Santo Stefano Harding

Thomas Merton OCSO [1]

Estratto dal sito “https://www.vitanostra-nuovaciteaux.it”

Associazione Nuova Citeaux - 28 gennaio 2023

16 luglio

Santo Stefano Harding,

terzo Abate di Citeaux, fondatore dell’Ordine cistercense

 

Manrique, l’annalista dei cisterciensi delineò un’impegnativa analogia tra i primi tre padri dell’Ordine e le tre persone della SS. Trinità (Manrique "Annales Cistercienses" vol. 1, p. 6). San Roberto era la fonte e il padre dell’ideale cisterciense; Sant’Alberico soffrì perché esso potesse vivere; Santo Stefano possedette l’energia e la carità e, certo, il genio consumato necessario per mettere questo ideale in pratica nella fondazione di uno dei grandi ordini contemplativi nella chiesa. Quest’opera di diffusione era più che corrispondente in una vaga analogia all’opera della Spirito Santo. Era la reale opera dello Spirito di Dio in e attraverso Stefano. Non è certamente un’invenzione dire che lo Spirito d’amore viveva e operava nell’anima di questo grande santo con una speciale chiarezza e intensità. Abbiamo diversi documenti di sua mano estremamente importanti che esprimono il suo genio, ogni linea dei quali respira uno spirito di carità apostolica e contemplativa che ricorda quella della chiesa primitiva con la sua sottolineatura del concetto base dell’unità mistica in Cristo. Non che gli scritti di Stefano siano quelli di un mistico speculativo come san Bernardo, lungi da questo. Erano tutti pratici, ma infine l’amore è pratico, e il misticismo non è nient’altro che amore. La spiritualità di santo Stefano allora è il misticismo dell’amore in azione, amore che sacrifica se stesso per gli altri (invece di parlare o magnificare poeticamente il sacrificio) amore che opera per condurre gli altri in unità, e soprattutto amore che rompe il silenzio solo per parlare di fatti, non per parlare di se stesso, dell’Amore in astratto con la A maiuscola. Per questo S. Stefano quando prende la penna in mano scrive della Regola e di come osservarla alla lettera e nello spirito. Per lui amare Cristo significa fare la volontà di Cristo, e la volontà di Cristo per dei benedettini contemplativi è la Regola di san Benedetto. La volontà di Dio per S. Stefano e i suoi compagni del XII secolo era il ristabilire una vita integralmente monastica nella chiesa per mezzo di una stretta osservanza della Regola di san Benedetto. I Cistercensi non erano soli. Lo Spirito di Dio era all’opera in quell’età con una speciale intensità nell’XI e XII secolo, per accendere forti fiamme di amore contemplativo e preghiera e penitenza. I Camaldolesi, i Vallombrosani, i Certosini, gli ordini di GrandMont e le Congregazioni di Tiron e Savigny stavano tutte per risorgere in quei giorni insieme ai cisterciensi. Tutti loro avevano ideali di grande altezza e purezza; nessun o di loro avrebbe raggiunto una simile ampiezza di diffusione, e nessuno avrebbe avuto influenza su tante anime, e nessuno in verità avrebbe avuto un effetto così potente sul corso della storia cristiana e anche politica, come i cistercensi. Tutto questo era, naturalmente, ampiamente dovuto alla magnetica influenza di san Bernardo di Clairvaux. Ma nella misura in cui san Bernardo era un propagatore dell’ordine e un fondatore di monasteri cistercensi, egli stava solo costruendo sulle solide fondamenta gettate dal santo formato e addestrato per la vita cistercense: Stefano Harding, il terzo abate di Citeaux.

Santo Stefano era, si dice, figlio di genitori nobili, nell’Inghilterra del sud. Sia vero o no sappiamo che da fanciullio venne per esservi educato al priorato di Scherborne in Dorset. Sembra sia nato circa dieci anni prima della conquista normanna (cioè verso circa il 1056) e si dice che lasciò l’Inghilterra dopo un’insurrezione contro i conquistatori. Passò in Scozia, o forse in Irlanda, per continuare gli studi.

Fr Dalgairns nella sua Vita inglese del santo, deduce che santo Stefano fosse già disgustato dalla vita benedettina come l’aveva vista a Scherborne e avesse abbandonato il pensiero della sua vocazione. In ogni caso lo troviamo poi a frequentare la scuola di Parigi e lì, secondo Guglielmo di Malmesbury, ricevette definitivamente una chiamata a consacrarsi in qualche modo più vicino e più perfettamente a Dio (G. di Malmesbury, De Gestis Regum Anglorum, PL 179, 1287) “Divini amoris stimulos accepit) (PL 185, 1257-70) (Ricevette lo sprone dell’amore divino).

