Roberto di Arbrissel: l’abate delle donne.
Federica
Garofalo
Pubblicato il 5 ottobre 2011
sul sito
ilpalazzodisichelgaita.wordpress.com
Roberto d’Arbrissel – Miniatura dal Graduale di Fontevraud, 1250-1260
Limoges, Bibliothèque Municipale.
Sappiate, fratelli cari, che tutto ciò che ho fatto in questo mondo, l’ho
fatto per il bene delle nostre monache; ho consacrato loro tutta la forza
delle mie facoltà e inoltre ho sottoposto me stesso e i miei discepoli al
loro servizio per il bene delle nostre anime.
Di solito si dice, almeno a Napoli, che il protettore delle donne è San
Pasquale Baylòn, francescano spagnolo vissuto nel Cinquecento e “importato”
negli anni del Viceregno, in lui le “zitelle” napoletane riponevano le loro
speranze di trovar marito.
Sembra che nessuno pensi all’autore di queste righe, beato, non propriamente
santo, ma che in vita ha rappresentato l’universo femminile in modo
straordinario, anche per la sua epoca, il XII secolo:
Roberto d’Arbrissel.
Un personaggio decisamente fuori dal comune fin dall’inizio, essendo
figlio illegittimo di un prete della diocesi di Rennes,
Damalochius: la sua è una vera e propria “dinastia” di preti, come accade
spesso nei villaggi della sua epoca (la seconda metà dell’XI secolo),
un’epoca in cui la Chiesa fatica ancora ad uscire dalla profonda crisi
spirituale e morale che ha attraversato negli ultimi due secoli. Se in alto
le diocesi e le abbazie spesso vengono comprate o concesse da re e
imperatori a gente di loro fiducia (considerati né più né meno che
funzionari), in basso le parrocchie passano di padre in figlio con grande
disinvoltura, molte volte in buona fede, non essendoci praticamente nessuno
che spieghi altrimenti. Lo stesso Roberto trova la cosa più naturale del
mondo ereditare la chiesa e l’incarico alla morte del padre, e dividere lo
stesso tetto con una donna. Nella cattedrale di Rennes, però, dove Roberto
studia,
scoppia nel 1076 uno scandalo
sull’elezione del vescovo, giudicata irregolare, uno scandalo in cui pare
sia coinvolto anche Roberto. Non sappiamo bene come siano andate
le cose: fatto sta che il prete di Arbrissel,
travolto dallo scandalo, sceglie la via
dell’esilio, a Parigi.
È
proprio lì che Roberto entra in contatto con il nuovo spirito riformistico che sta faticosamente ma profondamente
pervadendo la Chiesa: papa Gregorio VII da Roma ha ingaggiato una lotta
senza quartiere ad ogni genere di abuso, compresa la simonia e il
concubinaggio dei chierici. E tutto questo non può non colpire nel segno
proprio lui, figlio di un prete, egli stesso prete incontinente e per giunta
implicato nello scandalo dell’elezione irregolare di un vescovo:
Roberto entra in una profonda crisi di
coscienza, dalla quale ne esce convertito, anzi conquistato alla
nuova domanda di purezza che si esige dalla Chiesa e nella Chiesa. Al punto
che
lo stesso vescovo di Rennes, anni dopo, lo richiamerà in Bretagna,
nominandolo arciprete, proprio con l’incarico di fare un po’ di pulizia
nella diocesi. Come tutti i riformatori, però, non è molto ben
visto dai confratelli, e la morte del vescovo, nel 1093, lo lascia esposto
alle vendette di tutta la gente che Roberto ha umiliato e rimosso nel corso
di quei quattro anni di lavoro. Per fortuna, il nuovo vescovo è Marbodo,
raffinato intellettuale e filosofo, il quale, conscio della situazione, lo
invia
ad Angers, con l’incarico di insegnare teologia.
Non è questo, però, che Roberto vuole: sente il bisogno di una vita più
austera, intima, interamente consacrata a Dio senza distrazioni di sorta.
