La Regola per i Canonici
di san Crodegango Vescovo di Metz
Secondo d'edizione del Padre Filippo Labbe
[1]
(Tradotto dal latino da: “Patrologia Latina”, vol. 89, col. 1097-1120 di
J.P. Migne)
PROLOGO
Al tempo del molto pio e molto
sereno re Pipino
[2], Crodegango, servo dei servi di Dio, vescovo della
città di Metz.
Se l'autorità delle leggi dei 318 [padri di Nicea]
[3] e degli altri Padri della Santa Chiesa fosse durata ed il
clero secolare ed il vescovo vivessero secondo le loro giuste norme, sarebbe
superfluo per una persona insignificante e non importante come me commentare o
dire qualcosa di nuovo su una questione che era stata così ben trattata.
Tuttavia, sia i pastori che i loro greggi sono diventati sempre più negligenti
ai nostri tempi. Quindi cos'altro posso fare, trovandomi in una situazione così
grave, se non tentare per quanto posso di riportare il nostro clero sul sentiero
della giustizia, sotto l'ispirazione di Dio, anche se non riuscirò a fare quanto
dovrei.
Quando, per quanto indegno di me, mi fu concesso il trono di questa sede
pontificia ed iniziai ad esaminare lo stato della cura pastorale della mia
funzione, notai che sia il clero che la popolazione erano affondati in un tale
stato di abbandono che mi diedi da fare con dolore per analizzare cosa avrei
dovuto fare. Ma, sorretto dall’aiuto divino, aiutato dal conforto dei miei
fratelli spirituali e spinto dalla necessità, ho deciso di delineare una breve
Regola, in modo che il clero possa trattenersi da ciò che è illegale, si liberi
dei suoi peccati ed abbandoni quei mali che ha praticato per così tanto tempo.
Così che la sua mente si liberi dagli abituali vizi e possa essere più
facilmente riempita di tutto ciò che è buono ed eccellente.
In obbedienza alla Sacra Scrittura, abbiamo stabilito che tutti devono avere un
solo spirito nel Servizio di Dio e devono essere diligenti nelle letture
spirituali. Tutti devono essere prontamente obbedienti al loro vescovo ed al
preposito, come richiede l'ordine canonico; inoltre devono essere uniti nella
carità, ferventi nel buon zelo e congiunti nell’amore, stando lontani da liti,
da scandali e da odio. Chiunque sia il loro pastore non dovrà preoccuparsi solo
dei bisogni materiali, ma anche di quelli spirituali ed in entrambi gli ambiti
deve essere in grado di fornire le più attente cure, utilizzando i mezzi a sua
disposizione. Reprima i vizi ed agisca il più rapidamente possibile per
amputarli non appena iniziano a comparire. Faccia in modo di procurare ai suoi
sottoposti tutto ciò che è necessario per la vita umana, secondo i principi
indicati qui di seguito.
Così quando Cristo, pastore dei pastori e giudice dei vivi e dei morti, prenderà
il suo trono di maestà in quell'ultimo e terribile giorno per giudicare tra
tutte le nazioni, quando ognuno del clero lo contemplerà a viso scoperto, (senza
velo come Mosè; Cfr. Es 34,34), potremo avere almeno una remissione completa dei
nostri peccati; anche se non meriteremo di sentirlo dire: "Bene, servo buono
e fedele" (Mt 25,21), come dirà invece ai sommi pastori ed alle greggi
affidate ad essi, come ricompensa dei talenti dati loro e che avranno moltiplicato
con profitti spirituali.
È chiaro che a chiunque i cui peccati sono stati perdonati per intero non verrà
negato l'ingresso nel regno dei cieli, né qualcuno che raggiunge anche la più
piccola porzione di paradiso può essere considerato infelice. Tale porzione è
concessa a coloro che si affrettano il più velocemente possibile verso
quell'obiettivo, attraverso i meriti della loro vita nella loro breve corsa
durante questo tempo presente.
Quindi, dedichiamo le nostre menti a questo scopo nel miglior modo possibile,
anche se non riusciremo a fare ciò che dovremmo, e la nostra vita si affligga
nella penitenza per un po' di tempo, per timore che il castigo di Dio, che ora è
così mite e paziente, si scateni su di noi e ci condanni nel tempo a venire.
Capitolo 1.
L’umiltà.
Capitolo 2.
L'ordine della Congregazione dei Canonici.
Capitolo 3.
Tutti dormano insieme nel loro monastero.
Capitolo 4.
La Compieta ed il silenzio.
Capitolo 5.
Il Divino Ufficio durante la notte.
Capitolo 6.
Tutti devono frequentare l'Ufficio divino durante le Ore canoniche.
Capitolo 7.
Il modo di dire l'Ufficio divino.
Capitolo 8.
Tutti vengano al Capitolo ogni giorno.
Capitolo 9.
Del lavoro manuale quotidiano.
Capitolo 10.
Coloro che vanno in viaggio.
Capitolo 11.
Il buon zelo che i Servi di Dio devono avere. (Cfr. "Regola di san
Benedetto", RB cap. 72)
Capitolo 12.
Nessuno presuma di percuotere o di scomunicare un altro. (Cfr. RB 70)
Capitolo 13.
Nella Congregazione dei Chierici è proibito difendersi a vicenda. (Cfr.
RB 69)
Capitolo 14.
Le confessioni. (Cfr. RB Cap. 7)
Capitolo 15.
Le colpe più gravi.
Capitolo 16.
Coloro che senza permesso si uniscono agli scomunicati.
(Cfr. RB Cap. 26)
Capitolo 17.
La scomunica per le colpe. (Cfr. RB Cap. 23)
Capitolo 18.
Coloro che commettono errori insignificanti. (Cfr. RB Capitolo 46)
Capitolo 19.
La misura della scomunica.
(Cfr. RB Cap 24)
Capitolo 20.
L’osservanza della Quaresima.
Capitolo 21.
La disposizione dei tavoli [nel refettorio].
Capitolo 22.
La misura del cibo.
Capitolo 23.
La misura del bere.
Capitolo 24.
I servizi settimanali di cucina.
Capitolo 25.
L'arcidiacono ed il primicerio.
Capitolo 26.
Il cellerario.
Capitolo 27.
Il portinaio.
Capitolo 28.
I Chierici canonici infermi che si sono particolarmente aggregati a questo ordine e
non hanno i mezzi per soddisfare i loro bisogni durante la malattia.
Capitolo 29.
Gli abiti e le calzature del clero e la loro legna da ardere.
Capitolo 30.
Le feste dei santi.
Capitolo 31.
Chi intende unirsi a questo particolare Ordine dei Canonici di questa
Congregazione faccia di persona una solenne donazione delle sue proprietà alla
Chiesa del beato Apostolo Paolo, pur riservandosene l'usufrutto per la durata della
sua vita.
Capitolo 32.
Le elemosine.
Capitolo 33.
Come debbano accorrere al Capitolo od alla Messa la domenica o nelle
festività dei santi.
Capitolo 34.
Gli elemosinieri si rechino nella Chiesa Cattedrale specificata per ascoltare
la parola di Dio.
Capitolo 1. L’umiltà.
La Sacra Scrittura ci proclama ad alta voce: “Chiunque
si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. (Lc 14,11). Più
umili si diventa, maggiore sarà il grado di gloria che seguirà, perché “Dio
resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia” (Gc 4,6). Ed ancora
“Il Signore ha in orrore ogni cuore superbo” (Pr 16,5). Se vedi qualcuno
che è orgoglioso, non dubitare che è figlio del diavolo; se scorgerai qualcuno
umile, devi credere che è senza dubbio figlio di Dio.
Abbreviamo qui un lungo capitolo, in modo che le
nostre menti possano essere ispirate all'amore dell'umiltà ed evitiamo così
quell'orgoglio che è detestabile ed ostile a Dio. Mentre è giusto che tutti gli
uomini cristiani e l'intero genere umano mostrino umiltà, è una cosa
estremamente malvagia e detestabile che coloro che si sono dedicati al personale
servizio di Dio lascino la via dell'umiltà e si associno con l’orgoglio, ovvero
con la tirannia del diavolo.
Pertanto, è necessario che chiunque sia stato
persuaso dal diavolo a vivere fino ad ora nella superbia e con atteggiamento
orgoglioso debba chiedere immediatamente l'aiuto di Dio e tornare a vita nuova
attraverso l'umiltà, la carità, l'obbedienza e tutti gli altri buoni precetti di
Dio. Poiché è molto meglio regnare con Cristo nel regno dei cieli attraverso
l'umiltà, piuttosto che sprofondare nell'inferno con il diavolo e gli altri
presuntuosi a causa dell’orgoglio.
Capitolo 2. L'ordine della Congregazione dei
Canonici
[4].
I Canonici mantengano il loro ordine così come
sono stati ordinati nella loro dignità secondo la legittima disposizione della
Chiesa romana, certamente in ogni circostanza, vale a dire nella chiesa od
ovunque si incontrino per quanto è possibile, a meno che il vescovo non abbia
elevato alcuni ad una posizione più elevata o, per sicure ragioni, li abbia
degradati. Tutti gli altri, come abbiamo detto, rimangano nell'ordine in cui
sono stati ordinati. Pertanto, i giovani onorino i loro anziani e gli anziani si
curino in Dio dei loro giovani.
Nel rivolgersi l'un l'altro non usino mai il
nudo nome ma, secondo l'ordinamento della Santa Chiesa e della Sede Apostolica,
si chiamino a vicenda con il nome prefissato e con il grado del loro ministero,
qualunque esso sia. Ogni volta che i sacerdoti si incontrano, il giovane si
inchini e chieda la benedizione all'anziano. Se il giovane è seduto, quando
passa un anziano si alzi, gli lasci il posto per sedersi e non presuma di sedersi
con lui, a meno che il suo anziano non glielo ordini, in modo che si adempia ciò
che sta scritto: “Gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10).
Ragazzi e giovani devono attenersi rigorosamente
al loro ordine nell'Oratorio ed a tavola. Ed anche in qualunque altro posto
rimangano controllati e disciplinati.
Capitolo 3. Tutti dormano insieme nel loro
monastero
[5].
Determiniamo che il clero canonico, che vive
sotto la stessa regola con l'aiuto di Dio, deve vivere nel monastero e tutti i
chierici devono dormire nello stesso dormitorio. Solo coloro a cui il vescovo ha
concesso un permesso speciale, in base a ciò che ha ritenuto opportuno per
determinate mansioni, possono dormire separatamente nello stesso monastero;
all'interno del dormitorio (i giovani) dormano separati tra loro e mescolati con
gli anziani, per assicurarsi che tutto vada bene ed affinché i più anziani
possano controllare che i più giovani si comportino come Dio vuole.
