La Regola dei Canonici

(Capitoli 114-145 della Regola di Aquisgrana)

Estratta e tradotta da “Patrologia Latina”. Vol. 105, J. P. Migne – Parisiis 1831-

con l'aiuto della testo inglese estratto e tradotto da "The Chrodegang Rules - The Rules for the Common Life of the Secular Clergy from the Eighth and Ninth Centuries" - Ed. Routledge - Gruppo Taylor & Francis 2017

 

[Regola dei Canonici del Concilio di Aquisgrana - Breve riassunto dei capitoli a cura del traduttore:

Cap. 1-38 Manuale per il clero, in particolare per i suoi superiori, con citazioni da San Isidoro di Siviglia, San Girolamo, Sant'Agostino, San Gregorio Magno e Pseudo-Prospero (o Giuliano Pomerio)

Cap. 38-93 Capitoli dei Canoni Conciliari da Nicea in poi.

Cap. 93-113 Capitoli dei Padri della Chiesa citati prima riguardanti la vita del clero ordinario.

Cap. 114-145 Regola dei Canonici]

 

 

La Regola dei Canonici

È cose ben nota che la santa Chiesa è tenuta a seguire l'esempio dei Padri da noi citati, i cui scritti mostrano che essa fiorì abbondantemente sotto l'insegnamento degli apostoli; pertanto i superiori sono tenuti a sforzarsi di imitare sempre i Padri, così come i subordinati devono obbedire, perché è seguendo il loro esempio e il loro insegnamento che potranno giungere a quella gioia beata raggiunta dai Padri per primi. Coloro che seguono l'insegnamento e l'esempio dei Padri con grande devozione entreranno nella beatitudine eterna, così come coloro che rifiutano di seguirli saranno consegnati alla punizione eterna. Pertanto chiunque professa di vivere la vita canonica deve leggere attentamente e osservare diligentemente gli insegnamenti dei detti Santi Padri, con i quali l'ordine dei chierici viene istruito alla santa vita. Chiunque abbia studiato adeguatamente questi scritti scoprirà sicuramente che deve vivere una vita non di decadenza ma di devozione.

 

114. Quali precetti si devono applicare specificamente ai monaci, e quali ai cristiani in generale.

Ci sono stati alcuni che, nella loro semplicità, quando uomini santi e dotti li ammonivano e li correggevano, comunemente ribattevano che solo i monaci sono tenuti ad osservare i precetti della sacra Scrittura; abbiamo quindi ritenuto utile esporre i precetti dei Vangeli e delle Epistole nel modo più conciso possibile, affinché questi uomini ignoranti possano ascoltarli e tendere loro le orecchie del loro cuore, finché comprendano quali precetti devono essere osservati da loro e quale dai monaci.

Chi disprezza il mondo e segue Cristo in povertà, con la mente e con il corpo, deve ascoltare ciò che Cristo dice nei Vangeli: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che hai e dallo ai poveri... e vieni e seguimi". […] E chiunque avrà lasciato casa, o fratelli, o padre, o madre, o possedimenti a causa del mio nome, riceverà il centuplo e possederà la vita eterna» (Mt 19:21, 29). Ai suoi discepoli disse: «voi che avete lasciato tutto e mi avete seguito... siederete su dodici seggi per giudicare le dodici tribù d'Israele» (ibid. 28).

Questi consigli, e quelli di natura simile, si applicano particolarmente ai soli monaci, essendo più importanti perché sono più rigorosi. Ma il nostro Salvatore diceva a tutti insieme: " Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo ". (Lc 14:26) E ancora: “Chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me”. E “chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”. (Mt 10:37–8) E: “Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. (Lc 14:33)

Disse anche: "Dunque, tutte le cose che vorreste che gli uomini facessero a voi, fatele anche a loro". e: “State attenti a non rendere giustizia davanti agli uomini, per essere visti da loro; altrimenti non avrete la ricompensa [dal Padre vostro]”. E: 2Fatevi tesori nel cielo; dove né la ruggine né la tarma consumano.” (Mt 7:12, 6:1, 20) E: 2Fate attenzione a voi stessi, affinché forse i vostri cuori non siano sovraccarichi di sazietà e di ubriachezza e delle preoccupazioni di questa vita”. (Lc 21:34)

Inoltre: “Ma io vi dico di non resistere al male; …Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano; e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano”, e: “Ma io vi dico che chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al giudizio. E chiunque dirà a suo fratello “Stupido”, sarà sottoposto al sinedrio. E chiunque dirà: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geénna.” Inoltre: "Non giurare affatto, né per il cielo, ... né per la terra... Ma il tuo discorso sia: Sì, sì: No, No". Infatti: "Di ogni parola inutile che gli uomini diranno, essi renderanno conto nel giorno del giudizio". (Mt 5:39, 44, 22, 34, 35, 37, 12:36)

Inoltre: "A chi ti colpisce su una guancia, offri anche l'altra". e: "Siate dunque misericordiosi, come anche il Padre vostro è misericordioso". (Lc, 6:29, 36) E: “Se tuo fratello ti offende, … perdonalo fino a sette volte, … non fino a sette volte ma fino a settanta volte sette”. (Mt 18:15, 21–22) “Ma se voi non perdonerete agli uomini”, di cuore, 2neanche il vostro Padre celeste vi perdonerà le vostre offese.” (Mt 6:15, combinato con 18:35) “Cercate dunque prima il regno di Dio e la sua giustizia; e tutte queste cose ti saranno date in aggiunta”. (Mt 6:33)

A un uomo ricco disse: "Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti". Vale a dire: " Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, 19onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso “. (Mt 19:17-19) A un dottore della legge, che gli chiedeva quale fosse il più grande comandamento della legge, rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo comandamento. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i profeti”. (Mt 22:37–40)

Anche san Paolo apostolo dice: “chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. 9Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso.” (Rm 13:8–9) Inoltre: “Siate pazienti verso tutti gli uomini. Badate che nessuno renda male per male a nessuno; ma seguite sempre ciò che è bene, gli uni verso gli altri e verso tutti gli uomini... Questa è la volontà di Dio... vagliate ogni cosa, tenete fermo ciò che è bene; astenetevi da ogni apparenza di male”. (I Tess. 5:14–15, 18, 21–22)

Disse anche: “Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria... Ora invece gettate via anche voi tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni, che escono dalla vostra bocca. … rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, 13sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri... Non dite menzogne gli uni agli altri:... Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù”. (Col. 3:5, 8, 12–13, 9, 1) Inoltre: “Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo “. e: “Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità... “Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi – come deve essere tra santi – 4né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti.” (Efesini 4:32, 31; 5:3–4)

E: “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio.” (I Cor. 6:9–10; Gal. 6:7). E: “nessun fornicatore, o impuro, o avaro … ha in eredità il regno di Cristo e di Dio.” (Efesini 5:5) “Siate miei seguaci, come anch'io lo sono di Cristo.” (1 Cor. 4:16) E: “Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore “. (Ebrei 12:14) Infine, dice a Timoteo: "Si allontani dall'iniquità chiunque nomina il nome del Signore". (II Tim. 2:19)

Anche l'apostolo Giovanni disse: “Non amate il mondo, né le cose che sono nel mondo. Se qualcuno ama il mondo, la carità del Padre non è in lui”. E: "Chi dice di dimorare in Cristo deve anch'egli camminare come camminò lui". Inoltre, "Chi odia suo fratello è un assassino". E tu sai che nessun assassino ha in sé la vita eterna». (I Giovanni 2:15, 6, 3:15) E l'apostolo Giacomo disse: “Non sapete che l’amore per il mondo è nemico di Dio?.” (Giacomo 4:4) Ci sono molti altri testi, innumerevoli, della Legge, dei Profeti, dei Vangeli e delle Epistole, che si potrebbero citare, e il cristiano devoto non ha scuse per non essere instancabile nello studio di essi. Abbiamo voluto raccoglierli brevemente, a beneficio di coloro che abbiamo menzionato, i quali stoltamente affermano che solo i monaci devono seguire una vita rigorosa, nonostante il Signore dica che la via che conduce alla vita è stretta e angusta, e che nessuno può entrare nella vita eterna se non per questa via. (cfr. Mt 7,13-14) Questa via stretta e angusta è quella per la quale devono entrare non solo i monaci e i chierici, ma chiunque esulta nel nome del cristiano. Cosa può esserci di più severo dei precetti: “Amate i vostri nemici... per non opporvi al malvagio... chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio... chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore?” (Mt 5:44, 39, 22, 28)

Queste cose sono difficili, ma molto vantaggiose; quanto più sono difficili, tanto più efficaci ed esaltanti. Noi che, come dice san Paolo, siamo battezzati in Cristo e ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3,27), dobbiamo camminare in novità di vita e tenere sempre davanti agli occhi l'alleanza che abbiamo stretto con Dio nel battesimo, quando rinunciammo a Satana, a tutti i suoi artifici e a tutte le sue opere. Quel patto diventa nullo se qualcuno viene implicato nel vizio, pur rimanendo nella fede, o rimane coinvolto nell'idolatria o nell'eresia a causa della deviazione dalla fede. Pertanto, come sta scritto, "un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla (Ndt: L’abitazione terrena) opprime una mente piena di preoccupazioni ". (Sapienza 9,15) Se la debolezza umana, dopo la grazia del battesimo, si contamina con la lusinga del peccato, quei peccati non potranno mai essere cancellati ripetendo il battesimo: occorre piangere nella penitenza, essere generosi nell'elemosina, compiere al più presto le altre opere buone, affinché i peccati vengano spazzati via. Poiché non abbiamo che un solo padre e maestro, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo (cfr. Ef 4,5), una sola santa madre Chiesa, dobbiamo tutti impegnarci con seria vigilanza. Sebbene il nostro percorso si svolga con stili adeguati ai nostri diversi doni, miriamo insieme alla nostra santa Madre, la Gerusalemme celeste; e possiamo essere ritenuti degni di vivere lì con il Signore per sempre! Dobbiamo sapere anche questo: quanto più uno si umilia in questo mondo per amore di Cristo, tanto più beato sarà il premio che riceverà nell'età futura.

