A cura di p. Goffredo Viti, O.Cist.
I.
Inizio della carta di Carità. L’abbazia
madre non imponga alla abbazia-figlia nessuna tassa sui beni materiali.
II.
La Regola deve essere interpretata ed
osservata da tutti allo stesso modo.
III.
Tutti abbiano gli stessi libri liturgici e
le stesse consuetudini.
IV.
Statuto generale tra gli abati.
V.
L’abbazia-madre visiti ogni anno
l’abbazia-figlia.
VI.
Quale riverenza deve usare
l’abbazia-figlia quando visita l’abbazia-madre. Il capitolo generale degli
abati a Cîteaux.
VII.
Statuto tra coloro che sono usciti da
Cîteaux e quelli che essi hanno fondato; tutti partecipino al capitolo
generale e le pene inflitte agli assenti.
VIII.
Gli abati che trasgrediranno la Regola o
l’Ordine.
IX.
Quale sia la legge tra le abbazie non
unite da legami di fondazione.
X.
Morte ed elezione degli abati.
XI.
Il privilegio del Papa (Callisto II, del
23 dicembre 1119).
Prima ancora che le
abbazie cistercensi cominciassero a moltiplicarsi, l’abate Stefano e i suoi
confratelli stabilirono che non venissero assolutamente fondate abbazie in
nessuna diocesi, senza che prima il vescovo avesse accettato un decreto
scritto e firmato tra il monastero di Cîteaux e gli altri da esso fondati,
onde evitare dissensi tra i vescovi e gli stessi monaci. Pertanto in questo
decreto, i suddetti fratelli, allo scopo di non compromettere in futuro la
vicendevole pace, hanno evidenziato, stabilito e tramandato ai loro posteri
a quale condizione ed in qual modo, anzi con quale carità i loro monaci,
separati fisicamente nelle abbazie sparse nelle diverse parti del mondo,
fossero indissolubilmente uniti nello spirito.
Deliberarono anche che questo scritto si chiamasse
Carta di Carità, poiché il suo statuto, rifiutando ogni tipo di esazione, si
ispira unicamente alla carità e al bene delle anime sia nelle cose divine
che umane.
Poiché noi tutti ci
riconosciamo servi, benché inutili, di un unico vero Re, Signore e Maestro,
non imponiamo alcuna tassa né sui beni materiali né sulla cose temporali ai
nostri abati e monaci confratelli che Dio, nella sua bontà, vorrà riunire in
diversi monasteri sotto una stessa disciplina regolare per mezzo di noi che
siamo i più indegni degli uomini.
Desiderosi infatti di giovare a loro e a tutti i
figli della santa Chiesa, non vogliamo né aggravarli con le imposte, né
diminuire le loro risorse, cosicché arricchendoci a spese della loro
povertà, noi ci rendiamo colpevoli del vizio dell’avarizia che, secondo
l’Apostolo, è una vera idolatria.
Vogliamo però, in virtù della carità, riservarci la
cura delle loro anime, affinché, quando cominciassero a deviare, Dio non
voglia, anche solo di poco dalla primitiva risoluzione e dall’osservanza
della santa Regola, possano, con la nostra sollecitudine, ritornare alla
rettitudine di vita.
Ora noi vogliamo e
comandiamo loro di osservare in tutto la Regola di San Benedetto come è
osservata nel Nuovo Monastero.
Essi non mutino il senso nella lettura della santa
Regola, ma come la interpretarono e l’osservarono i nostri predecessori,
cioè i santi padri, monaci del Nuovo Monastero, ed oggi noi la interpretiamo
e la osserviamo, così essi pure la interpretino e l’osservino.
Dal momento che noi accogliamo nel nostro monastero
tutti i loro monaci e loro, allo stesso modo, accolgono i nostri nei loro
cenobi, ci sembra perciò opportuno, anzi è nostra volontà che le
consuetudini, il canto e tutti i libri necessari alle ore canoniche diurne e
notturne e alla Messa siano conformi a quelli del Nuovo Monastero, affinché
nel nostro modo di agire non ci sia discordanza alcuna, ma viviamo nella
stessa carità, con la stessa Regola e con le medesime consuetudini.
Quando poi l’abate del
Nuovo Monastero verrà a far visita a qualcuno di questi monasteri, l’abate
del luogo, in segno di sudditanza al monastero di Cîteaux che ne è la madre,
gli cederà il posto in tutto. L’abate del Nuovo Monastero (Cîteaux) al suo
arrivo prenderà il posto dell’abate visitato e lo conserverà fin quando
resterà ospite.