Nello stesso monastero non entri nessuna donna e
nessun uomo laico, a meno che il vescovo o l’arcidiacono od il primicerio
[6] non abbiano ordinato che possano entrare nel refettorio
per ristorarsi. Questi laici abbandonino le loro armi fuori dal refettorio e,
non appena escono dal refettorio, siano condotti fuori dal monastero. Se fosse
necessario per compiere qualche lavoro entrino uomini laici ma, non appena
abbiano
finito il lavoro escano in fretta dal monastero. Ad eccezione del caso di
necessità e, per mancanza di chierici cuochi, se ci sarà bisogno, entrino dei
cuochi laici solo per cucinare; finito il loro compito escano in fretta dal
monastero.
Nei loro alloggi, i chierici canonici non devono
avere a disposizione alcun chierico se non per ordine del loro vescovo. Se fosse
permesso loro di averne uno si comportino con umiltà e timor di Dio in modo da
non dispiacere né a Dio né al vescovo, né a coloro che governano la
congregazione sotto l'autorità del vescovo. In caso contrario, il superiore li
scomunichi oppure accettino la punizione corporale.
Negli alloggi che si trovano all'interno dello
stesso monastero, né chierici né laici presumano di bere, mangiare o dormire, a
parte gli stessi chierici che sono membri della congregazione
[7] o quei chierici che, dietro ordine del vescovo, si occupano
dei più anziani all'interno del monastero. Qualunque membro del clero che abbia
i propri chierici all'interno del monastero, come abbiamo detto, abbia a
disposizione una pianeta con gli altri paramenti e, nei giorni di domenica e
negli altri giorni di festa, stiano nella Chiesa di Dio vestiti secondo il loro
proprio ordine.
Capitolo 4. La Compieta ed il silenzio.
Affinché tutto il clero che è membro della
congregazione possa venire a Compieta, il primo segnale per la Compieta suoni al
calar della notte, in ogni periodo dell'anno. Non appena sentono il segnale dato
a tale scopo, tornino immediatamente al loro monastero, ovunque si trovino, e
quando sentono il segnale dato una seconda volta entrino tutti nella chiesa di
Santo Stefano e cantino Compieta nel nome di Dio.
Dopo aver cantato Compieta, non bevano né
mangino fino all'ora stabilita della mattina successiva. Tutti osservino il
silenzio e nessuno parli con un altro fino a quando non sarà cantata al mattino
l’Ora Prima, a meno che non sia necessario. In tal caso, parlino a bassa voce,
facendo molta attenzione a non far sentire la loro voce negli alloggi accanto.
Se qualcuno di loro non è presente a Compieta,
non presuma di bussare alla porta più tardi quella notte, né di entrare nel
monastero attraverso nessun'altra strada, fino a quando non entreranno per i
Notturni. Né l'arcidiacono né il primicerio né il sagrestano possono concedere a
nessuno il permesso di entrare in ritardo dopo Compieta. Questo permesso verrà
concesso solo per i
Notturni, nel caso che vi sia una ragione così convincente che l'arcidiacono,
il primicerio o chiunque sia in carica al momento possano spiegare al vescovo il
motivo per cui è successo. Se ci fosse questa necessità, allora abbiano
l'autorizzazione di entrare ed uscire.
Se dovesse accadere che ci fosse un qualsiasi
motivo per fare un annuncio all'interno del monastero dopo Compieta,
l'interessato si rivolga al guardiano di Santo Stefano e lo informi, in modo che
lo stesso faccia l'annuncio nel monastero.
Se dovesse accadere, Dio non voglia!, che uno
del clero che era andato in città prima di Compieta, o era già lì, su richiesta
del diavolo fosse diventato così audace, presuntuoso e disobbediente da rimanere
da qualche parte in città per la notte piuttosto che nel suo monastero: in tal
caso se lo avesse fatto solo una volta, e non per qualsiasi motivo vizioso, sia
ammonito verbalmente. Ma se lo stesso chierico ripete l'offesa allora quel
giorno digiuni con pane e acqua. Se lo facesse per la terza volta, passi tre
giorni a pane e acqua. Se avesse il coraggio di farlo più spesso, sia sottoposto
a punizione corporale, per intimorire gli altri.
Se qualcuno venisse persuaso dal diavolo a far
tardi deliberatamente in modo da non riuscire ad andare in città prima di
Compieta, al fine di ottenere il permesso di rimanere fuori dal monastero, e se
il vescovo, l'arcidiacono o il primicerio sono in grado di accertare ciò, il
chierico che ha commesso un simile reato sia scomunicato o sottoposto a
punizione corporale.
Capitolo 5. Il Divino Ufficio durante la
notte.
In inverno, ovvero dal primo di novembre fino a
Pasqua, la prudenza impone che il sonno possa prolungarsi per uno spazio
moderato oltre la mezzanotte e si alzino con la digestione completata per le
Vigilie. Quando avranno terminato i Notturni, dicano il verso, il Kyrie
eleison e la Preghiera del Signore. Ci sia quindi essere un intervallo,
tranne la domenica e le feste dei santi, a discrezione del vescovo o dei suoi
rappresentanti; vale a dire che abbiano il tempo necessario per cantare quaranta
o cinquanta salmi, come sembra appropriato e come il tempo lo consente.
Coloro che hanno bisogno di una migliore
conoscenza di se stessi, dedichino il tempo allo studio dei salmi e delle lezioni e
durante questo intervallo riflettano nel miglior modo possibile. Coloro che non sono in
grado di farlo cantino o leggano nella chiesa. Nessuno presuma di dormire durante questo
intervallo, a meno che non sia costretto dalla malattia e gli venga dato il
permesso; chiunque agisca diversamente sarà scomunicato. Tutti rimangano al loro
posto come nelle Vigilie fino a dopo che sono state recitate le Lodi. All’Ora prima
tutti cantino
Prima
insieme nella chiesa di Santo Stefano.
Capitolo 6. Tutti devono frequentare
l'Ufficio divino durante le Ore canoniche.
Nell’ora dell'Ufficio Divino, non appena si
sente il segnale, dopo aver abbandonato tutto ciò che hanno in mano, coloro che
sono abbastanza vicini alla chiesa da poterci arrivare rapidamente vi arrivino
più in fretta che possono. Se qualcuno dovesse trovarsi lontano dalla chiesa, in
modo da non potere essere lì per l'Opera di Dio nelle ore canoniche ed il
vescovo o l'arcidiacono concordino sul fatto che ciò è vero, costui celebri
l'Ufficio dovunque sia, nel timore di Dio. L’arcidiacono, il primicerio od il
guardiano della chiesa facciano in modo che le campane suonino nei momenti
giusti.
Capitolo 7. Il modo di dire l'Ufficio divino.
(Cfr. RB Cap. 19)
Sappiamo per fede che Dio è presente dappertutto
e che "Gli occhi del Signore arrivano dappertutto, scrutano i malvagi e i
buoni" (Pr 15,3), ma dobbiamo crederlo con assoluta certezza e senza la
minima esitazione, quando prendiamo parte all'Ufficio divino. Perciò
ricordiamoci sempre di quello che dice il profeta: "Servite il Signore nel
timore" e ancora: "Cantate inni con arte" e ancora: "Ti canterò
alla presenza degli angeli" (Sal 2,11; 47(46),8; 138(137),2, Volg.). Se
quando dobbiamo chiedere un favore a qualche potente personaggio, osiamo farlo
solo con soggezione e rispetto, quanto più dobbiamo rivolgere la nostra supplica
a Dio, Signore di tutte le cose, con profonda umiltà e sincera devozione.
Ci siamo preoccupati, secondo l'insegnamento
della Chiesa di Roma e come decretato dal nostro Sinodo, di fare in modo che il
nostro clero, quando è in chiesa per l'Ufficio divino, non tenga in mano un
bastone
[8], a meno che non sia necessario a causa di infermità
fisica.
Capitolo 8. Tutti vengano al Capitolo ogni
giorno.
È necessario che tutto il clero canonico venga
al Capitolo, dove ascolterà la Parola di Dio e questa nostra piccola regola, che
abbiamo scritto con l'aiuto di Dio per il loro beneficio e per la salvezza delle
loro anime. Ogni giorno ne leggano un capitolo, tranne la domenica, il mercoledì
ed il venerdì, quando leggeranno al Capitolo un sermone ed altre omelie o
qualunque cosa possa edificare gli ascoltatori. Abbiamo anche stabilito che
tutti devono venire al Capitolo ogni giorno affinché l'anima possa ascoltare la
Parola di Dio e affinché il vescovo, l'arcidiacono o chiunque
sia in carica possa ordinare ciò che deve essere eseguito, possa correggere ciò che necessita di
correzione e possa assicurarsi che ciò che deve essere fatto venga svolto. Dopo che
Prima è stata cantata, gli stessi chierici vadano nei loro alloggi e si
affrettino a prepararsi in modo che, non appena sentono il segnale, si rechino
velocemente al Capitolo rivestiti in modo opportuno.
Tutto il clero che si trova fuori dal monastero
e vive in città deve venire al Capitolo ogni domenica, vestito con le pianete e
con i paramenti ufficiali come sta scritto nell'Ordine Romano. In queste
domeniche, e nelle principali feste dei santi, tutto il clero che vive fuori dal
monastero, come abbiamo detto, deve venire alle Vigilie ed alle Lodi. In questi
stessi giorni rimangano assegnati alla propria funzione ed ognuno compia il
proprio servizio fino a quando la Messa non sarà terminata. Se qualcuno agirà in
modo diverso, sia scomunicato dall'arcidiacono o dal primicerio o anche, se
necessario, sottoposto a punizione corporale. E nei giorni di domenica e delle
principali feste dei santi, come abbiamo detto, mangino tutti nel refettorio
insieme al resto del clero, stando ai tavoli
a loro
assegnati.
Capitolo 9. Del lavoro manuale quotidiano.
L'ozio è il nemico dell'anima. Decretiamo
pertanto che, su ordine del vescovo, dell’arcidiacono, del primicerio o di
chiunque venga da loro delegato, il clero deve passare dal Capitolo al proprio
lavoro, ovunque gli venga comandato di andare, e deve svolgere i propri compiti
di buon animo e senza mormorare. Quando non vi è alcun compito comune da
svolgere, ognuno di essi rimanga occupato in una qualsiasi attività.