La vocazione non era chiara o ben definita: era giusto un’urgenza, un dolore interiore persistente, un tendere a qualcosa che non poteva del tutto definire. Tutto sommato poteva essere sintetizzata come una forte consapevolezza di non essere nel posto che Dio gli aveva destinato e lasciando Parigi cominciò a visitare i santuari di vari santi nella terra di Champagne e Burgundia, e là fece amicizia con un altro pio viaggiatore come lui. I due decisero di andare insieme in pellegrinaggio a Roma. S. Stefano e il suo amico Pietro, in seguito anche lui venerato come santo sotto il nome di S. Pron (una corruzione di Pietro) intrapresero questo difficile viaggio mantenendo il silenzio per tutto il tempo tranne che per la quotidiana recitazione del salterio; non c’era alcuna difficoltà compresa nei loro viaggi che potesse dissuaderli da questo. Il dettaglio sul loro assoluto silenzio può forse essere stato un’esagerazione, ma il salterio quotidiano, che è anche un poco straordinario in ogni caso, è attestato in documenti primitivi, particolarmente nella contemporanea Vita di san Pron di un monaco cistercense (PL 185, 1257-70)

Ritornando da Roma in Burgundia Stefano e Pron si fermarono al monastero recentemente fondato di Molesmes, del quale abbiamo ragione di credere che avessero sentito parlare prima, dal momento che il monastero divenne rapidamente famoso in Burgundia. Comunque al loro scoperta di san Roberto e della sua fervente comunità è a volte rappresentata come una completa sorpresa e quasi un caso. Qualunque sia stata la realtà si unirono entrambi alla comunità e trovarono in essa la pace che avevano così a lungo cercato — almeno trovarono questa pace per un certo tempo. Manrique incidentalmente relaziona senza alcun fondamento che l’amico di santo Stefano (non conosceva il nome o la storia di san Pron) aveva provato a dissuaderlo dall’entrare nel monastero e si era allontanato da lui quando egli aveva trascurato questo consiglio (PL 185, 111261) Manrique ignorava completamente i fatti narrati lella vita di san Pron scoperta a quel tempo.

È difficile dire a qual preciso stadio dello sviluppo di Molesme santo Stefano si unì alla comunità. La Vita di san Pron ci dice che Pron passò parte del suo noviziato in un priorato dipendente da Molesme. In questo caso Molesme era già molto avanti sulla via della prosperità, al tempo in cui egli vi entrò. D’altra parte l’opinione abituale è che santo Stefano divenne un membro della comunità nel momento della purezza del suo primo fervore, cioè poco dopo l’allontanamento da Colan che avvenne nel 1075.

Alla fine, naturalmente, il monastero si riempì di cavalieri convertiti, uomini di pietà sincera, ma convenzionale, che non conoscevano altro che gli usi di Cluny e non erano pronti ad accettare nient’altro che fosse in conflitto con questi criteri familiari di Molesme, da una comunità fervente di monaci ferventi e contemplativi caduti al livello di un monastero cluniacense ordinario.

Guglielmo di Malmesmury, che è la migliore autorità contemporanea per l’informazione su Stefano Harding, lo rappresenta come il primo ad aver mosso la riforma a Molesme. Fu lui a iniziare e dominare le conversazioni in cui la minoranza fervente in quella comunità si lamentava l’un con l’altro che la Regola letta ogni giorno in capitolo non fosse osservata nella loro vita quotidiana. Fu Stefano che, insieme ad Alberico, pose la questione davanti a san Roberto.

S. Stefano, secondo Guglielmo di Malmesbury (PL 189, 1287) con modestia ma fermamente avanzò una serie di argomenti che attaccavano la vera essenza degli usi cluniacensi negando che essi fossero un’interpretazione valida del pensiero di san Benedetto; e certamente tutti i documenti primitivi sono concordi nell’affermare che i riformatori di Molesme consideravano che gli Usi di Cluny avessero talmente distorto la lettera e lo spirito della regola che era impossibile seguirli e d essere un vero benedettino. In altre parole, osservare gli Usi di Cluny significava violare almeno lo Spirito della Regola di san Benedetto. Santo Stefano fu, naturalmente un membro importante della delegazione che accompagnò san Roberto da Ugo il legato della santa sede nel 1097, e ottenne l’approvazione ufficiale per lasciare Molesme e iniziare una nuova fondazione, con la motivazione che era impossibile iniziare a Molesme una riforma con successo.

