SANT’ ALBERICO, L’ABATE DI CITEAUX [1]

Thomas Merton, OCSO

Estratto dal sito “https://www.vitanostra-nuovaciteaux.it”

Associazione Nuova Citeaux - 28 gennaio 2023

 

I tre fondatori

Dei tre è il meno conosciuto, non sappiamo realmente da dove è venuto e chi era, abbiamo solo una mezza dozzina di fatti reali sulla sua vita: ma ciò che possediamo basta a mostrare un carattere di notevole energia, santità e abilità amministrativa. Vediamo un lavoratore instancabile e capace di sacrificio, un uomo dalle decisioni sicure, veloci e senza compromessi, un pensatore eccezionalmente chiaro, soprattutto vediamo un uomo che brucia d’amore per Dio e la vita monastica secondo la Regola di san Benedetto e che non aveva paura di soffrire per questo ideale.

In una parola: l’Ordine Cistercense è fondato sopra Alberico come sopra una roccia. La prima iniziativa di rompere con i gli antichi Usi tradizionali cluniacensi viene da san Roberto, mentre la vasta e potente struttura dell’Ordine nel suo insieme sgorga dal genio di santità di Stefano Harding.

Ma anche Alberico è la roccia su cui Citeaux fu costruita. Santo Stefano stesso descrive Alberico nell’Exordium Parvum come un uomo ben versato nelle scienze sacre e secolari, un amante della Regola e dei fratelli

Un amante della Regola, cioè un amante di Dio. Perché la Regola fu per i fondatori dell’Ordine la via veloce e sicura verso Dio, a patto di essere osservata alla lettera.

E poi è chiamato un amante dei fratelli.

L'Exordium Parvum è uno dei più concisi documenti della storia del monachesimo. Fu preparato da santo Stefano Harding su richiesta del Papa Callisto II e neppure una parola in esso è inutile o fuori posto. Perciò il lettore ha il diritto, anzi è obbligato, ad esaurire tutti i volumi che sono impliciti in quest’unica frase: un amante della Regola e dei fratelli. Chi studiò l’ascetismo cistercense sa che la carità fraterna ha un’immensa importanza nello schema cistercense della contemplazione, ed allora non c’è da sorprendersi nel trovare questo valore come una delle fonti di ispirazione dei primi Padri dell’Ordine.

 

Alberico e Cluny

Ma quale fu la vita di Alberico? Egli dapprima apparve sulla scena come eremita a Colan, la piccola comunità che umilmente chiese, e ottenne attraverso l’intervento papale, san Roberto come Abate e direttore, quando questi era ancora superiore a St Michel di Tonnerre. Colan era un luogo isolato e boscoso nella Champagne, e alcuni eremiti si erano recentemente costituiti là in comunità. Non è sicuro se sant’Alberico si sia unito a loro prima o dopo l’arrivo di san Roberto, normalmente si pensa che arrivò poco dopo, in ogni caso aveva raggiunto già il gruppo prima che si muovessero verso un luogo più spazioso vicino a Molesmes

Là la piccola comunità trascorse diversi anni in completa povertà riuscendo a reggere un tenore di vita precario e una rendita dalla vicina foresta, abitando in case costruite con il legno degli alberi.

Ma la loro vita era una vita di intensa pace e felicità, perché possedevano Dio. Certamente

Alberico non dimenticò mai la gioia di questi giorni, in cui imparò che c’era una cosa che non si doveva mai dimenticare: la benedizione di coloro che lasciano tutto e prendono la loro croce per seguire Cristo senza compromesso, senza contrattare, senza il minimo rifiuto.

Questa felicità non durò, ma la colpa non è imputabile ai monaci o al loro superiore. Accadde semplicemente che nessuno di loro fosse abbastanza preparato all’ improvvisa prosperità che capitò loro addosso entro pochi anni dalla loro prima fondazione, nel 1075. Trascorsero appena cinque anni prima che Molesmes divenisse un monastero ricco e potente, con priorati dipendenti in tutte le province vicine, governando parrocchie, raccogliendo decime, mulini, panifici e fattorie, che erano stati dati loro dall’amichevole nobiltà locale. Ma in cambio, il monastero scoprì che non solo che aveva reclutato un gran numero di questi nobili come propri membri, ma anche che quelli che rimanevano fuori venivano spesso a tenere la loro corte all’interno delle mura del monastero.