Capitolo 10. Coloro che vanno in viaggio.
Qualunque membro del clero che parte per un
viaggio con il vescovo, verso qualsiasi destinazione, non deve trascurare di
osservare il suo stile di vita, nella misura in cui la natura del viaggio lo
consente. Non devono tralasciare gli orari stabiliti, sia per l'Ufficio Divino
che per qualsiasi altra cosa.
Capitolo 11. Il buon zelo che i Servi di Dio
devono avere. (Cfr. RB cap. 72)
Come c'è un cattivo zelo, pieno di amarezza, che
separa da Dio e porta all'inferno, così ce n'è uno buono, che allontana dal
peccato e conduce a Dio e alla vita eterna. Ed è proprio in quest'ultimo che i
monaci devono esercitarsi con la più ardente carità e cioè: “gareggino nello
stimarsi a vicenda” (Rm 12,10) e sopportino con grandissima pazienza le
rispettive miserie fisiche e morali.
Se ci sono vizi da rimproverare, o punizioni da
infliggere, spetta ai responsabili di tali cose provvedere a ciò, e devono
accettare di farlo con benevolenza essendo i "collaboratori di Dio" come
afferma l'Apostolo Paolo. (1 Cor 3,9) Così saranno in grado di distruggere i vizi
quando si presenteranno e di incoraggiare tutti ad un modo di vivere migliore
poiché sta scritto: "Odiate il male, voi che amate il Signore; infatti,
chi ama l'iniquità odia la propria anima". (Salmo 97(96),10; 10,6 Volg.)
Colui che in verità ama la propria anima è colui che custodisce sé stesso ed
attira gli altri verso un modello di buona condotta, sia con le parole che con
le azioni.
Capitolo 12. Nessuno presuma di percuotere o
di scomunicare un altro. (Cfr. RB 70)
Ogni occasione di presunzione deve essere
evitata in questo Ordine Canonico: perciò diamo ordine e comandiamo che nessuno
sia autorizzato a scomunicare o percuotere suo fratello, anche se suo fratello è
così irritante che lo spinge a farlo. Non ha il diritto di vendicarsi, né a
parole né con azioni, ma vada dal superiore, che giudicherà la questione secondo
la norma. Chiunque presuma di agire diversamente sia giudicato dal vescovo o dal
suo rappresentante.
Capitolo 13. Nella Congregazione dei Chierici
è proibito difendersi a vicenda. (Cfr. RB 69)
Bisogna evitare in tutti i modi che per
qualsiasi motivo qualche Chierico si arroghi il diritto di difendere un altro
Chierico. Né per motivi di
parentela, né per amicizia o familiarità, i canonici devono fare ciò perché
potrebbero verificarsi scandali molto gravi nella congregazione per questo
motivo. Ma se qualcuno trasgredisse questa norma, sia punito molto severamente,
affinché gli altri possano temere di farlo.
Capitolo 14. Le confessioni. (Cfr. RB
Cap. 7)
Le Scritture ci esortano dicendo: "Affida al
Signore la tua via, confida in lui". (Sal 37(36),5) Ed ancora: "Confessa
al Signore, perché è buono e la sua misericordia dura per sempre". (Sal
106(105),1 Volg.) E di nuovo il profeta dice: “Ti ho fatto conoscere il mio
peccato, non ho coperto la mia colpa”. E di nuovo: “Ho detto:
«Confesserò al Signore le mie iniquità» e tu hai tolto la mia colpa e il
mio peccato” (Sal 32(31),5). Inoltre: “Confessate perciò i vostri peccati
gli uni agli altri [e pregate gli uni per gli altri] per essere guariti” (Gc
5,16) E altrove: "Chi nasconde le proprie colpe non avrà successo; ma chi li
confesserà, salverà la sua anima dalla morte" (Pr 28,13 Volg.). Il Signore
dice anche nel Vangelo: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino"
(Mt 3,2).
Poiché abbiamo commesso molti reati contro la
volontà del Signore ed i comandamenti di Dio, esortati dal diavolo, è necessario
fare ammenda, come ci insegna la Scrittura, con sincera confessione e sincero
cambiamento di vita. I Santi Padri che avevano raggiunto la perfezione
stabilirono che non appena un pensiero malvagio fosse entrato nel cuore di un
servitore di Dio, su suggerimento del diavolo, costui avrebbe dovuto umilmente
confessarlo subito al suo superiore.
Potremmo essere così fragili e deboli da non
essere in grado di seguire fino in fondo le loro orme, ma dovremmo tentare di
seguirle almeno in parte, per quanto Dio ci darà la capacità, in modo da poter
meritare di possedere il Regno di Dio attraverso la vera confessione.
Pertanto decretiamo che due volte all'anno, a
turno, il nostro clero renda la sua sincera confessione al proprio vescovo. Ciò
deve essere fatto nei seguenti tempi: una volta all'inizio dei quaranta giorni
prima di Pasqua; l'altra volta tra metà agosto ed il primo novembre. Nel mezzo
di questi tempi, se il vescovo concede il permesso a qualcuno che necessita di
ciò, costui si può confessare in un’altra occasione al vescovo o ad un altro
sacerdote a cui il vescovo ha dato facoltà, ogni volta che lo desidera e ne
abbia bisogno.
Quel clero che non è impedito dal peccato deve
ricevere il Corpo ed il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo ogni domenica e
nelle principali festività, poiché il Signore dice nel Vangelo: "Chi mangia
la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui" (Gv 6,56) Ma se
qualcuno riceve questi sacri misteri indegnamente, “mangia e beve la propria
condanna” (1 Cor 11,29).
Può succedere, Dio non voglia!, che uno del
clero vada a confessarsi dal proprio vescovo e che sia così pieno di spirito del
diavolo da osare nascondere uno dei suoi peccati al suo vescovo. Potrebbe poi
andare da altri sacerdoti per fare la sua confessione, desiderando nascondere la
sua malvagità al proprio vescovo e temendo che il vescovo possa degradarlo dagli
ordini sacri o impedirgli di raggiungere tali ordini se non è ancora stato
ordinato, o vietargli di ricevere il Corpo del Signore, o potrebbe punirlo per i
suoi vizi. In tal caso, se il vescovo in qualche modo riesce ad indagare e trova
prove sufficienti, l'autore del reato subirà una punizione corporale o il
carcere o qualsiasi altra cosa il vescovo decida, a seconda della natura della
colpa, in modo che gli altri abbiano il timore di cadere in un tale peccato. È
estremamente malvagio peccare agli occhi di Dio e vergognarsi di confessarlo
davanti all'uomo dal quale, nella misericordia di Dio, dovrebbe ricevere
consigli salutari su quel peccato.
Capitolo 15. Le colpe più gravi.
Se un chierico dell'ordine dei canonici è
colpevole di aver commesso delle gravi colpe, vale a dire omicidio,
fornicazione, adulterio, rapina o una qualsiasi delle principali colpe, deve
essere dapprima sottoposto a punizione corporale. Quindi, finché il vescovo od i
suoi rappresentanti lo riterranno opportuno, subirà la reclusione o l'esilio,
meditando su quella terribile sentenza dell'Apostolo Paolo che dice: “Questo
individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito
possa essere salvato nel giorno del Signore” (1 Cor 5,5). E mentre è in
prigione nessuno del clero deve avere alcuna comunanza con lui, né parlargli se
non su ordine del superiore. Rimarrà lì da solo nella penitenza e nel dolore
finché il superiore lo riterrà opportuno.
Quando esce di prigione, se il vescovo od i suoi
rappresentanti lo riterranno opportuno, deve comunque fare penitenza pubblica,
cioè deve essere sospeso dall'Oratorio e anche dalla messa. In tutte le Ore
canoniche venga davanti alla porta della chiesa, in un luogo fissato dal
superiore e si prostri con tutto il suo corpo davanti alla soglia della porta
fino a quando tutti sono entrati; poi si alzi e stia fuori dalla chiesa, vicino
alla porta, e faccia del suo meglio per seguire l'Ufficio da lì. Quando escono
dalla chiesa si prostri allo stesso modo fino a quando non sono usciti tutti e
quando si trova prostrato od in piedi sulla soglia non deve conversare con
nessuno.
La durata e la natura del suo digiuno devono
essere determinate dal vescovo o dai suoi rappresentanti, nella misura e
nell'ora che riterrà opportune. Non sarà benedetto da nessuno finché non sarà
assolto. Quando sarà chiamato a riconciliarsi davanti al vescovo od al clero
venga con tutta umiltà e, con tutto il corpo prostrato a terra, chieda perdono a
tutti; allora il vescovo gli concederà la riconciliazione secondo la regola
canonica.
Capitolo 16. Coloro che senza permesso si
uniscono agli scomunicati.
(Cfr. RB Cap. 26)
Se un fratello presume, senza il permesso del
vescovo o dei suoi delegati, di avvicinarsi in qualche modo ad un chierico
scomunicato, o di conversare con lui, o di inviargli un messaggio od una
lettera, costui riceva la stessa punizione della scomunica.
Capitolo 17. La scomunica per le colpe.
(Cfr. RB Cap. 23)
Se un chierico sarà trovato contumace, o
disobbediente, o orgoglioso, o ubriacone, o detrattore, o oppositore, o ribelle
o litigioso o mormoratore, o uno che rompe il digiuno stabilito o che disdegna
di stare davanti alla Croce se gli viene comandato di farlo; se quando viene
rimproverato non chiede perdono; se sta in qualche modo disprezzando o
contravvenendo a questa piccola Regola ed agli ordini del vescovo o dei suoi
rappresentanti costui, secondo il comandamento di nostro Signore, sia ammonito
privatamente dai suoi superiori per una prima ed una seconda volta. Se non si
emenda, sia rimproverato pubblicamente davanti a tutti. Ma se anche allora non
si corregge, subisca una scomunica, purché capisca la gravità di quella pena.
Se, tuttavia, è perverso, o poco intelligente, o incorreggibile, subisca una
punizione corporale.