Sceglie così la via del “deserto”, dell’eremitaggio,
ritirandosi nella foresta di Craon, al confine tra
Bretagna e Angiò.
San Benedetto – Miniatura dal Graduale di Fontevraud, 1250-1260
Limoges, Bibliothèque Municipale.
L’eremitaggio è uno stile di vita che sta conoscendo una nuova fioritura in
questa Francia della fine dell’XI secolo:
i suoi boschi sono i nuovi deserti in cui monaci come Guglielmo Firmat,
Bernardo di Tiron o Vitale di Savigny vivono in solitudine, nel silenzio
della preghiera e del lavoro manuale, vivendo di quanto coltivano con le
proprie mani o di ciò che ricevono in elemosina.
Questo è tutto ciò che cerca anche Roberto, ma, come accade per molti altri,
l’agognata solitudine non dura per molto: la fama di
questo nuovo eremita si diffonde, arriva gente che vuole vivere con lui, e
ben presto sono così tanti che c’è bisogno di un monastero per accoglierli
tutti; è
il monastero di Sainte-Marie de la Roé, costruito su un
terreno messo a disposizione da Renaud, signore di Craon.
La
notizia di questo monaco di santa vita arriva a delle orecchie molto
particolari: quelle di papa Urbano II,
che in quel 1096 sta percorrendo in lungo e in largo la Francia per chiamare
a raccolta la Cristianità a soccorrere i luoghi santi minacciati dai Turchi.
Parimenti a questo, però, gli sta a cuore anche la purificazione interna
della Chiesa, e nessuno meglio di un eremita seguito e ammirato può
contribuire a diffondere questo ideale. Così,
il papa manda a chiamare Roberto, conferma il suo neonato cenobio,
ma allo stesso tempo, lo spinge verso una strada nuova: la predicazione.
È stato troppo a lungo chiuso nel suo “deserto”: il mondo là fuori ha
bisogno di lui.
Roberto è dunque nominato predicatore apostolico.
Le sante vergini – Miniatura dal Graduale di Fontevraud, 1250-1260
Limoges, Bibliothèque Municipale.
Si dice che tu abbia abbandonato la veste regolare e che tu cammini con un
cilicio a nudo sul corpo, con un vecchio mantello bucato, le gambe seminude,
la barba incolta, i capelli tagliati a tondo sulla fronte, scalzo in mezzo
alla folla, offrendo a chi ti vede un singolare spettacolo…
Così il suo antico vescovo, Marbodo, scrive a Roberto d’Arbrissel, e non
possiamo non avvertire nelle sue parole una sorpresa che rasenta lo shock;
uno shock che forse può ricordare quello che prenderà Assisi alla vista di
Francesco e dei suoi primi seguaci, scalzi e vestiti di sacco. E, in
effetti, da come li descrivono le cronache, tutta la turba di gente che
rapidamente si è aggregata a Roberto sulla scia delle sue predicazioni, non
sembrano molto diversi: «Vestiti di stracci multicolori, riconoscibili dalla
folta barba (…) . Se gli si chiede chi sono, rispondono: i discepoli del
maestro».
Tra
questi discepoli non ci sono solo uomini: la predicazione di Roberto sembra
avere un gran successo soprattutto con le donne.
«…e si radunavano anche delle donne, povere o nobili, vedove o vergini,
vecchie o adolescenti, prostitute o di quelle che disprezzano gli uomini.»
Il
predicatore itinerante accoglie tutte, nobili e contadine, e non respinge
nemmeno le più disprezzate fra le donne, le prostitute. Anzi,
proprio per esse ha parole di consolazione e di speranza, additando loro
l’esempio di Maria Maddalena: «questa beata peccatrice, che ha baciato,
lavato con le sue lacrime e asciugato con i suoi capelli i piedi del
redentore, e cosparso d’unguento il suo degnissimo capo».
