec, 1990.
(Ndt. Il testo originale comprende molte note, soprattutto bibliografiche.
Questa traduzione riporta solo due di queste note, mentre è stata aggiunta
la n. 3)
[1]
Peregrina Publishing Co.
Traduzione pubblicata per la prima volta nel 1990.
Edizione riveduta pubblicata nel settembre 2000 con
"Forward to the Past: Hildegard of Bingen & Twelfth-Century Monastic
Reform" di JoAnn McNamara. Peregrina Translations Series, ISBN
0–920669–15–8.
[2]
Marianna Schrader, “Die
Herkunft der heiligen Hildegard” Quellen und Abhandlungen zur
mittelrheinische Kirchengeschichte 43 (Mainz: Gesellschaft für
mittelrheinische Kirchengeschichte, 1981).
("Le origini di San Ildegarda"
Fonti e trattati sulla storia della Chiesa nel Medio Reno 43
(Magonza: Società per la storia della Chiesa nel Medio Reno, 1981)).
[3] La Vita di san Disibod venne scritta su richiesta dell’abate di Disibodenberg; la Vita di san Ruperto era invece senza dubbio un modo di far notare le sante origini del luogo sul quale venne costruito il monastero di Ildegarda ed era un inno al suo santo patrono; il commento alla Regola di san Benedetto e quello sul Simbolo atanasiano vennero scritti a scopo edificante, anche se l’ultima opera è più teologica nel contenuto rispetto alle prime tre. Di queste opere, solamente la Spiegazione della regola di san Benedetto è stata tradotta dal latino. Nessun’opera è molto lunga, specie se consideriamo la tendenza di Ildegarda a scrivere commenti e trattati molto voluminosi. La maggior parte degli autori che si sono interessati a Ildegarda hanno in pratica sorvolato su queste opere, a parte qualche breve commento. Ci sono probabilmente delle buone ragioni per questo oblio, perché si presentano come una miscellanea senza un tema comune. Forse per Ildegarda avevano in comune il tema del legame tra il mondo celeste dei santi e le realtà del presente sulla terra. Nel mondo medievale i santi non solo potevano intercedere tramite la preghiera, ma lasciavano dietro di loro tracce visibili delle loro vite (reliquie, edifici) e il loro influsso nei luoghi dove avevano trascorso la loro vita terrena.
La Vita di san Ruperto venne senza dubbio scritta all’epoca della partenza di Ildegarda da Disibodenberg per Rupertsberg. È, da parte di Ildegarda, un tentativo di far rivivere il culto di san Ruperto e di legittimare la visione che l’aveva chiamata a spostarsi laggiù. Secondo il suo racconto Ruperto era un giovane incline alla bontà fin dall’infanzia, in questo appoggiato dall’aiuto e dai consigli di sua madre, Bertha. Bertha era cristiana, ma il padre di Ruperto, Robolaus, era pagano. Questo e altri passi agiografici sembrano una reminiscenza della vita di sant’Agostino. Ildegarda sosteneva che Ruperto era il nipote di un principe carolingio che possedeva grandi proprietà terriere nella zona di Bingen. Il padre pagano morì ancora giovane e Ruperto ereditò grandi ricchezze. Bertha educò il figlio a temere e ad amare Dio; all’età di tredici anni, quando la madre propose di costruire un oratorio dove pregare per la salvezza delle loro anime, Ruperto citò il Vangelo ed i profeti e disse che il loro primo compito era di distribuire i loro beni a chi era senza casa e nel bisogno. Fu così che Bertha, invece di un oratorio, costruì un ospizio per curare gli ammalati. A quindici anni Ruperto si recò in pellegrinaggio a Roma. Al suo ritorno cominciò a fare elemosine e a dare proprietà ai poveri e fece costruire molte chiese sulle sue terre. Aveva vent’anni quando morì, perché era volere di Dio che mai potesse venire corrotto da compagnie mondane che desiderassero approfittare di lui a proprio vantaggio. Così la sua bontà e purezza furono conservate, mentre le sue opere buone vennero portate avanti da Bertha che gli sopravvisse venticinque anni. Sul luogo della tomba di suo figlio fondò un monastero che venne distrutto dai normanni nel IX secolo e “restò in rovina, devastato” fino al XII secolo, allorché Dio guidò con una visione Ildegarda a ristabilire il culto di san Ruperto costruendo un monastero sui resti di quello distrutto. La sua festa, il 15 maggio, secondo Ildegarda, celebrava un santo ancora pieno di purezza e freschezza (viriditas) quando era morto, e la sua bontà era come un faro per tutti.