Durante la sua permanenza non mangerà con gli
Ospiti, ma nel refettorio con i monaci per mantenere la disciplina, a meno
che l’abate del luogo non fosse assente. Tutti gli abati del nostro Ordine,
che visiteranno una abbazia da loro fondata, faranno altrettanto.
Nel caso che si incontrassero più abati e l’abate
del luogo fosse assente, il primo di loro (in ordine di fondazione) mangi
con gli ospiti. Fa eccezione una sola cosa: sarà l’abate del luogo, anche
alla presenza dell’abate Maggiore, ad ammettere i suoi novizi alla
professione dopo il periodo di prova.
Inoltre l’abate del Nuovo Monastero si guardi bene
di non intromettersi nel regolare e disporre dei beni di quel monastero che
verrà visitato, contro la volontà dell’abate del luogo e dei monaci. Se poi
rileverà che in qualche monastero si verificassero abusi contro le
prescrizioni della Regola o contro le disposizioni del nostro Ordine, si
preoccuperà di riprenderli caritatevolmente con la collaborazione dell’abate
del luogo. Anche se l’abate del luogo fosse assente, correggerà
ciononostante gli inconvenienti che avrà scoperto.
Una volta all’anno l’abate dell’abbazia-madre visiti
tutti i monasteri da lui fondati. Se egli visiterà più frequentemente i
fratelli, questi se ne rallegrino maggiormente.
Allorché qualche abate del
nostro Ordine venisse al Nuovo Monastero gli siano resi gli onori dovuti.
Occupi lo stallo dell’abate, qualora questi fosse assente, riceva gli ospiti
e mangi con loro. Se invece è presente, non faccia nulla di quanto detto, ma
mangi nel refettorio comune. Il priore del luogo abbia cura degli affari del
monastero.
Tutti gli abati di questi monasteri una volta
all’anno, nel giorno che avranno concordemente stabilito, si recheranno al
Nuovo Monastero. Qui tratteranno della salute delle loro anime e delle loro
comunità. Daranno disposizioni circa l’osservanza della santa Regola o (le
consuetudini) dell’Ordine, nel caso che ci fosse qualcosa da correggere o da
aggiungere, e ristabiliranno tra loro la pace e la carità fraterna.
Se ci fosse qualche abate poco zelante
nell’osservanza della Regola o troppo intento agli affari secolari o fosse
trovato vizioso in qualche cosa, qui in capitolo sia ripreso
caritatevolmente. Colui che è stato richiamato chieda perdono e compia la
penitenza che gli sarà ingiunta. Questa riprensione sia fatta esclusivamente
dagli abati.
Se poi, per caso, qualche abbazia fosse venuta a
trovarsi in estrema povertà, l’abate di quel luogo faccia presente il caso a
tutto il capitolo. Allora ciascun abate, acceso dalla più grande carità, si
affretti a risollevare l’indigenza di quella abbazia con i beni concessi da
Dio a ciascuno, secondo le proprie risorse.
Quando poi, grazie a Dio,
una delle nostre abbazie avrà preso un tale sviluppo e potrà permettersi una
nuova fondazione, i monaci della suddetta abbazia osserveranno tra di loro
la stessa costituzione che noi osserviamo tra di noi.
Vogliamo tuttavia e riteniamo per noi che tutti gli
abati da tutte le parti vengano al Nuovo Monastero il giorno stabilito
concordemente e qui si attengano in tutto alle direttive dell’abate di
Cîteaux e al capitolo nel riprendere le manchevolezze e nello stabilire
l’osservanza della santa Regola e dell’Ordine. Non ci sia però il capitolo
annuale tra loro e quelle abbazie che avranno fondato.
Se poi, talvolta, una malattia o l’ammissione dei
novizi alla professione monastica impedisse a qualcuno dei nostri abati di
presentarsi il giorno stabilito nel luogo determinato, vi invii in sua vece
il proprio priore, il quale abbia cura di giustificare al capitolo l’assenza
del proprio abate.
Infine, tutto ciò che sarà stabilito o cambiato lo
riferisca, in monastero, al suo abate e ai fratelli. Se qualcuno però, per
qualsiasi altro motivo, presumesse di non partecipare al capitolo generale,
al successivo capitolo chiederà scusa per l’assenza dell’anno precedente e
farà la soddisfazione, per la colpa leggera, per tutto il tempo che il
presidente del capitolo lo riterrà opportuno.
Qualora si venisse a
sapere che qualche abate disprezza la Regola o il nostro Ordine, oppure che
acconsente ai vizi dei fratelli a lui affidati, l’abate del Nuovo Monastero
provveda – personalmente o per mezzo del priore della propria abbazia oppure
per lettera – ad ammonire fino a quattro volte quella stessa persona
affinché si emendi.