115. Come lo stile di vita canonico, essendo basato sull'autorità dei Vangeli e degli Apostoli, supera tutti gli altri stili di vita.

È chiaro, da fonte eccellente, che lo stile di vita canonico eccelle su tutti gli altri istituti e quindi è necessario che coloro che desiderano essere conosciuti con il nome di questa professione siano essi stessi un ornamento dell'istituto nella propria vita e nella loro morale piuttosto che disonorarlo. Coloro che adottano uno stile di vita di tale dignità devono rendersi un esempio per gli altri e devono stare attenti a non allontanarsi dalla loro professione (cosa che Dio non voglia), e a diventare inadatti al Regno di Dio.

È lecito ai canonici indossare biancheria, mangiare carne, dare e ricevere beni privati e possedere beni ecclesiastici con umiltà e giustizia, poiché non troviamo che i sacri canoni proibiscano queste cose; sono invece severamente vietati ai monaci, che conducono una vita più severa, secondo quanto previsto dalla loro regola. Tuttavia, la vita dei canonici e dei monaci non deve differire quando si tratta di evitare il vizio e di coltivare la virtù.

I monaci che seguono i consigli del Vangelo, rifiutando e rinunciando alla loro eredità e donando le loro proprietà a Cristo, possono accettare adeguatamente il loro mantenimento materiale dai fondi della Chiesa. Cercano il paradiso con tutto il desiderio del cuore e per questo vengono sostenuti durante il loro pellegrinaggio terreno a spese del Signore. Ciò impedisce loro di essere costretti dalla necessità a ritornare a ciò a cui avevano rinunciato; poiché non hanno più nulla di proprio, è evidente che hanno bisogno dell'aiuto della Chiesa più dei canonici, i quali possono legittimamente attingere alle proprie risorse oltre che a quelle della Chiesa. «Ciascuno ha da Dio il suo dono», come dice l'Apostolo (1 Cor 7,7).

116. Ciò che costituisce i beni della Chiesa.

I beni della Chiesa, come abbiamo imparato dai santi Padri e come è affermato nei capitoli precedenti, sono le offerte volontarie dei fedeli, il risarcimento per i peccati e il patrimonio per i poveri. Perché i fedeli, infiammati dal fervore della fede e dal loro amore per Cristo, hanno arricchito la santa Chiesa con le proprie risorse per la guarigione delle loro anime e nel loro desiderio della nostra patria celeste. Da queste risorse i soldati di Cristo vengono sostenuti, le chiese vengono adornate, i poveri vengono sollevati e i prigionieri riscattati non appena si presentano le opportunità. Per questo motivo, coloro che amministrano questi fondi devono essere vigilanti e scrupolosi per non dirottarli per propri usi e non trascurare mai in alcun modo coloro che servono Cristo e specialmente coloro nei quali Cristo è nutrito e vestito, nella misura in cui le loro risorse lo rendono possibile. Secondo san Girolamo non solo i prelati, ma tutti coloro che dispongono dei fondi della Chiesa devono essere incessantemente vigilanti; infatti così scrive nel suo commento a san Matteo: “Chiunque abusa in qualsiasi modo delle rendite del Tempio, risorse date per l'uso della Chiesa, distogliendole secondo i propri desideri, è simile agli scribi e ai sommi sacerdoti che approfittarono con l'inganno e con il sangue del Salvatore”. I beni della Chiesa, pertanto, devono intendersi come il sostegno dei poveri e dei soldati di Cristo. I presuli devono sforzarsi di osservare con tutte le loro forze l'insegnamento e l'esempio dei santi Padri riguardo ai fondi loro affidati, come abbiamo detto. Devono governare i loro sudditi e aiutare i poveri, ed essere affidabili nel prendersi cura di tutti gli usi e bisogni della Chiesa. Così per la loro fedele amministrazione saranno sicuramente ricompensati da colui del quale sono chiamati servitori.

117. Come si devono accuratamente fortificare le recinzioni dei canonici.

È compito del prevosto fortificare l'animo dei suoi sottoposti mediante la lettura assidua della sacra Scrittura, affinché il lupo invisibile non trovi un varco per entrare nell'ovile del Signore e riesca a rapire una delle pecore. Ciò va fatto con la massima urgenza in senso spirituale, ma è anche necessario fortificare con robuste mura tutt'intorno la recinzione in cui dovrà vivere secondo i canoni il clero a lui affidato. Nessuno deve trovare alcun mezzo per entrare o uscire se non attraverso il cancello. All'interno devono trovarsi i dormitori, i refettori, le cantine e gli altri edifici necessari all'uso dei fratelli conviventi in comunità. Qualora qualcuno si rifiutasse di adempiere questi compiti secondo le sue capacità, dovrà essere ritenuto inidoneo e non adatto a compiere qualsiasi altro compito nella chiesa. Sebbene egli possa essere punito da Dio, anche il sinodo deve emettere una sentenza su di lui.

118. Come sia necessaria una certa discrezione nella congregazione dei canonici.

I prepositi delle chiese devono prestare la massima attenzione a non ammettere nelle loro chiese più clero di quanto sia ragionevole o di quanto la chiesa possa permettersi di sostenere; altrimenti, se fossero così indiscreti e irregolari da aggregarne troppi, non sarebbero in grado di governarli, né di provvedere come devono alle altre esigenze della chiesa. Infatti, ci sono alcuni che sono così presi dal desiderio di fama tra gli uomini che desiderano avere un'innumerevole congregazione di clero, senza alcuna considerazione di come debbano prendersi cura di loro nel corpo o nell'anima. Coloro che vengono così aggregati, non potendo ricevere dai loro vescovi lo stipendio di cui hanno bisogno, non si attengono all'ordine canonico, né frequentano l'ufficio divino, ma abbandonano la clausura e la società degli altri per diventare vagabondi depravati, dediti al cibo, alla bevanda e ad ogni altro desiderio che possano avere, ritenendo lecito fare qualunque cosa vogliano. I prepositi devono quindi prestare particolare attenzione a osservare una misura di discrezione in questa materia e in particolare a non ammettere nella congregazione più canonici del necessario, o di quanto la chiesa può permettersi di sostenere, né a permettere che la loro avarizia li induca a respingere coloro che potrebbero essere adeguatamente in grado di gestire.

 119. Su coloro che aggregano nella congregazione ad essi soggetta solo i chierici membri della famiglia della chiesa.

 Ci sono alcuni prepositi che aggregano solo i chierici della famiglia della chiesa nelle congregazioni sotto la loro responsabilità. Pare che lo facciano perché, se mai facessero qualcosa che arrecasse disturbo a quel clero, o se negassero loro il dovuto compenso, questi chierici non oserebbero sollevare alcuna obiezione, per paura di essere severamente flagellati o crudelmente messi di nuovo sotto la servitù umana.

Solleviamo questo punto non per impedire l'ammissione di uomini di provata vita fuori dalla famiglia della Chiesa, soprattutto perché davanti a Dio non c'è distinzione di persone (cfr. At 10,34), ma piuttosto perché nessun superiore possa escludere i nobili e ammettere nella sua congregazione solo i plebei, per il motivo che ho appena menzionato.

120. Quali tra i chierici aggregati nella congregazione dei canonici debbano ricevere uno stipendio dalla Chiesa.

L'insegnamento dei santi Padri, come abbiamo già notato, è che il clero non deve perseguire la ricchezza, né deve ricevere i beni della Chiesa senza responsabilità. Ecco perché abbiamo ritenuto opportuno citare alcuni passaggi di Prospero per illustrare il punto. Tra di essi leggiamo: “Coloro che servono la Chiesa e sono desiderosi di accettare o esigere cose di cui non hanno bisogno, hanno pensieri troppo mondani. È infatti vergognoso che un clero fedele e fecondo arrivi a disprezzare la ricompensa eterna in nome di un profitto terreno. Inoltre, se qualcuno non è disposto a rinunciare alla propria proprietà, in modo da poter avere i mezzi per vivere, come può accettare proprietà di cui dovrà rendere conto? Perché moltiplicare i tuoi peccati con quelli degli altri?

Tenendo conto dunque di questi e di altri scritti dei santi Padri, è necessario che il clero si tenga lontano da questo pericolo nell'accogliere i beni della Chiesa. Coloro che hanno beni propri, oltre a quelli della Chiesa, e conferiscono qualche beneficio alla Chiesa, sia dentro la clausura sia fuori, ricevano cibo, bevande e una parte delle offerte alla comunità, e si accontentino di queste, altrimenti se accettano di più saranno visti come un peso per i poveri. Devono ricordare ciò che insegnò Prospero, quando disse: “Coloro che possiedono le proprie proprietà e vogliono comunque ricevere qualcosa, non possono ricevere ciò di cui i poveri hanno bisogno per vivere senza commettere un grave peccato”.

Quelli del clero che non sono personalmente ricchi e non hanno beni ecclesiastici, ma conferiscono un notevole beneficio alla Chiesa, possono ricevere cibo, vestiario e una parte delle offerte versate alla congregazione dei canonici, poiché è di costoro che è detto nel libro di Prospero: “Il clero che è povero per nascita o per scelta, e che vive nella congregazione, deve ricevere le necessità della vita, perché nell'accettarle non è guidato dalla brama di proprietà, ma dal bisogno di vivere.” Se sono tali da non voler conservare i propri beni, né possedere quelli della Chiesa, i loro superiori usino la loro autorità per provvedere adeguatamente alle loro necessità con i beni della Chiesa. Ascoltino la parola di Prospero. “I beni della Chiesa sono comuni a tutti coloro che non hanno nulla”. Inoltre i superiori provvedano a tutti coloro che sono gravati da malattie o dall'età e che notoriamente hanno lavorato in passato per il bene della Chiesa.

