LA
DIDACHE’
INTRODUZIONE
Estratto da “I padri apostolici”, di Guglielmo Corti
La Didachè ebbe una grande diffusione nei
primi secoli del cristianesimo. Fu stimata da grandi maestri come Origene e
Clemente Alessandrino, che la citarono —
sembra — come Sacra Scrittura. Di essa
parlarono Eusebio, sant’Atanasio e altri, non più come libro ispirato, ma certo
di grande valore.
Fu tradotta, già allora, in varie lingue come latino, georgiano copto e poi
arabo.
Tra i secoli III e V cominciò a essere assorbita in scritti disciplinari come la
Costituzione della Chiesa Egiziana e le Costituzioni Apostoliche. Incorporata
cosi in queste compilazioni maggiori fini per perdere la sua notorietà come
opera a sé stante, cosi che nel secolo XII se ne era perduta ogni traccia.
Grande fu perciò l’entusiasmo quando nel 1873 venne di nuovo alla luce per opera
di Filoteo Bryennios, metropolita di Nicomedia, che la scopri a Costantinopoli
in un codice greco scritto nel 1056.
Subito il libriccino fu fatto oggetto di uno studio intenso e appassionato,
attraverso una produzione letteraria imponente; e nel fervore della ricerca
cominciarono a profilarsi diverse opinioni contrastanti.
Alcuni la ritennero come l’eco immediata della voce del Signore rivolta agli
Apostoli; altri come un vademecum per
catecumeni, una specie di primo catechismo, o una ordinanza ecclesiastica. A
poco a poco i giudizi si fecero meno benevoli: si cominciò a considerarlo come
frutto di una piccola comunità isolata, che nulla, dice della Chiesa universale;
fu pure considerato opera di un falsario tendente a restaurare costumi
sorpassati o addirittura un’opera eterodossa, in appoggio all’eresia montanista,
osteggiante la gerarchia e favorevole al profetismo. Nel fissare la data di
composizione, in base a queste diverse concezioni, si passò dalla metà del
secolo primo alla seconda metà del secolo seguente o perfino alla prima metà del
secolo terzo.
Ma gli studi più recenti (Si
tratta dello studio poderoso di J. P.
Audet, La Didachè instructions des Apótres, Parigi 1958. Qualche
particolare sarà forse discusso, ma l’opera è fondamentale. E’ arricchita da una
larghissima bibliografia e da un testo critico (pp. 226-242) che sfruttiamo
nella traduzione.)
mettono un po' di luce in questo groviglio di opinioni, e rettificano le
posizioni più negative che sembravano prevalere.
Sembra assodato ormai che si tratta di una raccolta di istruzioni, che un
apostolo (un collaboratore dei Dodici) compilò per aiuto alla propria missione.
Sfruttò uno scritto giudaico preesistente (Le due
vie) e le consuetudini liturgico-organizzative di una comunità già
formata.
A questo nucleo furono unite (forse in seguito) le espressioni desunte dagli
scritti riferenti le parole del Signore, quando questi cominciarono a
diffondersi.
La composizione della Didachè avvenne, perciò,
tra il 50 e il 70, e il luogo di origine
sarebbe in Oriente, forse la Siria o meglio Antiochia, ove la comunità cristiana
aveva quei caratteri giudaizzanti che riscontriamo nello scritto stesso.
Questa nuova interpretazione ci assicura ancora una volta che ci troviamo
davanti a un'opera antica, veneranda, scaturita dalla stessa sorgente della
predicazione apostolica, testimonio palpitante della vita dei nostri primi
fratelli in Gesù Cristo.
Non sono però dissolti tutti i dubbi, perché la
Didachè ha delle particolarità, diverse, e forse contrastanti con gli
altri scritti dell’epoca.
E' chiara una quadruplice divisione: capitoli I - VI — Istruzioni morali
»
VII -
X = Istruzioni liturgiche
»
XI -
XV = Istruzioni disciplinari
»
XVI
= Conclusione escatologica
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5 maggio 2019 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net