La riforma monastica carolingia

promossa da Benedetto di Aniane

Di Réginald Grégoire

Estratto da “Benedetto di Aniane nella riforma monastica carolingia”, Studi Medievali, Anno XXVI, Fasc. II, 1985

Centro italiano studi sull’Alto Medioevo Spoleto


 

Il rinnovamento monastico intensificato dall’abate di Aniane aveva già vari precedenti ([1]). Infatti non si tratta di una creazione nuova, ma del punto di arrivo di uno sforzo perseguito dai concili regionali del VII secolo e dai capitolari dell'VIII. Non è la sede idonea per una trattazione esauriente su quella legislazione; alcune testimonianze scelte tra le più significative saranno però riferite ora, per consentire una valutazione storica più precisa del contributo specifico di Benedetto di Aniane.

a) I concili regionali del VII secolo. - I concili regionali del VII secolo hanno emanato alcune disposizioni relative ai monaci. La prima si legge negli atti di un concilio svoltosi in Francia poco dopo il 614: «Ut monachi iuxta recolam vivant »([2]). L’accenno riguarda l’osservanza di una sola Regola, non nominata. In un concilio tenutosi in Borgogna negli anni 673- 675, il decreto contempla una pluralità di regole: « Privilegia vero, que antiquitus vel moderno tempore monasteriis iuxta sanctorum Patrum regulas viventibus indulta sunt, ut propria vivant firmitate, per praesentem institutionem modis omnibus sanximus » ([3]). Infine, tra il 663 e il 680, un concilio radunatosi a Autun, che probabilmente potrà essere attribuito a poco dopo il 663, inizio dell’episcopato del vescovo Leodegario, cita esplicitamente la regola di San Benedetto: « De abbatibus vero vel monachis ita observare convenit, ut, quicquid canonum ordo vel regula sancti Benedicti edocet, et implere et custodire in omnibus debeant. Si enim haec fuerint legitimae apud abbates vel monasteria conservata, et numerus monachorum Deo propitio augebitur et mundus omnis per eorum orationis assiduas omnibus malis carebit contagiis » ([4]).

b) I capitolari dell’VIII secolo. - La legislazione civile rivela una lenta maturazione, un progressivo accentuarsi delle interferenze laiche negli affari ecclesiastici e religiosi. In Austrasia, durante il regno di Carlomanno (741- 747). che si ritirò poi a Montecassino († 754). tre capitolari sembrano rivelatori. Nel 742 si decide: « Et ut monachi et ancillae Dei monasteriales iuxta regulam sancti Benedicti ordinare et vivere, vitam propriam gubernare studeant » ([5]). L’anno seguente si torna ancora sull'osservanza della regola di S. Benedetto: « Abbates et monachi receperunt sancti patris Benedicti regulam ad restaurandam normam regularis vitae»: l’accenno sembra indicare un progetto di riforma della vita regolare ispiratasi alla regola di S. Benedetto ([6]). Finalmente, nel 744. a Soissons: «Ut ordo monachorum vel ancillarum Dei secundum regula sancta stabiles permaneant » ([7]).

Pipino, che governò dal 751 al 768, promulgò vari capitolari. Il giorno 11 luglio 755, dalla residenza di Verneuil, decise: «Ut monasteria, tam virorum quam puellarum, secundum ordinem regulariter vivant; et si hoc tacere contempserint, episcopus in cuius parrochia esse videntur hoc emendare debeat ...» ([8]). E ancora: « Ut monachi, qui veraciter regulariter vivunt, ad Romam vel aliubi vagandi non permittantur, nisi oboedientiam abbatis sui exerceant» ([9]). Un’altra iniziativa riformatrice si legge nello stesso documento: «De illis hominibus, qui se dicunt propter Deum quod se tonsorassent, et modo res eorum vel pecunias habent et nec sub manu episcopi sunt nec in monasterium regulariter vivunt, placuit ut in monasterio sint sub ordine regulari aut sub manu episcopi sub ordine canonico; et si aliter fecerint, et correpti ab episcopo suo se emendare noluerint, excomunicentur. Et de ancillis Dei velatis eadem forma servetur » ([10]). Interessante è questa raccomandazione che mette sullo stesso piano i monaci e i canonici : gli uni vivono secondo un ordo regularis, mentre i secondi seguono l'ordo canonicus sotto la giurisdizione episcopale.