121. Come si debba distribuire equamente la misura del cibo e delle bevande nella congregazione dei canonici.

Può accadere che in alcune congregazioni di canonici alcuni chierici ben dotati di ricchezze, e che apportano poco o nessun beneficio alla Chiesa, ricevano uno stipendio maggiore degli altri, che sono attivamente impegnati nell'opera di Dio. Ciò è del tutto irragionevole e inaccettabile; non deve mai accadere, e non è possibile trovare alcuna autorizzazione affinché ciò sia consentito, né nelle Scritture né nelle tradizioni dei santi padri. Poiché questa pratica non è sostenuta da alcuna autorità, ma è evidentemente nata dalla golosità e dall'avarizia, non ci resta che tagliarla via con la scimitarra della giustizia e con la sentenza del giudizio, affinché sia completamente sradicata da tutti i luoghi in cui si verifica.

Ciò che è ragionevole e giusto, davanti a Dio e agli uomini, è che in ogni congregazione di canonici tutti ricevano la stessa quantità di cibo e di bevanda, dal più grande al più piccolo, cioè tutti coloro che sono stati ammessi nel numero dei canonici per qualche scopo utile. Sebbene altrove avvenga spesso che i sottoposti siano onorati dai superiori con una ricompensa maggiore degli altri, in base al merito, nel nostro istituto dobbiamo escludere ogni considerazione delle persone, e la razione del cibo e delle bevande deve essere la stessa per tutti.

122. Sulle quote di cibi e bevande.

Riteniamo opportuno e ragionevole stabilire che, in ogni luogo in cui prestano servizio comunitario al Signore e secondo il diritto canonico, i canonici ricevano equamente il pane, i legumi e la parte delle elargizioni. Sebbene idealmente tutti devono ricevere la stessa quantità di bevande in ogni luogo, in pratica l'importo delle proprietà della chiesa varia, così come la natura del terreno e altre circostanze, che fanno sì che l'importo sia diverso. Abbiamo quindi sentito l'esigenza di specificare la giusta scala da seguire in questa materia.

Pertanto, il sacro sinodo, a maggioranza e di comune consenso, si è compiaciuto di decretare che in ogni luogo, grande o piccolo, ciascuno dei canonici riceva ogni giorno quattro libbre di pane. Nei luoghi dove la Chiesa ha molti beni, per esempio tre o quattromila, anzi ottomila e più mansi [1], se quella regione produce vino, ogni canonico deve ricevere cinque pinte di vino ogni giorno, a meno che non ci sia una cattiva stagione che lo renda impossibile e l'intera quantità di vino non possa essere prodotta, nel qual caso devono avere tre pinte di vino e tre di birra. Se la terra fosse totalmente improduttiva di vino, devono avere una pinta di vino e cinque di birra. Nelle proprietà di medie dimensioni, con mille, millecinquecento o anche duemila mansi, se la regione è vinicola, come detto prima, devono avere quattro pinte di vino; se non è sufficientemente produttiva di vino, due pinte di vino e tre di qualche bevanda preparata con altro materiale. Poi, se fosse del tutto improduttivo di vino, devono ricevere quattro pinte di detta bevanda, e solo una di vino. Nelle piccole proprietà, con due o trecento mansi, devono ricevere due pinte di vino. E se quella regione è carente di vigneti, come detto prima, devono ricevere tre pinte di birra e una pinta di vino se i fondi lo consentono. In alcune provincie manca il vino, e i prelati devono provvedere a procurare vino dalle vicine regioni produttrici di vino perché, sebbene vi siano molte regioni dove non cresce la vite, la santa Chiesa di Dio è ben dotata di altri beni, per favore del Signore, che il prelato può usare per acquistare per sé e per i suoi sudditi vino da altre province e dare loro la dovuta razione di bevanda. Dunque, là dove i beni ecclesiastici sono modesti, o addirittura sono stati saccheggiati e gravemente impoveriti, il numero dei canonici sia piccolo, per quanto grande sia la loro responsabilità, affinché la suddetta minore misura possa essere loro data senza difficoltà.

Nei giorni festivi è consuetudine della Chiesa che i prelati distribuiscano ai fratelli il miglior cibo e le migliori bevande che riescono a procurarsi. Pertanto, là dove i prelati hanno seguito l'esempio dei loro devotissimi predecessori, e sono abituati a dare di più ai loro chierici, non devono in alcun modo cessare di compiere il buon lavoro che hanno svolto. Se qualcuno è capace di dare ancora di più ai suoi sottoposti, deve offrire allegramente ciò che può, per amore di una ricompensa eterna. Se non può farlo, eviti almeno di dare loro meno della suddetta razione, se non per assoluta necessità. Se il tempo fosse tale che il raccolto della vite fallisse, come spesso accade a causa dei nostri peccati, e i superiori non potessero dare ai canonici tanto vino quanto devono, distribuiscano quanto possono con discrezione e moderazione, in modo che tutti abbiano una quota paritaria. Accettino ciò che hanno a disposizione senza lamentarsi, ma piuttosto con gratitudine, e perseverino nella loro santità comunitaria. I canonici, pertanto, conservino per il futuro il vino o altra bevanda che sarà data loro nella cantina comune, in modo che, se dovesse capitare una stagione così sterile, ce ne sia abbastanza per soddisfare i loro bisogni comuni. Tuttavia il prelato non deve usare questo accorgimento come pretesto per diminuire la loro razione di bevande, se può darla.

Coloro che hanno ampi mezzi propri e a disposizione della Chiesa, in tempo di carestia devono assistere i poveri che vengono mantenuti dalla Chiesa con le proprie risorse, con carità e umiltà, affinché, come dice l'Apostolo: “il fratello deve aiutare il fratello, ed entrambi troveranno consolazione”. Né devono essere presuntuosi a riguardo, poiché, come leggiamo in Prospero, non devono supporre, nella loro vanità, di essere migliori dei poveri senza un soldo che la chiesa nutre e veste.  Inoltre i prelati si guardino dal privare i loro sudditi, con inganno o ritardo, di qualcosa che devono e possono fornire, per evitare che siano costretti dalla povertà ad allontanarsi e ad impegnarsi in vili commerci, abbandonando i loro uffici ecclesiastici per vivere senza disciplina secondo i propri capricci. I prelati che avrebbero potuto provvedere alle loro necessità ed essere così ricompensati dal Signore, saranno invece giudicati in modo severo e rigoroso. Devono anche dare loro i legumi, nella misura in cui i loro mezzi lo consentono, e fornire loro luoghi adatti per coltivare il proprio cibo, in modo che possano coltivare i legumi di cui hanno bisogno, per integrare ciò che ricevono dalle fattorie della chiesa e dai doni dei fedeli. I canonici abbiano perciò degli orti, affinché possano procurarsi a vicenda ogni giorno qualche legume per il refettorio, al quale si possano aggiungere altre cose. Poiché le misure differiscono e sono disuguali, e molti non calcolano allo stesso modo, come richiede la legge di Dio, ma secondo le consuetudini delle varie province, abbiamo ritenuto opportuno destinare la razione dei cibi e delle bevande ai canonici secondo un peso. Poiché le misure sono state così ineguali e differiscono così tanto, i pesi pubblici sono stati distribuiti alle province, alle città e alle miniere, in modo che nessuna variazione o disuguaglianza possa persistere. Poiché il peso rimane costante, a tutti può essere data una misura giusta ed eguale. Tutti devono essere consapevoli che una sterlina non contiene più di dodici once.

 

123. Che i superiori diano ai loro sottoposti un duplice nutrimento.

Deve essere cura costante dei superiori guidare coloro che sono sotto la loro autorità ad una vita santa, con la parola e con l'esempio; devono ricordarsi costantemente che devono vigilare su di loro non come se fosse il proprio gregge, ma come quello del Signore. Come fu detto a Pietro: "Se mi ami, pasci le mie pecore". (Giovanni 21:17) Nota che disse "le mie" pecore, non "le tue" pecore. Sottolineiamo questo punto perché ci sono alcuni che nutrono il gregge di Cristo non per amore di Cristo ma per la propria gloria, per aumentare il proprio potere o guadagno. Ma siano anche diligenti nel ricordare che il gregge del Signore ha bisogno di essere condotto con vigilanza non solo in un pascolo, ma in molti, perché siano diligenti nel provvedere loro il nutrimento materiale, sia con l'esempio di virtù che con una parola incoraggiante. Ogni superiore deve dunque preoccuparsi di amministrare fedelmente il gregge di Cristo, sia la quota spirituale che quella materiale, affinché sia degno di essere quel servo del quale nel Vangelo è detto: “servo fedele e saggio, che il suo signore ha costituito sulla sua famiglia, per dar loro il cibo a tempo debito”. (Mt 24:45) Poiché i superiori provvedono alle necessità del corpo dei loro sottoposti, essi a loro volta siano desiderosi di osservare con devozione le regole del loro ordinamento canonico, per mostrare ai loro superiori e maestri il dovuto rispetto; celebrare devotamente l'Ufficio divino nelle ore canoniche; comportarsi in modo irreprensibile, sia dentro che fuori casa, non solo nel vestire e nel comportamento, ma anche nell'andatura; di non sprecare il tempo nell'ozio né in conversazioni vuote, di non abbandonarsi a calunnie o ad altri discorsi viziosi, ma di dedicare il proprio tempo alla preghiera, alla lettura e a quanto è utile alla Chiesa e a sé stessi, allo studio della sana dottrina e degli altri rami della conoscenza, affinché nessun membro della congregazione sia inutile o inattivo, ed accetti uno compenso dalla Chiesa senza giustificazione.

Ogni giorno si rechino al Capitolo, dove leggano questa Regola e brani di altri scritti sacri, chiedano perdono dei peccati confessati e ricevano giudizio secondo la natura della loro confessione, e lì trattino questioni di comune interesse e vantaggio per la Chiesa. Tutti devono dormire nel dormitorio, eccetto quelli la cui infermità o vecchiaia lo rendono impossibile. Tutti i giorni mangino insieme nel refettorio, a meno che qualche necessità non impedisca loro di venire, e ciò non avvenga senza il consenso del superiore. Mentre mangiano osservino un reverente silenzio e vi siano continue letture alle quali devono ascoltare attentamente. Si servano vicendevolmente nel refettorio e negli altri compiti comuni, come fratelli. Nessuno deve uscire dal monastero se non con il permesso e quando è fuori non deve mai recare discredito su se stesso, ma rendersi invece un esempio per tutti.