L’arrivo dei monaci a Citeaux e la natura dei nuovi luoghi, nei boschi acquitrinosi appartenenti al visconte di Baume sono stati sufficientemente descritti nelle vite di s. Roberto e S. Alberico (29 aprile e 26 gennaio) Stefano Harding fu fatto sottopriore della nuova comunità. Alberico era il priore e il primo abate fu ovviamente san Roberto, il direttore la cui reputazione e influenza li avevano dall’inizio attirati alla vita religiosa.

Dopo la partenza di san Roberto, costretto dall’obbedienza alla santa sede a tornare a Molesme, che in sua assenza era caduto in uno stato di agitazione, santo Stefano divenne priore sotto Alberico e abbiamo tutte le ragioni per credere che fu durante il suo priorato che santo Stefano si occupò dei problemi di liturgia e di Usi monastici che alla fine sistemò, una volta per tutte nelle sue magistrali Consuetudini (PL 166).

Il fatto che il 1109, data della sua elezione come abate, come successore di S, Alberico, sia anche la data della sua edizione della Bibbia, significa che santo Stefano aveva passato molto del suo tempo come priore su questo lavoro di revisione e correzione del testo della Scrittura. Per i dettagli di questo lavoro indirizziamo il lettore al Compendium della storia dell’ordine astercense (n.59).

Vogliamo soltanto osservare che questo lavoro di revisione e correzione che fu apprezzato come uno dei lavori più magistrali dagli studiosi biblici del Medio Evo è una rivelazione interessante della spiritualità di santo Stefano. Indica la sua preoccupazione che i suoi monaci studiassero e conoscessero la S. Scrittura nel suo testo autentico e il più puro possibile ed è la prova che santo Stefano era nemico dell’approssimazione e della trascuratezza nelle cose spirituali. Anche se studi di questo genere erano estranei all’ideale cistercense Santo Stefano non esitò a gettarsi in questo lavoro eccessivamente intellettuale, quando si trattava della formazione spirituale dei suoi monaci.

Lo zelo che spinse santo Stefano alla revisione del testo della Volgata non è senza relazione con un’altra riforma per la quale egli è anche più famoso: la sua estrema semplificazione della Liturgia e dell’architettura ecclesiastica (A. Dimier, S. Stefano Harding et ses idées sur l’art, Coll 1927, 178-192) Ma anche qui si esprimeva lo stesso ardente desiderio di solidità e verità nelle cose spirituali. E in primo luogo dobbiamo renderci conto che tutte le riforme monastiche del tempo tendevano verso la stessa direzione. Sano Stefano non era affatto solo nella sua rivoluzione liturgica, ma di tutti i riformatori fu il più intransigente e il più drasticamente completo.

Basteranno poche parole per dare un’idea dell’estensione della sua rivoluzione. Dobbiamo solo dare un’occhiata alla basilica di Cluny, con i suoi bassorilievi, le sue statue, le sue vetrate colorate, i mosaici, gli intarsi; immensi candelieri d’oro e cristallo che pendono dal soffitto; l’altare è coperto con splendidi panni e i vasi dell’altare sono di oro puro, decorati con gioielli preziosi. Le vesti dei ministri sono splendenti, con abiti d’oro o risplendenti di sete e velluto. Gioielli brillano sulla mitra e sul pastorale. L’organo e altri strumenti musicali accompagnano il coro, e i monaci alle grandi feste sono abbigliati splendidamente. Tutto questo lusso rappresenta un’immensa spesa. Naturalmente i monaci credevano che tutto fosse per la gloria di Dio. Ma tutte queste cose non è vero che innalzano il cuore a Dio’ Anche se la risposta a una simile domanda era necessariamente vera, c’era una considerazione d’importanza molto più grande. Quanti uomini consacrati a Dio nutrivano il loro sguardo con questo sfarzo mondano, con il pretesto che li aiutava a pregare, ed erano ciechi davanti ai mendicanti stracciati e morti di fame alla porta della Basilica, e ai servi in campagna, sudici e sottomessi, spezzati dalla povertà e dalla servitù. Oh, è vero, Cluny fece molto per i poveri, ma per san Bernardo finché c’era un solo uomo che soffriva la fame non c’erano scuse che giustificassero il a gettar via monete in gioielli e in oro per gli altari di Dio, perché simili doni non sarebbero mai piaciuti al Signore che venne sulla terra e morì perché noi potessimo imparare la carità (Bernardo, Apologia, 12).