Un capitolare d'Aquitania, del 768, attesta la presenza di un ordo sanctus, che potrebbe riferirsi non tanto ad una regola quanto ad uno stato di vita, poiché si rivolge tanto ai vescovi quanto agli abati e badesse. «Ut illi episcopi, abbates, abbatissas sub ordine sancto vivant » ([11]).

c) L’impegno di alcuni vescovi. - Due figure episcopali meritano di essere citate. La prima è quella di Crodegango, vescovo di Metz, consigliere anch’egli di Pipino, costruttore della celebre abbazia di S. Pietro (più tardi dedicata a S. Gorgonio) di Gorze, e autore di una Regula canonicorum imposta ai canonici franchi nell’816 ([12]). Emanò un privilegio per Gorze, in data 17 maggio 757, in cui si legge un esplicito riferimento alla regola di S. Benedetto: «secundum ordinem et regulam sancti patris nostri Benedicti abbatis amodo et semper perpetuis temporibus vivant ...» ([13]). Ovviamente questa prescrizione significa l’importanza già attribuita a quella Regola e il suo carattere normativo riconosciuto nella sua dimensione perenne.

L'altra figura episcopale di qualche rilievo è S. Bonifacio (680 ca. - 755), la cui opera apostolica in Germania fu appoggiata da Carlo Martello († 741), uomo sprovvisto di forti principi religiosi; i suoi figli invece, Pipino (per l’Austrasia) e Carlomanno (per la Neustria) furono educati nell’abbazia parigina di S. Dionigi e sentivano fortemente i problemi posti dell’auspicata riforma della Chiesa franca ([14]). Bonifacio ispirò quella riforma, presiedendo sinodi in Austrasia nel 742 e nel 743, quale missus S. Petri, e un concilio generale di tutto il regno franco nel 745, dove venne stabilita la struttura organizzativa della Chiesa franca. Si prescrisse a monaci e monache l’osservanza della Regola di S. Benedetto e si iniziò la riforma del clero. La testimonianza dei concili dell’VIII secolo è perciò importante, perché prosegue quanto era già stato definito in epoche precedenti. Così, un concilio germanico, del 21 aprile 742, decreta: «Ut monachi et ancille Dei monasteriales, iuxta regulam sancti Benedicti ordinare et vivere vitam propriam gubernare studeant » ([15]). Una lettera di Bonifacio, dell’anno 751, segnala che la Regola di S. Benedetto fu da lui introdotta a Fulda, monastero fondato nel 744 dal suo discepolo Sturmi : è la prima testimonianza certa della presenza effettiva della Regola nella vita quotidiana dei monasteri germanici ([16]). Il canone 15 degli « Statuti » di Bonifacio limita l’organico delle comunità monastiche e canoniche, maschili e femminili; «Ut plus non mittant in monasteria canonicorum atque monachorum seu puellarum quam sufficere possint » ([17]).

È noto che nel corso dell’VIII secolo il potere franco si estese notevolmente. La Septimania, già terra visigotica occupata dai musulmani nel 719/720, fu conquistata da Pipino nel 759. L’Aquitania entrò nel territorio franco nel 768, la Langobardia nel 774, la Sassonia nel 785, e la Baviera nel 788. A tale estensione corrisponde una uniformazione della legislazione civile e ecclesiastica (clericale e monastica). Perciò non sembra che, a quell’epoca, l'estensione della sfera di applicazione della Regola di S. Benedetto sia dovuta ad una stima particolare per questa o quella forma di monachesimo; tutto sommato, la soluzione migliore era la scelta di un comune denominatore legislativo, capace di livellare le osservanze, di ridurle all’unità; furono probabilmente sacrificate tradizioni locali e regionali. In Italia, però, Carlomagno conserva la legislazione longobarda introdotta dal re Liutprando tra il 713 e il 735; i capitolari franchi non ebbero mai forza di legge in quel territorio.

d) Carlomagno. - Carlomagno fu successivamente re di Neustria (768-771), re dei Franchi (771-814), imperatore d’Occidente (800-814); era nato nel 742. Durante questi lunghi anni di governo furono pubblicati numerosi capitolari che riguardano i monasteri ([18]). Ovviamente non tutte queste disposizioni citano esplicitamente la Regola di S. Benedetto: già in precedenza si poteva segnalare la stessa caratteristica. Nel concilio di Neuching, del 771, si nota che i monaci possono esercitare un ministero parrocchiale, con funzioni battesimali, in modo abituale; tale diritto è consolidato da precise testimonianze: «regulari ordine vitae atque canonum normas vel decreta patrum comprobare quiverat testimoniis » ([19]). Un capitolare di Herstal, del marzo 779, si limita a ricordare l’impegno di « regolarità»: «De monasteriis qui regulares fuerunt, ut secundum regulam vivant; necnon et monasteria puellarum ordinem sanctum custodiant, et unaquaeque abbatissa in suo monasterio sine intermissione resedeat » ([20]).

