San Roberto di Molesme - Fondatore di Citeaux
Thomas Merton
OCS
“Saint Robert: Founder of Cîteaux,” ed. Patrick Hart, CSQ 33 (1998):
Forse la più difficile delle vite dei nostri fondatori cistercensi da ricostruire accuratamente è quella di San Roberto di Molesmes, uno dei tre creatori di Citeaux, e, se non il fondatore e dell’ordine, almeno uno dei principali iniziatori dell’ideale cistercense.
La sua lunga vita, spesa in diversi monasteri e in comunità semieremitiche, è ostacolata da oscuri conflitti con il monachesimo cluniacense convenzionale del suo tempo, e l’apparente fallimento della sua parte personale nell’impresa cistercense, quando fu richiamato a Molesmes dal Legato del Papa, rese questo carattere soltanto più enigmatico per la posterità. Ci sono molte differenti opinioni e spiegazioni delle vicissitudini della sua lunga carriera, e alcuni autori hanno visto i suoi molti cambiamenti di domicilio con un occhio un po’ critico.
Senza entrare nei dettagli della polemica che ha così a lungo avvolto la storia di questo magnifico santo, ci dovremmo accontentare rimanendo il più vicino possibile ai fatti conosciuti, così come ci sono presentati nei documenti del tempo stesso del santo, o degli anni immediatamente successivi alla sua morte. Saremo allora in grado di evitare le confusioni che vennero da una tale profusione d’interpretazioni nel XIII secolo, a proposito della sua carriera e che sono state amplificate dagli storici del diciassettesimo. Per incominciare metteremo in luce l’inizio della sua carriera, successivamente procederemo al periodo più importante della sua vita, la fondazione di Molesmes a Citeaux.
Roberto nacque intorno al 1028 non in una famiglia normanna, come Manrique ci avrebbe fatto credere, ma in una famiglia benestante della Champagne. Suo padre si chiamava Thierry, sua madre Ermengarda e si dice che quest’ultima abbia avuto una visione della Beata Vergine poco prima della nascita di suo figlio, nella quale nostra Signora espresse il desiderio di unirsi in matrimonio al fanciullo non appena fosse nato. Questa pia leggenda appartiene al XIII secolo. Quando Roberto aveva quindici anni entrò nel monastero benedettino di Saint Pierre de Celle chiamato anche Moutier la Celle, e dopo dieci anni divenne priore della sua comunità. Gli anni passarono, e intorno al 1070 S. Roberto, che aveva allora circa quarantadue anni, divenne Abate di S. Miche de Tonnerre.
É da qui che cominciamo a gettare uno sguardo sulla sua personalità e sulla sua speciale vocazione.
Poco tempo dopo esser diventato abate san Roberto fu avvicinato da alcuni eremiti che vivevano nei boschi in una località chiamata Colan, i quali volevano come loro superiore e direttore spirituale. la delegazione di Colan comunque fu mal ricevuta dai monaci di Saint Michel che non permisero loro affatto di vedere il loro abate, e, di fatto, li mandarono via con malevolenza. poco dopo questo fatto afferriamo che S. Roberto lasciò Saint Michele di Tonnerre per un altro monastero, Saint Aiueul (Sant’Agilulfo). In un colpo solo da questo incidente raccogliamo due fatti molto evidenti. San Roberto aveva una certa reputazione come direttore di anime e come superiore religioso poiché i santi eremiti di Colan erano così ansiosi di conquistarlo, e i monaci di San Michele così desiderosi di tenerselo. E in secondo luogo possiamo ragionevolmente inferire che a San Roberto non piaceva molto la vita religiosa così com’era condotta a san Michele di Tonnerre e che non era in nessun modo incline ad abbandonare l’ordinario regime cluniacense per la vita più austera di un eremita.