Capitolo 18. Coloro che commettono errori
insignificanti. (Cfr. RB Capitolo 46)
Se un chierico arriva tardi [all'Opera di Dio]
od alla mensa, o se un anziano gli ha ordinato di intonare la salmodia o di
cantare la Messa e per qualche ragione non l’ha fatto; se rompe qualcosa o perde
qualcosa, o cade in qualsiasi trasgressione e non si reca subito di propria
iniziativa davanti al vescovo od ai suoi rappresentanti per confessare il suo
reato e fare penitenza per esso, ma questo reato diventa noto attraverso un
altro (chierico), costui subisca una pena maggiore a seconda della natura della
colpa come riterrà opportuno il vescovo od i suoi rappresentanti. Ma se lo
confesserà di propria iniziativa subirà una pena minore e, come abbiamo detto,
secondo la natura della colpa.
Capitolo 19. La misura della scomunica.
(Cfr. RB Cap 24)
La misura della scomunica e della punizione deve
essere proporzionata alla gravità della colpa e ciò è di competenza del vescovo
o dei suoi rappresentanti. Coloro che cadono in un peccato grave non devono
essere trattati allo stesso modo di quelli che commettono mancanze meno gravi;
ma la medicina deve essere adeguata alla malattia, perché in caso contrario né
un compassionevole (Latino: pius) medico potrebbe curare le ferite, né
colui che rifiuta di prendere una medicina spirituale potrebbe conseguire la
guarigione da un medicamento spirituale.
Capitolo 20. L’osservanza della Quaresima.
Sebbene la vita di un cristiano debba essere
sempre semplice e sobria, è molto appropriato che le menti religiose vivano in
modo più moderato in questi giorni e siano ansiose di avvicinarsi a Dio con
un'attenta devozione. Pertanto, decretiamo che durante i quaranta giorni che
precedono la Pasqua, il nostro clero deve preservarsi puro nella mente e nel
corpo, al meglio delle proprie possibilità, con l'aiuto di Dio. Assumano con
moderazione cibo e bevande, nella misura in cui Dio dà loro forza: ovvero tutti
i giorni tranne la domenica dall'inizio della Quaresima fino alla santa Pasqua,
mangino nel refettorio dopo aver detto i Vespri; si astengano da determinati
cibi e bevande secondo ciò che il vescovo ritiene ragionevole. Non mangino
altrove in quei quaranta giorni, né in città, né in altri monasteri, né in nessun
luogo, nemmeno nelle loro case (di famiglia), a meno che non siano così lontani da non
riuscire a stare a pranzo con i loro fratelli al momento giusto. Quindi, possono
avere il permesso in tal caso di necessità di mangiare la stessa razione
dell'altro clero e facciano in modo di non anticipare le ore stabilite.
In quei quaranta giorni, i fratelli abbiano il
tempo di leggere tra la Prima e la Terza Ora e non escano dal monastero, salvo
per andare in quelle chiese che sono vicino alla Cattedrale
[9], a meno che non sarà necessario, secondo il giudizio del
vescovo o del suo rappresentante, per fare ciò che dovrà essere fatto. Dopo l’Ora
Terza celebrino il Capitolo.
Da Pasqua fino a Pentecoste mangino due volte al
giorno ed abbiano il permesso di mangiare carne, a meno che non siano penitenti,
tranne il venerdì. Da Pentecoste fino alla Natività di San Giovanni Battista
mangino due volte al giorno nello stesso modo, ma si astengano dalla carne fino
a dopo la celebrazione della messa. Dalla Natività di San Giovanni il Battista
fino alla festa del transito di San Martino, come prima mangino due volte al
giorno e si astengano dalla carne il mercoledì ed il venerdì. A partire dal
transito di Martino fino alla Natività del Signore si astengano tutti dalla
carne e digiunino fino a Nona tutti questi giorni e mangino nel refettorio.
Quindi, dopo la Natività del Signore fino all'inizio della Quaresima, pranzino
nel refettorio a Nona il lunedì, il mercoledì ed il venerdì; nei giorni
rimanenti consumino due pasti nello stesso refettorio. Durante questo periodo si
astengano dalla carne il mercoledì ed il venerdì. Ma se si verifica un giorno di
festa in uno di questi due giorni, possono mangiare carne, se lo permette il
superiore.
A causa della debolezza del nostro clero abbiamo
deciso che il mercoledì o il venerdì o le altre volte in cui abbiamo decretato
che bisogna astenersi dalla carne, il vescovo o i suoi delegati possono, se
necessario e con ponderazione prendere (una decisione contraria) per la loro
salute o per necessità o per il verificarsi di una festività, nel modo che
meglio riterranno.
Ed io, Angilramno
[10], arcivescovo e cappellano del più eccellente re Carlo,
sono lieto di aggiungere che, mentre noi ed il nostro clero celebriamo con
devozione il tempo dalla Pentecoste alla sua ottava, che è la seconda Pasqua - la
venuta dello Spirito Santo - in questi santi otto giorni il clero di Santo
Stefano Protomartire, che dipende da noi, può
avere il permesso di mangiare carne, ad eccezione di coloro che hanno deciso di
astenersi per il bene delle loro anime o perché è stata posta su di loro una
penitenza.
Capitolo 21. La disposizione dei tavoli [nel
refettorio].
Il primo tavolo è per il vescovo con ospiti e
pellegrini, dove può sedere anche l'arcidiacono e chiunque sia stato comandato
dal vescovo. Il secondo tavolo è per i sacerdoti; il terzo per i diaconi; il
quarto per i suddiaconi; il quinto per gli ordini rimanenti; il sesto per gli
abati
[11] e chiunque sia stato comandato dal superiore. Al settimo
tavolo i canonici che vivono in città al di fuori del monastero nei giorni di
domenica e delle note festività. Quando arriva il momento del pasto e suona la
campana del refettorio, i fratelli si radunino lì in fretta ed entrino insieme
nel refettorio, preghino insieme e recitino il versetto. Quando il vescovo od un
altro sacerdote hanno impartito la benedizione sui tavoli, tutti rispondano "Amen"
ed ognuno vada al proprio tavolo secondo l’ordine predisposto.
Il clero deve conservare un perfetto silenzio
nel refettorio fino a quando non sarà uscito da esso, in modo che la lettura
spirituale possa essere ascoltata e ponderata nel cuore. Perché è necessario che
l'anima sia nutrita con cibo spirituale mentre prendono il cibo corporale.
Il lettore, il cellerario, il portinaio, il
settimanario
[12] e quelli che servono quando il vescovo ed il suo clero si
ristorano nel refettorio, devono venire al refettorio prima dei fratelli e
cibarsi con un po’ di pane ed una bevanda, per timore che il digiuno sia
difficile da sopportare mentre il clero sta mangiando. Infatti, il lettore deve
leggere fino a quando il superiore non dà ordine di terminare la lettura.
Bisogna fare attenzione che né i preti, né i
diaconi né i suddiaconi, né alcun clero porti fuori dal refettorio alcun cibo o
qualsiasi cosa da mangiare o da bere, senza l’ordine del vescovo.
Bisogna anche prestare attenzione al fatto che
senza l'ordine del vescovo o di chiunque sia incaricato in quel momento, non
entri nessuno nel refettorio, né per mangiare né per bere, prima del momento
opportuno, ad eccezione di coloro che dovranno servire. Neppure devono
infastidire irragionevolmente il cellerario ma, al momento opportuno, (gli
incaricati) chiedano le
cose che devono essere chieste e diano quelle che devono essere date.
All'interno del refettorio, né laici né chierici
diversi da quelli della Congregazione possono mangiare o bere senza l’ordine del
vescovo o dei suoi delegati. E nessuno del clero subordinato, che si trova sotto
il comando dei suoi anziani, entri nel monastero dove il clero si reca per il
Capitolo o nel refettorio, a meno che non sia necessario oppure che il vescovo o i
suoi delegati l'abbiano comandato.
Capitolo 22. La misura del cibo.
Quando il nostro clero mangia due volte al
giorno nei periodi dell'anno sopra determinati, riceva una quantità sufficiente
di pane. A mezzogiorno, riceva una pietanza, una porzione di carne ogni due
(chierici) ed altro cibo; se non ci sono altri cibi abbia due porzioni di carne
o di lardo. Anche a cena riceva una porzione di carne ogni due (chierici) o
qualche altro cibo.
Nel tempo in cui (i chierici) seguono un regime
quaresimale, a mezzogiorno abbiano una porzione di formaggio ogni due fratelli e
qualche altro piatto; se sono disponibili pesci, fagioli od altro, si aggiunga
un terzo piatto. A cena ricevano un altro piatto ogni due (chierici) od una porzione di
formaggio. Se Dio concede loro di più, devono esserne grati.
Nei giorni in cui c'è un solo pasto, abbiano un
piatto di cibo ogni due (chierici), una porzione di formaggio ed una porzione di fagioli o
altre pietanze. E se accade che in quell'anno non ci sono ghiande o faggiole
[frutti dei faggi] e non hanno i mezzi per compensare la razione di carne, il
vescovo si assicuri che abbiano qualche conforto almeno mediante cibo quaresimale o
qualsiasi altro (alimento), a seconda della possibilità che Dio offre.
Capitolo 23. La misura del bere.
Quando mangiano due volte al giorno, i sacerdoti
ricevano tre tazze
[13] (di vino) a mezzogiorno e due a cena; quelli che sono nel
rango di diacono ne ricevano tre a mezzogiorno e due a cena; i suddiaconi due a
mezzogiorno e due a cena; gli altri gradi due tazze a mezzogiorno e una a cena.
Quando c'è un solo pasto al giorno, devono ricevere lo stesso numero di tazze
stabilito per il pasto di mezzogiorno quando mangiano due volte al giorno; e
ciò che avrebbero dovuto bere a cena rimanga nella gestione del cellerario. Ed
evitino assolutamente l’ubriachezza.
Se dovesse capitare che ci fosse meno
vino disponibile ed il vescovo non è in grado di compensare questa razione, se ne
fornisca nel modo migliore possibile; i fratelli non si lamentino, ma ringrazino
Dio e sopportino con serenità. Infatti, se fosse stato possibile distribuire la loro
razione, certemente ciò non sarebbe stato loro negato.
Per coloro che si astengono dal vino, il vescovo
od il suo rappresentante si assicurino che abbiano la stessa razione di birra che
avrebbero dovuto avere di vino.
Se il vescovo desiderasse accrescere la
suddetta razione di bevande, ciò è in suo potere ed utilizzi la birra come
conforto.