Un «capitulare episcoporum » del 779 o 780 determina i tributi delle singole chiese e comunità monastiche, a favore del re, ivi compreso il dovere di nutrire i « pauperes famelici » ([21]). Un « edictum legationis » del 23 marzo 789, tra i suoi 16 articoli, avverte i missi di verificare nei monasteri l’osservanza claustrale, con riferimento implicito alla Regola di S. Benedetto ([22]). Infatti, un «capitulare missorum », del 792 (o 786?), prova che c’erano monaci che non vivevano secondo la Regola di S. Benedetto, pur essendo monaci: «Clerici qui monachorum nomine non pleniter conversare videntur et ubi regula sancti Benedicti secundum ordinem tenent, ipsi in verbum tantum et in veritate promittant; de quibus specialiter abbates adducant domno nostro » ([23]). Il sovrano, quindi, teneva ad essere informato anche al riguardo di questo particolare.

Nel concilio di Francoforte, parecchi canoni alludono alla regula o alla regula sancti Benedicti: siamo nel 794. Sembra che ormai il riferimento ad una « regula » non determinata dal legislatore, possa decifrarsi nell’ambito dell’espansione benedettina. « Ut monachi ad saecularia negotia neque ad placita exercenda non exeant, nisi ita faciant, sicut ipsa regula praecepit» ([24]), Altrove: «Ut ab as cura suis dormiat monachis secundum regulam sancti Benedicti » ([25]). E ancora: « Ut cellerarii in monasteriis avari non elegantur, sed tales electi sint, quales regula sancti Benedicti doceat » ([26]). Un canone per le badesse riguarda sia i monasteri strettamente detti, sia quelli abitati da canonichesse: « De abbatissis, quae canonice aut regulariter non vivunt, episcopi requirant et regi adnuntient, ut ab honore priventur » ([27]).

Nell’800, a Freising, un decreto sinodale precisa le modalità dell’accoglienza degli eretici novaziani, in conformità a quanto è indicato nel capitolo 58 della Regola di S. Benedetto: « Ut novatiani, qui veniunt, in mona- sterio non recipiantur in ordine congregationis, antequam secundum regulam pleniter examinentur; et non preponantur ceteris in monasterio, antequam regularis vitae ordinem pleniter ediceantur, sicut in regula sancti Benedicti continetur » ([28]). Il capitolo 67 della Regola guida il comportamento delle monache che tornano in comunità dopo un viaggio: se la badessa deve andare fuori clausura, si farà accompagnare da alcune monache che non riferiranno poi alla comunità tutto quanto sarà successo, poiché questo sarebbe un disastro, «sicut in sancta regula continetur » ([29]). Il sinodo infine cita il capitolo 38 della Regola, relativo all'alimentazione: «Ut abbates vel monachi vel monachae ipsorum abstineant se de quadrupedia carne, sicut in sancta regula continetur » ([30]).

Sono anni decisivi in Occidente. Carlo prosegue nella sua politica di uniformazione legislativa, attestata in liturgia, in teologia dogmatica, in diritto canonico. Non potevano mancare interventi in diritto monastico. Una ispezione religiosa ebbe luogo negli anni 789-802; accanto ad una « admonitio generalis », fu pubblicato un « duplex legationis edictum », destinato agli inviati imperiali; gli accenni ai monaci e alla Regola di S. Benedetto non sono rari ([31]). Ma un intervento più caratteristico ebbe luogo nel concilio di Aquisgrana, dell’ottobre 802. L’assemblea, convocata dall’imperatore, composta parzialmente da abati e monaci, ricevette direttive chiare; questi abati e monaci furono prima riuniti attorno al testo della Regola. Gli altri partecipanti, vescovi, presbiteri e diaconi, nonché canonici, furono invitati a vivere secondo il proprio stato, alla pari dei monaci ai quali fu rinnovato l’ordine di adeguarsi in tutto all’insegnamento della Regola. « In ipso synodo congregavit universos abbates et monachos, qui ibi aderant; et ipsi inter se conventum faciebant et legerunt regulam sancti patris Benedicti et eam tradiderunt sapientes in conspectu abbatum et monachorum. Et tunc. iussio eius generaliter super omnes episcopos, abbates, presbyteros, diacones seu universo clero facta est, ut unusquisque in loco suo iuxta constitutionem sanctorum patrum sive in episcopatibus seu in monasteriis aut per universas sanctas ecclesias, ut canonici iuxta canones viverent et quicquid in clero aut in populo de culpis aut de neglegentiis apparuerit iuxta canonum auctoritate emendassent et quicquid in monasteriis seu in monachis contra regulam sancti Benedicti factum fuisset, hoc ipsud iuxta ipsam regulam sancti Benedicti emendare fecissent . . . Similiter et in monasteriis sancti Benedicti servantibus regulam, ut officium ipsius facerent, sicut regula docet » ([32]).