In breve: in pochissimi anni la vita era totalmente cambiata dall’ austera vocazione semi eremitica che Alberico aveva abbracciato nella solitudine di Colan, ed era diventata l’indaffarata, elaborata e mitigata routine di una grande comunità.

È difficile dare una idea adeguata del contrasto senza dare una idea della differenza rispetto agli Usi cluniacensi; basti dire che questi erano straordinariamente complessi e nessuna vita religiosa, come noi oggi la conosciamo, offre un paragone adeguato con gli Usi di Cluny.

Una cosa è certa: una buona cosa da fare per capire che cosa non era Cluny è leggere la Regola di san Benedetto. In questo documento tutto è semplicità e chiarezza. La vita è estremamente piana, divisa tra Ufficio Divino, Lavoro manuale, lectio divina o lettura meditata. La dieta era molto sobria, i capi di vestiario dei monaci potevano essere contati sulle dita di una mano e la loro quotidiana tabella di marcia era la semplicità stessa

In un monastero Cluniacense al contrario si conduceva una vita di estrema complessità, in cui persone di differenti gruppi e categorie stavano insieme più o meno armoniosamente, in una routine giornaliera sempre più elaborata

Invece di iniziare la giornata con il Deus in adiutorium del Mattutino canonico, i monaci iniziavano con una processione nella la quale erano aspersi di acqua benedetta; quindi procedevano in processione fino agli altari dei vari santi, dopo questo andavano al coro per quella che era chiamata la trina oratio, che consisteva in gruppi di salmi intercalati da preghiere, totalizzando fino a trenta salmi insieme. Seguivano le preghiere per il re e altre devozioni speciali, e finalmente il vero Opus Dei seguito dall’Ufficio dei morti. Abbastanza spesso dopo un lungo ufficio notturno cantato, c’erano varie litanie e forse un’altra processione e allora i monaci, se c’era una festa, ritornavano a letto. Alzandosi e ritornando in coro per l’ora di Prima, ricominciavano tutti insieme le stesse cose: la stessa processione, il rito dell’acqua santa e la trina oratio. Ogni giorno c’erano due messe e l’Ufficio dei morti così come uno degli Uffici votivi, come quelli della Vergine, della Trinità, o dei Santi. In aggiunta a questo peso incredibile alcuni monaci avevano preso l’impegno di recitare l’intero salterio per un mese, o anche per un anno, secondo l’intenzione di qualche potente benefattore

Allo stesso tempo nel monastero c’era un certo numero di bambini che prendevano parte a qualcuno degli uffici, e che richiedevano l’attenzione di alcuni monaci che dovevano supervisionare la loro educazione. Oltre a questi c’era un vasto numero di monaci incaricati di amministrare le vaste tenute del monastero, e questi erano tropo occupati per venire all’Ufficio, almeno durante le ore del giorno e ne erano permanentemente dispensati. Per il fatto che così tanto tempo era dedicato alla preghiera liturgica il lavoro manuale era impossibile, ed era un dato di fatto che a Molesmes era anche non necessario. Il monastero era più che sostenuto dalle rendite. Così, fuori del coro, i monaci che non dovevano occuparsi nel lavoro manuale dedicavano il loro tempo al lavoro intellettuale.

Anche qui, però, la lettura meditativa e orante prescritta da san Benedetto lasciava il posto a lavori di studio e di ricerca per i quali san Benedetto non aveva previsto niente, e la lectio divina veniva trascurata.

Certo leggiamo di un monastero dove l’Abate aveva dieci diaconi simultaneamente che leggevano ad alta voce il Vangelo ai quattro lati del chiostro, ma questo non era ciò che san Benedetto aveva in mente.

Anche se tenevano i ritmi della Regola, per il cibo potevano sempre contare su una appetitosa varietà di pesci e uova e, in alcuni monasteri veramente rilassati, sulla carne. Non bisogna comunque immaginare che fosse una vita facile. Ma poteva essere chiamata contemplativa? Era la vita di solitudine nella cui pace il rumore del mondo diventa silenzio, così che si può ascoltare Dio che parla all’anima. A volte era così, a volte no.

E per l’intima connessione tra il monastero e la città feudale e le frequenti irruzioni del mondo nel chiostro, la contemplazione era una cosa estremamente precaria.