Di fatto gli eremiti di Colan erano così intenzionati ad averlo come loro abate che andarono a Roma e ritornarono armati di documenti da parte di Papa Alessandro II che fece san Roberto loro superiore. Così nel 1074 egli stabilì la sua residenza nei boschi di Colan.Questa piccola comunità crebbe, in quei tempi, attorno al nucleo di due cavalieri convertiti ed un eremita. I due cavalieri, dice la storia, stavano un giorno cavalcando attraverso quei boschi diretti a una competizione. Benchè fossero fratelli di sangue, se non precisamente poichè fossero fratelli di sangue, il diavolo cominciò a suggerire a ciascuno di loro privatamente l’intenzione di uccidere l’altro per ottenere la sua eredità. Essi non solo resistettero a questo spaventoso suggerimento, ma ritornando per la stessa strada ricordarono con orrore e compunzione quali pensieri ebbero li’, e andarono a confessarli, separatamente, all’eremita che aveva la sua cella là vicino. Poi aprirono il loro cuore l’uno con l’altro e risolsero di lasciare il mondo e dare se stessi a Dio, vivendo come solitari in quei boschi. Nel tempo in cui S. Roberto venne a Colan un altro, o altri due si erano aggiunti al loro numero e si suggerì che uno di questi fosse S. Alberico. Il racconto più abituale è che S. Alberico arrivò a Colan dopo san Roberto.
In ogni caso una delle prime cose che il nuovo superiore fece con la sua comunità di eremiti fu di trasferirsi a un pendio boscoso a Molesmes, dove c’era più spazio per espandersi. Là si stabilirono non più come eremiti, ma come cenobiti, osservando la Regola di San Benedetto. Di fatto per i primi pochi anni la loro vita fu molto più austera di quanto richiedesse la legislazione di San Benedetto. Abitavano in capanne fatte di frasche e avevano molto lavoro pesante nel tenere pulita la foresta e nel cercare di far crescere qualcosa che servisse loro di cibo. La loro povertà era estrema, e spesso non avevano da mangiare niente in assoluto.
Comunque questo stato di cose non durò a lungo.
Un giorno quando la cassetta del pane era vuota e c’era una buona possibilità che facessero la fame. San Roberto disse a un gruppo dei suoi monaci di andare a Troyes ad acquistare un po’ di cibo. L’unica difficoltà di questo progetto era che non avevano denaro con cui fare questo. Quando gli fu fatto notare il santo Abate non si mostrò sorpreso e non mostrò la più lieve intenzione di cambiare il suo ordine. Disse loro ancora una volta di andare in città e di prendere un po’ di cibo: Dio si sarebbe preso cura dell’aspetto finanziario del problema. Così i monaci andarono e la fede di san Roberto fu più che ricompensato. Non appena i monaci scalzi ed emaciati apparvero in città, una parola corse da bocca a bocca e prima che passasse molto tempo furono convocati al palazzo del Vescovo. Questo Prelato (Superiore) aveva già visto qualcosa di Molesmes ed ora si affrettò a provvedere i monaci di tutto ciò di cui avevano bisogno. La sua generosità fu il segnale di un’inondazione di doni da parte di tutte le famiglie ricche e nobili della regione, cosicchè, in un tempo incredibilmente breve Molesmes fu in grado non solo di restituire il debito, ma di diventare una comunità estremamente prosperosa. Acquistò non soltanto molti ricchi appezzamenti di terreno, ma numerose decime, parrocchie, mulini, villaggi e priorati dipendenti.
Il compagno di viaggio di S. Stefano, San Pietro o Pion di Jully fu inviato a una di queste.
É ben conosciuto come a S. Stefano piacque la vita condotta a Molesmes sotto san Roberto, ma non fu il solo santo attirato dalla direzione di questo Santo Abate e al suo monastero.Qualsiasi altra cosa sia stato, nei suoi primi giorni Molesmes era il centro di un fermento di rinnovamento religioso che portava avanti in Champagne lo stesso tipo di lavoro che si era cominciato a fare in altre parti della Francia da San Bernardo di Tiron, San Vitale, il fondatore di Savigny, san Roberto di Arbrissel ed altri.Fu da Molesmes che venne fuori un gruppo di monaci ferventi del desiderio di vivere come eremiti nelle Alpi con san Guerino di Aulps.Ancora più importante fu il fatto che il giovane canonico Bruno, DA Reims, venne a porsi, per un certo tempo, sotto la direzione di San Roberto. Fu il fondatore della grande Certosa e il padre dei certosini. Ma già quando san Bruno venne a Molesmes, attirato dalla reputazione di san Roberto l’abbazia era cresciuta proporzionalmente e aveva assunto un carattere che era alieno ai suoi ideali contemplativi, ed egli spese quel tempo (due anni più o meno) al priorato di Sèche Fontaine, lontano dalla confusione del grande, ricco monastero.