Questo è dunque il duplice alimento che i superiori dovranno essere diligenti di offrire alle pecorelle loro affidate, affinché possano rendere conto al Signore delle loro anime, dovendo presentarle incolumi, così come se stessi, davanti al pastore universale, Cristo sommo sacerdote, nel terribile giorno del giudizio. Non siano condannati insieme agli empi, soggetti all'ira divina, ma siano piuttosto ricompensati dal Signore con la beatitudine eterna insieme ai pastori scelti.

 

124. Come i canonici debbano osservare una certa discrezione nell'abbigliamento e in altre cose.

Impariamo dal chiaro insegnamento della Sacra Scrittura che dobbiamo cercare Dio più con le intenzioni del nostro cuore che con qualsiasi manifestazione esteriore; tuttavia i canonici devono fare tutto il possibile per garantire che, pur indossando gli abiti della virtù all'interno, non portino discredito alla religione vestendosi in modo stravagante all'esterno. Da molti passi dei santi Padri possiamo apprendere quanto scrupolosamente debbano astenersi da un abbigliamento eccessivo e ostentato.

Ad esempio, san Girolamo dice nella sua Lettera a Eustochio: “Ci sono alcuni del mio ordine il cui unico interesse è vestirsi, essere ben profumati, assicurarsi che i loro piedi non siano lucidi a causa della pelle flaccida. Hanno i capelli attorcigliati attorno all’arricciacapelli, le loro dita scintillano di anelli, camminano delicatamente in punta di piedi affinché le strade umide non schizzino sui loro piedi. Quando li vedi, penseresti che siano sposi, non clero”. (Girolamo, Epistola 22, PL 22, 414) San Gregorio dice anche: “Non pensate che non ci sia alcun elemento di peccato negli abiti eleganti e fluenti, perché se fossero irreprensibili, Nostro Signore non avrebbe lodato San Giovanni Battista per i suoi abiti rozzi. (cfr. Lc 7,25) Se l'abito elaborato non fosse un difetto, l'apostolo Pietro non avrebbe trattenuto le donne dal desiderare abiti costosi, quando dice: 'non con abiti costosi'. (1 Tm 2,9) Dobbiamo quindi riflettere sul nostro abbigliamento, su quanto sia peccaminoso che gli uomini cerchino qualcosa che il Pastore di tutta la Chiesa si è preoccupato di vietare alle donne”. (Gregorio, Omelie sui Vangeli, I.6,3; Taio, Sentenze V, cap. 2; PL 80,958)

I canonici devono, quindi, obbedire all'autorità delle sacre scritture ed essere diligenti nell'osservare gli scritti dei santi Padri. Devono dimostrare l'umiltà che hanno nel cuore attraverso il loro comportamento, il loro abbigliamento, la loro andatura e anche la loro bravura a cavallo; preferiscano risplendere con una vita santa e con una morale esemplare, piuttosto che con abiti brillanti.

Se sono così decadenti da modellarsi sugli sposi, adornati di splendidi abiti, finimenti di cavalli e altri oggetti di umana vanità, e possono addirittura affermare di avere ragione, come mai il loro modo di vivere appare diverso da quello dei laici? Il loro modo di vestire, quindi, deve essere tale da eliminare ogni occasione di vanità. Non devono avere nulla di moda o di eccessivo, nulla di poco raccomandabile o squallido. Nessuno deve presumere di indossare qualcosa di speciale che non sia abitualmente indossato dagli altri, in altre parole il suo abbigliamento non deve essere né più vistoso del solito, né più eccentrico né trasandato. In entrambi questi estremi c’è un evidente pericolo di vanità o pretenziosità. La virtù della discrezione è necessaria per orientare un percorso moderato tra questi opposti. Nella vita di sant'Agostino leggiamo che seguì esattamente quel percorso, ed è lodato di conseguenza: “I suoi vestiti, le sue scarpe e la sua biancheria da letto erano moderati e pratici, né troppo vistosi né troppo trasandati, perché è in questi estremi che gli uomini sono abituati vantarsi con arroganza o a umiliarsi, e in nessun caso seguono Gesù Cristo, ma piuttosto la propria volontà. Il santo, come ho detto, mantiene la via di mezzo, senza deviare né a destra né a sinistra”. (Possidio, cap. 22, PL 32, 51)

 

125. Che i canonici non indossino i cappucci dei monaci.

Un abuso che troviamo insinuato tra alcuni Canonici, che necessita il controllo dell'autorità ecclesiastica, è che, contrariamente all'uso della Chiesa, indossano cappucci, che sono le vesti dei soli monaci. Poiché il loro modo di vivere è molto diverso da quello dei monaci, non devono presumere di indossare i loro abiti. Come non sarebbe conveniente portare armi da guerra come i laici, così è inopportuno e del tutto ingiusto che essi si vestano con abiti appartenenti ad un altro modo di vivere. Nella Chiesa gli abiti dei diversi ordini vengono distinti gli uni dagli altri così che, guardandoli, si possa riconoscere facilmente quale condotta di vita essi seguano e in quale professione servano il Signore. Nella legge del Signore è proibito che l'uomo indossi l'abito di una donna, o la donna quello dell'uomo, in modo che ciascun sesso possa essere distinto vestendosi in modo appropriato (cfr. Dt 22,5); e poiché è indecente che un uomo porti abiti da donna, o che una donna vesta abiti da uomo, così è altrettanto indecente che un canonico porti l'abito monastico, a meno che con l'abito non intenda assumere la forma di vita monastica. Poiché non esiste alcuna autorità che consenta loro di vestirsi in quel modo, ed è stato giustamente rimproverato e corretto da chi ne sa di più, d'ora in poi questo abuso dovrà essere rigorosamente vietato.

 

126. Estratto del libro degli Uffici di sant'Isidoro, sull'autorità di celebrare le ore canoniche, che i canonici devono conoscere e osservare religiosamente.

(Ndt: Isidoro, Gli Uffici Ecclesiastici, libro 1, cap. 19; PL 83, 757. I prossimi cinque capitoli ripetono cinque successivi capitoli di sant'Isidoro, coprendo il ciclo del Divino Ufficio.)

Daniele e i tre ragazzi hanno consacrato con le loro preghiere [al Signore] la terza, la sesta e la nona ora. Così il fatto che dall'alba si offrano tre ore come tempi di supplica dimostra la nostra devozione alla Trinità. Allo stesso modo, poiché dall'ora terza, all'ora sesta, e così fino all'ora nona, gli intervalli sono determinati da multipli di tre, la Trinità viene adorata e invocata tre volte al giorno. Anche questo parla in evidenza della Santissima Trinità, che fu all'ora terza, cioè nel suo luogo sia nel numero che nel tempo, che lo Spirito Santo discese sulla terra per compiere la promessa di grazia che Cristo aveva fatto. (cfr.. At 2,15) Inoltre Cristo soffrì nell'ora sesta e nella nona si arrese alla sofferenza della croce.

In questo modo simbolico la perfezione della Trinità è sia lodata nel nostro culto, sia invocata nelle nostre preghiere, nei tre tempi stabiliti con i loro intervalli di tre ore. Se si contano gli uffici durante la giornata, ci sono quattro intervalli fino ai vespri, e questo quartetto simboleggia i quattro angoli della terra, salvati dalla Santissima Trinità. Inoltre le veglie notturne militari di guardia sono divise in quattro veglie della durata di tre ore, affinché anche nelle veglie notturne di questo mondo si possa adorare il mistero della Trinità.

 

127. Ai Vespri. (Isidoro, Gli Uffici Ecclesiastici, libro 1, cap. 20; PL 83, 758)

L'Ufficio dei Vespri segna la fine dei lavori della giornata e lo spegnersi della luce, momento in cui nell'Antico Testamento si svolgeva una liturgia solenne. (cfr. Es 29,39) In quell'ora era consuetudine offrire gli antichi sacrifici e onorare l'altare con profumi e incensi. Davide il salmista, che ricoprì l'incarico sia di re che di profeta, ce lo dice con le parole: 'La mia preghiera sia diretta come incenso ai tuoi occhi: l'alzarsi delle mie mani come sacrificio della sera.' (Salmo 140,2) Anche nel Nuovo Testamento, fu nella stessa ora che Nostro Signore e Salvatore consegnò per la prima volta il mistero del suo corpo e del suo sangue ai suoi apostoli mentre erano a tavola (cfr. Mt 26,20) per mostrarci che la sera è il tempo del sacrificio eterno. Inoltre, è giusto che noi onoriamo e ricordiamo quei grandi sacramenti, essendo presenti al cospetto di Dio in quest'ora, sia risuonando nella sua adorazione, che offrendogli i sacrifici delle nostre preghiere ed esultando nella sua lode. Vespro prende il nome dalla stella della sera che si chiama vespro, e sorge quando tramonta il sole; di questo il profeta dice: "fai sorgere la stella della sera sui figli della terra". (Giobbe 38:32)

 

128. Sulla Compieta. (Isidoro, Gli Uffici Ecclesiastici, libro 1, cap. 21; PL 83, 758-759)

Ma troviamo testimonianze della celebrazione della Compieta anche nei Padri. Il profeta Davide cantava: “Non entrerò nella tenda in cui abito, non mi stenderò sul letto del mio riposo, non concederò sonno ai miei occhi né riposo alle mie palpebre, finché non avrò trovato un luogo per il Signore, una dimora per il Potente di Giacobbe”. (Salmo 131:3-5) Chi non si stupirebbe di un così grande amore per Dio, di una tale devozione della mente, da privarsi del tutto del sonno senza il quale la struttura umana non può sopravvivere, finché lui, che era sia re che profeta, non trovasse un posto nel suo cuore per costruire un tempio al Signore? Questa considerazione deve stimolarci, perché se anche noi desideriamo essere la dimora del Signore ed essere considerati suo tabernacolo e suo tempio, dobbiamo imitare, per quanto possiamo, l'esempio dei santi, affinché non si dica di noi quello che leggiamo: "Furono spogliati i valorosi, furono colti dal sonno, nessun prode ritrovava la sua mano". (Salmo 75:6)

 

