La Regola di Afraate
o l'invito ad un amore universale
Estratto e tradotto da "Solitude et
communion. Tome II", di Jean-Luc Molinier - Cerf Patrimoines 2016
Ora il nostro studio delle Regole
orientali ci condurrà dal monachesimo egiziano al monachesimo siriano e
persiano. Abramo il Grande, chiamato anche Abramo di Kaskar
[1], introdusse nel VI secolo in Mesopotamia
le Regole del monachesimo egiziano
[2]; con ciò doveva iniziare un vero
rinnovamento monastico
[3], specialmente nell'impero sasanide
[4] (o secondo Impero Persiano). L'autore
della Cronaca di Seert (o
Storia nestoriana) afferma che,
insieme ad Abramo di Nethpar, "Abramo di Kaskar ha fatto conoscere nel paese
della Persia le Regole e le
istituzioni della vita monastica"
[5].
Ma il monachesimo esisteva in questa regione molto prima che l'influenza del
monachesimo egiziano lo raggiungesse. Lo studio delle
Regole e dei Canoni monastici che
seguiranno sarà sufficiente per dimostrarlo.
La Regola di Afraate, autore del IV
secolo, uno dei primi autori della Chiesa siriaca, è già stata studiata a
proposito delle conseguenze dell'origine giudeo-cristiana del monachesimo
persiano e del ruolo svolto da Afraate nell'aprire queste comunità
all'universalità della salvezza. Non sembra che i
Figli del Patto fossero cenobiti nel
senso stretto del termine. Ricordiamo qui alcune delle nostre conclusioni,
importanti per il nostro studio.
Per Afraate, i precetti saranno sempre relativi al comandamento dell'amore che è
l'unico assoluto. Se le prescrizioni consentono di vivere secondo la fede in una
risposta costante all'Ospite interiore, in un'adesione alla rivelazione
dell'amore, allora la stessa Regola
monastica non potrebbe affermare l'infallibilità della prescrizione a scapito
dell'amore. L'argomento usato da Afraate, che risulta chiaramente dai passaggi
citati, non è speculativo ma scritturale. Egli oppone l'autorità delle Scritture
ad una concezione troppo legalistica nelle comunità dei Figli del Patto. San
Basilio fa lo stesso cambio di direzione quando incontra i discepoli di Eustazio
di Sebaste e propone a questi "entusiasti" della vita monastica un commento
sulla Scrittura come fonte e fondamento dell'agire cristiano, anche nel caso di
un agire da asceta.
Riconducendo la corrente monastica alla Scrittura, fondamento della fede
cristiana, Afraate e Basilio la collocano nel cuore del popolo cristiano.
Sappiamo quanto questo rischio sarà effettivo per gli interlocutori di Basilio;
per quanto riguarda i Figli e le Figlie del Patto, se essi sono davvero gli
eredi cristiani della corrente essena
[6], si comprende perché sia stato necessario
avvertirli. Del tutto estraneo a questa
Esposizione di Afraate sulla fede è il modello di vita di una comunità
essena la cui Regola di Qûmran
prevede che il fine e l'ideale siano quelli di amare i giusti ed odiare gli
altri!
[7] Essa introduce una maledizione per tutti
coloro che non sono dei loro
[8]; accorda un posto cruciale alla
separazione dagli altri uomini per evitare la loro contaminazione, al punto di
fare di questa separazione un impegno
[9]; essa esclude dal consiglio della
comunità qualsiasi persona con disabilità
[10]. D'altra parte, la fede del cristiano
definita da Afraate si apre ad un amore universale e le esigenze della vita
ascetica, anche quando portano alla separazione dagli altri, sono secondarie
rispetto a questo principio fondamentale.
[1]
La documentazione siro-occidentale detta "nestoriana" attribuisce ad
Abramo di Kaskar (Kaskar, 492 circa - 586) il titolo di padre dei monaci
dell'Oriente. Babaï il Grande, (Nisibis, 551 ca. - Nisibis, 628), suo
discepolo e secondo successore, lo designa in modo stupefacente come "il
capo dei monaci, il primo nato nel paese dei Persiani", cioè il primo
dei monaci, il più completo": Florence Jullien, "Il monastero di Rabban
Shapur ed il rinnovamento monastico in Persia", in
Connaissance dei Pères de
l'Eglise, 119, sett. 2010, p. 53; questo titolo di "padre dei
monaci" attribuito ad Abramo di Kaskar e la sua interpretazione da parte
di Jullien ci istruiscoono sul significato dello stesso titolo quando
esso è attribuito ad Antonio d'Egitto.