Che contrasto con tutto questo era la chiesa cistercense. Le mura erano spoglie di qualsiasi scultura, pittura e mosaico. Per due secoli i Capitolo Generali avrebbero fulminato penitenze severe contro gli abati che si fossero persuasi ad accettare doni di vetrate colorate nelle chiese dell’ordine. Lungi dall’esser decorato con tappeto o arazzi, o anche con fiori, il santuario era completamente spoglio. Certo, l’altare stesso, fuori del tempo della Messa, si presentava con l’aspetto che oggi ha solo il Venerdì santo. Era completamente spoglio. Non vi era sopra nulla, salvo un crocifisso. Da ogni lato dell’altare stavano due ampi candelieri di rame o di legno, alti abbastanza perché le candele raggiungessero il livello die piedi dell’Immagine di Cristo sulla croce; ma i portacandele stessi, bisogna notare, non stavano sull’altare, ma sul pavimento del santuario, da ciascuna parte di esso. Nel santuario vi era anche una piscina, o bacino necessario per svuotar ei vasi usati nelle funzioni liturgiche, come per esempio la bacinella per lavarsi le mani. Dietro la credenza vi era anche un armarium, o armadietto, dove si teneva i l calice e i vari libri e le altre cose necessarie per la Messa. Non c’era tabernacolo sull’altare, ma almeno dal 13 secolo nelle chiese cistercensi prevalse l’uso di riservare la sacra Ostia in un ciborio sospeso con una colomba dorata che pendeva dal soffitto della chiesa direttamente sull’altare (Cf. Fulgence Schneider, L’ancienne messe cistercienne, Koeningshoeven 1929, VII, 264).

Qual era il motivo di una simile rigidezza? Perché i cistercensi dovevano arrivare fino all’eccesso di avere vesti di lino liscio, tutte senza colore e senza decorazioni? Perché questa esagerata semplicità? Santo Stefano avrebbe risposto in primo luogo che i monaci contemplativi non hanno bisogno di pitture o statue per innalzare i cuori a Dio e molto meno di vetrate colorate e sfarzosi vasi d’altare. Queste cose potrebbero essere d’aiuto per gente che vive tra le distrazioni del mondo, ma per monaci che vivono in un raccoglimento abituale, potrebbero essere piuttosto motivo di distrazione mantenendo la mente lontana da Dio in una quantità di dettagli curiosi e volgari. D’altra parte è un fatto di esperienza che la semplicità delle prime chiese cistercensi che ancora sopravvive e di un genere che innalza il cuore a Dio con singolare efficacia con la virtù della reale assenza di dettagli e curiosità.

Il motivo è che l’armonia e l’interrelazione di semplici blocchi in muratura disposti nel più perfetto equilibrio architettonico offrono allo sguardo una bellezza molto più spirituale che la molteplicità die colori e il dispiegarsi di una gioielleria che molto spesso era usata in qualcosa che rasentava la volgarità. I primi cistercensi comunque, non entravano in speculazioni su queste cose. Le loro motivazioni principali erano la povertà e la semplicità. Essi cercavano di osservare il Vangelo e la Regola alla lettera, e questo era tutto.

Non appena fu eletto abate santo Stefano iniziò a mostrare di essere un riformatore anche più rigido e intransigente di sant’Alberico, anche se questo santo abate non era mai stato in nessun modo amante dei compromessi. Comunque sembra che sant’Alberico non avesse posto alcuna obiezione quando il duca Odo di Burgundia, uno dei primi e più grandi benefattori del Nuovo Monastero, volle venire a tenere là la sua corte.

D’altra parte quando Ugo, che successe a Odo come duca, dopo che suo padre morì in crociata nella Terra Santa, annunciò la sua intenzione di venire al monastero e tenere là la sua corte santo Stefano lo informò cortesemente che non sarebbe stato il benvenuto. Generalmente si pensa che questo fatto fu preso dal duca come un insulto e che ebbe il suo peso nel suo ritirare il suo aiuto al monastero. Sappiamo di fatto che sotto santo Stefano Citeaux attraversò la sua prova più cruciale dalla fondazione. Dio evidentemente voleva mettere alla prova il suo grande santo e i suoi compagni nel crogiolo di una reale privazione e porre il sigillo della sua approvazione e sull’Ordine; per questo non vi era segno più sicuro che una buona impresa fosse voluta da Dio che il fatto che si scontrasse con opposizioni e difficoltà, malgrado la buona volontà e le preghiere di coloro che la intraprendevano.

