Comunità di Bose
Enzo Bianchi
Estratto da “Studi Francescani” 
68, 1971 n. 1
1) Bose: ieri e oggi...
A Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano, sulle colline 
della Serra, vive da tre anni una comunità monastica.
Cristiani di diversa confessione, cattolici e protestanti, uomini e 
donne si sono riuniti per cercare Dio, nella povertà, nel celibato, 
nell’obbedienza all’Evangelo. La loro vita comune è giustificata 
dall’opera di riconciliazione tra i cristiani separati 
confessionalmente, dal dialogo con ogni uomo e dall’attesa di Cristo. 
Questa comunità che conduce la vita dell’uomo di tutti i giorni, vita 
fatta di lavoro manuale e professionale, non è una congregazione 
religiosa, neppure una setta ecumenica, tanto meno una nuova Chiesa, ma 
è un luogo in cui si cerca particolarmente l’unità dei cristiani.
Nascita della comunità
La vicenda di Bose è cominciata negli anni 65-66 in via Piave a Torino. 
Fu qui che cominciò a radunarsi un gruppo di giovani attorno a Enzo 
Bianchi allora studente. Il gruppo formatosi per portare una 
testimonianza cristiana tra i giovani iniziò a condividere i pasti, la 
lettura della Bibbia, la preghiera. Si susseguirono nel vecchio alloggio 
anche incontri tra cattolici, battisti e valdesi (particolarmente 
numerosi in 
Piemonte) nella ricerca fraterna di un nuovo 
modo di essere cristiani.
I cattolici del gruppo scandiscono la loro vita spirituale con una 
celebrazione eucaristica domestica in una serata dedicata alla preghiera 
e alla revisione di vita. Il gruppo vive e cresce e questa crescenza si 
manifesta anche nella maturazione delle proprie vocazioni. Con 
l’avvicinarsi per molti della fine degli studi sorge spontaneo il 
desiderio di continuare l’esperienza tanto 
proficua della fraternità. Qui si precisa la 
vocazione monastica per alcuni e si fa chiara la maniera e la forma 
della risposta ad essa. Sorge il bisogno di un luogo povero, in 
disparte: una casa comune. Questa è scelta a 
Magnano sulla Serra, questa grande 
morena tra Biella e Ivrea. Con un campo di lavoro nel settembre 
1966 si inizia la riparazione di una chiesa diroccata e abbandonata, 
una chiesa romanica, che si trova accanto a Bose. Si ridà
alla chiesa un certo ordine, che permette di 
celebrare là la preghiera comune. La 
sovraintendenza ai monumenti inizierà e porterà lei
termine un vero lavoro di restauro. Vengono 
prese in locazione alcune case e rese 
accoglienti pur nella povertà e nella semplicità. Un soggiorno 
di fine settimana, dopo lo studio o il lavoro di ciascuno raduna 
alcuni amici del gruppo attorno all’Eucarestia: e si saggia insieme 
la vita comune, si cercano insieme le vie del Signore. E tutto 
diventa possibile quando Enzo conosce Daniel 
Attinger giovane pastore riformato 
svizzero con lo stesso desiderio di vita ecumenica comune 
e Maritè Calloni, una ragazza cattolica che accetta di iniziare a 
vivere in modo « misto » l’esperienza 
monastica. La vita comune in questo 
paese abbandonato e povero si fa esigente. Ciascuno allora esperimenta 
la vita monastica per un certo tempo presso comunità tradizionali 
cattolico-trappiste, protestanti, ortodosse.
Si giunge così al 6 agosto 1968, data che segna l’inizio della in 
comunità di 7 persone, donne e uomini, protestanti e cattolici.
La vita della comunità
I membri della comunità tentano di essere cristiani che prendono 
sul serio l’evangelo e che vogliono viverlo 
non da soli ma in comunità.
Semplici battezzati, alla pari di ogni altro, come tutti gli uomini
«normali» vivono del loro lavoro per non 
dipendere da nessuno per essere 
insieme ed uguali agli altri uomini, condividono i loro salari, 
vivono esperimentando la povertà gioiosa delle beatitudini. 