 

Desiderio di riforma

Non c’è da meravigliarsi, quindi, che quando l’afflusso di postulanti abituati agli Usi cluniacensi, e che non avevano mai immaginato altro, trasformò Molesmes in una seconda Cluny, la fervente minoranza, guidata da sant’Alberico e santo Stefano, cominciò presto a protestare. Le loro proteste non erano le lamentele querule di anime i cui piani erano stati ostacolati, ma la voce della grazia di Dio che li spingeva ad agire in difesa dell’ideale contemplativo che si erano formati sotto la guida del suo Spirito Santo. Ma, sebbene affrontassero il problema con la mitezza e la moderazione della carità, erano fermi nel riconoscere l’abuso per quello che era.

Tutti i documenti e le prime testimonianze dell’evento sono unanimi nel concordare che i riformatori ritenevano non solo che gli usi cluniacensi non fossero abbastanza buoni per loro, ma negavano apertamente che fossero in accordo con la lettera o lo spirito di san Benedetto. Spesso tra di loro, dice l’Exordium parvum, che tutti le principali fonti concordano nel dire che fu scritto da santo Stefano Harding, questi monaci sotto l’ispirazione della grazia di Dio parlavano della trasgressione della Regola di san Benedetto, (EP3) che si aveva a Molesmes. Senza smettere di chiederci se essi credessero veramente che la vita cluniacense implicasse una condizione di perenne prevaricazione contro i voti di obbedienza «secondo la Regola di san Benedetto», siamo costretti ad ammettere che tutti loro credevano che questi usi fossero completamente estranei alla vita di preghiera austera e semplice per la quale il grande legislatore aveva scritto la sua Regola.

Alberico e Stefano, di conseguenza, si rivolsero a san Roberto, il loro Abate, che li ascoltò volentieri, non solo per rispetto di Alberico, che era suo priore e amico fidato fin dai tempi di Colan, ma per il completo accordo con ciò che avevano da dire. E, come risultato di questa conversazione, convocò la comunità in Capitolo e pose la questione davanti a loro. Ne seguì una discussione più o meno amichevole dalla quale, tuttavia, traspariva che gli elementi a favore dello stile di vita più mitigato erano la maggioranza e che essi non volevano essere distolti dai loro speciosi argomenti a favore della vita mitigata. Era l’unica forma di monachesimo che conoscevano, e credevano sinceramente che qualsiasi forma più austera fosse semplicemente un’esagerazione eccentrica. Accusavano il loro Abate di pretendere l’impossibile dagli uomini del loro tempo e di imporre loro le fantastiche austerità degli antichi Padri del deserto. Tutto ciò che era fuori moda non faceva per loro e, a loro parere, la cosa più prudente da fare era di mantenere questi usi, formulati da saggi direttori d’anime, santi canonizzati e approvati dalla Chiesa. Qualsiasi altra cosa sarebbe stata presunzione. (Vita Oderical, Hist. Ecclesiastica, PL 188: 638.16)

Non sappiamo se tutto questo avvenne nel 1093 o nel 1094, quando san Roberto lasciò Molesmes per l’eremitaggio di Aux. La situazione diventava difficile? S. Roberto, realizzando la difficoltà di portare avanti la riforma a Molesmes, decise di abbandonare il progetto, e di pensare alle necessità della propria anima ritirandosi in eremitaggio. È certo che questa partenza indica che c’erano dei dissapori con i suoi monaci e, nell’ipotesi più favorevole, che c’era qualcosa da fare con quelli che iniziavano il movimento di riforma. Comunque fu in questo tempo che sant’Alberico, rimase in carica a Molesmes come priore soffrendo la violenza fisica e la prigionia di cui parla lExordium parvum. (EP9)

Sappiamo, tuttavia, che diversi anni dopo, quando la riforma era ben avviata, san Roberto guidò una delegazione, che comprendeva sant’Alberico e santo Stefano, da Ugo, il legato papale, e gli sottopose il loro caso. Il legato era d’accordo con la loro affermazione che non stavano seguendo la Regola come dovrebbe essere seguita quae tepide ac negligenter in eodem monasterio tenueratis (EP 2) e convenne anche che, se avessero voluto farlo, avrebbero potuto lasciare Molesme e stabilirsi altrove. Per questo non solo diede il suo permesso ma, più attivamente, il suo comando: ut in hoc perseveretis praecipimus. (EP2)

 

L’attuazione della riforma

Era abbastanza chiaro, da questo momento, che i desideri della minoranza fervente di Molesmes erano certo ispirati dallo spirito di Dio e che era certamente volontà di Dio che trovassero un nuovo monastero dove la RB fosse osservata. Ritornati a Molesmes i monaci cominciarono a convocare gli altri membri della comunità, reclutando candidati per il nuovo monastero.