La fede di Stefano era abbastanza uguale alla prova della povertà. Un’antica storia ci dice come un giorno, quando in monastero non c’era più cibo, e non c’erano nemmeno soldi, l’abate diede a un monaco tre penny e gli disse di prenderli e andare a Vézelay e spenderli acquistando tre carichi di cibo[2]. Quando il monaco chiese come avrebbe dovuto fare per portare a termine un affare così difficile, santo Stefano gli disse di aver fede in Dio. Il monaco andò al mercato con i suoi tre pennies, ma non dovette nemmeno spenderli perché incontrò un uomo che, consapevole della situazione dei monaci, lo introdusse alla conoscenza di un uomo che era moribondo e che aveva alcuni beni; questi sul letto di morte era felice di assicurarsi la salvezza con un atto di carità cambiando testamento e facendo dei monaci di Citeaux i suoi beneficiari.

La povertà e i bisogni più atrici dei suoi monaci non potevano mai essere per Stefano una ragione per scendere a compromesso con i suoi principi morali. Una volta quando un fratello che era stato inviato fuori a mendicare per il cibo in un momento di estrema necessità ritornò con due muli carichi di provviste, santo Stefano lo rispedì indietro da dove veniva con il suo carico intatto, nella misura in cui apprese che erano dono di un sacerdote che aveva ottenuto la sua posizione con la simonia.

I primi cistercensi comunque erano forniti del dono della fortezza e i loro disagi erano per loro una fonte di una più dolce consolazione, più dolce di quella che avessero mai conosciuto prima. Una domenica di Pentecoste a Citeaux i monaci cantavano in coro con un trasporto di gioia che era anche più intenso perché erano venuti a sapere che in casa non c’era niente da mangiare, e non ci sarebbe stato pranzo, e cosa ancora più grande, a nessuno importava. Il Pane degli Angeli era tutto ciò che essi desideravano. Per il resto lo Spirito Santo si sarebbe preso cura di loro e lo fece. Quando uscirono dalla loro semplice chiesa di legno trovarono che un benefattore aveva portato ampio rifornimento di cibo al cancello del monastero.

Cassiano dice che se vogliamo avere la mente pulita e libera dalle distrazioni quando siamo in preghiera dobbiamo prender l’abitudine di controllare i nostri pensieri e immaginazione al di fuori del tempo della preghiera e dobbiamo vuotare le nostre menti anche prima di iniziare a pregare (Cassiano Conf 9, 3 Quales orantes volmus inveniri, tales nos ante orationis tempuspraeparare debemus) Altrimenti la reale lotta con le distrazioni sarà in se stessa una distrazione insopportabile. Santo Stefano era famoso per un piccolo gesto che aveva acquisito come abitudine per ricordarsi di questo entrando in chiesa. A notte, uscendo dal chiostro, dopo la lettura comune in coro per compieta, era abituato a toccare lo stipite della porta con le mani, e quando qualcuno gli chiedeva perché, diceva che era per lasciare tutte le sue preoccupazioni e pensieri alla porta della chiesa.

Col passar degli anni Citeaux aveva perso parecchi dei suoi monaci. Lenain calcola che in diciassette o diciotto erano morti dalla prima fondazione, e in questo caso, dal 1112 sarebbero rimasti solo in tre o quattro. (Lenain, Essai de l’Histoire de l’Ordre de Citeaux, Parigi 1696).

Ma in ogni caso, la critica quasi universale e la calunnia diretta contro i riformatori di Citeaux aveva reso il Nuovo Monastero così poco attraente per i postulanti che essi stavano ben lontano dalla porta. Alla fine anche le forti convinzioni di Santo Stefano Harding erano un po’ scosse da questo stato di cose. Dopo tutto si stava rendendo conto del fatto che i suoi critici non erano solo i malcontenti di Molesme. Molti uomini saggi e prudenti e assolutamente degni di stima erano dell’opinione che la riforma cistercense non poteva essere la volontà di Dio, dal momento che era così ampiamento al di là delle forze di uomini normali. Era allora un’esagerazione? Il diavolo aveva approfittato del suo innato fervore e del suo idealismo per prenderlo in trappola? Il fatto che nessuna vocazione venisse al monastero dava a Stefano una motivazione molto costringente per credere che dio non favorisse la riforma. Poteva anche aver permesso che continuassero critiche e povertà, ma se il Nuovo Monastero era la sua volontà sicuramente avrebbe provveduto alla sua sopravvivenza, scegliendo anime che venissero a condurre la sua austera vita di preghiera e di penitenza.