Roberto vive in mezzo a loro, giorno e notte: quando si
accampa con i suoi seguaci lungo il ciglio delle strade, divide gli uomini
da un lato e le donne dall’altro, mettendosi lui nel mezzo. I suoi
contemporanei sono sbalorditi su come il predicatore riesca a rimanere in
castità (e la cosa è sotto gli occhi di tutti) pur fra tutta questa folla di
donne, come gli rimprovera l’abate Goffredo di Vendome: «Hai scoperto un
tipo di martirio inedito, ma inefficace; perché ciò che si osa contro
ragione non può mai essere né utile né fruttuoso; è pura presunzione».
Insomma,
è un vero e proprio movimento popolare quello che Roberto
d’Arbrissel ha creato, e di dimensioni tali che ad un certo punto
lo stesso vescovo Marbodo comincia a impensierirsi: questo fiume va in
qualche modo incanalato, o, a suo dire, correrebbe il rischio di degenerare
rapidamente. Il vescovo invia una lettera a Roberto in cui lo invita a
regolamentare la comunità che ha creato, dandole una sede e una regola.
Veduta dell’abside – Notre-Dame de
Fontevraud, Saumur, Maine-et-Loire.
Nasce
così l’ordine di Fontevraud,
dal nome dal bosco, nella valle della Loira, dove Roberto fonda verso il
1099 un complesso di cinque eremi: uno per gli uomini, uno per le vergini e
le vedove, uno per le lebbrose e uno per le penitenti. In seguito, i primi
due saranno accorpati nella
grande abbazia di Notre-Dame, mentre gli ultimi
due costituiranno due priorati a parte, rispettivamente dedicati a San
Lazzaro e a Santa Maria Maddalena.
Quest’imponente abbazia, seppur rifatta più e più volte, oggi sconsacrata e
utilizzata come sfondo per concerti ed eventi, s’innalza ancora nelle
campagne dell’Angiò in tutta la sua sobria bellezza. Comprende
un edificio per i monaci e uno
per le monache separati dalla chiesa, l’unico luogo in cui uomini
e donne possono incontrarsi per la recita delle ore canoniche.
Roberto
ha scelto per la sua comunità la regola benedettina, reinterpretata a modo
suo: anzitutto è molto più rigida, i monaci
e le monache devono indossare abiti di lana grezza e osservare astinenza
perpetua.
Il bello, però, deve ancora venire:
tutto questo enorme complesso
deve essere guidato non da un abate ma da una badessa. Lo stesso
Roberto lo ha voluto fortemente, negli statuti che ha scritto per l’ordine:
Ho dunque deciso col vostro consiglio che, finché sarò in vita, sarà una
badessa a dirigere questa congregazione; e dopo la mia morte nessuno osi
contraddire queste disposizioni che ho preso.
Anche i
monaci le devono obbedienza, ed è nelle sue mani che fanno la loro
professione di fede.
Roberto ribadisce più e più
volte che gli uomini della congregazione sono servitori delle monache, e a
loro sottoposti, come San Giovanni fu sottomesso dal Cristo alla Vergine
Maria: concretamente, le assistono con i sacramenti, svolgono i
lavori pesanti, all’occorrenza le difendono da aggressori esterni.
Per giunta, sempre per volontà di Roberto,
la badessa non dovrà essere una
vergine ma una vedova, ossia una donna che abbia avuto esperienza
di matrimonio e che dunque abbia sufficiente sapienza per guidare una
comunità.
Una regola del genere può sembrare inaudita, ma in realtà riprende la
formula tipica dei monasteri doppi altomedievali, diffusi soprattutto nelle
isole britanniche.
La prima donna posta dal fondatore a dirigere il nuovo ordine è una delle
sue prime seguaci, Hersende di Champagne, vedova di Guglielmo di Montsoreau,
figlia di uno dei più importanti vassalli del conte d’Angiò; al suo fianco
per aiutarla, c’è una giovanissima vedova, conosciuta e ammirata per la sua
bellezza e la sua intelligenza, Petronilla di Craon, vedova del barone di
Chemillé. Alla morte di Hersende, nel 1109, sarà lei a diventare badessa, a
soli ventidue anni.