Tuttavia, se dovesse accadere, per una buona
ragione, che venga concesso un pasto supplementare, non possiamo permettere che
ricevano più della suddetta razione (di bevande), ovvero tre tazze, ad ogni singolo pasto; ed
anche questo ci sembra superfluo, perché "il vino fa deviare anche i saggi"
(Sir 19,2), e l'ubriachezza porta a litigi ed al peccato. Noi ammoniamo che un
chierico conduca una vita assolutamente sobria; dal momento che al giorno d'oggi
non possiamo persuaderli a non bere vino, allora concordiamo su ciò, che per lo
meno non siano condizionati dall'ubriachezza, poiché l’Apostolo Paolo ci dice
che gli ubriaconi sono esclusi dal Regno di Dio, a meno che non si emendino con
adeguata penitenza.
Capitolo 24. I servizi settimanali di cucina.
I chierici canonici devono servirsi a vicenda e
nessuno deve tralasciare il servizio di cucina, a meno che non sia malato o
perché è occupato in qualche attività importante, poiché con questo servizio si
acquisisce una maggiore ricompensa e benevolenza. I deboli abbiano l'aiuto loro
necessario affinché possano svolgere il loro ufficio senza tristezza, ma tutti
abbiano un aiuto in base alle dimensioni della comunità od alla posizione della
località. L'arcidiacono, il primicerio, il cellerario ed i tre guardiani delle
chiese di Santo Stefano, di San Pietro e di Santa Maria, che sono occupati in
servizi più importanti, siano esonerati dal servizio di cucina. Gli altri invece
si servano l'un l'altro con benevolenza.
Quando l’incaricato termina la sua settimana nel
giorno di
sabato, faccia le pulizie e riconsegni al cellerario i vasi che aveva ricevuto
per il servizio, integri e puliti. Se qualcuno di questi fosse rotto, chieda
perdono al Capitolo del sabato e rimetta al suo posto il vaso o qualunque cosa
fosse rovinata. Quindi faccia la penitenza che il vescovo od il suo delegato
riterranno opportuna.
Capitolo 25. L'arcidiacono ed il primicerio.
Bisogna essere “Prudenti come i serpenti e
semplici come le colombe” (Mt 10,16) in altre parole prudenti nel bene ed
innocenti nel male. Siano istruiti dai precetti del Vangelo e dalle regole
canoniche stabilite dai santi Padri e da questa nostra piccola regola, in modo
da poter insegnare al clero secondo la legge di Dio. Si adeguino al loro clero,
in modo da insegnare i precetti divini non solo a coloro che capiscono le loro
parole, ma con il loro esempio li dimostrino a quelli più semplici. Devono
sempre osservare la regola dell'Apostolo, in cui egli dice: "Ammonisci,
rimprovera, esorta" (2 Tm 4,2): si adattino cioè alle circostanze, ora
usando la severità ed ora la persuasione. Vale a dire che devono severamente
rimproverare l'indisciplinato e l'irrequieto, ma gli obbedienti, i mansueti ed i
pazienti, li esortino ad avanzare in virtù. In quanto ai negligenti, ribelli ed
orgogliosi, li rimproverino e li puniscano. Non chiudano gli occhi sulle colpe
dei trasgressori ma, non appena iniziano a comparire, le amputino il più
possibile dalle radici, consapevoli del destino di Eli, sacerdote a Silo (Cfr. 1
Sam 2,11-35). Coloro che sono più corretti e più sensibili devono essere
puniti (per la loro trasgressione) una prima ed una seconda volta con ammonizione verbale; ma i perfidi, i
duri di cuore, gli orgogliosi ed i disobbedienti siano sottoposti fin
dall'inizio del loro errore alla verga ed alla punizione corporale, secondo ciò
che sta scritto: "Lo sciocco non si corregge con le parole" (Pr 18,2
Volg.), e di nuovo: “Percuoti tuo figlio con il bastone e salverai la sua
anima dalla morte” (Pr 23,14 Volg.; RB 2).
Se c'è qualcosa che non riescono a decidere da
soli, giustamente e ragionevolmente, secondo la regola canonica o secondo questa
nostra piccola regola, l'arcidiacono od il primicerio
la rivelino al vescovo e spetterà a lui, secondo la
volontà di Dio, punire ciò che deve essere punito e correggere ciò che deve
essere corretto. Siano inoltre sempre fedeli ed
obbedienti a Dio ed al vescovo, nel loro comportamento e nelle loro azioni. Non
siano orgogliosi, ribelli o sprezzanti, ma casti, sobri, pazienti, gentili e
misericordiosi e “la misericordia abbia sempre la meglio sul giudizio”,
(Gc 2,13) in modo che essi stessi possano ottenere misericordia.
Amino il clero, odino i vizi,
nell'amministrazione della correzione agiscano con prudente moderazione, per non
essere troppo zelanti nel rimuovere la ruggine finendo per rompere il vaso.
Ricordino che la canna incrinata non deve essere spezzata (cfr. Is 42,3).
Con questo non intendiamo dire che devono permettere ai mali di crescere, ma che
devono sradicarli con prudenza e carità il prima possibile. E "non succeda
che, dopo avere predicato agli altri, loro stessi vengano squalificati" (1
Cor 9,27), ricordando quel precetto del Signore: "Perché guardi la pagliuzza
che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo
occhio? ... Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per
togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Mt 7,3:5).
Se si scoprisse che l'arcidiacono od il
primicerio, Dio non voglia!, sono orgogliosi o boriosi o polemici o sprezzanti
della regola canonica e di questa nostra piccola regola, siano ammoniti una o
due volte, secondo il precetto del Signore e se non si emendassero siano
giudicati dal vescovo secondo l'entità della loro colpa. Se non si correggono
nemmeno allora, siano deposti dai loro ordini ed al loro posto subentrino uomini
degni e che adempiano la volontà di Dio e del loro vescovo, in conformità con la
legge di Dio.
Capitolo 26. Il cellerario.
Il cellerario deve essere un uomo timoroso di
Dio, sobrio, non un grande bevitore, non litigioso, non irascibile, ma di
carattere modesto, maturo e fedele. Custodisca fedelmente tutto ciò di cui si è
assunto la cura per le esigenze del clero. Non faccia nulla se non su ordine del
vescovo o del suo incaricato e non sprechi o sperperi le sostanze del clero,
perché se così farà, dovrà senza dubbio renderne conto a Dio nel Giorno del
Giudizio; “Coloro infatti che avranno esercitato bene il loro ministero, si
acquisteranno un grado degno di onore” (1 Tm 3,13).
Capitolo 27. Il portinaio.
Il portinaio, con l’aiuto di un giovane, sorvegli
le porte e gli ingressi del monastero per un periodo di un anno o più se il
vescovo lo ritiene opportuno. Questo portinaio sia sobrio, paziente e saggio,
sappia ascoltare e dare una risposta, custodisca le porte e gli ingressi del
monastero e non presuma di fare qualcosa di contrario a questa disposizione: se
dovesse agire così, sia scomunicato. Dopo Compieta deve restituire le chiavi
delle porte all'arcidiacono e se l'arcidiacono fosse via, riceva le chiavi il
suo delegato. I guardiani delle chiese che vi dormono all’interno o nelle case
accanto devono osservare il silenzio il più possibile come il resto del clero e
dopo Compieta non mangino né bevano. Non permettano di entrare a coloro che sono
rimasti fuori dal monastero dopo Compieta, né permettano di uscire attraverso le
porte loro affidate a quelli che si trovano all'interno del monastero. Se
dovessero permettere ciò siano giudicati dal vescovo o dal suo delegato.
Capitolo 28. I Chierici canonici infermi che
si sono particolarmente aggregati a questo ordine e non hanno i mezzi per soddisfare i
loro bisogni durante la malattia.
Se si ammala qualcuno dei chierici che fanno
parte di coloro che si sono particolarmente aggregati a questo ordine e non hanno i
mezzi per soddisfare i loro bisogni durante la malattia, il vescovo si prenda la
massima cura di costoro, insieme all'arcidiacono ed al primicerio, facendo in
modo che i malati non siano trascurati, ma siano serviti come Cristo stesso,
poiché egli disse: "Ero malato e mi avete visitato"; e "tutto quello
che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a
me" ( Mt 25,36:40). Di conseguenza, quando è necessario devono provvedere a
fornire tutto ciò che è utile ed appropriato a coloro che sono infermi,
integralmente e senza indugio, perché è compito dei responsabili fare in modo
che i malati non manchino di qualcosa o non siano trascurati. Sappiano che senza
dubbio dovranno rendere conto di tutte queste questioni, e di come le hanno
seguite, nel grande Giorno del Giudizio in cui il Re dei vivi e dei morti “siederà
sul trono della sua gloria” (Mt 25,31). E se l'arcidiacono od il primicerio
non sono del tutto in grado di provvedere ai loro bisogni, ne informino
assolutamente il vescovo che provveda, nel timore di Dio e nella carità, a fare
in modo che possano avere tutto ciò di cui hanno bisogno per soddisfare le
esigenze dei malati.
A questi fratelli malati siano assegnati alloggi
speciali, opportunamente sistemati ed attrezzati il meglio possibile affinché si
riprendano dalla loro malattia. Sia nominato uno del clero che teme Dio, che si
prenda la massima cura degli ammalati in tutte le loro necessità e che abbia
assistenza, se necessario e come decide il superiore, in modo che i malati
possano essere serviti senza lamentele o negligenze. Se eseguirà bene il suo
lavoro, sappia che si meriterà un grado degno di onore (Cfr. 1 Tm 3,13; RB
31,8).
I malati da parte loro considerino che
vengono serviti per l’onore di Dio e non affliggano coloro che li stanno
servendo con richieste irragionevoli. Finché sono infermi siano sopportati
pazientemente, ma quando si saranno ripresi tornino al loro stile di vita
regolare.
Capitolo 29. Gli abiti e le calzature del
clero e la loro legna da ardere.
La metà del clero di età avanzata riceva ogni
anno una nuova cappa e quando riceve quella nuova restituisca sempre quella
vecchia che aveva ricevuto l'anno prima. L'altra metà del clero riceva ogni anno
le vecchie cappe che gli anziani hanno restituito e questi anziani non barattino
le cappe che dovrebbero restituire.
I sacerdoti che prestano servizio regolarmente
nella Cattedrale ed i sette diaconi che rimangono nei loro gradi ricevano delle
tuniche; in alternativa abbiano a disposizione abbastanza lana per farsi due
tuniche all'anno e ciascuno del clero minore ne abbia una. Sacerdoti e diaconi
ricevano ciascuno due camicie ogni anno, i suddiaconi (il tessuto per) una camicia e mezza e
quelli di ordine minore una camicia ciascuno. Come calzature, tutto il clero
riceva stivali
[14] di pelle ogni anno e quattro paia di sandali.