Manrique ed Enriquez, leggendo troppo tra le righe degli storici del XIII secolo hanno presentato l’improvviso declino di Molesmes come una reale decadenza, cosa che certamente non fu. Di fatto dobbiamo essere molto attenti a come usiamo le parole “declino” in questa circostanza. É indubbiamente vero che non appena Molesmes divenne ricco l’austera vita che veniva condotta dai primi fondatori non vi continuò più a lungo, ma semplicemente lasciò il posto agli ordinari e mitigati usi di Cluny, che erano familiari ai molti postulanti nobili che si presentavano non appena il posto cominciò ad avere una reputazione.
Ma quando parliamo degli usi di Cluny come usi mitigati, non dobbiamo guardarli come rilassati o facili, specialmente in paragone con la vita religiosa dei nostri giorni. É sempre molto bene dare qualche frecciatina a Cluny, ma essi mantennero almeno le ore dell’antico digiuno benedettino, non mangiarono mai niente prima di Nona anche in estate, Durante i “digiuni dell’Ordine” non prendevano il loro unico pasto quotidiano fino a metà pomeriggio, e in quaresima aspettavano fino alla sera.
Alcune case Benedettine permettevano la carne, è vero, ma Molesmes quasi certamente non lo fece, anche se permettevano il condimento nel cucinare – una pratica universale. Gli usi di Cluny prescrivevano un peso di preghiere vocali che iniziavano in piena notte e continuavano lungo il corso della giornata, un peso che avrebbe spaventato la maggior parte dei religiosi moderni. In media questi monaci dovevano recitare 138 salmi ogni giorno, praticamente l’intero salterio, anche se spesso ritornavano gli stessi salmi. Di fatto è un’evidenza che questo durissimo peso di preghiere extra, di litanie e di processioni era una delle cose contro le quali i cistercensi stavano reagendo, non perché avessero da obiettare contro le lunghe preghiere come tali, ma perché tutti quegli obblighi extra distruggevano l’armonia dell’equilibrio benedettino della preghiera, del lavoro, e della lettura meditata. Il principale problema con Molesme, e con il sistema di Cluny, nella misura in cui San Roberto ed i suoi simpatizzanti ne erano toccati, può essere riassunto in un’affermazione.
Il monastero di Cluny era diventato troppo importante, come la rotella di un ingranaggio di una complicata società feudale, e i suoi conseguenti contatti con gli affari dle mondo rendevano una vita puramente religiosa e contemplativa estremamente difficile e incerta, tranne in situazioni veramente speciali come per esempio sotto un abate come S. Ugo di Cluny.
In una parola, la maggior parte delle reclute che venivano a Molesmes erano sincere nel loro desiderio di adempiere gli obblighi del loro stato, ma erano inevitabilmente mondane nel loro modo di pensare ed erano piene di pregiudizi e di preconcetti che rendevano inevitabilmente mediocri essi stessi.
San Roberto aveva già mostrato a St. Michel de Tonnerre di essere stanco di un monachesimo compromesso con il mondo e che aspirava a una vita di più pura solitudine e unione con Dio. ed anche in quei tempi c’era una minoranza energica che si faceva sentire nella comunità di Molesmes, composta di uomini che erano anche più determinati di lui a rifiutare tutte le mezze misure. Quando S. Stefano, S. Alberico e gli altri vennero, e posero davanti a San Roberto le loro obiezioni alle condizioni dello stato di cose della comunità, egli fu cordialmente d’accordo con loro, e dopo aver incaricato alcuni monaci di fare uno studio approfondito della questione lo pose liberamente davanti alla comunità. Il benedettino normanno, Orderico Vitale, dà un resoconto completo di ciò che allora traspariva a Molesmes.