129. Sull'antichità delle Veglie. (Isidoro, Gli Uffici Ecclesiastici, libro 1, cap. 22; PL 83, 759-760)

La pratica di celebrare le Veglie è una devozione antica, buona e familiare a tutti i santi. Il profeta Isaia grida al Signore dicendo: " Di notte anela a te l’anima mia, al mattino dentro di me il mio spirito ti cerca, perché quando eserciti i tuoi giudizi sulla terra, imparano la giustizia gli abitanti del mondo. ". (Isaia 26:9) Anche Davide, [che fu santificato e unto sia come sacerdote che come profeta,] canta: “Nel cuore della notte mi alzo a renderti grazie per i tuoi giusti giudizi.” (Salmo 118:62) Quella fu l’ora in cui l’angelo distruttore passò per colpire i primogeniti d’Egitto. Dobbiamo quindi vigilare per non confonderci con il pericolo degli Egiziani. Fu in quella stessa ora che il Salvatore ci annunziò nel Vangelo che sarebbe venuto, esortando i suoi ascoltatori a vigilare dicendo: “Beati quei servi che il Signore, quando verrà, troverà vigilanti. E se verrà alla sera, o a mezzanotte, o al canto del gallo, e li troverà a vegliare, beati quei servi. Anche voi dunque siate pronti; poiché nell'ora che non pensate verrà il Figlio dell'uomo”. (Mt 13:35; Lc 12:37–40) Insegnò loro a vegliare non solo con le parole, ma con il suo esempio, poiché il Vangelo ci dice che Gesù “trascorse tutta la notte pregando Dio.” (Lc 6:12) Anche Paolo e Sila, quando erano nella prigione pubblica, pregarono intorno a mezzanotte, e ci viene detto che mentre erano legati cantarono un inno davanti a tutti. Allora ci fu un improvviso terremoto e le fondamenta della prigione furono scosse, le porte si aprirono da sole e tutti i loro legami furono sciolti. (cfr. At 16,25-6) Per questo è opportuno che celebriamo in queste ore l'Ufficio divino, con la salmodia e la preghiera, affinché così facendo siamo preparati e liberi dall'ansia, sia che moriamo, sia che venga il Signore. Tuttavia, c'è una razza di eretici che ritengono che le sante veglie non siano necessarie e, per quanto riguarda il valore spirituale, del tutto inutili, poiché affermano che le veglie sfidino la legge di Dio, in quanto egli ha creato la notte per il sonno e il giorno per il lavoro. Questi eretici sono chiamati Nyctages in greco, che significa dormiglioni.

 

130. Sul Mattutino. (Isidoro, Gli Uffici Ecclesiastici, libro 1, cap. 230; PL 83, 760)

Dell'antichità e del valore del Mattutino, anche il profeta Davide dice: "Al mattino mediterò su di te, perché tu sei stato il mio aiuto". (Salmo 62:7–8) E altrove: "I miei occhi precedono il mattino, per meditare sulla tua promessa". (Salmo 118:148) Cassiano ci racconta che l'ufficio della lode mattutina fu introdotto per la prima volta ai suoi tempi, nel monastero di Betlemme, dove Nostro Signore Gesù Cristo piacque di nascere da una vergine per la redenzione e la salvezza dell’uomo; da quell'inizio l'usanza di celebrare questo ufficio si è diffusa in tutto il mondo. (Cassiano, Istituzioni cenobitiche, III, 4; PL 49, 126–7) La preghiera viene offerta all'alba, per celebrare la risurrezione di Cristo, perché fu proprio quando splendeva il primo mattino che Nostro Signore e Salvatore risuscitò dai morti. Allora la luce cominciò a risplendere sui fedeli, proprio come era stata oscurata ai peccatori quando Cristo morì. Quella è anche l'ora in cui crediamo che tutti vedremo la speranza della nostra imminente risurrezione, quando i giusti si sveglieranno, come tutti, da questa morte temporale e si alzeranno come dal sonno.

 

131. Che i canonici osservino religiosamente le Ore canoniche.

I canonici abbiano la massima cura nell'osservare le suddette Ore, nelle quali devono celebrare l'Ufficio divino con umiltà e devozione. “Appena dato il segnale” (RB (Regula Benedicti) 43) tutti si radunino in chiesa il più presto possibile. Non devono procedere in modo pomposo, né essere disorganizzati e informali, ma entrare con timore e riverenza verso Dio. Non devono portare bastoni nel coro, tranne i deboli, ma stare lì devotamente e cantare i salmi. Ci sono alcuni chierici che sono assolutamente instancabili poiché trascorrono l'intera giornata in affari mondani e controversie, ma non appena entrano in chiesa per celebrare l'Ufficio divino sono così esausti che non sono in grado di attendere alla loro preghiera o di stare in piedi. per tutta la salmodia. Devono sedersi e darsi a conversazioni più profane che divine, parlando di affari mondani e perfino, mi vergogno di aggiungere, raccontandosi barzellette indecenti. Questa pratica abominevole deve essere assolutamente sradicata, sia da coloro che già agiscono così, sia da chiunque fosse tentato di imitarli, perché secondo la parola del Signore, la sua casa sarà chiamata casa di preghiera. (cfr. Lc 19,46)

Quindi, tutti devono mortificare sia l'udito che la parola dalle chiacchiere inutili, e devono stare nella chiesa con riverenza e timore reverenziale, sia che preghino, cantino, leggano o ascoltino. Non devono pronunciare parole vili, squallide o mondane, né permettere ad altri di pronunciarle, ma devono invece unirsi nel cantare lodi a Dio e implorando il perdono del Signore per i propri peccati e per quelli del popolo sulle offerte degli stessi essi vivono. Perciò, come dice san Paolo, “si facciano prima di tutto suppliche, preghiere, intercessioni e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti gli alti, affinché possiamo vivere una vita tranquilla e pacifica in tutta pietà. e castità. Questo infatti è cosa buona e gradita” - prosegue l'Apostolo – “davanti a Dio, nostro salvatore”. (I Tim. 2:1–3)

Si assicurino di non sprecare i tempi della quiete, concessi loro nel luogo dedicato al culto divino, nell'ozio, ma si dedichino con zelo all'offerta delle lodi di Dio. Se useranno bene questo tempo di silenzio, potranno raggiungere quella pace che non ha fine. Coloro che trascurano la loro frequenza alle Ore e la dovuta esecuzione del culto celeste, devono essere corretti con la punizione adeguata, in modo che essi stessi possano migliorare e gli altri siano dissuasi da tale negligenza. Ma una cosa è ometterlo del tutto, un'altra cosa è eseguire questo culto con noncuranza. Se qualcuno è così negligente da arrivare in ritardo alla celebrazione delle Veglie o a qualsiasi altro ufficio divino, è conveniente che non stia con gli altri nel coro, ma stia per ultimo o nel posto appartato che ha assegnato il superiore a tali persone negligenti per la loro umiliazione. Non devono assolutamente restare fuori, altrimenti passerebbero il tempo “raccontando storie oziose” e sarebbero del tutto esclusi dalla lode di Dio. (RB 43)

I custodi delle chiese devono conoscere bene i tempi distinti delle Ore ed essere sicuri che le campane suonino al momento giusto e che le lampade siano pronte per essere accese prontamente. È loro responsabilità anche vigilare che nessuno dei beni della Chiesa loro affidati vada perduto.

 

132. Come gli angeli sono presenti per proteggere coloro che cantano e salmodiano al Signore.

Per coloro che recitano i salmi nella Chiesa del Signore, la mente deve essere conforme alla voce, così da compiere ciò che disse l'Apostolo: "Canterò con lo spirito, canterò anche con la mente". (1 Cor 14,15) Anche se sappiamo che il Signore è presente ovunque, per la potenza della sua divinità, crediamo che Egli è presente a noi in modo particolare, attraverso la grazia, quando prendiamo parte all'ufficio divino. Scrive di questo argomento il venerabile sacerdote Beda nel suo commento al vangelo di san Luca: “Non è sfuggito alla nostra attenzione che una moltitudine di angeli è presente invisibilmente agli eletti, per difenderli dall'assalto del loro astuto nemico e per sostenere loro con una grazia più grande nel loro anelito al cielo. L'apostolo lo testimonia dicendo: ’Non sono forse tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati a servire coloro che erediteranno la salvezza?’ (Ebrei 1:14) Possiamo credere che gli spiriti angelici ci siano più particolarmente vicini quando ci dedichiamo al culto di Dio, cioè quando entriamo in chiesa, prestiamo attenzione alle sante letture e ci applichiamo al canto dei salmi o alla preghiera, o anche quando celebriamo la santa Messa. Per questo dice il profeta: ‘Io ti canterò davanti agli angeli. (Sal 137:1) Né possiamo dubitare che quando i misteri del Corpo e del Sangue del Signore sono in atto, i cittadini del cielo si riuniscono lì”. (Beda, Omelie, Libro II, su Luca; PL 94,151. Cfr. anche RB 19)

Dunque, ogni volta che entriamo in chiesa, sia per offrire le lodi che dobbiamo a Dio, sia per celebrare la santa Messa, dobbiamo preoccuparci di ricordare la presenza degli angeli e di compiere l'ufficio divino con dovuto timore e riverenza, affinché, cosa che Dio non voglia, non venga celebrato con negligenza e vergognosa indifferenza, essendo superficiali nella sua osservanza, così da cadere miseramente sotto la sentenza: "Maledetto sia colui che compie l'opera del Signore con inganno". (Ger. 48:10) Dobbiamo, quindi, stare molto attenti a non fare nulla nella Chiesa di Dio con negligenza o in modo sbagliato, né a fare nulla di sconveniente in pensieri, parole o azioni, in modo che agli occhi degli angeli noi possiamo essere resi degni, e quando il Signore verrà potrà trovare in noi, non motivo di condanna ma piuttosto ciò che merita ricompensa.