Tomba di Eleonora d’Aquitania, transetto destro della chiesa
– Notre-Dame de Fontevraud, Saumur, Maine-et-Loire.
In breve tempo, complice la predicazione di Roberto che continua senza sosta
i suoi viaggi,
il nuovo ordine cresce a dismisura: già nei primi anni
del XII secolo, solo Notre-Dame de Fontevraud conta circa trecento monache e
settanta monaci, mentre nel 1105, l’anno in cui papa Pasquale II approva la
regola della nuova congregazione, di monasteri se ne contano altri sei; nel
1119 sono già una ventina. La fama di santità di quel luogo attira
pellegrini e donazioni.
Soprattutto le donne sono attirate da Fontevraud
come da una calamita, e genitori e mariti ne hanno quasi paura: la sorella e
la zia della badessa Petronilla, ad esempio, recatesi un giorno all’abbazia
per far visita alla loro parente, non se ne sono più andate; la nobile
Agnese de Aïs addirittura si separa dal marito Alardo, diventando la prima
priora del monastero di Orsan, per poi arrivare fino in Spagna e fondare il
monastero di Vega. Gli Annali di Fontevraud ci rivelano che sono soprattutto
donne a fondare monasteri della congregazione, su terreni messi a
disposizione da genitori, parenti, ex mariti.
Sono le
donne, dunque le protagoniste dell’espansione dell’ordine, e continueranno ad esserlo negli anni a
venire, con grandi figure come Bertrada di Montfort,
Ermengarda d’Angiò, Matilde d’Inghilterra e Matilde
d’Angiò, e, soprattutto, Eleonora d’Aquitania. Questa storia al femminile,
oltre che dispiegata negli annali, è scolpita nel transetto destro della
chiesa dell’abbazia, nei mausolei policromi che custodiscono i resti dei
suoi grandi benefattori: tra essi spiccano tre giganti della famiglia reale
inglese dei Plantageneti, Enrico II, Riccardo Cuor di Leone, e lei, la
“regina dei trovatori”,
Eleonora d’Aquitania.
Per quanto riguarda Roberto, lui non nasconde la sua preferenza per i
monasteri minori: Fontevraud è diventata troppo imponente per i suoi gusti.
Così, nel 1117, sentendo avvicinarsi la morte, sceglie di spirare nel
monastero di Orsan, e di essere sepolto lì. La sua tomba infatti è lì, ma il
fondatore è pur sempre il fondatore, e così almeno il suo cuore è posto come
una reliquia nella casa madre.
Navata centrale della chiesa – Notre-Dame de
Fontevraud, Saumur, Maine-et-Loire.
Due anni dopo, nel 1119, l’abbazia di Notre-Dame accoglierà un ospite molto
particolare: papa Callisto II,
venuto di persona per consacrare l’altare maggiore della grande chiesa
appena ultimata. Ad accoglierlo, la badessa Petronilla.
A pochi anni dalla fondazione dell’Ordine di Fontevraud, il papa in persona
visita l’abbazia, dando così la sua benedizione a questa realtà così antica
e nuova al tempo stesso, dominata dalle donne.
Tutto grazie a Roberto d’Arbrissel, l’abate delle donne.
Bibliografia:
Régine Pernoud,
La donna al tempo
delle cattedrali, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 117-157;
Dieudonné Dufrasne,
Donne moderne nel
Medioevo. Il movimento delle beghine: Hadewijch di Anversa, Mectilde di
Magdeburgo, Margherita Porete, Milano, Jaca Book, 2009;
Ivan Gobry,
L’Europa di Cluny: riforme monastiche e società d’Occidente : secoli VIII-XI,
a cura di Giovanni Spinelli, Roma, Città Nuova, 1999.
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14 novembre 2021 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net