Una decisione analoga fu presa durante il concilio di Arles (10-11 maggio 813): « Providendum necesse est unicuique episcopo, qualiter canonici vivere debeant necnon et monachi, ut secundum ordinem canonicum vel regularem vivere studeant, ut ait Apostolus: Unusquisque in qua vocatione vocatus est in ea permaneat » ([33]). È esattamente lo spirito di Benedetto di Aniane che si ritrova in prescrizioni del genere: una insistenza sull’obbligatorietà della Regola per definire lo stato monastico. Alla stessa data (metà maggio 813), il concilio di Reims prescriveva ancora: « Lecta est regula sancti Benedicti, ut ad memoriam reduceret abbatibus minus scientibus, si qui forte adfuerint, qualiter et se et suos secundum eandem regulam custodire valerent atque gubernare » ([34]). A Magonza, dal maggio al 9 giugno 813, fu celebrato un altro concilio regionale, la cui assemblea era divisa in tre gruppi. Il primo comprendeva i vescovi: alcuni «notai » o lettori offrirono alle loro discussioni il vangelo, le lettere e gli atti degli apostoli, i canoni, opere patristiche (tra le quali il Liber pastoralis di Gregorio) o dogmatiche. Il secondo gruppo era quello degli abati e monaci: «In alia vero turma sederunt abbates ac probati monachi, regulam sancti Benedicti legentes atque tractantes diligenter, qualiter monachorum vitam in meliorem statum atque augmentum cum Dei gratia perducere potuissent » ([35]).

Il terzo gruppo riuniva i conti e i giudici, che discutevano di leggi «mondane » ([36]). Il canone II riguarda i monaci: « Abbates autem. censuimus ita cmn monachis suis pleniter vivere sicut ipsi, qui in presenti synodo aderant, palam nobis omnibus promiserunt, id est secundum doctrinam sanctae regulae Benedicti, quantum humana permittit fragilitas. Ac deinde decrevimus, sicut sancta regula dicit, ut monasterium, ubi fieri possit per decanos ordinetur, quia illi praepositi saepe in elationem incidunt. et in laqueum diaboli» ([37]). Pure le badesse sono ammonite: «Abbatissas autem cum sanctimonialibus omnino recte et iuste vivere censemus. Quae vero profes- sionem sanctae regulae Benedicti fecerunt, regulariter vivant; sin autem, canonice vivant pleniter et sub diligenti cura custodiam habeant et in clau- stris suis pernianeant neque foras exitum habeant » ([38]). Un invito a rispettare la clausura è dunque offerto allo scopo di assicurare la fedeltà alla Regola. Dello stesso tenore è l’ingiunzione relativa alla partecipazione dei monaci e abati alle assemblee politiche (placiti) ([39]). Si rinnovano le disposizioni relative alla visita dei monasteri maschili e femminili; in particolare, in adesione a quanto è prescritto dalla Regola, il monastero dovrà essere autosufficiente ([40]).

Particolare rivelatore: il concilio di Châlon-sur-Saône, riunitosi nell’813, segnala, riferendosi alla Gallia meridionale, che tutti i monasteri osservano già la Regola di S. Benedetto : « De abbatibus vero et monachis idcirco hic pauca scribimus, quia paene omnia monasteria regularia in his regionibus constituta secundum regulam sancti Benedicti se vivere fatentur ; quae beati Benedicti documenta per omnia demonstrant, qualiter eis viven- dum sit. Inquiratur ergo diligenter, ubi secundum ipsum ordinem vivitur et ubi ab ipso ordine digressum est, et iuxta eiusdem beati viri institutionem vivere certent qui se, ut ita viverent, cum adtestatione professi sunt » ([41]).