Alla fine un altro dei monaci cadde ammalato e fu sul punto di morire. Santo Stefano avvicinò questo fratello che giaceva sul letto di morte e con fede semplice gli chiese in nome di Cristo, e in virtù di santa obbedienza, di fargli sapere, dopo la sua morte, se il loro modo di vita era gradito a Dio. Il fratello, con uguale semplicità promise di farlo se santo Stefano lo avesse aiutato con la sua preghiera. Pochi giorni dopo la morte del monaco Santo Stefano era al lavoro con i suoi monaci, e diede il segnale per l’usuale pausa di riposo. Poi, allontanandosi un po’ dagli altri e raccogliendo i suoi pensieri rinnovò la sua consapevole comunione con Dio. Improvvisamente il monaco che era appena morto gli apparve davanti in un fulgore di gloria e rivelò al suo Padre Abate che la vita cistercense era certamente gradita a Dio e che era la sua volontà. Per questo la sua anima era ora nella beatitudine celeste come ricompensa per i suoi sacrifici, lavoro e preghiera a Citeaux, e a breve Dio avrebbe dato una conferma più tangibile della sua approvazione mandando loro molte vocazioni. Avvenne allora che al quindicesimo anno dalla fondazione di Citeaux il futuro san Bernardo si presentò al cancello di legno dell’abbazia con i suoi trenta compagni. Le annate magre erano finite. Da questo momento il favore di Dio brillò sulla nuova fondazione in ogni cosa materiale e anche spirituale.

Forse la conversione del figlio di uno dei suoi amici più intimi, Tescellino di Fontaines, ebbe qualche effetto per pacificare l’offeso Ugo duca di Burgundia. Ma in ogni modo in breve tempo non solo Citeaux era fermamente stabilita nel suo diritto, ma era in grado di fare la sua prima fondazione, La Ferté. La chiesa de la Fertè fu consacrata nel 1113. Nel 1114 fu fondata Pontigny, in un’ampia fertile valle nelle vicinanze di Auxerre. Nel 1115 san Bernardo fu inviato a fondare a Clairvaux, mentre Morimondo, la quarta delle abbazie delle origini che sarebbe servita come base dell’Ordine, venne alla luce nello stesso anno.

Avendo consultato i superiori di queste quattro case Stefano stese il famoso documento conosciuto come Carta di Carità (PL 166,117) Qui in poche pagine di pensiero potente e conciso il grande abate stese le linee di base secondo le quali si sarebbe sviluppato l’Ordine cistercense, e la primissimo cosa che ebbe a dire fu che i monasteri provenienti da Citeaux e dipendenti da Citeaux in tutta la realtà spirituale, dovevano essere legati insieme, non semplicemente da legami sociali e utilità materiali, ma dalla carità soprannaturale. L’oggetto della loro unione non è semplicemente il benessere materiale di ciascuna comunità individuale; ancor meno sarebbe stato permesso all’Ordine di degenerare in un sistema in cui la arciabbazia portava avanti lo sfruttamento economico di un vasto territorio attraverso le case da lei dipendenti. Al contrario, se dovevano esser connessi insieme in un ordine ciò era sempre nella prospettiva del loro fine ultimo nella vita: l’unione con Dio, la contemplazione in questo mondo, la vita di gloria nell’altro. Ma qual è il mezzo principale che Dio ha dato loro per raggiungere questo duplice fine? La Regola di san Benedetto.

Qual è la connessione tra la Carta Caritatis e la Regola di san Benedetto? È qualcosa di aggiunto alla Regola? No, è semplicemente un’applicazione pratica della regola per un gruppo particolare di comunità religiose che costituisce un ordine. È un manifesto che dichiara che tutte le case di quest’Ordine interpreteranno la Regola nello stesso senso di Citeaux, che tutte faranno uso degli usi e costumi di Citeaux, e degli stessi libri liturgici... Da nessuna parte in questo documento troviamo una traccia di affermazioni bellicose del tipo che i cistercensi hanno l’interpretazione migliore o più letterale della Regola. A Santo Stefano non interessa il paragone con Molesme o Cluny. Non sta cercando di eclissare competitori monastici. Il suo scopo nell'emettere questo manifesto è di garantire la conservazione di quella pace e armonia e concordia senza le quali la vita contemplativa sarebbe assolutamente impossibile. Egli prevede che problemi e questioni riguardo alla Regola sorgeranno necessariamente e vuole provvedere di mezzi per sistemarli senza dispute non necessarie e custodendo l’osservanza letterale della Regola contro le mitigazioni da una parte, e le severità eccentriche dall’altra. In altre parole la Carta di Carità ci aiuta a proteggere e a favorire la vita contemplativa nel nostro Ordine in primo luogo assicurando una vera pace tra tutti i suoi membri, in secondo luogo garantendo che la Regola, il mezzo per arrivare alla contemplazione dato da Dio a questo particolare gruppo di monaci, dovrebbe esser mantenuta in tutta la sua purezza.