La loro vita è semplice e discreta, fatta oltre che del lavoro, 
di accoglienze, di ospitalità, di servizio 
all’interno delle chiese, di preghiera. 
La comunità si trova radunata insieme per la preghiera comune 
al mattino, alla sera e a mezzodì, per i pasti, e per le serate 
passate insieme nello studio o nella 
condivisione dei problemi di ciascuno 
e degli ospiti. Ognuno esercita una professione (all’Olivetti di 
Ivrea, insegnamento, cura pastorale) in modo 
che la loro sussistenza non dipenda da 
altri, proprio per essere come gli altri uomini.
La preghiera
Seguendo l’antica consuetudine, la preghiera insieme tre volte al 
giorno, l’ufficio cantato vuole essere insieme lode a Dio e 
intercessione per i fratelli. Affinché questa preghiera sia alla portata 
di tutti e non di soli iniziati la comunità ha elaborato una preghiera 
nuova; questo lavoro di composizione è stato uno dei più grandi sforzi 
della comunità. Sono state tradotte molte preghiere dalle differenti 
liturgie cristiane tradizionali, sono state adattate alla spiritualità 
dell’uomo di oggi e sono state create nuove preghiere che tengano conto 
dell’attuale sensibilità e delle attuali problematiche che accompagnano 
l’uomo nel dialogo con Dio. È stata anche fatta una traduzione dei 150 
salmi, traduzione dei testi originali ritmica, ma comprensibile anche 
per l’uomo di tutti i giorni, operaio e contadino (ed. Morcelliana ’71). 
Così la preghiera non è più un alibi, una fuga dal mondo; ma tenta di 
diventare uno strumento di preludio alla prassi oltre che di lode a Dio 
e di ascolto della sua parola.
All’inizio e al termine del lavoro, la lode a Dio e la presentazione a 
lui dei fratelli con cui si è lavorato e vissuto durante il giorno, la 
presentazione degli eventi del mondo di fronte alla parola che opera un 
giudizio, tale il contenuto della preghiera in comunità.
L’ospitalità
Agli ospiti è offerta la semplice accoglienza: essi salgono questa 
collina per pregare, per vivere un tempo in disparte, per condividere 
con la comunità i loro problemi, per confrontare il loro impegno. Essi 
possono condividere la vita della comunità: lavoro, preghiera, pasti, 
dialogo in gioia ed amicizia; cattolici e protestanti, laici e 
sacerdoti, pastori e vescovi, credenti e non credenti, giovani che sono 
impazienti di rinnovamento, salgono a Bose e sono ricevuti nello stesso 
modo. Nel 1970 quasi 5000 persone sono state accolte o per giornate di 
ritiro spirituale individuali e di gruppo o per giornate di studio e 
riflessione o per un tempo anche lungo di saggio di esperienza 
monastica.
L’ospitalità è un ministero quanto mai necessario che certo reagisce 
all’isolamento dell’uomo moderno nelle città spersonalizzate, alla 
mancanza di dialogo e di confronto tra esperienze e generazioni: è un 
ministero possibile per chi vive insieme nel celibato.
L’impegno nelle chiese
La comunità di Bose non è una nuova chiesa: i membri della comunità 
appartengono alle chiese che li hanno generati a Cristo con il 
battesimo. Essa non si vuole sostituire alle chiese e neanche diventare 
un modulo o un tipo. Non ha questa presunzione; anzi i membri di Bose si 
pongono a servizio delle altre chiese: innanzitutto con l’opera di 
riconciliazione tra cristiani ora divisi confessionalmente. L’aver 
iniziato a vivere insieme dopo 4 secoli di divisione poté essere 
veramente un'audacia evangelica un po’ folle, ma che oggi si dimostra 
nella vita interna della comunità e nella vita di testimonianza 
veramente il cammino profetico fondamentale della comunità. La vita 
comune, la stessa parola di Dio, lo stesso ritmo di vita spirituale, 
l’accettazione di un'unica volontà comunitaria hanno portato i membri ad 
una teologia irenica che li riunisce anziché dividerli. La comunità 
svolge poi un lavoro tipicamente ecclesiale con predicazione, corsi 
biblici, incontri tra protestanti e cattolici, animazione di incontri e 
coordinamento tra i gruppi spontanei ecclesiali del Piemonte. Infine 
tale servizio alle chiese si esprime attraverso la vita comune chiamata 
monastica. Il celibato vissuto nella certezza interiore della chiamata 
di Dio, in una disponibilità e in un’apertura ai fratelli esprime anche 
l’attesa della venuta di Cristo. In questi anni alcune vocazioni hanno 
confermato e arricchito la giovane comunità che cresce senza 
programmazioni, nella provvisorietà e nella povertà dei mezzi e delle 
iniziative.