Anche la Vita di san Disibod celebra la precoce dedizione di un santo
alla bontà, anche se questa è molto probabilmente una convenzione
agiografica. Ildegarda lo paragona spesso a Giovanni Battista che
vaga nel deserto e predica il mondo di Dio a chiunque voglia
prestargli ascolto. La vita di Disibod è quella di un santo e
ascetico pellegrino. La sua leggenda dice che fu un vescovo
irlandese che venne esiliato dalla sua diocesi e che viaggiò fino in
Germania con tre amici che gli tenevano compagnia. Al suo arrivo, si
costruì un romitorio sul fianco di una montagna fitta di boschi
vicina alla confluenza dei fiumi Nahe e Glan. In seguito, in quello
stesso luogo, costruì un monastero, ma spostato sulla cima del
monte. Non entrò mai a far parte della comunità, preferendo la vita
di eremita ascetico, ma intanto san Disibod cominciò ad essere
rinomato per le sue doti di guaritore e direttore spirituale. A
differenza di san Ruperto, ebbe una lunga vita e morì a ottantun
anni e il profumo di santità si levò dalla sua tomba quando venne
sepolto. Molti miracoli, puntualmente registrati, si verificarono
sul luogo della sua tomba. A parte la sua vita ascetica, sembra che
Ildegarda abbia ammirato san Disibod, il suo primo patrono, per la
sua umiltà. L’umiltà era, come abbiamo già visto, una delle virtù
chiave per Ildegarda. Prima di scrivere la sua Vita, mandò
degli inni scritti da lei stessa in onore del santo su richiesta
dell’abate Kuno, accompagnati da una lettera piena di rimproveri.
Negli inni parla di Disibod come del “dito di Dio che crea la vita”
(yiriditas), che benediceva tutto ciò con cui veniva in
contatto. Potrebbe benissimo essere che la lettera che accompagnava
le composizioni fosse un ordine esplicito di Ildegarda all’abate e
alla comunità di Disibodenberg affinché emulassero il loro fondatore
in modo più vicino al suo ascetismo e alla sua pratica di umiltà. La
Vita invece fu composta una ventina d’anni dopo su richiesta
di Helenger, nuovo abate di Disibodenberg, successore di Kuno. A
giudicare dalla data della lettera di accompagnamento alla Vita,
l’opera appartiene all’ultimo periodo della vita di Ildegarda,
forse intorno al 1170.
La Spiegazione della Regola di san Benedetto è interessante perché,
anche se Ildegarda visse secondo la Regola benedettina, non si
trovano che rari riferimenti a san Benedetto nelle sue altre opere,
ad eccezione delle Lettere, benché in questo caso alla Regola
si alluda piuttosto che commentarla. La spiegazione della Regola era
intesa come un commento scritto per un gruppo di destinatari
sconosciuti che avevano chiesto ad Ildegarda un commento illuminante
per comprenderne meglio lo scopo e il significato. Come era comune a
quel tempo, la richiesta è composta in modo molto formale; non è
chiaro dove fosse la sede della comunità religiosa ed è anche
incerto se si trattasse di un gruppo
di uomini o di donne. Questi si definiscono come la
congregano hunniensis e gli studiosi hanno ipotizzato varie comunità dell’epoca: una
comunità di monache a Liegi, una nell’Heigense, e Ravengiersburg a
Treviri. Sembra di gran lunga più verosimile che il gruppo che aveva
fatto quella richiesta ad Ildegarda fosse invece una piccola
canonica, poiché nella lettera in cui chiedono il suo aiuto alludono
al fatto di essere stati accusati di negligenza nell’osservanza
della Regola. In ogni caso, la loro identità non altera né lo stile
né la sostanza della risposta.
Estratto da “Ildegarda di Bingen: la
vita e l'opera" a cura di Anne H. King-Lenzmeier, Gribaudi, 2004
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6 giugno 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net