Il concilio di Tours, sempre nell’813, indica l’esistenza di monasteri in decadenza, dove si osservava prima la Regola di S. Benedetto e che ora vivono con qualche negligenza: «Monasteria monachorum, in quibus olim regula beati Benedicti patris conservabatur, sed nunc forte qualicumque neglegentia subrepente remissius ac dissolutius custoditur vel certe penitus abolita negligitur, bonum videtur ut ad pristinum revertantur statum; et abbates eorundem in eodem habitu ac vita, qua ipsa regula praecipiens incidere ac vivere studeant, quoniam aliqua sunt monasteria, in quibus iam pauci sunt monachi, qui praedicti patris regulam suis abbatibus promissam habeant, quippe cum ipsi abbates magis canonica quam monachice inter suos conversari videntur » ([42]). Nuovamente emerge quel criterio che distingue il monaco dal canonico: la Regola. I capitolari promulgati da Carlomagno ad Aquisgrana, nello stesso anno 813, ripetono lo stesso tema : « Providendum necesse est, qualiter canonici vivere debeant necnon et monachi, ut secundum ordinem canonicum vel regularem vivere studeant » ([43]).

e) Ludovico il Pio. - Nel secolo IX si continua la fusione iniziata dalla fine del I secolo, tra paganesimo e cristianesimo, una simbiosi che è attestata in vari settori della Chiesa, tra i quali si citano di preferenza la liturgia, la stessa vita monastica con alcune delle sue tematiche spirituali ([44]). Il paganesimo rimane ancora diffuso nelle campagne, ma il monachesimo contribuirà ad accentuare la supremazia del cristianesimo con la creazione di scuole teologiche (ormai inesistenti nel tardo paganesimo occidentale), con l’intensificarsi della propaganda cristiana, dell’evangelizzazione e della conversione di massa (forse per opportunismo politico e sociale). La letteratura canonistica chiarisce la nozione stessa di monaco e quella di canonico, proseguendo in questo modo quanto era stato elaborato precedentemente. Il monaco, in particolare, si segnala con la sua rinunzia ai beni propri, con la sua povertà: il concilio di Aquisgrana (816) lo specifica con chiarezza.

« Monachi namque, qui evangelicum praeceptum sequentes distractis atque renuntiatis patrimoniis sua Christo dedere, merito de facultatibus ecclesiae subsidium accipiunt temporale, ut, quia toto mentis desiderio caelestia appetunt, sic in hac pcregrinationis via sumptibus dominicis sustententur, quatenus ad ea, quac contempserunt, minime redire qualibet necessitatis causa conpellantur ; et quia nihil sibi proprium reliquerunt, manifestum est illis copiosioribus ecclesiae sumptibus quam canonicis, qui suis et ecclesiae licite utantur rebus, indigere. Unusquisque enim, ut ait apostolus (1 Cor. 7, 7), proprium donum habet. a Deo » ([45]).

Lo stesso vale per i monasteri femminili, come risulta dalla legislazione di un concilio francese degli anni 816-829 (815?): «De monasteriis feminarum in canonico vel regulari ordine constitutis. Quo ordine censeri conveniant, ipsorum nempe nominum aethimologia demonstrat: canonica scilicet canonicae, regularia regularibus mancipando modulis edocentur » ([46]).

Ludovico il Pio (778-840) diviene imperatore nell’814. Personalità contraddittoria, è uomo pio, ma debole e influenzabile. Benedetto di Aniane avrà in questo momento una influenza considerevole e sarà all’origine di un insieme di misure conosciute con la dicitura di «legislazione di Aquisgrana ». Durante il suo governo, Ludovico si dedicò intensamente ad una opera di riforma, negli anni 814-822; dopo questa data il sovrano fu troppo occupato dalle discordie familiari per proseguire in questa direzione. Ma la stessa sua attività riformatrice delle strutture ecclesiastiche e dei costumi avvenne talvolta a scapito della gestione politica del vasto impero lasciatogli da Carlomagno, perché ormai l’impero stesso, nelle sue articolazioni, è subordinato al servizio della Chiesa: è un esempio del noto « agostinismo politico » ([47]).

Ludovico aveva un piano di «sistemazione» del clero; nell'816, si interessa alla riforma dei canonici; nell’817, ai monaci; negli anni 819-819, al clero non comunitario e ad altri problemi ecclesiastici.

 

La legislazione di Aquisgrana comprende i seguenti documenti;

1. Acta praeliminaria: 29 articoli. Si prescrive di imparare la Regola di S. Benedetto a memoria, di celebrare la liturgia secondo le disposizioni della stessa Regola, di osservare una uniformità alimentare e vestiaria (parecchi articoli sono dedicati al problema); altre prescrizioni riguardano l’orario, il carcere monastico, gli incarichi claustrali, la professione dei novizi, il divieto del bacio alle donne e ai parenti ([48]).