Se disprezzasse questi provvedimenti allora l’abate
della abbazia-madre si preoccupi di rendere noto il suo errore al vescovo
nella cui diocesi si trova (il monastero) e ai chierici della stessa chiesa.
Questi mandino a chiamare l’accusato e, discutendo diligentemente la causa
con l’abate suddetto, o lo inducano ad emendarsi oppure, se risulterà
incorreggibile, lo rimuovano dalla cura pastorale
Se invece il vescovo e i chierici, non dando peso
alla trasgressione della santa Regola verificatasi in quel monastero, non
volessero correggerlo o deporlo, allora l’abate del Nuovo Monastero e alcuni
altri della nostra congregazione che egli porta con sé, si rechino in quel
monastero e rimuovano dal suo ufficio il trasgressore della santa Regola. I
monaci di quel luogo, alla presenza e con il consiglio degli abati, si
eleggano un altro che ne sia degno.
Se poi, l’abate e i monaci del suddetto monastero
disprezzassero gli abati che vi si sono recati e non volessero emendarsi
neppure per l’autorità di costoro, allora questi abati infliggeranno ai
trasgressori la scomunica.
Se in seguito, qualcuno di questi perversi,
rinsavendo e volendo evitare la morte della propria anima desiderasse
cambiare in meglio la propria vita e venisse ad abitare da sua madre, cioè
al Nuovo Monastero, sia accolto come un monaco, figlio di quella abbazia.
Senza questi motivi, e i nostri monaci dovranno fare
del tutto per evitarli, noi non riceviamo nessun monaco di queste nostre
abbazie a dimorare con noi, senza il consenso del proprio abate ed essi non
accolgano i nostri a dimorare da loro. Noi non manderemo i nostri monaci a
dimorare nelle altre abbazie, se il loro abate non lo consente, né
manderanno i loro nella nostra.
Se poi gli abati delle nostre abbazie vedessero la
loro madre, cioè il Nuovo Monastero intiepidirsi nel santo proposito e
deviare dalla rettissima via della santa Regola o del nostro Ordine,
ammoniscano l’abate del luogo fino a quattro volte perché si corregga. Il
provvedimento sia preso dai tre coabati, e cioè di La Ferté, di Pontigny e
di Clairvaux, che agiscono in nome di tutti gli altri. Essi compiano con
sollecitudine, nei suoi riguardi, tutto quello che abbiamo stabilito di
doversi fare per gli altri abati che si allontanassero dalla Regola, eccetto
che non saranno loro a sostituirgli un altro nel caso che rassegnasse le
dimissioni, né a colpirlo con la scomunica se non vorrà dimettersi. Però, se
non accogliesse il loro consiglio, non indugino a rendere noto al Vescovo e
ai chierici della Chiesa di Chalon (nella cui diocesi si trova Cîteaux), la
sua ostinazione. Chiedano che sia condotto alla loro presenza e, dopo aver
discusso l’accusa, o lo restituiscano al suo ufficio emendato in tutto,
oppure lo rimuovano dalla cura pastorale in quanto incorreggibile. Una volta
allontanato, i fratelli di quel luogo inviino tre o più messaggeri alle
abbazie direttamente fondate dal Nuovo Monastero e convochino entro quindici
giorni, quanti più abati sarà possibile, e con il loro consiglio e aiuto Si
eleggano un nuovo abate, come Dio avrà predisposto. L’abate di La Ferté, nel
frattempo, presiederà a quella comunità, finché o questa venga restituita al
medesimo pastore, pentito del suo errore con l’aiuto di Dio, oppure sia
affidata ad un altro, eletto regolarmente al suo posto.
Se invece il vescovo e i chierici della suddetta
città fossero negligenti nel procedere contro il colpevole nel modo in cui
abbiamo stabilito, allora tutti gli abati delle abbazie direttamente fondate
dal Nuovo Monastero si rechino sul luogo della trasgressione, rimuovano dal
suo ufficio lo stesso trasgressore della santa Regola, e subito i monaci di
Cîteaux, alla loro presenza e con il loro consiglio, si eleggano l’abate.
Se poi, l’abate colpevole e i suoi monaci non
volessero ricevere i nostri abati e obbedire loro, non temano questi di
colpirli con la spada della scomunica e separarli dal corpo della Chiesa
cattolica.
Se in seguito qualcuno di questi peccatori,
finalmente ravvedutosi e desideroso di salvare la propria anima, si
rifugiasse in una delle tre abbazie, e cioè a La Ferté, a Pontigny o a
Clairvaux, sarà ricevuto come membro e coerede di tale monastero fino a
quando verrà restituito, come è giusto, alla propria abbazia una volta
avvenuta la riconciliazione. Nel frattempo però, l’annuale capitolo degli
abati non si celebrerà nel Nuovo Monastero, ma dove avranno stabilito i tre
abati sopra ricordati.