L’impegno nel mondo
L’impegno nel mondo non è una scelta e tanto meno uno sforzo per i 
fratelli di Bose: essi lavorano tutti come gli altri uomini dunque 
impegnandosi con essi nelle stesse realtà sociali dove il lavoro li 
colloca. Corresponsabilità, solidarietà e lotta con gli altri nei punti 
di tensione dove si cerca di costruire la giustizia senza paura di 
sporcarsi le mani. Ogni membro ha il dovere della solidarietà e della 
risposta alle esigenze di giustizia. Spetta a lui scegliere il metodo 
politico, sindacale, e di dare ad esso un contenuto ed una visibilità. 
L’appartenere non giuridicamente alla tradizione monastica non esime
dal lottare per la liberazione dell’uomo là 
dove si è chiamati perché incarnati in quella realtà. Si dovrà allora 
operare uno sforzo di fantasia per riproporre l’identità autentica del 
credente nel lavoro di liberazione fatto con tutti gli altri uomini. La 
fuga mundi non può mai essere un alibi o un momento di abbandono delle 
responsabilità, ma sempre una contestazione ai metodi del mondo, metodi 
che hanno la legge del potere, del denaro, del successo. Nella comunità 
poi le diverse esperienze vengono confrontate e giudicate non però su 
altro che sul criterio di obbedienza all’evangelo e alle esigenze della 
giustizia.
	
Comunità di contestazione?
Durante tutto il tempo della contestazione ecclesiale molti salirono a 
Bose, individui e gruppi, per trovarvi un modo di solidarietà. Che cosa 
hanno trovato? Non la contestazione salottiera che si nutre dei 
pettegolezzi sulle chiese e sulle sue autorità, non la contestazione per 
la rottura e tanto meno la contestazione che finisce sulla pubblicistica 
e si esaurisce come una moda. La contestazione della comunità è stata 
diretta ed è ancora contestazione dei modi non evangelici, sempre più 
burocratici di vivere l’esperienza della chiesa. L’ecumenismo non 
avviene senza « riforma » della chiesa. La comunità ha mai adulato le 
comunità, ma quando ha elevato la sua voce lo ha fatto con la pazienza e 
la carità dell’evangelo. Indubbiamente la contestazione di Francesco di 
Assisi verso le ricchezze, il potere, è sempre stata di modello. Ci sono 
state serie difficoltà fra comunità e gerarchia cattolica ma la comunità 
le ha sofferte e le assume come pegno di maturazione.
Bose domani
La vita comunitaria vuole essere provvisoria non nel senso di dare fine 
alla nostra vita in un qualsiasi momento per una qualsiasi decisione, ma 
nel senso che la comunità vuole vivere l’oggi e non prevede bisogno di 
continuità.
È stata aperta una fraternità a Torino nell’ottobre 1970 per vivere 
nella città una presenza di accoglienza e di preghiera per rispondere 
alle sollecitazioni delle comunità valdese e cattolica di Torino, per 
assicurare una presenza cristiana nel mondo universitario. Presto sarà 
aperta, appena il numero dei membri lo consentirà una 
fraternità in Svizzera in ambiente di mista confessione per un lavoro 
specificatamente ecumenico. A Bose insomma si vuole vivere l’evangelo e 
oggi lo vivono così in comunità!
La comunità di Bose
Ritorno alla pagina sulla "Regola della Comunità di Bose"
Ritorno alla pagina iniziale "Regole monastiche e conventuali"
| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |
| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |
 alberto@ora-et-labora.net
      
alberto@ora-et-labora.net