Oltre a questa interdipendenza spirituale le case dell’Ordine dovevano mantenere la loro autonomia specialmente nella sfera economico e materiale. Non si sarebbe mai presentato il caso di una casa madre che viva sul lavoro dei monaci di una comunità figlia, eccetto naturalmente in caso di qualche emergenza. La legislazione prevedeva che tutte le case avrebbero dovuto contribuire all’aiuto di qualsiasi comunità fosse caduta in gravi difficoltà economiche. Ma Santo Stefano mise a punto un congegno semplice e potente per proteggere l’osservanza della Regola e degli Usi in queste case — un sistema che andò avanti meravigliosamente bene per parecchi secoli; certamente la prova più sicura dell’efficacia di questo sistema è il fatto che il trascurarlo è stata una delle principali ragioni del declino dell’ordine. L’autorità suprema dell’Ordine non era l’Abate di Citeaux, ma il Capitolo Generale, i cui membri erano i Superiori di tutti i monasteri dell’Ordine e che si incontrava annualmente a Citeaux nella Festa dell’Esaltazione della Santa Croce. La questione principale per il capitolo Generale era quella di approvare la legislazione che chiarificasse questioni di osservanza regolare, ma soprattutto correggere tutte le deviazioni dalla Regola e dagli Usi nelle diverse case dell’ordine, e punire i trasgressori. Il Capitolo Generale fu anche autorizzato a scomunicare l'Abate di Citeaux e tutta la sua comunità, se ne fosse sorta la necessità. Il Capitolo Generale comunque non sarebbe mai stato in grado di funzionare in modo corretto senza l’aiuto delle visite regolari annuali prescritte per ogni casa, che dovevano essere compiute o dall’abate di Citeaux o dai Padri Immediati delle diverse comunità, cioè dagli abati delle loro case madri. Era sui risultati dei visitatori che il Capitolo Generale basava le sue decisioni e la sua legislazione.

Con la fenomenale diffusione dell’Ordine Cisterciense nella prima metà del XII secolo (51 case furono acquisite dall’ordine nel 1147 e alla morte di san Bernardo nel 1153 c’erano 342 abbazie nell’Ordine, diffuso in tutt’Europa, dalla Norvegia alla Spagna e dalla Francia all’Ungheria e anche alla Palestina, sarebbe parso difficile portare avanti questo sistema di visite con la regolarità desiderata. Al contrario comunque, uno sguardo agli Statuti del Capitolo Generale per il XII e XIII sec mostrerà — dai dettagli delle punizioni e correzioni imposte agli abati anche delle case più remote — e specialmente in queste case — che le visite erano state condotte in perfetto ordine e con tutti i loro desiderati effetti. I registri delle case cistercensi in Inghilterra e Galles mostrano ampie testimonianze dell'attività dei visitatori nella deposizione degli abati da parte dei visitatori. Il Galles, essendo un territorio remoto e abbastanza selvaggio possedeva un gruppo di monasteri cistercensi ampiamente reclutato tra gli alpinisti del Galles, e queste case, a causa del loro isolamento e della peculiarità dei loro abitanti erano una spina nel fianco dei Capitoli Generali. Ma noi non sapremmo nemmeno questo se questi monasteri non fossero stati costantemente e regolarmente visitati e se i problemi presenti in essi non fossero stati affrontati prima del Capitolo e sommariamente corretti da severe misure (David Knowles, The Monastic Order in England 638-1658 (Cambridge University Press, 1940). Nell’anno 1188 leggiamo anche di una discesa di visitatori speciali dall’Inghilterra, inviati dal Capitolo Generale. E quando Giovanni abate di Fountaines, mancò di fare una visita alla sua fondazione di Kysakloster in Norvegia fu severamente penalizzato dal Capitolo Generale, anche se poteva avere una scusa per aver omesso la visita a causa delle difficoltà politiche che avevano portato alla soppressione del suo stesso monastero da parte di re Giovanni Lackland (Cf Knowles).

