Agostino d’Ippona
Le Regole
Introduzione
Di Maurizio Pistone
Estratto da “Vezzolano, Guida alla Canonica Regolare di Santa Maria [*]”
Edizioni del Capricorno; 2° edizione (13 settembre 2018)
(Dal sito lacabalesta.it)
Indice
1. Sant’Agostino e la vita comune del clero
2. Le Regole attribuite ad Agostino
3. Una regola in cerca d’autore
1. Sant’Agostino e la vita comune del clero
Durante l’Impero Romano l’Africa Settentrionale era uno dei principali centri di
civiltà. Dopo la ricostruzione di Cartagine, che assunse il nome di Colonia
Iulia Concordia Karthago, ad opera di Ottaviano Augusto (29 a.C.), un
crescente flusso di coloni era partito dall’Italia ancora sconvolta e impoverita
dalle conseguenze delle guerre civili e si era riversato su quelle fertili
terre, dando vita ad una società fiorente, caratterizzata da un radicato senso
di identità italica. Città principali dell’Africa Proconsularis, oltre a
Cartagine, erano Cirta, Ippona, Utica, abitate da discendenti dei soldati
romani. Non è un caso che, assai prima di Agostino, venga dall’Africa il primo
grande scrittore cristiano in lingua latina, Tertulliano (155-230).
La vita di Agostino (354-430) occupa l’ultima parte della storia dell’Africa
romana e cristiana: già durante la sua vita gravi conflitti religiosi e sociali
avevano caratterizzato il diffondersi del movimento donatista, che Agostino
combatté con tutte le sue forze; intanto i Germani dilagavano in tutto l’Impero,
e nel 430 i Vandali di Genserico giunsero ad Ippona: il 28 gennaio di quell’anno
Agostino moriva nella città assediata, di cui era vescovo.
Aurelio Agostino era nato a Tagaste, odierna Souk Ahras nell’attuale Algeria, un
piccolo centro a circa 70 km. da Ippona (oggi Annaba). Manifestò subito, oltre
a un carattere esuberante e inquieto, vivaci interessi culturali, che lo
portarono a seguire diverse scuole filosofiche e religiose fino all’approdo al
Cristianesimo. In questa conversione fu determinante l’influenza della madre
Monica, cristiana fervente, e di sant’Ambrogio, che Agostino conobbe a Milano
dopo un lungo peregrinare tra l’Africa e l’Italia.
Subito dopo aver ricevuto il battesimo, cominciò a coltivare l’ideale di una
vita monastica, seguendo modelli che, nati in Oriente, si erano diffusi anche
nell’Occidente cristiano, dove uomini consacrati a Dio conducevano una vita
solitaria (eremiti) o si riunivano in cenobi o case comuni.
Tornato nella sua Tagaste nel 388, cominciò a organizzare intorno a sé un
gruppo di giovani decisi a condividere con lui una vita dedita all’“ozio”
religioso, cioè alla preghiera e al culto, in un clima di totale armonia e
condivisione.
Nel 391, nonostante le sue resistenze, fu ordinato sacerdote da Valerio, vescovo
di Ippona; quando questi, ormai in età avanzata, chiese che qualcuno lo
assistesse, Agostino fu nominato vescovo coadiutore (395). Si rese subito conto
che la nuova carica non era compatibile con la vita riservata del cenobio di
Tagaste; si trasferì quindi nella casa vescovile d’Ippona, dove però volle
condividere con il suo clero gli stessi ideali di vita comunitaria che aveva
sviluppato nella sua città natale. Egli rimase ugualmente il punto di
riferimento spirituale della sua antica comunità, così come stimolò la nascita
e seguì lo sviluppo di altre case di religiosi, fra cui quella femminile,
guidata da una sua sorella.
Agostino rappresenta quindi uno snodo fondamentale sia nella storia del
movimento monastico sia nella nascita delle comunità diocesane. La regola
agostiniana fu diffusa in tutto l’Occidente ed ebbe grande influenza anche
sugli altri ordini monastici. Le canoniche regolari ebbero fin
dall’inizio come modello ispiratore la comunità che si era raccolta attorno al
vescovo d’Ippona.
Distinto dal movimento dei canonici regolari fu l’ordine monastico
agostiniano, nato da piccoli gruppi di eremiti che, nel 1256, si riconobbero
nell’ordine degli Eremitani di Sant’Agostino.
2. Le Regole attribuite ad Agostino
La Regola agostiniana ha sempre posto problemi testuali complessi. Essa non è
mai citata direttamente né da Agostino stesso nelle altre sue opere, né dal suo
biografo Possidio, che lo conobbe personalmente.
Di questa Regola anticamente circolavano numerose versioni, variamente
tramandate. Una diffusa tradizione medioevale le riuniva col nome di Regula
prima, Regula secunda, Regula tertia, e si supponeva che
fossero state redatte da Agostino in circostanze successive per tre monasteri
diversi.
1. Come Prima si indicava la cosiddetta la Consensoria Monachorum,
oggi attribuita ad autore incerto, ma di probabile origine dalla Spagna
visigotica, e diffusa soprattutto nel monachesimo spagnolo e galiziano.
