Regola di Abelardo
Breve riassunto estratto
da “Il monachesimo femminile” di
Mariella Carpinello – Mondadori 2002
Alla seconda richiesta di
Eloisa, Abelardo corrisponde redigendo una normativa molto dettagliata ed
estesa, di certo una delle più corpose che mai siano state scritte.
Orientata verso la purezza dei primordi e la spiritualità dei deserti, con
molte concessioni a un'ascesi fisica dolce e confortevole, essa presenta a
fondamento della vita monastica continenza, povertà e silenzio, includendo
nella povertà la rinuncia alla volontà propria. La solitudine è posta in
cima a tutti gli ideali, da conseguirsi attraverso una clausura intesa non
come segregazione, ma come ambiente idoneo alla contemplazione.
Il monastero delle
vergini deve sorgere in luogo isolato e comprendere orto, acqua, mulino e
forno.
[1]
I termini «diaconessa» e
«badessa» sono usati da Abelardo quali sinonimi, per sottolineare la
continuità fra istituzione monastica e Chiesa primitiva. Eloisa porta quindi
il titolo di diaconessa, ma solo in quanto è badessa; non ha pertanto le
relative competenze ecclesiastiche.
Il monastero femminile
sarà sempre soggetto a quello maschile, tuttavia all'interno d'ima
concezione mutua di autorità. L'abate
Le funzioni comunitarie
sono divise fra una sagrestana amministratrice esperta di fasi lunari, che
regola esattamente gli uffici; una maestra del coro, colta in musica, che dà
lezioni di canto, di lettura, di scrittura e di composizione, custodisce i
libri e li fa ricopiare; un'infermiera, che conosca la qualità taumaturgica
del silenzio; una guardarobiera per gli abiti, i letti, i dormitori, gli
utensili, la tosa delle pecore; una dispensiera e una portinaia, che abiterà
presso l'ingresso. Abelardo si preoccupa che la portinaia sia intelligente,
in modo da poter conversare convenientemente con coloro che arrivano.
[2]
L'ufficio divino segue la Regola benedettina, tranne nella licenza, concessa
alle sorelle, di tornare a letto dopo aver celebrato la prima ora della
notte. Le attività di studio, canto, lettura e approfondimento si svolgono
di primo mattino, quando le risorse umane sono al meglio. Le monache
lavorano fino all'ora terza, poi partecipano alla messa, tornano al lavoro
fino alla sesta, quindi pranzano, sempre accompagnate dalla lettura di testi
sacri.
Come i primi autori di
Regole, Abelardo pensa che il cibo di per sé non sia affatto impuro, ma sia
impuro il desiderio nei suoi confronti; il superfluo è proibito, ma la carne
è accordata in quantità moderata per tre volte la settimana e nei giorni in
cui non si mangia carne è permesso il pesce. I digiuni seguono le
prescrizioni della Chiesa, di modo che le monache non siano gravate da
sacrifici più duri di quelli imposti ai fedeli. Per cucinare è lecito usare
erbe aromatiche reperibili nella regione, ma non spezie rare. Il vino è
considerato contrario al tenore monastico, anche se i monaci spesso
riempiono le cantine dei monasteri con vini di ogni qualità e vi aggiungono
per di più spezie ed erbe per renderli più grati al palato; quindi «sarebbe
veramente una grande crudeltà se si proibisse ai monasteri femminili ciò che
è permesso a quelli maschili».
(Regola di Abelardo cap.
17)
Tuttavia Abelardo ritiene sia meglio astenersi dal vino, o prenderne poco
mescolato a una quarta parte di acqua.
Le monache del Paracleto
vestono di nero e non portano ornamenti. Sotto una veste di pelle di agnello
(mai di altri animali), indossano ima camicia bianca, che serve anche come
camicia da notte, e infine un mantello, se il freddo è intenso. Questi
indumenti sono a disposizione in numero di due capi per monaca e vengono
cambiati e lavati, per evitare i parassiti. I veli per il capo sono di lino
tinto, mai di seta, in due tipi: imo riservato alle novizie e l'altro alle
vergini, quest'ultimo ricamato con una croce bianca sulla sommità del capo,
a indicare che colei che lo porta è consacrata. La lunghezza dell'abito non
deve superare l'orlo del sandalo e la manica non sarà più lunga del braccio.
E proibito andare a piedi nudi con il pretesto della penitenza: le monache
portano sandali o stivaletti, a seconda della stagione. Nei letti hanno
materasso, guanciale, coperta e lenzuola, per riguardo alla loro fragilità
fisica.
La comunità non
accoglierà più persone di quante ne possa mantenere.
La Regola di Abelardo si
chiude con un vigoroso invito allo studio delle Scritture. Il richiamo
all'amore degli antichi per lo studio scritturale è continuo in quest'opera,
come il rimprovero verso i fannulloni del secolo in corso, rivolto sempre a
monaci e abati, mai a comunità femminili. Di contro, nella prosa di
Abelardo, la comunità di Eloisa risulta nel paesaggio del monachesimo
contemporaneo una sorta di cittadella ideale, che rinnova la spiritualità
autentica di Maria, sorella di Marta, colei che tutto trascura per ascoltare
Gesù.
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12 novembre 2016 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net