 

133. Chi deve essere ordinato a leggere o cantare in chiesa.

Quelli prescelti per leggere, cantare o intonare i salmi in chiesa devono essere tali da non essere superbi, ma umili nel rendere la dovuta lode al Signore, affinché possano piacere ai dotti con la lettura e il canto armoniosi e così istruire i meno dotti. Quando leggono o cantano devono essere più desiderosi di edificare il popolo che di conquistarne la vuota ammirazione. Coloro che sono incapaci di farlo bene devono prima essere istruiti dai loro insegnanti e, una volta istruiti, devono studiare per svolgere i loro compiti a edificazione degli ascoltatori. (cfr. RB 38, 47)

 

134. Quale deve essere la natura della correzione.

Coloro che contravvengono alla regola canonica devono essere giudicati in linea di principio dai vescovi. Come dice sant'Agostino (De Correptione c.15; PL 44, 944)., non può esserci pena più grande nella Chiesa. Bisogna però dare consigli agli altri superiori, nei luoghi dove la vita canonica si svolge sotto la loro autorità; sebbene siano riconosciuti di rango inferiore ai vescovi, devono tuttavia esercitare una certa misura di correzione nei confronti dei loro sottoposti se sono in errore e rifiutano di osservare le esigenze del modo di vita che hanno intrapreso.

Ogni età e livello di intelligenza ha le proprie capacità e la propria portata, sicché la misura della pena deve essere proporzionata alla gravità della colpa, che sarà determinata dal superiore (Cfr. RB 24) che deve essere moderato e discreto. Gli stessi superiori nel trattare con il colpevole devono imitare l'opera di un medico esperto, avendo molta cura nella diagnosi in modo da trattare ciascuno come conviene al suo caso. Si ricordino soprattutto di applicare il rimedio secondo la natura della ferita, senza dare a uno qualcosa di dannoso, né privare un altro di ciò che potrebbe essere utile.

Ci saranno alcuni che sono così giovani che i loro difetti non possono essere trascurati e, come consiglia Salomone, dovranno essere picchiati con il bastone per evitare che si induriscano nel peccato (cfr. Siracide 30,12); nel caso degli altri vi mostreremo brevemente e sinteticamente come trattarli, secondo la Parola di Dio e l'esempio e l'insegnamento dei santi padri. Se si troverà qualche fratello, aggregato nella congregazione dei canonici, che trascura di frequentare le ore canoniche, che entra in chiesa non in modo religioso ma in modo arrogante o disordinato, che è negligente nel compiere il servizio divino, che arriva in ritardo per il Capitolo, e si rifiuta di eseguire gli ordini dati dai suoi superiori, che non si preoccupa della lettura, del canto o di altri compiti in chiesa, che arriva tardi a tavola senza motivo se non per disattenzione, esce dal recinto senza permesso, oppure, se gli è stato concesso il permesso, resta fuori per il proprio divertimento più a lungo di quanto convenuto, preferendo starsene seduto per strada o agli incroci, chi fa qualcosa di indecente o sconveniente nel dormitorio sia con parole che con azioni, chi si assume la responsabilità di dormire fuori del dormitorio con gli altri senza motivo impellente, chi è negligente nel servire i fratelli nell'obbedienza e nella carità, e semina discordia (che la Scrittura ci dice che Dio detesta), (cfr. Prov. 6,16) tra i fratelli, ed è disobbediente, o orgoglioso, o mormoratore, o in qualche modo disprezza questa regola, e intento a fare qualsiasi altra cosa di questa natura, costui sia ammonito, secondo il comandamento di Nostro Signore, non solo una, due o tre volte, ma molte volte, e anche se non si emenda dopo questi rimproveri, deve essere corretto con un rimprovero pubblico. Se rifiuta di esaudire anche questo riprovero, gli deve essere proibito qualsiasi cibo diverso dal pane e dall'acqua da prendere fino a quando non avrà soddisfatto pienamente la regola. Ma se anche allora non corregge la sua vita, dovrà essere escluso dalla mensa e dalla compagnia dei fratelli e privato del suo posto nel coro, fatto abitare da solo in un luogo riservato dai superiori a tali screanzati, in modo che alla fine potrà essere corretto dalla vergogna di un tale isolamento. (Cfr. RB 23)

Se è del tutto incorreggibile dopo tutto questo trattamento, e se ha un'età adeguata, allora come dice Salomone, "Uno stolto non si corregge con semplici parole" (Prov. 18:2) e deve essere punito con una bastonatura adeguata, come si punirebbe un bambino. Come dice san Gregorio: “Chi non ascolta le parole di chi comanda, sia ammonito con percosse, affinché le pene lo conducano al bene desiderato, se i premi non sono riusciti a farlo”. (Gregorio Magno, citazione ignota) Ma se uno è troppo vecchio o troppo importante per lasciarsi bastonare, deve essere corretto con il pubblico rimprovero, un continuo regime di digiuno e la vergogna dell'isolamento, finché non riceva il perdono dopo aver compiuto vera soddisfazione. Se in entrambi i casi, quello che viene picchiato e quello troppo vecchio o importante per essere picchiato, rimane ancora incorreggibile, deve esserci un posto all'interno del recinto dei canonici, come sappiamo che c'è in molti luoghi, dove possa essere rinchiuso per un po' e punito come merita la sua colpa. Come dice san Paolo, “consegnatelo a Satana per la distruzione della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno di Nostro Signore”. (1 Cor. 5,5) Se non cederà a tanti rimproveri e castighi salvifici, tutta l'assemblea dovrà pregare per lui affinché il Signore lo salvi. Alla fine coloro che rimangono del tutto incorreggibili senza alcun proposito di emendamento dovranno essere esclusi dalla comunione degli altri, come pecore malate, affinché il contagio malvagio non si diffonda da loro ad altri: devono essere condotti alla presenza del vescovo per essere da lui pubblicamente condannati con la sua autorità canonica. (cfr. RB 28)

Se qualche membro del collegio dei canonici ammette un crimine grave, non deve esserci ritardo prima che faccia penitenza spontanea per il peccato che ha confessato, ma se si rifiuta di farlo, deve essere portato dal vescovo perché gli dia lui una pubblica penitenza. I superiori ricordino che la Chiesa nella sacra Scrittura si chiama colomba, perché la colomba non strappa con gli artigli ma colpisce dolcemente con le ali. (cfr. Cant. 6,8) Si preoccupino quindi di moderare la natura dell'eventuale correzione, come abbiamo detto, secondo la natura della colpa e la qualità e l'età della persona. Così non può abituarsi al vizio attraverso la clemenza, né le punizioni troppo dure possono oltrepassare i limiti della compassione. Come dice san Massimo, “la troppa clemenza darà licenza al peccato, se sarà troppo dura non farà retrocedere il peccatore dai suoi peccati”. ([Pseudo] Massimo di Torino, Omelia 107; PL 57, 500).

Anche questo si ricordino i superiori, che non portino malevolenza nel castigare chi pecca in qualunque modo, ma siano, come dice sant'Agostino, persecutori del delitto e liberatori degli uomini. (Agostino, Epistola 153, c.1, 3; PL 33, 654) Odino il peccato e amino i peccatori. Odino ciò che viene fatto per persuasione del diavolo, amino ciò che è creato nella bontà di Dio. Hanno in mano sia la verga che il bastone (cfr. Sal 23,4): il bastone per sostenere gli altri uomini nella loro debolezza spirituale, la verga per castigare i vizi di chi pecca, con lo zelo della giustizia. Gli altri fratelli non devono mai mostrare favore a quei fratelli che hanno peccato e sono scomunicati, né ingannarli con le lodi né difenderne le colpe, ma anch'essi devono lavorare per il loro miglioramento con un giusto e severo rimprovero. (cfr. RB 69)

 

135. Quanto rigorosa sia la vigilanza sui ragazzi che vengono ospitati ed educati nella congregazione dei canonici.

I rettori delle chiese devono essere diligenti nel garantire che i ragazzi e i giovani che sono nutriti ed educati nelle congregazioni sotto la loro cura, possano essere adeguatamente disciplinati nel servizio della Chiesa. In questo modo, pur avendo un’età autoindulgente e molto incline al peccato, potrebbero non avere occasione di cadere in colpe gravi. I superiori nominino qualcuno che si prenda cura di loro e provveda alla loro educazione religiosa, un fratello di buona reputazione che abbia cura del loro benessere e li tenga sotto il suo stretto controllo affinché possano essere istruiti nella dottrina della Chiesa e dotati di armi spirituali, per prepararli ad essere utili alla Chiesa e ad essere promossi al rango ecclesiastico quando ne saranno pronti. Ciò sarà loro provveduto per educarli adeguatamente e addestrarli per il lavoro previsto. In tal modo il fratello incaricato deve agire secondo l'insegnamento dei santi Padri, che dicevano: “Durante l'adolescenza tutti sono inclini al peccato, e nulla è più imprevedibile del comportamento degli adolescenti. Per questo motivo la regola migliore è che i ragazzi e i giovani del clero alloggino tutti insieme in un edificio chiuso, affinché trascorrano gli anni dell'irresponsabilità non nell'autoindulgenza, ma sotto la disciplina della Chiesa. Devono essere affidati a un anziano rispettabile, che insegni ad essi la loro dottrina, che vegli sul loro comportamento” e così via. (Dal 4° Concilio di Toledo (633), canone 24; Mansi X, 626)

Alla luce di quella sentenza, è opportuno affidare la cura dei ragazzi a un anziano idoneo e degno, anche se verranno istruiti da altri. Se il fratello incaricato di questa cura trascura il loro benessere, o insegna loro qualcosa che non devono fare, o se li sottopone a qualche colpa di corruzione, dovrà essere severamente punito e rimosso dall'ufficio, e dovranno essere affidati a qualche altro fratello. che li riformerà con l'esempio del suo modo di vivere innocente e li incoraggerà a impegnarsi nel fare il bene.

 

136. Che tutti i canonici giungano a Compieta.

Quando tutti i canonici avranno diligentemente compiuto gli uffici giornalieri nei tempi opportuni, vengano devotamente a celebrare Compieta al suono della campana. Dopo Compieta non si abbandonino né al mangiare né al bere, né a conversazioni frivole ma, lasciando tutto ciò alle spalle, si rechino al dormitorio con umiltà e rispetto. Non devono mai dormire due in un letto, ma ciascuno in un letto separato. Di notte nel dormitorio ci sia una luce accesa. (Cfr. RB 22) Nessuno deve fare nulla di sconveniente o disdicevole nel dormitorio, né nessuno deve presumere di disturbare un altro, incoraggiandolo a prendere parte a conversazioni inutili e oziose. Chiunque disobbedisce alle disposizioni di questo capitolo deve essere severamente disciplinato dai superiori e dai maestri.