Il più zelante era Alberico e il fatto che fosse addirittura picchiato e imprigionato sembra implicare che l’abate in quel momento fosse assente.

Ma, in ogni caso, il temperamento dei cavalieri, recentemente convertiti molti dei quali non erano probabilmente troppo intelligenti e che si sentivano insultati e un po’ provocati da ciò che loro consideravano eccentricità e fanatismo, esplose e si vendicarono sull’unico che consideravano responsabile dell’intera questione. Il fatto di ricorrere a questo tipo di violenza completamente illegittimo, prova definitivamente la verità dell’accusa che il loro spirito di osservanza e di preghiera fosse solo superficiale. Erano sicuramente uomini seri e sinceri, e desideravano vivere i loro voti, così come li comprendevano, ma nel loro zelo c’era molto della natura umana e dei pregiudizi sociali che non avevano mai abbandonato a dispetto dell’abito che indossavano L’ultima cosa al mondo che avrebbe cambiato il pensiero di un uomo come Alberico era l’ingiustizia e la violenza ed egli, fermo nelle sue convinzioni, era probabilmente il più determinato e il meno compromesso di tutti quelli che lasciarono Molesmes per gli acquitrinosi boschi di Citeaux alla fine del 1098.

 

Il luogo

La leggenda dice che trovarono il posto vagabondando più o meno inutilmente intorno finché si udì una voce dal cielo che diceva cientavus, il locale dialetto per dire: ferma qu, oppure in latino siste hic. Qualcuno pensa che la parola Citeaux venga da qui, ma è più probabile che essi avessero in mente un posto più o meo definito prima di cominciare e che l’etimologia più ragionevole per la parola Citeaux è che essa derivi da certe radici chiamate cistel che crescevano lì. Dopo tutto il nome Citeaux era di origine locale ed era un nome Burgundo, e dovrebbe essere scritto in dialetto. Questo è una prova contro la spiegazione ingenua che Cistercium venga dal latino cis e tertium, e cioè il luogo della terza pietra miliare. Oltre ad essere vago e complicato, e troppo astratto per un normale toponimo, dobbiamo ricordare che Citeaux è il nome originale e che è franco mentre Cistercium è semplicemente una latinizzazione di Citeaux e che non ci si guadagna nulla a cercare una particolare etimologia latina. Ancora Guglielmo di Malmesbury, scrivendo al tempo di santo Stefano Harding, si riferiva ai monaci del nuovo monastero come cistellenses, cosa che non avrebbe fatto se avesse accettato che allora il nome del luogo fosse Cistercium.

Citeaux era sulla proprietà del visconte Reynard di Beaume ed era un vasto tratto di terra boscosa circondato da campi coltivati ed attraversato da tre piccoli corsi d’acqua.

Sulla proprietà c’era una piccola cappella dedicata a Maria, ma nell’insieme si trattava di un luogo abbastanza selvaggio e desolato. Era esattamente ciò che i monaci cercavano! Tutti i documenti ufficiali, la corrispondenza con il legato, e, alla fine, con il Papa, indica che il loro scopo maggiore era di andarsene il più lontano possibile dalla società feudale, dal monachesimo convenzionale, e da tutto ciò che chiamavano: “mondo”. Si pensa spesso che i primi cistercensi scegliessero luoghi abbastanza selvaggi e lontani per i loro monasteri perché erano amanti della natura; ma era piuttosto il contrario. Gli uomini del medioevo erano abbastanza unanimi nella loro antipatia per simili luoghi e li evitavano non solo a causa dei briganti e delle bestie selvatiche. I cistercensi sceglievano questi posti perché erano appunto convinti che il popolo li avrebbe lasciati liberi nella foresta.