Convocati i suoi monaci in capitolo S. Roberto espose loro in poche parole la questione. Avevano fatto voto di essere fedeli alla Regola di San Benedetto, ma, di fatto, stavano osservando quella Regola? C’erano molte cose che loro facevano e che non vi erano prescritte – e con questo egli intendeva cose che erano estranee allo spirito della Regola – mentre molte delle sue prescrizioni erano trascurate o ignorate. La principale di queste era il lavoro manuale, perché non appena non c’era stato più alcun reale bisogno di un lavoro che tenesse insieme corpo e anima i monaci erano ricaduti in occupazioni scolastiche e anche più di queste sotto gli affari burocratici necessari per amministrare le nuove dipendenze e tenute acquisite. Noi tendiamo spesso a idealizzare il monastero di Cluny come una casa per uno studentato, e certamente era così, ma era anche, e spesso in primo luogo un tipo di rete di affari di governo e di uffici in cui il monaco sostituiva il lavoro delle mani non con lo studio, ma con gli affari di un impiegato statale feudale.
E fu a questo punto che san Roberto, secondo Orderico, usò il linguaggio più forte.
Per quanto non si sostenessero con il lavoro, e avessero un tenore di vita benestante, migliore di quanto non permettesse la Regola, come sarebbe stato possibile questo? Non era di fatto vero che si stavano nutrendo con le loro decime e con lo sfruttamento delle terre e del povero, sul sangue di altri uomini? Era sua convinzione che avrebbero dovuto dar via tutto questo e seguire l'esempio degli antichi eremiti, vivendo una vita di povertà, fatica e preghiera.
La replica che Orderico attribuisce ai monaci (e il suo riassunto della disputa è credibile) merita di essere attentamente studiata, anche solo per il fatto che la sua logica è così vicina agli argomenti familiari ai religiosi ai nostri giorni, così ostili alla penitenza e alla mortificazione.
Cominciarono col dire che stava chiedendo l’impossibile. Stava cercando di farli tornare indietro alle austerità della Tebaide, che erano superiori alle forze degli uomini del loro tempo. Inoltre una vita così rigorosa non era più necessaria nella chiesa: il paganesimo era stato superato, e la chiesa era in pace. Simili penitenze non erano più necessaire per far scendere speciali grazie sul mondo. Inoltre – e questo era il loro argomento più forte – stavano vivendo secondo usi che erano stati approvati dalla Chiesa, e che certo, erano stati messi in atto da uomini che erano non solo direttori di anime prudenti e lungimiranti, ma che erano certo, santi canonizzati. Dopo tutto, dicevano, non era ragionevole indossare abiti più caldi in un clima freddo? La Regola stessa prevedeva simili varianti. Inoltre nella Francia del Nord non c’erano piante di olivi e allora nel cucinare doveva essere usato lo strutto. Perciò se si disponevano a pregare per il mondo dovevano essere sostenuti dal mondo. Certamente da Carlo Magno re e principi avevano provvisto i monasteri con sempre crescente generosità, stabilendo che in cambio dovessero esser dette per loro certe preghiere; era ragionevole assumere questi obblighi e gli emolumenti che venivano insieme a questi.
E così la discussione andò avanti. Divenne presto chiaro che non c’era molta possibilità di risolvere il problema con una riforma a Molesmes stesso. San Roberto e il suo partito erano assolutamente convinti (e tutti i documenti primitivi, anche i più tardivi, sono perfettamente d’accordo su questo) (Nota: vedi specialmente EP 2 e 3 attribuito a Stefano Harding) che gli usi di Cluny fossero seriamente in disaccordo con la lettera della Regola e che vivere secondo questi usi non era certamente condurre vita contemplativa come il grande patriarca aveva predisposto. Di fatto vivere secondo questi usi avrebbe potuto anche implicare una prevaricazione contro i loro santi voti. Non si dovrebbe evincere da questo, che san Roberto sentiva che gli usi di Cluny erano degeneri o inutili. L’uomo che li osservava sarebbe stato senza dubbio un buon cristiano. Ma sarebbe stato un benedettino, un contemplativo, un uomo di povertà e solitudine, di lavoro e preghiera? Avrebbe raggiunto quell’intima unione con Dio a cui i primi padri del nostro Ordine aspiravano così ardentemente?