2. La Secunda era il cosiddetto Ordo Monasterii, un testo
piuttosto breve, che nella prima parte elenca in modo dettagliato le letture, i
canti e le preghiere che devono scandire la vita quotidiana dei religiosi, nella
seconda parte enuncia norme di vita molto rigorose: si prescrive il lavoro
manuale per parecchie ore al giorno, il silenzio, e sono perfino contemplate
punizioni corporali per i giovani indisciplinati. Questo testo, secondo la
critica moderna, non sembra opera di Agostino, ma proviene probabilmente da un
monastero africano dei suoi tempi, e se il Santo non l’ha composta, forse l’ha
conosciuta e approvata.
3. Come Tertia si considerava un testo, più ampio, indicato anche come Praeceptum o Regula
ad servos Dei, in cui sono enunciate le finalità morali e spirituali
della vita monastica. Più che elencare delle norme rigidamente prescrittive
questa Regola esalta il valore della concordia che deve regnare all’interno di
un convento.
Molti manoscritti contenevano combinazioni di questi testi; in genere il Praeceptum era
preceduto dall’Ordo Monasterii (l’insieme è indicato come Praeceptum
longius). Tra i vari manoscritti c’erano inoltre delle varianti testuali più
o meno importanti.
Del Praeceptum circolava anche, col nome di Regularis Informatio,
un’antica versione femminile, per i monasteri di religiose; è del resto noto che
Sant’Agostino aveva curato anche il sorgere di case di vita religiosa per donne,
una delle quali era diretta da una sua sorella. La versione femminile era
solitamente preceduta dalla cosiddetta Obiurgatio (“Rimprovero”),
indicata nell’edizione delle Opere come Lettera 211; in essa il
Santo ammonisce le monache ad abbandonare atteggiamenti contrari alla
disciplina.
Gli studiosi hanno discusso a lungo se la Regola femminile derivasse da quella
maschile, o il contrario. La tesi che considerava come testo originario della
“terza” regola la versione femminile fu sostenuta da personalità autorevolissime
come Erasmo da Rotterdam e il cardinale Bellarmino. Oggi questa posizione non ha
più seguaci, e l’opinione prevalente è che Sant’Agostino sia l’autore del solo Preaceptum,
nella versione maschile.
Si noti che la Regola agostiniana mette a capo del convento, accanto al praepositus (prevosto,
superiore), un presbyter (prete). Essa era quindi stata concepita
originariamente da Agostino per un monastero di laici, non per la casa
episcopale di Ippona. Richiedeva quindi un adattamento per i canonici, i quali
sono in linea di principio tutti ecclesiastici.
3. Una regola in cerca d’autore
Fondazioni di canoniche regolari furono numerose già nel corso della cosiddetta Rinascita
Carolingia, fra l’VIII e il IX secolo; ma a quell’epoca si preferiva
un’interpretazione mitigata delle norme di condotta, poiché si riteneva che gli
ideali originari di vita ascetica e di rinuncia totale ai beni terreni non
fossero totalmente applicabili
[1].
Molte di queste canoniche avevano norme proprie, che nascevano da esigenze
particolari. Fra queste si possono citare le disposizioni di Crodegango,
arcivescovo di Metz (712-766), che fu consigliere in materia religiosa di Pipino
il Breve, e spinse il clero della sua diocesi a riunirsi in comunità modellate
sullo stile di vita benedettino, ma senza l’obbligo assoluto di rinuncia alla
proprietà e con alcune eccezioni all’obbligo di vita comune.
Nell’816 ad Aquisgrana fu elaborata una nuova regola, che combinava testi di
diversi autori, fra cui San Girolamo e Sant’Agostino, ma che ugualmente non
imponeva l’obbligo assoluto di comunione “apostolica” dei beni. Questa regola,
che portava il nome della prestigiosa capitale carolingia e aveva l’approvazione
dell’imperatore Ludovico il Pio, ebbe una grande diffusione, suscitando reazioni
a volte violente da parte di autori che ne denunciavano lo stile di vita troppo
rilassato, assai lontano dal rigore del movimento monastico. Essa rimase
stabilita come “regola canonica” almeno fino al tempo della fondazione di
Vezzolano
Il ritorno ad una vita ad instar primitivae ecclesiae (“secondo il
modello della Chiesa primitiva”) era l’ideale proposto dal Sinodo del 1059 (vedi
cap. 1.3); le canoniche che seguivano un’interpretazione rigorosa della “vita
apostolica”, o “canoniche riformate”, furono una sorta di bandiera della Riforma
Gregoriana; e la loro grande diffusione fra la seconda metà dell’XI e il XII
secolo è un segnale della profonda penetrazione di questo movimento religioso
nella società del tempo.
Ai tempi della Riforma gregoriana, quando si parlava di “regola agostiniana” non
sempre si indicava un testo preciso, ma più genericamente un richiamo ideale ai
principi ascetici esaltati nelle opere di Agostino. In alcuni casi si trattava
della Regola di Aquisgrana emendata da quelle norme che autorizzavano la
conservazione dei beni di proprietà personale.
