I "Capitula Aquisgranensia" di
san Benedetto di Aniane
Watkin Williams
Estratto da “The Downside Review”,
Vol. 54. Pag. 370-374.
Downside Abbey London - SAGE Publications, 1936
Il Concilio di Aquisgrana dell'817, tenuto
jubente imperatore (Lodovico I, detto il Pio), aveva come scopo
dichiarato che, "come tutti i monasteri avevano una
professio, così avrebbero
dovuto anche avere una salubris
consuetudo". Si può pensare che la nozione benedettina della
consuetudo, che si potrebbe
giustamente chiamare salubris,
fosse qualcosa di molto diverso da quello che, come abbiamo visto, era
una volta. Se era sua missione riscaldare l'ineptus
tepor di alcuni, risvegliare il
sensus obtunsus di altri, non
meno era sua missione raffreddare il fervore indiscreto di coloro che
avrebbero cercato di trovare un rimedio universale in metodi che la sua
stessa esperienza aveva dimostrato e, possiamo presumere, trovato
infruttuosi. E, a giudicare dai suoi
Capitula Monachorum (o
Capitula Aquisgranensia), la
mitigazione ufficiale della rigorosa lettera della Regola di san
Benedetto da Norcia avrebbe potuto benissimo essere l'effetto pratico -
ed era probabilmente in una certa misura lo scopo - del Concilio di
Aquisgrana; sebbene non si sarebbe potuto irragionevolmente sostenere
che questa stessa rigorosa lettera prevede, nei termini più umani, una
qualche mitigazione a discrezione dell'abate (Cfr.
Regola Benedetto,
RB,
cap 39 e seguenti). I
Capitula raccontano la loro
storia. Si descrivono come decretati
communi consilio ac pari
voluntate dagli abati che, il 10 luglio 817, «erano stati in seduta
insieme al maggior numero possibile dei loro monaci nella casa del
Palazzo di Aquisgrana, che è detta Lateranis (Domus
Lateranis).” Seguiamo il testo critico fornito da Dom Bruno Albers
nelle sue Consuetudines
Monasticae, volume III, stampate a Montecassino nel 1907. La
numerazione dei Capitula
nella maggior parte dei casi varia a seconda della recensione – ovvero
delle due recensioni a cui ci riferiamo in seguito - essendoci nella più
breve settantacinque capitoli e nella più lunga ottantatré; citiamo
quindi le pagine di questa edizione curata da Dom Albers. Può essere
interessante confrontare in modo illustrativo le prescrizioni dei
Capitula con quelle della
Regola di san Benedetto su alcune materie come il cibo, il vestiario e
simili. Troviamo un rilassamento del comune divieto della carne di
quadrupedi a tutti, praeter
omnino debiles aegrotos (ad eccezione dei malati molto deboli), (RB
39) nelle parole: "I fratelli abbiano un po' di grasso animale (pinguedo)
nel loro cibo quotidiano, tranne il venerdì e durante gli otto giorni
precedenti la Natività di Nostro Signore e da Quinquagesima fino a
Pasqua”. In diversi manoscritti collazionati da Albers le parole qui
usate sono: "Non si metta grasso animale (adeps)
nel cibo durante gli otto giorni che precedono la Natività di Nostro
Signore, e negli otto giorni che precedono la Quaresima, ed in qualsiasi
tempo il venerdì". Nella recensione più lunga non solo si trova questo
stesso brano di derivazione benedettina, ma anche un altro,
caratteristicamente più indulgente nei suoi termini rispetto al testo
riconosciuto della recensione breve di Albers, in quanto manca delle
parole “fino a Pasqua” – invece di “otto giorni precedenti la Natività
di Nostro Signore” si legge: “per venti giorni”.
Per quanto riguarda invece i
volatilia, la recensione più breve prescrive che i monaci, se lo
desiderano ed il loro desiderio può essere soddisfatto, li mangino
“nella Natività di Nostro Signore, ed a Pasqua solo per sei giorni”; la
recensione più lunga dà questa prescrizione ed anche un'altra,
apparentemente contraddittoria ad essa: "In nessun momento, se non in
malattia, i monaci, sia nel monastero che fuori di esso, possano
mangiare uccelli", e un altro ancora che segue come corollario: "Nessun
vescovo può richiedere ai monaci di mangiare gli uccelli.” Qui la
recensione più lunga sembra rappresentare una reazione nella direzione
della severità. Il bottino del cacciatore di uccelli può essere gustoso
al palato ed i benevoli prelati possono essere ospiti pressanti!
Di nuovo, mentre nella Regola è stabilito che dalle Idi di settembre (13
settembre) fino a Pasqua non vi sia che una
refectio quotidiana e nessuna
cena (RB
41), i Capitula in entrambe
le recensioni si rilassano così tanto da ordinare che nelle solennità
maggiori che ricorrono in questo periodo, “cioè il giorno della Natività
e della sua Ottava, dell'Epifania... e delle feste dei Santi, cioè Santo
Stefano, il beato Giovanni Evangelista, nel giorno dei Santi Innocenti,
della Purificazione .... delle feste dei Beati Apostoli .... e di quella
di San Martino, o della Natività di qualsiasi santo il cui onore sia
celebrato in modo speciale in una parrocchia ....
bis reficiatur (si mangi due
volte).”