Sia stato o no un risultato di questa discussione nella comunità sorse un dissenso che costrinse san Roberto a ritirarsi temporaneamente, intorno al 1093, in un altro eremo chiamato Aux, o Haur, non sappiamo dire con certezza. Tutto ciò che sappiamo è che lasciò la sua comunità. Dire, come alcuni hanno detto, che il suo Priore, S. Alberico, nell’assumere l’amministrazione della casa, tentò di rafforzare le sue idee di riforma e fu allore che fu abbattuto e imprigionato per punizione non è che una congettura. Sembra più probabile che la bastonatura e l’imprigionamento riferiti dall’Esordio Parvum venissero più tardi (Ep 9) in ogni caso l’esordio ci dice apertamente che il motivo di questo fu lo zelo di Alberico di cercare adepti per il nuovo monastero, e non di riformare il vecchio. In ogni caso la questione venne a capo nel 1097 e san Roberto condusse una delegazione di ferventi riformatori per vedere il legato del Papa, Ugo, per ottenere il suo permesso di lasciare Molesmes, e istituire altrove la loro riforma. La lettera di Ugo riconosce chiaramente che non sarebbe stato possibile per loro osservare la Regola così strettamente come avrebbero voluto fare a Molesmes, e li autorizzò a partire.
Nella festa di san Benedetto, il 21 marzo 1098 che era anche la Domenica delle Palme, un gruppo di 21 monaci da Molesmes stabilì la sua dimora in un tratto paludoso di boschi chiamato Citeaux, nella diocesi di Langres, non lontano da Digione. Era un luogo selvaggio e desolato, ma sulla proprietà c’era già una piccola cappella, e presto i monaci avevano eretto ripari di frasche e di rami, come quelli che erano comparsi agli inizi di Molesmes nei poveri venticinque anni prima.
Dopo un po’ Rainaldo di Beaune e Odo, Duca di Burgundia vennero in aiuto all’eroica comunità con sovvenzioni di terre e doni di bestiame, ma per molto tempo i monaci erano destinati a vivere in grande povertà. San Roberto intanto era stato eletto abate, e istallato dall’ordinario del luogo. Sfortunatamente i monaci di Molesmes non avevano intenzione di accettare questa secessione senza resistenza, ed era abbastanza evidente che dopo la partenza dei riformatori per il Nuovo Monastero Molesmes era in agitazione. Mandarono presto una delegazione a Ugo, chiedendo il ritorno di San Roberto, e apparve chiaramente dalle trattative che ebbero, che i monaci di Molesmes non avevano di mira solo il ritorno del loro abate, ma lo scioglimento della nuova comunità, la cui sola esistenza gettava una tale macchia sul loro onore monastico. Il legato mise l’intera questione nelle mani del papa, Urbano II, che fece conoscere che egli desiderava che Roberto tornasse a Molesmes, dal momento che era l’unico modo per ottenere un ritorno alla pace e una relativa regolarità per quella casa, ma indicava anche che desiderava che la nuova comunità continuasse indisturbata. Ugo trasformò il desiderio del papa in un ordine più o meno formale, e san Roberto, in umile obbedienza lo mise in atto.
I suoi critici sono andati così ontano da suggerire che la sua età avanzata gli aveva reso impossibile portare il peso della nuova fondazione e che aveva accettato volentieri quella decisione; certamente alcuni hanno anche presunto che i monaci di Molesmes si presentarono al Legato con la connivenza di Roberto. La risposta a quest’accusa è che deve essere segnata in un foglio d’inesattezze nel racconto di Guglielmo di Malmesbury, che nella sua abituale ansietà patriottica di esaltare il suo conterraneo, Santo Stefano Harding, fa apparire san Roberto meschino in paragone; ma fa questo senza alcuna prova valida.