Questa sarà la legge tra le abbazie non unite da
legami di fondazione. Ogni abate, in tutti i luoghi del suo monastero dia la
precedenza al suo fratello abate che gli farà visita, affinché si adempia la
parola: Prevenitevi a vicenda nel rendervi
onore.
Se giungessero due o più abati, il più anziano in
ordine di fondazione occuperà il posto più ragguardevole. Tutti però,
eccetto l’abate del luogo, prenderanno i pasti in refettorio, come abbiamo
detto sopra; altrove poi, ovunque dovessero riunirsi manterranno il proprio
ordine, secondo la precedenza delle abbazie, in modo che sarà il primo colui
la cui abbazia è più antica, a meno che uno di loro non indossi gli abiti
liturgici. In questo caso precederà tutti nel coro di sinistra, e svolgerà
tutte le cerimonie di primo, anche se fosse il più giovane.
In qualsiasi luogo si raduneranno, si salutino
scambievolmente con un inchino.
I fratelli del Nuovo
Monastero, alla morte del loro abate inviino, come abbiamo detto sopra, tre
o più messaggeri, se lo desiderano, agli altri abati e riuniscano, entro
quindici giorni, quanti più abati potranno e con il loro consenso si
eleggeranno il pastore che Dio avrà voluto.
Nel frattempo, l’abate di La Ferté, come abbiamo
detto sopra per altra circostanza, tenga in tutto il posto dell’abate
defunto fino a quando non ne sarà eletto un altro che, con l’aiuto di Dio,
prenderà in consegna il monastero e il governo dello stesso luogo.
Anche negli altri monasteri, privati per qualsiasi
motivo del proprio pastore, i fratelli di quel luogo, invitino l’abate della
abbazia che lo ha fondato e, alla sua presenza e con il suo consiglio, si
eleggano come abate uno tra i loro fratelli, o del Nuovo Monastero oppure di
un’altra delle nostre abbazie.
Non è lecito infatti ai cistercensi prendersi un
abate dalle abbazie che non appartengano all’Ordine o dare ad altri, a
questo scopo, i propri monaci. Accolgano invece, senza ritrosie, qualunque
persona che i monaci avranno eletto da un monastero qualsiasi del nostro
Ordine.
Callisto Vescovo, servo
dei servi di Dio, ai carissimi figli in Cristo, al venerabile abate Stefano
e ai suoi monaci, salute e apostolica benedizione.
Per disposizione della Provvidenza, noi siamo stati
promossi al governo della Sede Apostolica allo scopo di accrescere, con
l’aiuto di Dio, la religione e di favorire con la nostra autorità tutto ciò
che è stato intrapreso nella via della pietà per la salvezza delle anime.
Perciò, figli carissimi in Cristo, noi accondiscendiamo alla vostra
richiesta con tutta carità e ci felicitiamo con affetto paterno del vostro
spirito religioso, confermando con il sigillo della nostra autorità l’opera
che voi avete intrapreso. Inoltre, con il consenso e la decisione comune
degli abati, dei monaci dei vostri monasteri e dei vescovi nelle cui diocesi
si trovano questi monasteri, noi abbiamo stabilito alcuni regolamenti
riguardanti l’osservanza della Regola di san Benedetto e qualche altro punto
che era necessario determinare nell’interesse dell’Ordine e del monastero di
Cîteaux. E voi avete richiesto che, per la concordia del vostro monastero e
per la sicurezza dell’osservanza religiosa, fossero confermati dalla Sede
Apostolica.
Perciò, congratulandoci del vostro progresso nel
Signore, confermiamo con la nostra autorità questi regolamenti e la
costituzione; inoltre dichiariamo che questa approvazione sia valida per
sempre. Espressamente, in tutti i modi, noi decretiamo che nessuno degli
abati possa ricevere i vostri religiosi senza la necessaria autorizzazione.
Se qualche ecclesiastico o secolare fosse tanto
temerario da levarsi contro la nostra approvazione e contro i nostri
statuti, per l’autorità dei beati apostoli Pietro e Paolo e la nostra, noi
lo colpiamo con la scomunica finché non si emenderà, in quanto perturbatore
della religione e della pace monastica.
Ma colui che li avrà difesi riceva la grazia e la
benedizione di Dio Onnipotente e dei suoi santi Apostoli.
Infine proibiamo a chiunque di ospitare i vostri
fratelli conversi o professi.
Io Callisto, Vescovo della Chiesa cattolica, ho
confermato.
Fine della Carta di Carità. Amen
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14 novembre 2021
a cura di Alberto "da Cormano"