È da un'attenta raccolta dei manoscritti disponibili che i dotti hanno
riconosciuto queste due recensioni dei
Capitula, la più breve delle
quali è preferita da Albers, che nel suo
Prooemium (Introduzione)
discute quanto è stato detto a tal proposito da Baluze, Pertz e Boretus
(Cfr. Consuetudines Monasticae,
vol. III., pag XXI e seg.). C'è un passaggio della recensione più lunga
in cui non si può non rimanere colpiti dalla generosità della misura in
base alla quale l'abate è incaricato di provvedere ai bisogni materiali
dei suoi monaci. Si trova in almeno un manoscritto della fine del IX o
dell'inizio del X secolo (Baluz, da
Patrologia Latina di J.P.
Migne, XCVII, 381 seg.), che appartiene alla famosa biblioteca ducale di
Wölfenbuttel a Brunswick (Codex
Guelf. inter Helmstad. 532, fol. 89).
Leggiamo: “ (L'abate) deve assolutamente provvedere che ogni monaco
abbia due camicie, due cappucci e due tuniche (cappae)”-
probabilmente la tunica laxior (o
capa) -“ a cui, se necessario, se ne aggiunga una terza, e quattro
paia di sandali e due paia di mutandoni... e mantelli (pelliciae)
fino ai talloni .” Nei viaggi chi ne ha bisogno abbia guanti (wanti)
d'estate, e d'inverno muffole felpate (muffulae
vervecinae); all'uso di queste ultime si attribuisce una certa
importanza, poiché in entrambe le recensioni troviamo l'ingiunzione:
“Guanti felpati devono essere dati ai fratelli» (Albers,
op. cit. Cap. LXXIV rec.
breve). Ciò che rende possibile la pulizia e l'igiene personale è
l’abbondante fornitura del necessario: «Che (l'abate) fornisca ....
sapone e unguento in quantità sufficiente». Pensiamo al Benedetto di
quei primi giorni a Saint-Seine-l'Abbaye. “Qualis
erat! Quantum mutatus ab illo!” (“Quale
era il suo aspetto! quanto mutato da quello!” (Frase estratta
dall'Eneide di Virgilio)) Un'altra illustrazione può essere data da
questo stesso passaggio: “Quando non c'è vino con cui rifornire l'emina,
si deve dare una doppia misura di buona birra” (Albers,
op. cit. Cap. 22 rec. lunga).
Non possiamo sbagliare l'enfasi. Nessuna limitazione; buona birra ed in
abbondanza!
Tuttavia, si potrebbe ragionevolmente sostenere che, per quanto tutto
ciò possa sembrare indulgente rispetto alle prescrizioni della Regola,
era conforme allo spirito della Regola.
Come si legge nel Dialogus inter
Cluniacensem Monachum et Cisterciensem de Diversis Utriusque Ordinis
Observantiis
(Martène and Durand, Thesaurus
Nov.
Anecd.
Vol. V. - Paris 1717, pag. 1569 seg.)
« Vester enim Ordo [Cluniacensis]
tenet quod instituit [S. Benedictus], id est corporales illas
observantias, sed noster Ordo non tenet hoc quod instituit, sed quod est
secundum hoc quod instituit, scilicet bonos usus qui [secundum ipsum,
et] secundum rei veritatem non discordant a Regula (Il vostro Ordine
[Cluniacense] rispetta ciò che ha stabilito [san Benedetto], cioè le
osservanze corporali, mentre il nostro Ordine (Cistercense) non rispetta
ciò che egli ha stabilito, ma ciò che è conforme a ciò che ha stabilito,
ovvero le buone pratiche che [secondo l'Ordine e] secondo la realtà, non
si allontanano dalla Regola».
Né va dimenticato che, come è stato suggerito, lo scopo dei
Capitula era molto più
completo della mera mitigazione. Lo scopo di Benedetto d'Aniane era
quello di stabilire su un territorio ampio e con una certa uniformità -
per citare ancora il monaco cluniacense del
Dialogus - «buoni costumi che, secondo l'idea di san Benedetto
stesso e secondo il vero significato interiore della Regola (secundum
rei veritatem), non sono in disaccordo con la Regola”. Uno sguardo
ai primi due Capitula è
illuminante; rappresentano il concetto fondamentale di tutto ciò che
segue. “Gli abati, appena rientrati nei loro monasteri, leggano
integralmente la Regola prendendola in considerazione parola per parola;
e così, con l'aiuto del Signore, comprendendola proficuamente, si
sforzino insieme ai loro monaci di osservarla fino in fondo" (Cap. I). E
poi: "Tutti i monaci, che possono farlo, imparino la Regola a memoria"
(Cap. II). Gli abati se ne tornino nei loro monasteri, ciascuno nel
proprio, e governino secondo la Regola - perché la Regola è stata troppo
a lungo dimenticata - interpretata nello spirito di tali mitigazioni che
troveranno precisate nei Capitula.
A tal fine Benedetto di Aniane lavorò fino alla sua morte, venerdì 10
febbraio 821, nel monastero di Inde, fino all'ultimo in un rapporto
familiare con Ludovico il Pio, il quale “ascoltò volentieri e seguì
tutti i suoi consigli, motivo per cui da alcuni è solito essere chiamato
'il monaco' “. Fino a che punto la sua realizzazione sia stata poi
completa esitiamo a dirlo; “I mulini di Dio macinano lentamente”; ma
sappiamo anche che: "Macinano molto fine" (Citazione da Sesto Empirico,
II sec.).
Ritorno alla pagina su "san Benedetto d'Aniane"
Ritorno alla pagina iniziale "Regole monastiche e conventuali"
| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |
| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |
5 marzo 2022 a cura
di Alberto "da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net