Al contrario l’intera vita di san Roberto, almeno ciò che noi conosciamo di questa dal momento della sua partenza da san Michel de Tonnerre, rappresenta uno sforzo costante di allontanarsi dalla mitigazione e abbracciare una vita di più grande austerità e sacrificio. É pensabile che, ora che aveva finalmente realizzato il suo sogno, avrebbe gettato via il frutto del lavoro della sua intera vita? É invece abbastanza chiaro che questa sua rinuncia finale, in obbedienza all’autorità del Papa, era il sacrificio che coronava la sua carriera.
Per completare la sua storia dalle pagine del suo biografo del XIII secolo: non tutti i monaci di Molesmes ebbero motivo di rallegrarsi con se stessi per il ritorno di san Roberto. Una volta che il santo Abate disse al servente del refettorio di dare un po’ di pane a un povero e questi gli disobbedì, San Roberto prese il pane e lo gettò nel fiume piuttosto che permettere a suoi monaci di mangiare ciò che apparteneva a Cristo in un suo povero. Ma sotto la sua guida Molesmes si assestò ancora una volta in una condizione di pace, e Citeaux, attraverso le sagge mosse di S. Alberico e la protezione della Santa Sede fu messo fuori dalla portata di qualsiasi animosità che potesse essere rimasta negli elementi turbolenti della comunità o della nobiltà locale, loro parenti. San Roberto morì il 17 aprile 1111, all’età di novantatré anni, sessantasei di vita religiosa e quarantaquattro come abate.
All’inizio del XIII secolo i monaci di Molesmes cominciarono a promuovere la causa della sua canonizzazione, nella quale ricevettero il sostegno cordiale del Capitolo Generale di Citeaux e San Roberto fu elevato agli onori degli altari da Onorio III nel 1222 attraverso la beatificazione, che in quei tempi era l’equivalente di una canonizzazione informale. La sua festa si celebra ora nell’Ordine cistercense il 29 aprile che normalmente non coincide con la settimana di Pasqua.
Anche se san Roberto spese soltanto sedici mesi a Citeaux, possiamo dire con sicurezza che senza di lui non ci sarebbe stato l’Ordine Cistercense. Fu lui che, come Abate di Molesmes attirò a sé le anime ferventi che avrebbero più tardi formato il nucleo della grande riforma.
Certamente S. Alberico e Santo Stefano avrebbero amplificato e concretizzato l’ideale che era sempre rimasto in qualche modo indefinito e mezzo abbozzato nella mente di San Roberto, ma è da lui che sorse l’ispirazione originale. Fu veramente il padre di Citeaux e la cosa che noi, suoi figli possiamo meglio imparare da lui è il suo odio per ogni compromesso. Veramente quelli che hanno dipinto san Roberto come in conflitto con monaci decadenti e completamente sregolati hanno frainteso il punto centrale della riforma cistercense.
La grandezza dell’ideale di San Roberto è che gli usi monastici di Cluny, che non erano cattivi, ma buoni tanto quanto possibile, non erano per lui abbastanza buoni. Il fatto che le mitigazioni di Cluny fossero tutte sancite dall’autorità competente, e anche che avevano speciosi motivi di prudenza dalla loro parte, non lo convinceva abbastanza. Voleva dare a Dio tutto e questo è lo scopo del nostro Ordine: la completa immolazione di corpo, mente e volontà a Dio, senza compromesso. I monaci di Cluny cercarono di modificare la lettera della Regola secondo la “prudenza” senza perdere il suo spirito. San Roberto e i suoi compagni credevano, come anche un grande abate della Riforma Cistercense dei nostri giorni, che la via migliore per mantenere lo spirito della Regola è aderire alla lettera il più perfettamente possibile.
Ritorno alla pagina sulla "Carta Caritatis"
Ritorno alla pagina iniziale "Regole monastiche e conventuali"
| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |
| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |
18 maggio 2025
a cura di Alberto "da Cormano"