Per quanto riguarda la legna da ardere, abbiamo
deciso che con quattro libbre
[15] di denaro si possa comperare legna sufficiente per un
anno. Il legno deve essere acquistato utilizzando le entrate assegnate al clero
dalla città o dal paese, in altre parole quattro libbre devono essere riservate
a questo scopo. Ricevano queste entrate il primo maggio ed allora possono
comprare la loro legna da ardere.
Le cappe, le tuniche e le calzature siano
acquistate con il resto delle entrate che abbiamo appena menzionato, con
l’indennità di calzatura che il vescovo dà abitualmente al suo clero ogni anno e
con le donazioni che Dio fornirà specificamente per il clero. Se rimangono dei
soldi, acquistino qualsiasi altra cosa di cui hanno bisogno o li custodiscano
nelle loro camere. Ma se non hanno abbastanza entrate per comprare tutto questo,
il vescovo deve provvedere e inviarne abbastanza affinché possano soddisfare a tutte le
loro necessità come è stato detto sopra.
Ricevano i loro vestiti, le cappe e le tuniche
nella festa di San Martino, l’11 novembre, le camicie venti giorni dopo Pasqua e
le calzature il primo settembre. Ma se qualcuno del clero della chiesa ha
ricevuto un beneficio dal vescovo
[16], sufficiente per lui per acquistare le cose necessarie,
allora si procuri le cappe e le calzature.
Capitolo 30. Le feste dei santi.
Ci sembra giusto suggerire che noi ed il
nostro clero dobbiamo cercare di celebrare l'intero Ufficio Divino, giorno e
notte, per quanto Dio ci dia la possibilità, nelle feste di Nostro Signore,
della Santa Maria, dei dodici Apostoli e degli altri santi che di solito vengono
celebrati in questa provincia ogni anno. A Natale e Pasqua, il vescovo pranzi
con i suoi chierici a casa sua, se è presente. Se in questi giorni fosse assente,
faccia in modo che abbiano sufficiente refezione nel proprio refettorio, come è
scritto sopra. Dopo aver lasciato il refettorio vadano nel salone
[17] dove bevano due o tre calici (di vino) che siano di conforto ma
evitando l'ubriachezza.
L'Epifania, il mercoledì di Pasqua ed il sabato
dopo la Pasqua, l'Ascensione, la Pentecoste ed il compleanno del vescovo, lo
stesso vescovo preparerà una cena per i chierici nel refettorio dopo l’Ora Sesta. L'usanza
che c’era di dare una cena per i chierici in queste festività nelle abbazie che
abbiamo all’interno o nelle vicinanze di questa città, non deve essere mantenuta, per
quanto possibile.
L'arcidiacono, o chiunque sia al momento
responsabile come rappresentante del vescovo, deve assumersi la responsabilità e
preparare una cena per i chierici nel refettorio (nelle festività sopra
menzionate); e tutto ciò che sopravanza i
loro bisogni sia dato al cellerario.
L'arcidiacono, sotto la propria responsabilità,
provveda lui stesso alle necessità dei chierici approntando per loro una cena nel
refettorio dopo l’Ora Sesta nelle feste della Purificazione di Santa Maria (2
febbraio), di tutti gli Apostoli (1 maggio ?), di San Giovanni Battista (24
giugno) e di San Remigio (di Reims) (1 ottobre).
Capitolo 31. Chi intende unirsi a questo
particolare Ordine dei Canonici di questa Congregazione, faccia di persona una
solenne donazione delle sue proprietà alla Chiesa del beato Apostolo Paolo, pur
riservandosene l'usufrutto per la durata della sua vita.
Leggiamo che nella Chiesa primitiva, al tempo
degli Apostoli, erano così uniti e concordi che si distaccarono da tutti (i loro
beni) ed ognuno
vendette le sue terre e depose il ricavato ai piedi degli Apostoli; “nessuno
considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era
comune", così si diceva che “avevano un cuore solo e un'anima sola"
(At 4,32). Ogni giorno, infatti, spezzando il pane di casa in casa condividevano
ciò che avevano in comune con uomini, donne e bambini e tutta la comunità
infiammata dall’ardore di fede e spinta dall'amore per la propria religione,
offriva a tutti ciò che serviva. Ma, dal momento che al giorno d'oggi non è
facile convincere di questo, mettiamoci almeno d’accordo (Cfr. RB 40) sul fatto
che dobbiamo adattare il nostro comportamento al loro in una certa misura;
poiché la nostra risulterebbe una devozione troppo indolente, tiepida e remissiva –
noi che dovremmo essere particolarmente osservanti delle regole canoniche – se
non fossimo pronti a fare qualche tentativo di copiare la loro perfezione, dato
che, come abbiamo detto, in quei giorni l'intera comunità era una sola nel nome
di Dio.
Se non possiamo a rinunciare a tutto,
tratteniamo a nostro utilizzo solo le entrate della nostra proprietà e
garantiamo che, ci piaccia o no, la nostra proprietà non vada ai nostri eredi e
parenti carnali, ma vada in eredità alla Chiesa, che serviamo in comunità su
ispirazione di Dio e da cui riceviamo i nostri stipendi. In questo modo, anche
se non potremo ottenere la corona della perfezione e la piena remissione dei
nostri peccati, rinunciando perfettamente a tutto e disprezzando le cose di
questo mondo, almeno Dio concederà a noi miseri la sua misericordia. San
Prospero ed altri santi Padri ci hanno detto, con autorità divina, che i
chierici che desiderano vivere coi beni della Chiesa devono cedere i propri beni
con un atto legale a Dio ed alla Chiesa che servono, così saranno più
legittimamente e senza colpa in grado di attingere ai beni della Chiesa.
Poiché come il clero è in grado di godere dei beni della chiesa, così la chiesa
può rallegrarsi del fatto che lei ed i suoi poveri siano rafforzati e migliorati
dai beni di quei chierici. Per tutta la vita questi chierici possono, se
preferiscono, possedere il reddito derivante dalle loro proprietà, previo
accordo con la chiesa, a condizione che tutta la proprietà stessa sia tenuta in
comune e che la proprietà ritorni, alla sua morte, alla Chiesa od alla
congregazione dei Canonici a cui era già stata concessa.
Allo stesso modo si determina che i chierici che
hanno abbastanza proprietà devono vivere basandosi su di esse, se sono così
restii da non essere disposti a dare tutto alla chiesa di Dio che servono
fedelmente; in questo modo possono servire nella Chiesa per l'amore di Cristo,
servendo gratuitamente ed osservando la corretta procedura. Sappiano che, poiché
non attingono alla proprietà della chiesa come fanno gli altri canonici,
riceveranno una speciale ricompensa da Dio, poiché lo servono a proprie spese.
Se lo stipendio che avrebbero ricevuto per il loro ministero è lasciato nelle
mani dell'economo come elemosina, costui può darlo a coloro che non hanno nulla
e detti chierici possono mantenere le loro proprietà senza colpa; perché anche
loro hanno in una certa misura rinunciato ai loro beni in quanto si accontentano
di essi, senza pensare di avere diritto a qualcosa di più.
Ma se immaginano di dover ricevere una parte di
ciò che viene dato alla Chiesa e non possono farne a meno e sono incapaci di
rinunciare alle proprie proprietà perché pensano che sarebbe vergognoso
diventare come i poveri, sappiano che è ancora più vergognoso che i ricchi si
nutrano delle elemosine dei poveri. Bisogna fare attenzione, inoltre, affinché
la madre Chiesa non sia sovraccaricata, poiché è obbligata dalla legge canonica
concordata ad essere costantemente intenta a soccorrere i poveri, le vedove, gli
orfani e tutti coloro che si trovano in simili privazioni.
Pertanto, se qualcuno vuole unirsi a questo
ordine di canonici che abbiamo cercato di riformare, come abbiamo indicato nella
piccola regola che abbiamo scritto, deve fare una solenne donazione di persona
delle proprietà che possiede nella chiesa del beato Paolo, come dono per l'opera
di Dio ed il clero che vi serve. Quindi, se lo desidera, può ricevere un mandato
dal vescovo in modo tale che durante la sua vita possa ricevere regolarmente le
entrate dalla sua proprietà ma, dopo la sua morte, tutto ciò che rimarrà sarà
dato interamente alla chiesa o alla congregazione a cui la donazione era stata assegnata,
senza che nessuno dei suoi beni possa ritornare a qualcuno o che qualcuno
abbia il diritto di aspettarsi un lascito. Tuttavia, durante la sua vita e come
membro della congregazione può fare una donazione di qualsiasi suo bene mobile,
sia per i poveri che per la stessa congregazione, come e quando desidera e può
anche usarli per i propri bisogni. Se un bene mobile rimane dopo la sua morte,
metà di esso andrà in elemosina per i poveri, o per le Messe per la sua anima, od
ovunque egli decida, e l'arcidiacono, il primicerio o chiunque nominerà durante
la sua vita sarà l’esecutore. L'altra metà sarà assegnata in elemosina al clero
od alla stessa congregazione.
Gli stessi chierici non hanno il potere di
sottrarre, vendere o scambiare alcuna delle proprietà che (hanno donato e che) detengono su mandato,
né terreni, vigneti o foreste, prati, case, edifici, servi o coloni, né
qualsiasi altra proprietà immobiliare, tranne, come abbiamo detto, che durante
la loro vita possono fare ciò che vogliono con le entrate dei beni donati o con i prodotti del
loro lavoro.
Ma se dovesse succedere, su consiglio del
diavolo, che uno qualsiasi dei fratelli che detengono per mandato la proprietà
dovesse cadere in un peccato, sia esso grave o lieve, costui deve compiere la
penitenza che il vescovo giudica opportuna e non deve essere escluso dalla
penitenza in virtù delle elemosine pagate dalla proprietà che detiene su
mandato. E se dovesse succedere che uno dei nostri abati
[18] o un membro del clero di altre località, desideri unirsi
alla nostra congregazione nel modo che abbiamo indicato sopra, deve farlo alle
stesse condizioni degli altri fratelli. Altrimenti, se qualcuno desidera unirsi alla
congregazione e rinunciare a tutte le sue proprietà per raggiungere una
perfezione di vita, il vescovo deve provvedere alle sue necessità in modo che
possa adempiere al buon impegno che ha iniziato su ispirazione di Dio.
Capitolo 32. Le elemosine.