Gli stessi argomenti sono stati sollevati per suggerire che la presenza al Capitolo Generale è stata trascurata da molti abati, o era davvero impossibile. Non nell’età d’oro dell’Ordine. Gli Abati che mancavano alla presenza al Capitolo Generale ricevevano severe punizioni, e la maggior parte di loro era così desiderosa di esse presente a Citeaux alla festa dell’esaltazione della croce che a volte si legge di superiori che intraprendevano lunghi e difficili viaggi malgrado la loro cattiva salute, e che pure morivano sulla via per andare o per tornare dal Capitolo.

Fu anche sotto la diretta supervisione di Santo Stefano che fu compilato il libro degli Usi o Consuetudini, tra gli anni 1120 e 1125. Il principale interesse degli Usi è assicurare la perfezione del servizio del coro e delle funzioni liturgiche in chiesa ed è questo che occupa il maggior spazio del volume. In molte situazioni in cui la Regola non ha nulla di definito da prescrivere, come i dettagli delle posizioni in coro durante gli Uffici e la Messa conventuale, gli Usi cistercensi seguono gli usi di Cluny, che in questa materia sono molto simili alle altre sistemazioni di usi monastici conosciuti nel primo Medio Evo. Comunque in tutte le caratteristiche importanti della vita monastica, specialmente nella celebrazione della santa Messa e nella distribuzione delle attività durante la giornata gli Usi cistercensi rappresentano una drastica semplificazione di tutto quello che Cluny praticava e ammirava. Liturgicamente i cisterciensi continuarono a basarsi sul rito Gallicano, specialmente quello della chiesa di Lione, ma i loro riti erano immensamente semplificati e purificati dalle superfluità in paragone con quelli di Cluny. Ma la differenza maggiore tra gli Usi di Citeaux e quelli di Cluny sono quelle che riguardano il lavoro manuale, il silenzio, il digiuno, l’astinenza e la povertà monastica.

Nel 1133 santo Stefano all’età di circa ottant’anni, e avendo completato il suo lavoro, diede le dimissioni dall’ufficio abbaziale a Citeaux per passare i suoi ultimi giorni in preparazione per l’eternità, occupato completamente con Dio solo. I suoi fratelli abati molto malvolentieri acconsentirono alla sua richiesta ed elessero un successore un uomo colto e apparentemente capace, l’abate Guido delle Tre Fontane. Per qualche motivo Dio permise che la loro scelta cadesse su un soggetto non buono e Guido dovette esser deposto quasi subito. La causa è stata così gelosamente tenuta nascosta dai padri dell’Ordine che nessuno è mai riuscito a scoprire che cosa fosse, ma il nome di Guido è cancellato dalla lista degli Abati di Citeaux.

Raynardo, uno dei grandi legislatori della Citeaux primitiva, lo seguì nell’incarico, ma santo Stefano non visse abbastanza per vedere i frutti della fatica del suo abile e santo abate. Il patriarca di Citeaux morì il 28 marzo in grande pace e tranquillità. Praticamente la sua ultima parola fu un gentile rimprovero ad alcuni monaci che pensavano non fosse più consapevole e presente e che dichiararono al capezzale del suo letto che era un santo.

L’Ordine mise molto tempo a riconoscere ufficialmente la sua santità. A parte l'ondata di entusiasmo che ha travolto tutte le case cistercensi e portato alla canonizzazione di San Bernardo troviamo che i nostri padri dei primi due secoli della storia dell’ordine si mostrarono singolarmente poco desiderosi di intraprendere cause di canonizzazione anche per l’onore dei nostri santi fondatori. San Roberto fu portato agli onori degli altari largamente grazie agli sforzi di Molesme e altri santi canonizzati cisterciensi ottennero questo riconoscimento nel Medio evo solo perché c’è era il lavoro di secolari che promuovevano le loro cause. Comunque santo Stefano fu finalmente ufficialmente annoverato fra i santi nel 1584, e nel 1625 il capitolo Generale gli diede una festa con dodici lezioni. Al presente (1954) gode di una festa di alto rango nell’Ordine, quella di sermone Maggiore con Ottava, celebrata il 16 luglio, data da Baronio nella data della sua canonizzazione.

 


[1] Thomas Merton, In the Valley of wormwood. Cistercian blessed and Saints of the Golden Age. Nella Valle dell’Assenzio, Beati e santi cistercensi dell’età d’Oro Santo Stefano Harding, Cistercian Publications, n 233, 2013, p. 262-277.

[2] Exordium Magnum, 1, 22.


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18 maggio 2025        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net