2. Statuti di Murbach: opera probabile di Attone, abate di Reichenau, poi vescovo di Basilea (802-822; † 836). È l’applicazione dei decreti preliminari al sinodo di Aquisgrana ([49]); 26 articoli li riprendono in modo tale da renderli attuabili in comunità, e vi aggiungono alcune prescrizioni pratiche; una insistenza notevole si denota in materia di lettura e di formazione intellettuale. Sintomatico è pure l’accenno all’uso linguistico: «Usum latinitatis potius quam rusticitatis qui inter eos scolastici sunt sequuntur. In tali etenim confabulatone notitia scripturarum aliquoties magis quam lectione penetratur et dictandi usus discitur et ad discendum sensus aeuitur»([50]). Si ritrova qui lo spirito della riforma delle scuole promossa da Carlomagno.

3. Decreti di Aquisgrana: promulgati il 23 agosto 816. È una collezione di 36 articoli, in cui si rileva una profonda similitudine con gli atti preliminari. Sono l’opera di Benedetto di Aniane e non si discostano dalla lettera della Regola se non in alcuni punti (rinunzia dei beni, da parte del novizio, a favore dei genitori e non del monastero; refezione in refettorio comune e non con gli ospiti in portineria) ([51]).

4. Decreti del secondo sinodo di Aquisgrana: promulgati il 10 luglio 817 ([52]). Sono 43 articoli, conosciuti anche attraverso una Collezione Capitolare (attribuita all’enigmatico Benedetto Levita), della metà del sec. IX e una Collezione di S. Marziale di Limoges, della stessa epoca ([53]). Come per i decreti del primo sinodo di Aquisgrana, pure questi furono decisi da una assemblea di abati e di numerosi monaci. Sono di tendenza pragmatistica e rubricistica. Si precisa: «Ut scola in monasterio non habeatur nisi eorum qui oblati sunt » ([54]). Un particolare significativo allude all’eventualità di superiori non-sacerdoti : « Ut abbas, praepositus vel decanus quamvis presbiteri non sint lectoribus benedictiones tribuant »: è una prescrizione che riguarda la lettura pubblica in chiesa e in refettorio ([55]).

5. Collezione capitolare o Regola di S. Benedetto di Aniane: negli anni 818-819, d’accordo con una assemblea di monaci e di abbati, « communi consilio ac pari voluntate inviolabiliter a regularibus conservari decreverunt » : 77 articoli riprendono la legislazione degli anni 816-817 ([56]).


[1] Sul monachesimo europeo gli studi di F. Prinz sono decisivi: Frühes Monchtum im Frankenreich. Kultur und Gesellschaft in Gallien, den Rheinlanden und Bayern am Beispiel der Monastischen Entwicklung (4. bis 8. Jahrhundert), Munchen-Wien, 1965; i vari contributi riuniti da Prinz sotto il titolo Mönchtum und Gesellschaft in Frühmittelalter, Darmstadt, 1976 (Wege der Forschung, Bd. 312). Questi saggi illustrano specialmente il fatto del monachesimo pre-carolingio e carolingio stesso.

[2] Concilium incerti loci, c. 5; ed. F. Maassen, M.G.H., Leges III, Concilia, I. Concilia aevi merovingici, 1883, p. 194.

[3] Concilium Latunense, c. 14; ibid., p. 218.

[4] Concilium Augustodunense, c. 15; ibid., p. 221. 11 testo prosegue: « Si enim haec omnia fuerint legitimae apud abbates vel monasteria conservata, et numerum monachorum Deo propitio augebitur et mundus omnis per eorum orationis assiduas omnibus malis carebit contagiis » (ibid.).

[5] Concilium germanicum, c. 7; A. Werminghoff, M.G.H., Concilia, II. Concilia

aevi karolini, I, 1 (1906), p. 4.

[6] Concilium Liftinense, c. 1 ; ibid., p. 7.

[7] Concilium Suessionense, c. 3; ibid., p. 34.

[8] Concilium Vernense, c. 5; ed. A. Boretius, M.G.H., Leges, II. Capitularia regum Francorum, I (1883), p. 34.

[9] c. 10; ibid, p. 35.

[10] c. 11 ; ibid., p. 35.

[11] Capituiare Aquitanicum, c. 2; ibid., p. 43.

[12] Per Crodegango, G. Hocquard, v. Chrodegang, in Catholicisme, II (1954), cc. 1094- 1096. Per le 4 recensioni della Regola per i Canonici, ibid., cc. 1095-1096 (testi rispettivamente in P.L., LXXXIX, coll. 1057-1126; A. Werminghoff, op. cit., pp. 308-421).