Quando Walter, vescovo di Chalon, ordinario del luogo, impartì a san Roberto la benedizione abbaziale, anche Alberico fu installato come priore e santo Stefano Harding fu scelto come sotto priore, ma prima che fossero trascorsi sei mesi san Roberto fu costretto dall’obbedienza a ritornare a Molesmes e in una nuova elezione Alberico divenne Abate, carica che non aveva nessuna voglia di assumere.

Comunque si assunse con grande coraggio il difficile compito di governare una piccola comunità. Non c’era soltanto il duro lavoro per dissodare la terra per poterla coltivare e, senza dubbio, anche quello necessario per l’irrigazione, ma la responsabilità molto più importante e difficile di collocare il nuovo monastero in una chiara posizione giuridica.

 

L’approvazione della Santa Sede

Le macchinazioni di Molesmes contro di loro chiaramente non sarebbero finite con la nuova chiamata di san Roberto. I monaci del loro precedente monastero stavano facendo del loro meglio per suscitare antipatia contro i riformatori, criticando e disprezzando i loro ideali e scopi, e nessuno sapeva quale sarebbe stato il prossimo passo. Non era certamente una novità impiegare la violenza contro un gruppo isolato di monaci senza difesa e sant’Alberico non si sarebbe sorpreso di veder il loro piccolo monastero di legno, dato alle fiamme dai parenti dei loro precedenti fratelli in religione.

Di conseguenza Alberico cercò di procurarsi lettere di raccomandazione, da Gualtiero, Vescovo di Chalons, dal delegato apostolico Ugo e dai due cardinali. Con questi documenti armò due monaci Giovanni e Idboldo e li spedì a Roma.

Pasquale II replicò con la lettera apostolica del 18 aprile confermando il loro desiderio di condurre una vita strettamente benedettina in qualche luogo distante da Molesmes e offrendo loro la piena protezione di Roma in termini non ambigui. Chiunque avesse molestato i cistercensi sarebbe incorso nella scomunica. Il santo Padre concluse congratulandosi con loro per la loro riforma e col dare loro il proprio sostegno nel linguaggio più forte facendo pressione perché perseverassero nella loro decisione di svuotare la loro mente di tutte le cose per dedicarsi solo a Dio e vivere vite assolutamente dedicate a Dio, senza alcun compromesso.

 

Le fondamenta dei nuovi Instituta

S. Alberico era libero di dedicarsi al lavoro più importante di tutti: gettare le fondamenta per nuovi usi in accordo con ciò che volevano vivere. Alberico era stato forse quello che si era espresso con più forza nel criticare gli usi di Cluny, ma non è possibile semplicemente scansare tutti gli usi e vivere con la sola Regola; c’erano talmente tante interpretazioni della regola di san Benedetto che era anche necessario fare chiarezza su ciò che loro intendevano per «osservanza letterale». Era assolutamente necessario un ben definito corpus di statuti che rendesse la loro posizione e i loro scopi non fraintendibili né per loro stessi né per i loro successori. In molti dettagli cerimoniali che la Regola non copre, i cistercensi mantennero semplicemente ciò che avevano sempre conosciuto a Molesmes e che era stato sempre più o meno uniforme in tutti i monasteri benedettini per molti secoli. Ma l’essenza degli usi di Cluny fu completamente rifiutata, così che le consuetudini di Citeaux descritte da santo Stefano ci danno il quadro di una forma di vita profondamente diversa da quella che si conduceva in un monastero di Cluny. Alberico ebbe cura di tagliar via l’essenza dell’osservanza di Cluny per mezzo dei suoi Instituta.

 