Si poneva quindi la necessità di superare la regola di Aquisgrana, per
conformarsi all’ideale di vita ascetica e comunitaria. Un segno di questa
tormentata evoluzione si trova nell’atto di fondazione della comunità di
Vezzolano. Il testo del 1095 ha carattere insolito per un documento notarile:
gli aspetti relativi alla concessione di proprietà fondiarie sono trattati in
modo molto sommario (si è anche supposto che tali questioni fossero precisate
in un allegato), mentre s’insiste sugli aspetti propriamente normativi della
vita comune. Il riferimento è la regola «canonica» (secundum canonicam
regulam), ma a essa si aggiungono puntualizzazioni che ne correggono il
carattere mitigato per quanto riguarda i temi chiave della rinuncia alla
proprietà personale e della vita comune
[2].
Mancava ancora un testo di riferimento che recepisse questo comune orientamento.
Fu decisiva per l’evoluzione della questione la vicenda di Norberto di Xanten (circa
1080-1134), il quale, dopo aver abbandonato la canonica della sua città natale
ed essersi dato a una vita rilassata, tornò alla vocazione religiosa, cercando
però l’ispirazione per uno stile di vita più rigoroso, che superasse le
consuetudini tradizionali. Per un lungo periodo fu predicatore itinerante e nel
1118 ottenne da papa Gelasio II l’autorizzazione ad adottare la regola
agostiniana, che applicò dal 1120 con la fondazione della comunità di Premontré.
Rimaneva da stabilire quale delle Regole attribuite a sant’Agostino fosse
la prescelta. Norberto insisteva sull’Ordo Monasterii, da lui giudicato
più rigoroso, nella stringatezza e brevità delle prescrizioni; ma le autorità
papali orientavano la loro preferenza verso la Regula ad servos Dei. In
un clima storico e religioso ormai profondamente mutato, il concilio Laterano IV
(1215) stabilì l’obbligo, per tutti i monasteri veri e propri, di adottare la
regola di san Benedetto; per tutti gli altri tipi di comunità religiose, fra cui
le canoniche regolari, era prescritta quella di sant’Agostino, intendendo con
quest’ultima la Regula ad servos Dei. L’Ordo Monasterii fu ridotto
al solo primo paragrafo, con il richiamo all’amore evangelico:
Sopra ogni cosa, fratelli carissimi, si ami Dio, quindi il prossimo, poiché
questi sono i precetti che principalmente ci sono dati.
Il tema della regola agostiniana rimase importante all’interno del dibattito
teologico e culturale anche nelle epoche successive; esaurendosi poco per volta
l’impulso alla diffusione delle comunità canonicali, lo sviluppo dell’umanesimo
mise a disposizione più raffinati strumenti d’indagine filologica.
Nei secoli XVII e XVIII, poco per volta, sulla regola agostiniana scese il
silenzio: le canoniche regolari si riducevano di numero e perdevano adesioni;
alla fine, furono travolte dalla Rivoluzione francese e dalle successive
soppressioni un po’ in tutta Europa.
Gli studi sulla regola agostiniana ripresero a partire dalla seconda metà
dell’Ottocento, quando poterono contare su materiali bibliografici più vasti e
più puntuali ricognizioni di manoscritti.
Purtroppo non sappiamo quale versione della regola fosse in vigore a Vezzolano:
ancora un inventario del 1744 cita un volume in cartapecora contenente le Costituzioni
di Sant’Agostino, ma di questo documento non è rimasta traccia.
Per informazione del lettore, in appendice a questo volumetto proponiamo i testi
della seconda e della terza regola, secondo l’edizione critica oggi ritenuta più
affidabile
[3].
[*] La Canonica di Santa Maria di Vezzolano (In Piemonte, provincia di Asti) faceva parte di un importante complesso monastico già ricordato in un documento del 1095; degli edifici che componevano il monastero sono arrivati fino a noi la chiesa, il chiostro e la sala capitolare.
[1]
Charles Dereine, «Chanoines», in Dictionnaire d’Histoire et de
Géographie Ecclésiastiques, t. XII, Letouzey et Ane, Paris 1953,
coll. 353-405.
Cosimo Damiano
Fonseca, Le canoniche regolari riformate dell’Italia
nord-occidentale, Ricerche e problemi, in: Monasteri in Alta
Italia dopo le invasioni saracene e magiare (sec. X-XII) Relazioni e
comunicazioni presentate al XXXII Congresso Storico Subalpino, Pinerolo
6-7 Settembre 1964, Deputazione Subalpina di Storia Patria, Torino 1966.
[2]
Aldo A. Settia, Ritorni
a Santa Maria di Vezzolano, Deputazione Subalpina di Storia Patria,
Torino 2015, Biblioteca storica subalpina, CCXXV. pp. 59-60.
[3]
Luc
Verheijen La Règle de Saint Augustin 2 voll. Études
Augustiniennes Paris 1967
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19 maggio 2022
a cura di Alberto "da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net