[13] Werminghoff, op. cit., p. 60. Il concilio di Ascheim (755/760 o 756), c. 8, riprendendo una decisione di Verneuil (755; c. 5; citato sopra, n. 44), prescrive: « De abbatibus et abbatissas convenit admonendi, ut secundum possibilitatem et loci administrationem, ut regulariter vivere debeant cum providentia episcoporum, quorum cura haec adesse dinoscuntur » (ibid., p. 58).

[14] Per Bonifacio, E. de Moreau, D.H.G.E., IX (1937), cc. 883-895; G. Hocquart, Catholicisme, II (1954), cc. 139-142 (bibliogr.); E. Iserloh, L.T.K., II (1958), cc. 591-593. La corrispondenza di Bonifacio offre un ritratto colorito della Chiesa del tempo; ed. E. Dümmler, M.G.H., Epistolae, III, Epistolae merovingici et karolini aevi, I, 1892, pp. 215- 433. Ecco qualche saggio: « Quando quis de gremio matris ecclesiae presbìter ve! diaconus, clericus vel monachus discedit a fide et veritate, tum deinde prorumpunt cum paganis in contumelias filiorum aecclesiae. Et erit obstaculum horrendum evangelio gloriae Christi » (ep. 63 al vescovo Daniele, nel 742/746; ed. cit., p. 329). Nella stessa lettera egli affermava: « Sine patrocinio principis Francorum nec populum aecclesiae regere nec presbiteros vel clericos, rnonachos vel ancillas Dei defendere possum; nec ipsos paganorum ritus et sacrilegia idolorum in Germania sine illius mandato et timore prohibere valeo » (p. 329). La lettera 78 all’arcivescovo Cutberto di Canterbury, nel 747, illustra la sorte riservata ai monasteri di cui si impossessano i nobili o qualsiasi « laicus homo * (p. 355).

[15] Concilio germanico, c. 7; A. Werminghoff, M.G.H., Leges, III, Concilia, II. Concilia aevi karolini, I, 1906, p. 4.

[16] Ep. 86; E. Dümmler, M.G.H., Epistolae, III, op. cit., p. 368: « Est praeterea locus silvaticus in heremo vastissimae solitudinis in medio nationum praedicationis nostrae, in quo monasterium construentes, monachos constituimus sub regula sancti patris Benedicti viventes, viros strictae abstinentiae, ab absque carne et vino, absque sicera et servis, proprio manuum suarum labore contentos ».

[17] Statuto, c. 15; P.L., LXXXIX, col. 822 B. 

[18] Per quell’epoca, testi in C. de Clercq, La législation religieuse franque, I: De Clovis à Charlemagne (507-814), Louvain-Paris, 1936. Sul fenomeno carolingio fino alla morte di Ludovico il Pio (840), utili informazioni e bibliografia in E. Ewig, in Storia della Chiesa diretta da H. Jedin, IV (1978), pp. 71-163. Ancora leggibili: H. Pirenne, Storia d'Europa dalle invasioni al XVI secolo, Firenze, 1978 (3a ed.), pp. 46-83; J. Boussard, La civiltà carolingia, Milano, 1968. Sulla riforma monastica, J. Semmler, Karl der Grosse und das frankische Mönchtum, in Karl der Grosse. Lebenswerk und Nachleben, hrsgb. v. W. Braunfels, II. Das geistige Leben, hrsgb. v. B. Bischoff, Dusseldorf, 1965, pp. 255- 289 (ripreso in F. Prinz, Mönchtum und Gesellschafl im Frühmittelalter, Darmstadt, 1976, pp. 204-264).

[19] Notitia de concilio Neuchingensi, ed. A. Werminghoff, M.G.H., Concilia, II, Concilia aevi karolini, I, 1906, p. 104. Però, a Reisbach (799/800), si decide in senso opposto: « Monachus nullo modo parrochiam regat » (Notitia concilii Rispacensis, c. 8; ibid., p. 215); «Ut qui monachico voto est constitutus nullo modo parrocchiani teneat nec ad iuditia secularia accedere praesummat » (Capitula episcoporum, 25; ibid., p. 2101.

[20] Concilium Haristallense, c. 3 ; ed. A, Boretius, M.G.H., Leges II, Capitularia regum Francorum, I (1883), p. 47.

[21] Concilium in Francia kabitum; ed. A. Werminghofp, op. cit., pp. 108-109; A, Boretius op. cit., p. 52.

[22] Ed. Borktius, op. cit., pp. 62-63.