 

137. Dei cantori.

I cantori devono avere la massima cura di non macchiare il dono che Dio ha loro fatto con il peccato, ma di adornarlo con l'umiltà, la castità, la vigilanza e le altre sante virtù. Così la loro musica incoraggerà le persone che li circondano a meditare amorevolmente sul cielo, non solo attraverso i testi sublimi ma anche attraverso i suoni armoniosi che i medesimi producono. Abbiamo imparato dai Santi Padri che un cantore deve distinguersi per la sua voce e per la sua abilità, affinché possa ispirare gli animi di coloro che lo ascoltano con la bellezza della sua musica. (Isidoro, Gli Uffici Ecclesiastici, Libro II, capitolo 12; PL 83, 792). Quindi, i cantori non devono proporsi, vantarsi con orgoglio del dono ricevuto, ma mostrarsi umili tra i propri simili. Decidano quando celebrare l'Ufficio divino nel modo consueto e quando invece semplificarlo, in modo che, a seconda del numero dei chierici presenti, della natura dell'ufficio e del tempo a disposizione, possano eseguire il canto, e guidare il canto degli altri. Devono articolare i suoni delle parole che cantano in modo chiaro e melodioso. Quanto a coloro che sono meno esperti in queste arti, è meglio che stiano in silenzio finché non siano meglio addestrati, piuttosto che tentare di cantare una musica che non conoscono e disturbare tutti gli altri. I salmi devono essere recitati in chiesa con tono semplice e chiaro, con compunzione di cuore, piuttosto che cantarli in fretta o in modi eccessivamente complicati e astrusi. In questo modo i pensieri di chi recita la salmodia saranno rasserenati dalla soave melodia, e chi ascolta sarà edificato dalle parole che udrà. In altri luoghi della liturgia si utilizzano arrangiamenti elaborati per voci molto preparate, ma nella recita dei salmi è meglio evitare questo tipo di musica.

Si nominino alcuni fratelli anziani, uomini di vita proba, che possano organizzare un coro da alternare ai cantori, affinché coloro che hanno bisogno di imparare non siano lasciati nell'ozio, o passino il loro tempo in conversazioni vuote e frivole. Ma se i cantori diventano orgogliosi e rifiutano di trasmettere ad altri l'abilità che Dio ha permesso loro di acquisire, devono essere seriamente disciplinati, affinché imparino dalla propria correzione a trasmettere agli altri il talento che hanno ricevuto da Dio. Quindi, questo deve essere il modo di correggere chiunque sia esperto in qualsiasi tipo di arte ma che si comporta in modo tale da porsi con arroganza al di sopra degli altri a causa del talento che Dio ha dato loro, anziché essere desideroso di insegnare nella carità: su questo i superiori siano severi.

 

138. Chi deve sostituire i vescovi nella congregazione dei canonici.

I vescovi della Chiesa scelgano per la comunità loro affidata dei fratelli di buona reputazione sui quali possano affidare con fiducia l'onere del comando. Daranno loro tale autorità affinché possano operare in loro nome, correggere i refrattari con pene canoniche, e incoraggiare gli obbedienti a fare ancora meglio. Essi non siano nominati per motivi personali, né per la loro anzianità nell'ammissione nella comunità dei fratelli, ma secondo la loro dignità di vita e il grado dei loro doni spirituali. (RB 21) Devono stare costantemente con la congregazione ed essere instancabili nel vigilare sui bisogni dei fratelli. Prevalendo sugli altri nell'autorità, essi diano esempio di vita innocente, affinché, come dice san Paolo, possano essere «esempio ai fedeli, nella parola, nella conversazione, nella carità, nella fede, nella castità».' (I Tim. 4:12) Se cominciano a diventare orgogliosi della loro posizione di superiori, senza prendersi cura dei fratelli, e se vengono frequentemente ammoniti ma rimangono incorreggibili, devono essere rimossi dal ministero e altri devono essere messi al loro posto che saranno in grado di lavorare in modo più efficiente. (cfr. RB 64–5)

 

139. Del preposito. [2]

Anche se il titolo di «preposito» deriva dalla parola normale che significa «essere in carica», è divenuto consuetudine usare la parola «preposito» per indicare coloro che esercitano una certa autorità ma sono sotto l'autorità di altri prelati. Coloro che sono chiamati prepositi in questo senso devono essere uomini di tale natura e applicazione che la loro vita sarà esaminata e che possano eseguire ciò che viene loro comandato con fedeltà e umiltà. Sebbene abbiano ricevuto autorità da altri, non devono mai trascurare la regola canonica, ma quanto più si preoccupano dei fratelli, tanto più attentamente devono osservare i comandamenti del cielo. Devono essere di beneficio all'intera congregazione e adempiere fedelmente l'ufficio loro affidato. Devono provvedere a quanto sono obbligati a dare ai fratelli tempestivamente e con carità. Guadagneranno così dal Signore la ricompensa di un amministratore fedele. (cfr. Lc 12,42). Dunque, coloro che sbagliano in tali questioni e non svolgono adeguatamente l'autorità loro affidata, devono essere corretti nel modo sopra descritto.

 

140. Chi dev'essere il cellerario.

Il Prelato provveda a nominare per i frati un cellerario, che non sia un bevitore di vino, non orgoglioso, non pigro, non dispendioso, ma onorevole nella condotta e uomo timorato di Dio, che conservi fedelmente le provviste dei fratelli e le distribuisca con prudenza, affinché nella sua amministrazione nulla possa affliggere i fratelli. (RB 31) Il forno dei fratelli sia affidato a lui e lo custodisca attentamente. I servi preposti ad assisterlo non devono diminuire i beni dei fratelli né derubandoli di nascosto, né trattandoli con alcuna negligenza. Questi servitori devono essere scelti tra i membri più fedeli della famiglia della chiesa, ed essere attentamente addestrati al loro lavoro, così che possano essere capaci di provvedere adeguatamente ai bisogni dei fratelli, sia per la loro abilità nei lavori di cucina che per la loro pura fede. Lo stesso principio deve applicarsi ai cuochi. (Cfr. RB 35) I cellerari inefficienti e disobbedienti devono essere giudicati secondo i principi sopra esposti.

 

141. A chi affidare il sussidio per i poveri.

Impariamo dai Vangeli e dagli apostoli che quando accogliamo gli ospiti dobbiamo preoccuparci di comportarci in modo da meritare di sentire il Signore dire di noi: "Ero straniero e mi avete accolto". (Mt 25,35) (Cfr. RB 53) I superiori della chiesa devono pertanto seguire l'esempio dei padri che ci hanno preceduto nel preparare un ostello dove possano essere accolti i poveri. Devono stanziare una quantità sufficiente dei fondi della chiesa per provvedere il più possibile alle loro necessità, oltre alle decime che vengono portate per lo stesso scopo dalle terre della chiesa. Anche i Canonici contribuiscano liberamente all'ostello, ad uso dei poveri, con la decima dei loro guadagni e delle offerte loro fatte. Un fratello di buona fama, uno della Congregazione, sia incaricato di accogliere i forestieri e i viaggiatori come se fossero Cristo nelle sue membra (RB 53) e di provvedere alle loro necessità con efficienza e disponibilità. Niente di ciò che deve essere usato per i poveri deve mai essere preso per il suo uso, per non condividere la sentenza di dannazione inflitta a Giuda che rubò dalla borsa del Signore. (cfr. Gv 12,6) I superiori vigilino molto affinché coloro a cui è affidato l'ostello dei poveri non dilapidino in alcun modo i fondi loro assegnati, né li dirottino per propri usi come se fossero un beneficio: abbiamo sentito che alcuni superiori hanno fatto questo, ignorando i bisogni dei poveri.

Almeno durante la Quaresima, se non possono farlo negli altri tempi, il clero lavi i piedi ai poveri nel vicino ostello, come ci dice il Vangelo: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri...” (Giovanni 13:14) Ecco perché l'ostello per i poveri deve essere situato in modo tale che la comunità dei fratelli possa visitarlo facilmente. Se colui che è addetto all'ostello trascura la cura dei poveri e si appropria dei beni a loro destinati, i prevosti lo giudicheranno più severamente di qualsiasi altro trasgressore, anche se sarà giustamente punito da Dio. Deve essere rimosso dal ministero, ancor più giustamente, se ha malvagiamente preso a proprio uso il prezzo del peccato, il cibo dei poveri, il tesoro che doveva essere depositato in cielo.

 

142. Sulla cura dei fratelli malati o anziani.

Sebbene ai canonici sia consentito avere un proprio alloggio, il vescovo dovrà provvedere anche a fare in modo che all'interno del recinto sia previsto un alloggio per i malati e gli anziani. Così coloro che non hanno un luogo proprio possono lì sopportare le loro afflizioni ed essere sostenuti a spese della chiesa, se sono nel bisogno, e con il conforto misericordioso dei fratelli. Gli altri fratelli mostrino loro grande carità, siano compassionevoli nell'aiutarli, visitarli frequentemente e confortarli con la sacra Scrittura. Devono anche provvedere ai propri bisogni con le proprie risorse, così da compiere ciò che dice il Vangelo: «Ero malato e mi avete visitato». (Mt 25:36) (Cfr. RB 36)

 

143. Come si devono custodire le porte dei canonici.

Il vescovo scelga, tra la congregazione a lui affidata, un fratello di provata vita, il cui compito sarà quello di chiudere e sprangare al momento opportuno, con tutta obbedienza e umiltà, il cancello della canonica, affinché nessuno possa entrare o uscire. attraverso di esso se non con un permesso. Bisogna fare attenzione affinché non dia alle persone l'opportunità di uscire con l'intenzione di perdere tempo ozioso piuttosto che occuparsi dell'opera di Dio; così diventerebbe complice di questo ozio, il che sarebbe vergognoso. Il portinaio inoltre riceva i visitatori con carità, e comunichi al superiore il loro arrivo e i loro affari. Terminati i Vespri e Compieta, e chiuse le porte, lo stesso portiere dovrà portare le chiavi al delegato del vescovo, affinché nessuno possa uscire o entrare in orari inopportuni. La mattina seguente dovrà riceverle da lui all'ora stabilita. Ma se il portiere fosse trovato disobbediente o refrattario, dovrà essere giudicato nel modo sopra descritto, come ogni altro ministro negligente. (Cfr. RB 66)

 

144. Come si debba custodire con cura la recinzione dei canonici.

La recinzione dei canonici va vigilata attentamente, affinché il gregge del Signore possa godere della concordia fraterna e della pace. Se il vescovo, o il suo rappresentante, o anche un altro fratello spirituale, trova qualcuno che si comporta indecentemente all'interno della recinzione, o trascorre il suo tempo fuori, per le strade e le piazze, in ozio e in conversazioni insensate, cominci con l'ammonirlo in privato, ma poi, se necessario, tale persona venga giudicata severamente davanti ai fratelli, affinché possa emendarsi e fare meglio per il futuro.