Abiti

La prima cosa di cui si occupò fu il problema dell’abbigliamento. Sebbene san Benedetto permettesse modifiche in base alle differenze di clima, i cistercensi non intendevano avvalersi di questo permesso. Il Santo, normalmente, permetteva solo che i monaci che andavano in viaggio indossassero biancheria intima. Perciò i Cistercensi affrontavano le difficoltà dell’inverno settentrionale con il guardaroba prescritto dal Patriarca per l’Italia - anche se le montagne d’Italia non sono affatto calde in inverno. Avevano semplicemente una tunica, uno scapolare e un cappuccio, calze e scarpe. Questo era tutto. Ma che contrasto con i cluniacensi, infagottati nei loro mantelli foderati di pelle di pecora, con le loro sciarpe e i loro cappotti, le loro camicie di lino e le loro mutande, con le loro scarpe da giorno e le loro calzature da notte, e il loro abbondante corredo di coperte e trapunte sui letti! Sant’Alberico non dimenticò nemmeno di proibire l’uso dei pettini. Al lettore moderno questo potrebbe sembrare un esempio di barbarie gratuita: ma sant’Alberico sapeva cosa stava facendo, perché pettinarsi i capelli e la barba aveva assunto lo status di un pezzo di rituale minore negli usi cluniacensi: c’era un momento speciale della giornata in cui tutti i monaci andavano a pettinarsi la barba e i capelli, e un altro in cui tutti i bambini del monastero si pettinavano allo stesso modo. I cistercensi avevano la testa rasata abbastanza spesso da rendere inutile tutte queste pettinature.

 

Alimentazione

L’elemento successivo della lista era la dieta dei monaci, che fu drasticamente semplificata, essendo proibiti del tutto lo strutto e i sughi nella cucina, così come la grande varietà di piatti extra, le zuppe e, a fortiori, la carne. Alcuni monasteri avevano preso a banchettare con polli, piccioni e così via, con la motivazione che la Regola proibiva solo la carne dei quadrupedi, ma la maggior parte delle case cluniacensi non serviva carne nel refettorio comune. Cluny era, dopo tutto, essa stessa una riforma.

 

Economia

L’articolo più significativo e importante degli Instituta era quello che si scagliava contro i tremendi abusi economici che si erano insinuati nel sistema monastico soprattutto dai tempi di Carlo Magno. San Roberto aveva accusato i monaci di Molesmes di “vivere del sangue di altri uomini” (Roderci Vital, Hit. Ecclesiastica, PL 188:637a.) e aveva ragione! Sant’Alberico proibì assolutamente il possesso e l’amministrazione di chiese parrocchiali, la riscossione dei diritti d’altare e di sepoltura, lo sfruttamento dei servi della gleba, i panifici padronali, i mulini, le fiere, l’accettazione delle decime, e così via. I monaci potevano ricevere regali di terre e bestiame e persino edifici adatti al loro uso in agricoltura, ma dovevano vivere con il lavoro delle loro stesse mani. In effetti, questa era la chiave di volta di tutta la riforma, da cui dipendeva tutto il resto.

 

Lavoro manuale

La dipendenza dal lavoro manuale era ciò che caratterizzava il concetto benedettino di povertà evangelica. La necessità di lavorare significava l’abbandono di tutti i servizi extra liturgici in uso a Cluny e significava anche che i monaci non avrebbero mai potuto accettare su larga scala doni ed emolumenti da ripagare con lunghe preghiere comunitarie per le intenzioni del benefattore. La preghiera, per loro, era puramente e semplicemente l’Ufficio Divino e qualche aggiunta come l’Ufficio dei defunti e, più tardi, quello della Madonna. Venivano salvaguardati anche lunghi intervalli di lettura meditativa e di preghiera privata. Inoltre, il monaco non solo si sosteneva con il lavoro delle proprie mani, ma dedicava anche il surplus, se c’era, all’aiuto dei poveri, del vescovo della propria diocesi e dei parroci del luogo, così come alla manutenzione della chiesa del monastero.

Comunque, anche se necessario per vivere, il lavoro manuale non era fine a sé stesso: era un fine solo in quanto faceva integralmente parte della Regola, ma dovevano essere salvaguardate anche le altre due principali componenti della vita benedettina: preghiera e lectio divina.

Il lavoro non doveva ordinariamente usurpare il tempo dato a questi doveri essenziali del monaco contemplativo, anche se alte e più speciali ragioni avessero a volte chiesto come necessario il sacrificio della contemplazione.

 

I fratelli conversi

Ma per aiutare i monaci a compiere il loro dovere e a pregare e meditare sulle sacre scritture, Alberico istituì i fratelli conversi. Non era il primo a farlo: l’ordine di Vallombrosa lo aveva preceduto sotto questo aspetto ed altre numerose riforme avevano fatto la stessa cosa. Questi fratelli conversi dovevano essere associati in vita e in morte a tutti i privilegi dei monaci, senza la qualità monastica specifica, cioè senza l’obbligo del coro. La maggior parte della loro giornata era dedicata al lavoro, ma essi erano su un piano di parità con i religiosi di coro più che non lo fossero i conversi di qualsiasi altro ordine. Il converso cistercense non è mai il servo del monaco di coro, è suo compagno di lavoro e spesso, nel campo e nella fattoria è il monaco di coro che prende ordini dal fratello converso, anche se quest’ultimo normalmente ha il monopolio delle occupazioni specializzate ed eccelle nella gestione della fattoria.