Padre non significa qui primo o fondatore.
[2]
Florence Jullien, "La riforma di Abramo di Kaskar nel golfo persico? Il
monastero dell'isola di Kharg", in
Parole de l'Orient 31, 2006,
p. 201-211.
[3]
"Una delle differenze fondamentali apportate da Abramo in riferimento
alle regole anteriori vissute in Persia risiede nella stessa concezione
della vita ascetica: è messa in atto una specie di monachesimo
semi-cenobitico in strutture senza scuole contigue ed esterne
all'aggregato urbano, in una reale preoccupazione di preservare e di
diffondere la fede siro-orientale. Questa è una delle caratteristiche di
questo monachesimo riformato": Florence Jullien, "Il monastero di Rabban
Shapur ed il rinnovamento monastico in Persia", p. 55.
[4]
Oltre ad alcuni brevi riassunti della sua vita, i pochi brani lasciatici
dal monaco cristiano Tommaso di Marga, vescovo di Bassora nell'ottavo
secolo e la Cronaca di Seert,
sono le poche fonti che ci parlano del personaggio. Nacque a Kaskar
intorno al 491/492 o 501 e frequentò i corsi alla scuola di Nisibe. Dopo
un periodo di missione nella regione di Hira, partì per formarsi alla
vita monastica: le fonti sono unanimi nel menzionare il suo soggiorno in
Egitto - alcune specificano nel deserto di Scete e al Sinai. Il più
lungo riassunto della storia della sua vita, conservato dal manoscritto
Sachau 329, afferma che si mise sotto la direzione "di Anziani perfetti
che dimoravano presso Mar Antonio e Pacomio" (si veda François Nau,
"Storie di Abramo di Kaskar e di Babai di Nisibe", in
Revue de l'Orient Chrétien
21, 1918-1919, 161-172). Di ritorno nel suo paese, si stabilì sul Monte
Izla che, alla sua morte nel 588, era già un importante centro della
vita monastica.
[5]
Addai Scher, Cronaca di Seert
II/l, pag. 172 [80]; Secondo il
Libro della Castità, anche Abramo di Nethpar fece questo
apprendimento nel deserto egiziano, "nel monastero di Abba Pakhomios"
(si veda Jean-Baptiste Chabot, Il Libro della Castità, pagina 27, § 43).
Questo soggiorno in Egitto può anche apparire come un topos
dell'agiografia monastica, essendo i fondatori ed i grandi spirituali
associati classicamente all'ambiente egiziano. Secondo la
Cronaca di Seert, fu dopo il
loro soggiorno in Egitto che Abraham di Kaskar ed il suo omonimo Nethpar
- "diedero una nuova forma ai monasteri ed alle celle" (si veda Addai
Scher, Cronaca di Seert 11/1,
p. 172). In precedenza, sappiamo ad esempio dai Canoni attribuiti a
Marutha, che i monaci della Mesopotamia avevano allora un dormitorio
comune - ad eccezione dei malati e del "risdaira" (l'abate) (vedi Arthur
Vööbus, Syriac and Arabic
Documents, 141). Per quanto riguarda le regole, Abramo istituì una
forma di vita monastica mista, semi-anacoretica, sul modello di Scete,
ma sviluppando una struttura cenobitica che doveva affermarsi con i suoi
successori, in particolare Dadiso e Babai (Dadiso: vedi Arthur Vööbus,
Syriac and Arabia Documents,
64: Babaï: si veda CSCO 168, Lovanio, Peeters, 1957, pp. 176-180).
Dadiso e Babaï completarono le sue istruzioni: un'enfasi sulla vita nel
cenobio durante un periodo di apprendimento più o meno lungo; permanenza
di ufficiali nel recinto del monastero; importanza delle strutture della
vita comunitaria, in particolare del refettorio dove venivano fatte le
letture durante i pasti presi insieme, e la rotazione settimanale dei
turni di servizio ... (vedi Arthur Vööbus,
Documenti siriaci e sauditi,
Regola di Dadiso, 169, § 4,
Regola di Babaï, pagg. 179, §
7, p.180, § 13).
[6]
Marie-Joseph Pierre, « Introduction », in "Aphraate
le sage Persan, Les Exposés", t.1,1988, p. 99, nota 84.
[7]
Regola della Comunità
I, 3b-4.9b-11a; X, 18-XI,2a
[8]
Regola della Comunità I,
16-17
[9]
Regola della Comunità V,
10-20
[10]
Regola della Comunità II,
3-10
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2 novembre 2019 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net