Le donne non mangino né dormano nelle case dei canonici o all’interno delle recinzioni, né sia consentito entrarvi se non in chiesa, poiché ciò è severamente proibito dai santi padri. Se si deve offrire qualche opera di carità per loro sia riservato un luogo fuori della recinzione dove possano riceverlo. Nessun fratello parli alle donne se non sono presenti testimoni. Chiunque tenti di agire diversamente da quanto sopra detto deve essere severamente corretto dai vescovi e dai superiori, in modo da incutere timore negli altri per la punizione loro assegnata e così impedire loro di tentare di fare altrettanto.

 

145. Un epilogo, riassumendo tutto brevemente.

Nella prima parte di questo trattato è stato sufficientemente chiaro, partendo dai Santi Padri, come deve vivere il clero; così chi ha letto ciò che è stato appena descritto e ci ha riflettuto attentamente, sarà in grado di imparare da esso e percepire ciò che è richiesto per una devozione fedele, come le sue azioni e il suo comportamento devono essere migliorati e come compiere l'adorazione di Dio. Tuttavia vi sono molti che sono incolti e poco capaci, per questo motivo abbiamo ritenuto necessario ripercorrerlo in forma concisa e breve, affinché chiunque non sia in grado di leggerlo, o di comprenderlo quando l'ha udito, mentre è letto da altri, possa portare via questo piccolo mazzo di fiori, profumato come un vaso pieno di fiori diversi, e così possa imparare cosa fare e cosa evitare.

I precetti salvifici della Legge e i consigli del Vangelo ci ammoniscono ad amare il Signore nostro Dio con tutto il cuore, e il prossimo come noi stessi, e così via. (cfr. Mt 22,37-9 e paralleli) Ma se tutti i fedeli devono sforzarsi di seguire con tutto il cuore questi precetti salvifici, quanto più devono essere seguiti da coloro che sono riservati al culto divino e che devono essere di esemplare modello di virtù per gli altri. È necessario, dunque, innanzitutto che amino il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze, e il prossimo come se stessi, e sappiano che da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti. (Cfr. Mt 22,40 e RB 4) Non devono uccidere né odiare i loro fratelli, perché come dice l'Apostolo: «Chi odia suo fratello è un omicida». (I Giovanni 3:15) Non devono commettere adulterio, non devono rubare, non devono desiderare i beni del loro prossimo, non devono rendere falsa testimonianza e non devono fare a un altro ciò che non farebbero a se stessi. Non devono essere gonfi di superbia, né dediti alla diffamazione, né schiavi dell'ubriachezza, né inteneriti dalla lussuria, né gonfiati dall'ira, né prostrati da alcun altro vizio; né oratori arroganti, né invidiosi, né sonnolenti, né pigri, né mormoratori, né chiacchieroni, né bevitori di vino o dediti al molto mangiare. Devono guardarsi dall'inganno e dall'astuzia, non prendere mai interessi su un prestito, né devono giurare per non essere spergiurati. Non devono restituire male per male. Quando vedono qualcosa di buono in se stessi, devono attribuirlo a Dio, e tutto ciò che è malvagio a se stessi. Devono fuggire la discordia e, se trovano qualcuno in disaccordo, devono riportarlo alla carità e alla concordia. Pertanto, come dice il salmista, devono allontanare la voce dal male e fare il bene. (cfr. Sal 33,15)

Devono ascoltare l'Apostolo, che li avverte così: "non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo". (Rm 13:13-14) Devono essere consapevoli che è su questi vizi che l'Apostolo proibisce che tutti gli altri vizi possano mettere radici, e che l'orgoglio è la madre di tutti questi mali. Devono dunque custodire l'anima e il corpo da ogni contaminazione della carne e dello spirito, affinché, come dice san Paolo, conservino spirito, anima e corpo integri e irreprensibili nella venuta del Signore nostro Gesù Cristo. (cfr. 1 Ts 5,23) Vivano con sobrietà, giustizia e pietà, e si tengano lontani dagli affari mondani, perché come ci dice lo stesso Apostolo: “Nessuno, essendo soldato di Dio, si immischia con le faccende secolari; affinché possa piacere a colui con il quale si è impegnato.” (II Tim. 2:4) Amino il digiuno, si occupino degli ospiti, sostengano i poveri, vestano gli ignudi, visitino gli ammalati, seppelliscano i morti; portino aiuto a chi è nell'angoscia e consolino chi è nel dolore. Non antepongano nulla all'amore di Cristo e non dimentichino mai la carità. Siano in pace, per quanto possono, con tutti gli uomini, e temano il Giorno del Giudizio, nel loro desiderio spirituale della vita eterna.

Ripongano la loro speranza in Dio e obbediscano in tutto al proprio vescovo secondo le regole canoniche, né siano troppo audaci nello sfidare i loro maestri. Infine, devono applicarsi all’apprendimento spirituale. Siano diligenti nell'attendere alla lettura, ai salmi, agli inni, ai cantici e agli altri strumenti delle buone opere. Tutti dormiranno nel dormitorio, a meno che non siano impediti da malattia, tutti mangeranno parimenti nel refettorio e verranno ogni giorno al Capitolo. Non appena dato il segnale, tutti si affrettino a recarsi in chiesa e a celebrare le Ore Canoniche, non in modo distratto, ma con tutta la dovuta devozione. Devono entrare in chiesa con reverenza, non in modo pomposo. Nel coro non entrino con i bastoni e non si dedichino mai alla conversazione, ma adempiano al loro dovere di servizio divino con grande devozione e pietà, perché devono essere consapevoli che gli angeli sono sempre presenti tra loro. Non escano dalla recinzione se non col permesso, e se sono fuori si comportino in modo irreprensibile, per essere di esempio a chi ne è fuori. Non devono in alcun modo screditare la loro professione religiosa con comportamenti illeciti, ma chiunque incontrino deve essere ornato con il sale della loro saggezza e delle loro buone opere. Non devono in alcun modo frequentare le abitazioni delle donne; né devono andare in giro con occhi vaganti, gesti stravaganti e affettati, o fianchi sciolti. Non devono prendere parte a spettacoli o manifestazioni mondane; né essere schiavi del gioco d'azzardo o di qualsiasi sorta di caccia, perché devono seguire l'istruzione dell'Apostolo, che dice: “Non in vesti sontuose”, (I Tim. 2:9) e non devono provare piacere in abiti costosi. Soprattutto abbiano cura di non indugiare fuori della recinzione, se non come ha loro concesso il superiore e nei tempi opportuni. Quando sono dentro il recinto non devono stare in ozio, ma tenersi pronti per l'ufficio divino, per il proprio utile impiego o per gli ordini dei loro istruttori; altrimenti diventeranno indolenti per l'accidia e dovranno ascoltare il rimprovero dell'apostolo: "Se qualcuno non vuole lavorare, nemmeno mangi". (II Tess. 3:10) Quelli che sono più anziani nel servizio di Dio devono amare i più giovani, i più giovani devono mostrare il dovuto rispetto ai loro anziani. (cf. RB 63) I più dotti non devono vantarsi dei meno colti, ma edificarli con la carità. Coloro che sono dotati di nobili natali o talenti non devono essere orgogliosi e ritenersi migliori degli altri. Tutti i membri della congregazione devono servirsi a vicenda nei doveri di carità. Durante tutto il tempo che mangiano in refettorio, osservando il religioso silenzio, si legga loro qualcosa. Coloro che sono in colpa devono essere ammoniti e puniti con zelo per condurli alla rettitudine; i ragazzi e i giovani negligenti devono essere puniti con percosse.

Così devono essere coloro che si impegnano al servizio di Dio, così devono vivere. Ciascuno sia diligente nella lettura di questo breve riassunto e nel meditarlo attentamente; lo impari a memoria e, con l'aiuto della grazia di Dio, lo realizzi come meglio può. Così potrà tendere con maggiore facilità e libertà ai traguardi più grandi che i santi Padri ci hanno lasciato. Non si allontanino dalla vocazione alla quale sono stati chiamati, né a destra né a sinistra. (cfr. Ef 4,1) Nell'obbedienza ai comandamenti di Dio, possano essere ritenuti degni di arrivare a Cristo con il suo aiuto, poiché sono considerati la sua parte e lui è considerato la via, la verità e la vita.

Qui finisce la legge dei Canonici. Amen.

 


[1] Manso - Nel Medioevo, la quantità di terreno, di regola di 12 iugeri, che una famiglia di coloni poteva coltivare annualmente con un paio di buoi, o con un solo aratro. (Equivalente a circa 3 ettari) (Fonte Enciclopedia Treccani) 

[2] La parola è praepositus, che viene usata da san Benedetto per il priore di un monastero. Appare nel testo Vulgata del Nuovo Testamento, in particolare in Ebrei capitolo 13 (da cui è citata nella Regola di Agostino 7,1) per indicare i leader della Chiesa. Il Prologo degli Istituti Canonicali implica che aveva già ricevuto il titolo di superiore della comunità, anche se il vescovo ha ancora il diritto di nominare tutti questi superiori.

 


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2 febbraio 2024                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net