 

Le vocazioni

Un’altra importante preoccupazione di sant’Alberico fu quella di provvedere ad un adeguato esame delle vocazioni. I monaci di Cluny erano orgogliosi del fatto che facevano trascorrere ai candidati alla loro vita almeno un mese come novizi prima di essere ricevuti per la professione solenne, e questo era effettivamente un miglioramento rispetto al vecchio abuso di ricevere la professione dei postulanti dopo soli due o tre giorni. I Cistercensi tornarono alla prescrizione di san Benedetto in questa questione estremamente importante e fecero in modo che i postulanti fossero ammessi solo con difficoltà anche al noviziato e che lì dovessero trascorrere un anno intero in abito secolare prima di prendere i voti. Questo offriva una certa protezione sia al novizio sia alla comunità, anche se, col passare del tempo, i Cistercensi furono quasi universali nella loro estrema benevolenza nel ricevere praticamente chiunque si presentasse: purché fosse disposto e capace di sopravvivere alle difficoltà del primo anno.

 

L’abito bianco e la Vergine Maria Regina di Citeaux

Una delle novità cistercensi che causarono il maggior numero di critiche al Nuovo monastero era abbastanza accidentale per la riforma: il cambio dell’abito da nero a bianco.

I benedettini neri alzavano le mani in segno di orrore quando vedevano questi monaci indossare il colore della gioia nella regione del lutto. Il loro orrore per questa presunzione era solo uguale all’orrore per l ‘eccentricità con cui questi fanatici prendevano il cibo, si astenevano dalla carne e davano così tanto del loro tempo al duro lavoro penitenziale dei campi.

I Cistercensi replicarono giustamente che la loro era appunto una vita di gioia, poiché, avendo lasciato tutto il resto per amore di Dio, stavano già ricevendo il centuplo promesso da Cristo. Ma è difficile vedere la ragione del cambiamento, a meno che non si ammetta l’antica tradizione secondo cui la Beata

Vergine stessa apparve a sant’Alberico e gli chiese che i monaci del nuovo monastero a Lei dedicato vestissero di bianco in suo onore. L’unica altra spiegazione è forse che la lana non sbiancata sarebbe grigia, e che la povertà suggerì loro di non usare coloranti, ma la spiegazione usuale offerta dai cistercensi è che la Madonna intervenne nella faccenda.

Purtroppo l’origine di questa tradizione è estremamente oscura. Non siamo affatto autorizzati, con Henriques (Menologio, Ag. 5 (1101) ad indicare un anno, un mese e persino un giorno preciso in cui la Madonna sarebbe apparsa non solo a sant’Alberico, ma anche a tutta la comunità. Non solo apparve loro, ma cambiò istantaneamente il colore di tutti i loro abiti da nero a bianco con un gesto della mano. Se questo fosse stato il caso, sicuramente ci sarebbe stato qualche riferimento nei documenti del XII e XIII secolo. Immaginate che l’autore dell’Exordium magnum o Cesare di Heisterbach si sarebbero lasciati sfuggire un fatto simile? Possiamo solo concludere che tutti questi dettagli sono scaturiti dalla fantasia dello stesso Henriquez, ma ciò non cambia il fatto che la tradizione dell’apparizione della Madonna esiste ed è esistita prima di Henriques. Tuttavia, la più antica prova documentaria di tale tradizione non si trova prima del XV secolo, quando il quarantatreesimo abate di Cîteaux, Jean de Cirey, vi fece riferimento in un’esortazione ai suoi confratelli, riferendovisi come a qualcosa che essi conoscevano molto bene e che risaliva ai primi tempi dell’Ordine.

Fu in gran parte grazie alla grande devozione di sant’Alberico per la Madre di Dio che i Cistercensi furono il primo Ordine dedicato a lei. Per essere precisi, furono il primo Ordine dedicato esclusivamente a Nostra Signora, mentre i Certosini, una dozzina o più di anni prima, si erano già consacrati alla Madonna e a San Giovanni Battista.