Accettando le elemosine abbiamo stabilito quanto
segue: se qualcuno vuole offrire a uno dei sacerdoti un'offerta di qualsiasi
tipo, per celebrare la Messa, o per ascoltare la confessione, o per l'aiuto in
malattia, o per chi gli è caro, vivo o morto, il sacerdote può accettarla dal
donatore e fare ciò che desidera in seguito. Ma se il donatore desidera fare
un'offerta per l'intera comunità di sacerdoti, in condizioni specifiche od in
qualsiasi modo, che ciò avvenga tanto per tutti i sacerdoti che per tutti i
canonici, in modo che
tale offerta sia di proprietà comune . Allo stesso
modo, ogni elemosina che va a tutto il clero in comune deve essere tenuta in
comune con tutti ed i chierici offrano generosamente salmi o messe ai donatori,
come determinerà il vescovo.
Abbiamo fissato questo limite su ciò che i
sacerdoti possono ricevere a titolo di elemosina per il proprio bisogno poiché
riteniamo che sarebbe un onere eccessivo per quei sacerdoti se da soli dovessero
sopportare l'immenso peso dei peccati altrui. Poiché la misericordia di Dio per i
peccatori è più facilmente invocata da molti, piuttosto che da uno solo, per quanto
devoto egli sia. Ognuno deve aver timore per i pesi che deve sopportare la propria
coscienza e perciò non deve aumentare il carico dei suoi peccati, oltre la
sua forza, portando i peccati degli altri. L'arcidiacono o il primicerio ricevano
queste elemosine e le spendano per i bisogni dei fratelli, nella misura in cui ci
sarà bisogno ed il vescovo avrà determinato; e se rimane qualcosa, sia custodito
negli armadi dei fratelli.
Capitolo 33. Come debbano accorrere al
Capitolo od alla Messa la domenica o nelle festività dei santi.
La domenica o le feste dei santi, o quando il
vescovo (lat. Pontifex) od i suoi incaricati decidono, tutti gli
ufficiali indossino le vesti la mattina dopo che l’Ora Prima è stata cantata,
comprese le loro pianete, come richiede la legge ecclesiastica. Una volta
vestiti correttamente, si affrettino alle loro funzioni senza indugio. Quando
viene udito il primo suono della campana, tutti si rechino al Capitolo e, dopo
aver ascoltato una lettura, vadano insieme in chiesa e quando la campana suona
la seconda volta cantino Terza. Quindi, seduti nel loro giusto ordine, aspettino
il vescovo, come è l'usanza nella Chiesa di Roma. Nessuno poi potrà lasciare
il suo posto prima che tutto sia finito, tranne coloro che seguono e servono il
vescovo, o quelli che sono occupati in qualche dovere necessario se è tale da
non poter essere differito; e costoro informino il vescovo (lat. Episcopus) od i suoi delegati di
ciò.
Se qualcuno del clero di qualunque grado,
sacerdote o diacono o suddiacono od accolito, non fosse in quel momento presente
e vestito per svolgere il suo incarico e se dovesse comportarsi con negligenza o
ritardo, se non a causa di una grave malattia, costui sarà privato del suo vino
o delle bevande il giorno seguente. Se per pigrizia o dispregio ripeterà
l'insolenza, sarà corretto più severamente dal vescovo o dai suoi
rappresentanti, in modo che gli altri ne siano intimoriti. Negli altri giorni si
rechino al Capitolo nel modo che abbiamo descritto precedentemente in questa
regola.
Se c'è un luogo pubblico
[19] nelle chiese fuori città dove i fratelli vi celebrano la
Vigilia, una volta che la Vigilia è completata al mattino, tornino al monastero
con tutta compostezza, in modo che tutti possano partecipare al Capitolo; se
qualcuno arriva in ritardo per negligenza e non frequenta il Capitolo, sia
corretto per questo difetto una prima ed una seconda volta, ma se non si
corregge, nel giorno in cui non partecipa al Capitolo, dovrà astenersi dal vino
fino al giorno dopo.
Capitolo 34. Gli elemosinieri
[20] si rechino nella Chiesa Cattedrale specificata per
ascoltare la parola di Dio.
Ora che abbiamo descritto ciò che è necessario
per riformare la vita del clero canonico, come abbiamo ritenuto giusto fare, con
l'aiuto di Dio, nella misura della nostra modesta capacità, ci rivolgiamo agli
elemosinieri, sia della cattedrale che delle parrocchie in periferia. Il loro
stile di vita non è secondo il modo dell’antica Chiesa, ma con loro grande
pericolo e per negligenza sono diventati, potrei dire, irresponsabili, senza
occuparsi né della predicazione né della confessione; neppure si recano al
luogo pubblico della cattedrale per ascoltare la parola di Dio, né
frequentano gli altri luoghi di incontro, ma ognuno rimane inattivo al suo
posto.
Pertanto, con l'accordo dei nostri fratelli
spirituali, abbiamo deciso che tutti gli elemosinieri devono venire due volte al
mese tutto l'anno, ogni quindici giorni, e di sabato, sia quelli collegati agli
ospizi della cattedrale che quelli delle altre chiese della città e della
campagna, devono venire alla riunione concordata nella chiesa della cattedrale
la mattina all’Ora Prima e rimanere al loro posto fino a quando scandisce il
segnale di Terza. Quindi apparirà il vescovo, a meno che egli non sia impegnato in
qualcos'altro di importante, ed ordinerà di leggere una lettura adeguata
scelta dai trattati o dai sermoni dei santi Padri; questo per edificare gli
ascoltatori ed insegnare loro la via della salvezza, in modo che con l'aiuto di
Dio possano raggiungere la vita eterna.
Recitata l’Ora Terza, se il vescovo non appare,
allora il sacerdote guardiano della chiesa di Santo Stefano prenderà il suo
posto, leggendo ed insegnando loro la via della salvezza, al meglio delle sue
capacità. Questo sacerdote faccia assolutamente in modo di non tralasciare di
eseguire ciò che deve essere fatto e ciò che è stato scritto, se il vescovo non
arriverà entro il tempo stabilito.
Gli elemosinieri faranno la loro confessione a
quel sacerdote, due volte l'anno: una volta in Quaresima, l'altra volta tra la
festa di San Remigio e san Martino. E se, su esortazione del diavolo, sorgessero
vizi o scandali tra di loro, tali che i colpevoli debbano andare alla
confessione la prossima volta che si riuniscono per ascoltare le letture, dopo
la lettura facciano un’onesta confessione al sacerdote. Se qualcuno rifiuta di
confessare e cerca di nascondere il suo peccato e viene scoperto da un altro,
colui che ha nascosto la mancanza deve essere scomunicato o sottoposto a
punizione corporale da parte del sacerdote che proclama loro la parola di Dio.
Per ogni ospizio di carità ci sia un primicerio
degli elemosinieri che li controlli attentamente. Così, se un uno di loro
cercherà di nascondere i suoi peccati ed il suo primicerio sarà in grado di
rilevarlo, non nasconda nulla al sacerdote che proclama loro le letture. Se
l'autore del reato fa di nuovo la stessa cosa, deve essere giudicato dallo
stesso sacerdote; se il sacerdote non è in grado da solo di correggerlo, deve
avvisare l'arcidiacono od il primicerio in modo che possano correggere l'autore
del reato in modo ragionevole, in base alla natura della sua colpa; se fosse
necessario, essi comunichino il fatto al vescovo che intraprenderà la
correzione.
Come abbiamo detto, tutti gli elemosinieri senza
eccezioni devono venire alle letture nei giorni stabiliti e devono dire al
sacerdote di tutti i loro bisogni, sia dell'anima che del corpo: il sacerdote li
corregga da solo o informi i suoi superiori su di loro. Se qualcuno degli
elemosinieri persisterà a non venire alle letture, a meno che non sia impedito
da qualche infermità, deve essere ammonito una volta ed una seconda volta e, se
non si correggerà, sia scomunicato. Se lo farà di nuovo per disprezzo, sia
espulso dall'ospizio di carità ed un altro che è disposto ad ascoltare la parola
di Dio sarà inviato lì al suo posto.
Abbiamo stabilito che dalla nostra generosità,
da quella dei nostri successori e dai fondi della Cattedrale ogni elemosiniere
riceverà una pagnotta ogni volta che verrà ad ascoltare la parola di Dio ed in
alterne occasioni una razione di lardo od una razione di formaggio; gli
elemosinieri che verranno alla cattedrale dagli ospizi riceveranno queste
razioni per tutto l'anno, come abbiamo decretato. Durante la Quaresima
riceveranno in due occasioni del vino con il loro pane, nella misura di un
sestario, circa mezzo litro, per quattro di loro. Il Giovedì Santo riceveranno
una misura di vino come sopra indicato con il loro pane, così come una razione
di lardo e di formaggio. Abbiamo calcolato che avranno bisogno di otto moggi
[21] di pane cotto in ogni occasione; nei giorni in cui
ricevono il lardo avranno bisogno di sei porzioni; quando ricevono il formaggio
ne avranno bisogno una libbra (circa 0,4 kg) per ciascuno. Ciò equivale a
duecento moggi di grano ogni anno, grano che proviene da Worms e che devono
raccoglierlo quando è maturo. Di lardo ne avranno bisogno sessanta porzioni ogni
primo gennaio; di formaggio dodici porzioni ad ogni messa di san Martino. Di
vino ventiquattro moggi ogni messa di san Martino. L'arcidiacono od il primicerio
dovranno raccogliere tutto questo e vedere che sia distribuito come sarà gradito a
Dio e secondo ciò che abbiamo stabilito. Così aumenterà la nostra ricompensa,
quella dei nostri successori o di chiunque si occuperà di ciò; ed il vescovo dia
due once
[22] e mezza di denaro il primo di maggio per l'acquisto della
legna per cuocere il pane. Se rimanesse qualcosa di ciò
che abbiamo assegnato in precedenza, l'arcivescovo od il primicerio lo
distribuiscano ad altre persone povere o come riterranno opportuno.
----------------------------------------------------------
Nota del traduttore. Le note sottostanti sono ricavate da Wikipedia, se
non diversamente indicato.
[1]
Philippe Labbe (in latino Philippus Lebbeus ed in italiano
Filippo Labbe o Labbè o Labbeo) (1607-1667) -
Gesuita, storico, teologo, bibliografo e grecista francese. Labbe
scrisse più di 80 opere letterarie, filosofiche e teologiche ed è
considerato, insieme a Denis Pétau uno dei più importanti eruditi
gesuiti della storia francese. Labbe è noto soprattutto per la
monumentale raccolta dei Sacrosancta Concilia della Chiesa,
curata con il confratello Gabriel Cossart e per avere curato il
Corpus scriptorum historiæ byzantinæ (noto anche come Byzantine du
Louvre), la più importante collezione di opere storiche bizantine del
XVII secolo, realizzata in collaborazione con du Cange e Combefis.