[23] Ibid., p. 67.

[24] Concilium Francofurtense, c. 11; ed. Werminghopf, op, cit., p. 168.

[25] Ibid., c. 13; p. 168.

[26] Ibid., c. 14.

[27]Ibid., c. 47; p. 171.

[28] Conc. Frisingense, c. 19; ed. Werminghoff, op. cit., p. 210.

[29] Ibid., c. 27.

[30] Ibid., c. 29; p. 211.

[31] C. de Clercq, op. cit., pp. 171-176.

[32] Concilium Aquisgranense; ed. Werminghoff, op. cit., p. 230. Un concilio bavarese, in maggio 805, legifera circa i suffragi per i defunti, affidati al clero e ai monaci (ed, Werminghoff, op. cit., p. 233).

[33] Concilium Arelatense, c. 6; ed. Werminghoff, op. cit., p. 251.

[34] Concilium Remense, c. 9; ib p. 255.

[35] Concilium Moguntinense; ibid., pp. 259-260. L’uso di leggere la Regola di S. Benedetto in sinodo è attestato anche a Reims (cf. pp. 254-255).

[36] Ibid,, p. 260.

[37] Ibid., c. 11 ; p. 263.

[38] Ibid., c. 13; p. 264.

[39] Ibid., cc. 12 e 14; pp. 264-265.

[40] Ibid., c. 20; p. 266. Si rinvia al c. 66 della Regola.

[41] Concilium Cabillonense, c. 22; p. 278.

[42] Concilium Turonense, c. 25; p. 290. Il c. 26 riguarda i monasteri femminili: « Porro in monasteriis puellarum multa invenire possunt, quae emendatione indigent. Nam quaedam abbatissarum neglegentius quam oporteat vivere dicuntur, et ob hoc earum vita et conversatio a multis diffamatur, sed et talium actus subditam familiam imitari velle credendum est. Victus etiam ac vestimenta aliaque nonnulla necessaria, quae iure ab abbatissis praeberi debuerant, abstracta sibi eadem conqueritur familia » (ibid.).

[43] Karoli Magni capitula, 813, c. 4: p. 295. La concordia episcoporum dell’813 ripete decisioni anteriori (pp. 298-299).

[44] J. Duchesne-Guillemin, R. Turcan, P. Hadot, L'Impero romano e l'Oriente, in H.-C. Puech, Storia delle religioni, 4, Bari, 1977 (Universale Laterza, 371), pp. 87-117.

[45] Concilium Aquisgranense, 115; ed. Werminghoff, op. cit., p. 397. In genere, F. L. Ganshof, A propos de la politique de Louis le Pieux avant la crise de 830, in Revue belge d’archéologie et d’histoire de l'art, 37 (1968), pp. 37-48.

[46] Concilium in Francia habitum, c. 13; ed. WERMINGHOFF, op. cit., p. 397.

[47] L. Halpiien, Charlemagne et l'empire carolingien, Paris, 1868 (2a ed.), Per l’augustinismo politico: M.-X. Arquillière, L'augustinisme politique, Paris, 1955 (2a ed.); K. F. Morrison, The two kingdoms. Ecclesiology in Carolingiam political thought, Princeton, 1964; Y. Corgar, L’ecclésiologie du Haut Moyen Age, Paris, 1968. Per Ludovico il Pio, due altri contributi suggestivi: F. L. Ganshof, Louis the Pious reconsidered, in History, 42 (1957), pp. 171-180; J. T. Rosenthal, The public assembly in the fine of Louis the Pious, in Traditio, 20 (1964), pp. 25-40.

[48] Synodi primae Aquisgranensis acta praeliminaria (816); ed. J. Semmler, Corpus Consuetudinum Monasticarum I (1963), pp. 435-436.

[49] Statuta Murbacensia (816); ibid., pp. 441-450.

[50] Ibid., p. 449,

[51] Synodi primae Aquisgranensis decreta authentica (816); ibid., pp. 457-468.

[52] Synodi secundae Aquisgranensis decreta authentica (817); ibid., pp. 473-481.

[53] Collectio capitularis Benedicti levitae monastica-, ibid., pp. 545-554. Legislationis monasticae Aquisgranensis collectio sancti Martialis Lemovicensis, ibid., pp. 557-561.

[54] Synodi secundae . , c. 5 ; p. 474.

[55] Ibid., c. 28: p. 479.

[56] Regula sancti Benedicti abbatis Anianensis sive Collectio capitularis; ed. Semmler, op. cit., pp. 515-535.


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5 marzo 2022                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net