Vincent di Beauvais (Helinand, Chronicon, PL 212:1000.) racconta che in questo periodo c’era un giovane chierico a Lione che ebbe un sogno in cui vide una montagna con una bella città sulla cima. Questa città lo attrasse così tanto da desiderare di arrivarci, ma tra lui e la montagna c’era un fiume nel quale vide dodici uomini che si lavavano le vesti; con loro c’era un altro, diverso da loro, con una splendente veste bianca che li aiutava nel loro lavoro. Il chierico chiese allo straniero chi fossero i, ed egli rispose che lui era Gesù Cristo e che quelli erano uomini che facevano penitenza con il suo aiuto e che, non appena le loro vesti fossero state pulite, avrebbero potuto proseguire verso la città che tutti desideravano, cioè il cielo. Qualche tempo dopo, il chierico raccontò il suo sogno al vescovo di Chalons che gli consigliò di entrare a Cîteaux. Egli si diresse quindi verso i boschi dove i monaci dimoravano, e trovò finalmente il recinto del piccolo monastero. Il cancello era di legno e c’era un martello di ferro appeso come battente. Quando il portinaio rispose alla sua chiamata, quale fu lo stupore del chierico nel riconoscerlo come uno degli uomini del suo sogno. Riconobbe anche tutti gli altri membri della comunità, e non tardò a diventare uno di loro. Tuttavia, deve essere stato praticamente l’unico a farlo in quegli anni, insieme al figlio del duca di Borgogna, se dobbiamo credere a Manrique (Annales Cistercienses Vol. 1, ann. 1104). Anche l’Exordium Parvum ci assicura (EP 14) che in questo periodo, invece di venire a Citeaux, tutti i probabili candidati alla vita monastica se ne stavano il più lontano possibile, tanto era scoraggiante la reputazione che i monaci avevano acquistato con le loro austerità.

Se, durante i suoi nove anni e mezzo come abate, sant’Alberico non ebbe la consolazione di veder crescere il suo monastero, almeno è vero che non appena Citeaux fu definitivamente separata da Molesme dal breve di Pasquale Il, l’animosità dei loro antichi confratelli si spense, e la pace tra le due case si stabilì e addirittura crebbe col passare degli anni divenendo una solida amicizia.

 

La morte

Tuttavia, Alberico fu chiamato alla propria ricompensa ancor prima dell’anziano san Roberto, che si attardò due anni oltre a lui a Molesme. Fu il 26 gennaio 1109 che il secondo abate di Citeaux andò in cielo. Henriques, con la sua solita ricchezza di dettagli, ci dà un vivido resoconto di quella santa morte (Fasciculus Sanctorum Cisterciensium, Dist. II.), ma come al solito non abbiamo idea dell’autorità delle sue affermazioni. I primi Cistercensi avevano deciso di non seppellire nessuno nella loro chiesa - un’usanza che fu presto abbandonata - così sant’Alberico fu deposto vicino alla porta della chiesa, il che era almeno un segno di un rispetto un po’ speciale. La venerazione liturgica di questo grande Padre dell’Ordine, come quella dei suoi compagni, Roberto e Stefano, rimase per un certo tempo più o meno in sospeso. L’unico cistercense la cui canonizzazione fu sostenuta con entusiasmo da tutto l’Ordine in quel periodo fu Bernardo di Chiaravalle. Sant’Alberico dovette aspettare fino al XVIII secolo, quando fu finalmente beatificato per modum favoris con il titolo di santo. Tutto questo significa che, nel Medioevo, i cistercensi erano più preoccupati di essere santi che di farsi canonizzare. Ma si può dire che ai nostri giorni sant’Alberico e il suo lavoro per l’Ordine stanno ricevendo sempre più apprezzamento, man mano che il suo contributo alla fondazione di Citeaux diventa sempre più conosciuto. È giunto il momento di rendergli omaggio con la nostra fiducia nella sua intercessione, con il nostro amore fattivo e con l’imitazione del suo esempio.

 


[1] T. Merton, In the Valley of Wormwood, CS 233, 2013. P. 37-52. I sottotitoli sono nostri.

 


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22 maggio 2025        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net