Nello stesso vol. 89 della Patrologia Latina c'è un'altra edizione di questa regola, composta da 86 capitoli, "Secundum Dacherii Recensionem". Il Migne si riferisce a Luc d'Achery (in latino Lucas Dacherius, in italiano Luca d'Acherio) (1609 – 1685) che fu un monaco cristiano e storico francese, dell'ordine benedettino, appartenente alla congregazione di San Mauro, bibliotecario, erudito e storico.
[2]
Pipino III detto il Breve (Jupille, 714 – Saint Denis, 24 settembre 768)
è stato maggiordomo di palazzo di Neustria (741-751) e d'Austrasia
(747-751), poi re dei Franchi (751-768). Fu il padre del futuro
imperatore Carlo Magno. Venne incoronato re dei Franchi dal papa Stefano
II (o III) che, minacciato dall'avanzata dei Longobardi, ne aveva
ottenuto la protezione e ricambiò l'aiuto ricevuto da Pipino il Breve
con un'incoronazione formalmente illegittima.
[3]
Il concilio di Nicea, tenutosi nel 325, è stato il primo concilio
ecumenico cristiano. Venne convocato e presieduto dall'imperatore
Costantino I, il quale intendeva ristabilire la pace religiosa e
raggiungere l'unità dogmatica, minata da varie dispute, in particolare
sull'arianesimo; il suo intento era anche politico, dal momento che i
forti contrasti tra i cristiani indebolivano anche la società e con essa
lo Stato romano. Con queste premesse, il concilio ebbe inizio il 20
maggio del 325. Data la posizione geografica di Nicea, la maggior parte
dei vescovi partecipanti proveniva dalla parte orientale dell'Impero. Il
loro numero non è mai stato appurato con certezza ma, simbolicamente,
sono stati riconosciuti da alcuni Padri della Chiesa come 318, ovvero
come i servitori di Abramo (si veda Genesi 14,14).
[4]
Questo capitolo ricorda il capitolo 63 della Regula Benedicti, ma mentre Benedetto
assegna l’ordine di precedenza in funzione dell’entrata nella vita
monastica, Crodegango considera la data di ordinazione sacerdotale. I
canonici camminano in processione, siedono nel coro, a tavola ed altrove
nell’ordine determinato dalla data di ordinazione, non per nascita o
classe sociale.
(Si veda "The Chrodegang Rules: The Rules for the Common Life of the
Secular Clergy ...", di Jerome Bertram, Ed.
Routledge 2017)
[5]
Il termine latino è “claustra”, da me tradotto con monastero.
[6]
Il primicerio (latino “primicerius”) era il nome di una carica
all'interno delle gerarchie imperiali ed ecclesiastiche, ancora in uso
in qualche diocesi. Il termine "primicerio" deriva dalle parole latine
primus e cera, a indicare il primo iscritto in una lista
di cera. Nel Medioevo era il titolo di un dignitario di primo rango in
una amministrazione civile (come fu il caso dell'Impero bizantino) o il
primo tra i canonici di un capitolo cattedrale o il capo di una
confraternita.
[7]
"Membri della Congregazione" significa coloro che vivono in comunità, al
contrario del clero che vive al di fuori, sia i chierici minori sposati
(che potrebbero essere utili come servi o infermieri) oppure i sacerdoti
parrocchiali. (Si veda opera citata: "The Chrodegang Rules…..",
di Jerome Bertram)
[8]
La noia e l'incomodo che soffrivano i Canonici di Metz stando in piedi,
ridusse questi a portare un bastone d'appoggio per servirsene in Chiesa
allorché cantavano l'Ufficio: il che fu poi proibito da Crodegango che
permise ciò solo agli infermi. (Estratto da "Dell'offizio divino
trattato istorico-critico-morale ...", di Giampellegrino Pianacci,
Stamperia Salvioni Roma 1770)
[9]
Cattedrale, in latino "ecclesia in domo" o solamente (in domo),
la chiesa attaccata alla casa del vescovo. (Si veda opera citata: "The
Chrodegang Rules…..", di Jerome Bertram).
[10]
Angilramno di Metz (Sens (Borgogna, Francia), ...? – Metz (Mosella,
Francia), 791) è stato un abate e vescovo tedesco. Monaco nell'abbazia
di sant'Avoldo (Lorena, Francia), nel 768 divenne vescovo di Metz per
intervento di Pipino il Breve e ricevette dal papa il titolo di
arcivescovo. Nel 770 divenne il settimo Abate dell'Abbazia di
Saint-Pierre de Senones (Vosgi, Francia). Amico di Carlomagno, lo
accompagnò in quasi tutti i suoi viaggi e nel 781 divenne cappellano di
corte. Morì nell'attuale Ungheria accompagnando Carlomagno in una delle
sue campagne contro gli Avari. È venerato come santo dalla Chiesa
cattolica.
[11]
Questi "Abati" possono essere i veri Abati Benedettini dei monasteri
vicini, ma la parola è usata anche per i superiori delle Comunità di
chierici, ognuno dei quali può essere invitato a cena in determinati
giorni. (Si veda opera citata: "The Chrodegang Rules…..", di
Jerome Bertram).
[12]
Ndt. Secondo l’opera citata di Jerome Bertram per “septimanarius”
si intende il sacerdote responsabile della celebrazione di quella
settimana. A mio parere si tratta di colui (o coloro) a cui sono
affidati i servizi settimanali di cucina del capitolo 24. In quel caso
il termine “septimanarii” viene tradotto in inglese “kitcheners”
ovvero “cucinieri”.
Si veda anche il capitolo 35 della Regola di san
Benedetto che ha lo stesso titolo del capitolo 24 di Crodegango, “De
septimanariis coquinae”, e che si riferisce ai monaci che, a turno
settimanale, svolgono i servizi di cucina.
[13]
In latino "calix", è un'unità di misura dei liquidi che
corrisponde alla sesta parte di un "sextarius" (sestero o
sestario). Quest'ultimo corrisponde a circa mezzo litro. Si veda Du
Cange et al., “Glossarium mediæ et infimæ latinitatis”. Niort :
L. Favre, 1883-1887. Anche sul sito ducange.enc.sorbonne.fr/matricula.
Secondo l’opera citata di Jerome Bertram il “calix” corrisonde a
mezza “hemina” che a sua volta corrisponde a mezzo “sextarius”.
[14]
In latino “pelles baccinas”, letteralmente “pelli di mucca”:
significa gli stivali stessi o il materiale per fare i propri stivali.
(Fonte "The Chrodegang Rules…..", di Jerome Bertram).
[15]
La "libra", in italiano “libbra” era un'unità di misura di peso
usata sia nel commercio che nella coniazione delle monete. Una "libra"
corrisponde ad una massa di circa 400 grammi d'argento e con un "libra"
di argento si potevano coniare 240 "denari".
Intorno al 755 la riforma carolingia di Pipino
il Breve istituì il sistema monetario europeo che può essere espresso
così: 1 "libra"= 20 "solidi"= 240 "denari".
[16]
Un canonico poteva essere incaricato dei servizi in una chiesa, in città
o nelle vicinanze, che aveva entrate proprie: questo è l'inizio del
sistema di "prebende" che ha finito per distruggere la vita comunitaria
dei canonici della cattedrale. (Fonte "The Chrodegang Rules…..",
di Jerome Bertram).
[17]
In latino “caminata”, ovvero salone di incontro dove c’era il
camino per riscaldare l’ambiente. (Opera citata: Du Cange in "Glossarium
mediae et infimae latinitatis").
[18]
Invece di “uno dei nostri abati” (latino “unus ex abbatibus”)
potrebbe significare “una delle nostre abbazie” (“unus ex abbatiis”).
(Fonte "The Chrodegang Rules…..", di Jerome Bertram).
[19]
Luogo pubblico, in latino "statio publica", dove il vescovo ed i
canonici facevano le celebrazioni quando visitavano qualche chiesa in
città o fuori città, forse il giorno della Dedicazione della Chiesa.
L'usanza romana era che il Papa visitasse a turno ogni Chiesa della
città durante la Quaresima. (Fonte "The Chrodegang Rules…..", di
Jerome Bertram).
[20]
In latino “matricularius”, ovvero colui che teneva i registri (matricula).
In questo caso sono i registri con annotati i bisognosi dei vari ospizi
di carità, ma in altri casi possono essere elencati anche sacerdoti o
altre persone. In altri testi latini la “matricula” è invece il
luogo dove vivono i “matricularii”, cioè “coloro che vivono di
elemosine”. (Opera citata: Du Cange in "Glossarium mediae et
infimae latinitatis").
Ndt. Nel libro citato di Jerome Bertram i
matricularii vengono proprio intesi come i bisognosi che vivevano
negli ospizi di carità. Leggendo l’inizio del capitolo 34, che tratta di
queste persone, non sembra che Crodegango si rivolga ai bisognosi:
“Ora che abbiamo descritto ciò che è necessario per riformare la vita
del clero canonico, come abbiamo ritenuto giusto fare, con l'aiuto di
Dio, nella misura della nostra modesta capacità, ci rivolgiamo agli
elemosinieri (ad matricolarios), sia della cattedrale che delle
parrocchie in periferia. Il loro stile di vita non è secondo il modo
dell’antica Chiesa, ma con loro grande pericolo e per negligenza sono
diventati, potrei dire, irresponsabili, senza occuparsi né della
predicazione né della confessione; neppure si sono recati nel luogo
pubblico della cattedrale per ascoltare la parola di Dio, né hanno
frequentato gli altri luoghi di incontro, ma ognuno è rimasta inattivo
al suo posto”.
[21]
Un moggio, latino “modius o modium” equivale a 16 sestiari
o sesteri (“sextarius”) ed equivale a circa 8,5 litri o kg. Nel
libro citato "The Chrodegang Rules…..", di Jerome Bertram si dice
invece che un moggio equivale a 24 sestiari. Ogni sestiario equivale a
due emine ed il suo volume è tra 2,5 e 3,3 litri.
Ritorno alla pagina su "san Crodegango di Metz"
Ritorno alla pagina iniziale "Regole monastiche e conventuali"
| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |
| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |
25 luglio 2020 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net