PIETRO IL VENERABILE – BIOGRAFIA
Jean Leclercq O.S.B.
Estratto da “Pietro
il Venerabile” – Jaca Book 1991
UN’ANIMA SENZA STORIA
Conosciamo solo una data
importante nella vita di Pietro il Venerabile: quella della sua elezione al
seggio abbaziale di Cluny. Essa divide la sua esistenza in due periodi pressoché
uguali, ciascuno dei quali durò una trentina d’anni. Del primo non sappiamo
quasi nulla, se non che fu il seguito e insieme la preparazione del secondo. Gli
avvenimenti esterni alla sua vita ci possono tutt’al più informare di ciò che
accadde a Pietro il Venerabile e di ciò che egli fece in ognuno di quei periodi,
e non di quello che egli è stato. Le azioni dei grandi uomini non interessano la
storia spirituale, se non nella misura in cui ci rivelano il segreto della loro
personalità e la fonte del loro influsso. Ora, l’anima di Pietro il Venerabile è
ricca di doni naturali e soprannaturali, ma non possiede una storia. Non si
riesce a distinguere alcuna evoluzione tra le prime lettere che di lui ci sono
rimaste e quelle dei suoi ultimi anni. Pietro il Venerabile è interamente se
stesso da quando comincia a essere ben conosciuto, ossia dall’inizio del suo
abbaziato. Come quasi tutti gli uomini geniali, si dimostrò tale fin da
giovanissimo. Come spesso capita ai santi, le sue virtù si formarono assai
presto. Gli eventi in cui si trovò coinvolto non hanno modificato profondamente
né i tratti del suo carattere né l’orientamento della sua vita, che si svolge
sotto il segno di una meravigliosa unità.
Una vita di monaco
La sua carriera
monastica proseguì con una continuità che nulla
poté
interrompere. La sua vita non conobbe divisioni: non tentò mai di diventare né
soldato, contrariamente a quanto ha preteso di dimostrare, senza alcuna
prova, un antico storico
[1],
né null’altro che monaco. Anzi egli lo fu sempre, e possiamo quasi dire che lo
fu prima ancora di nascere. I biografi hanno amato ricordare tutto quanto si
sa—e anche qualcosa in più— della genealogia dei suoi genitori. Non occorre
affatto, per comprendere Pietro il Venerabile, spiegarlo mediante il passato di
quelli che non furono lui. Ma fin dai primi tempi della sua esistenza, egli
sembrava quasi chiamato alla vita monastica. Il suo ambiente familiare era fatto
per prepararvelo. Sua madre era forse nipote di sant’Ugo; doveva diventare
monaca a Marcigny e aveva convinto suo marito a farsi lui pure monaco: una morte
inopinata, sopraggiunta al ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa, le
impedì di realizzare il suo intento. Degli otto figli che avevano messi al
mondo, tre furono abati benedettini, un altro fu arcivescovo di Lione e uno di
quelli che rimasero laici fu padre di due monache. Se si deve credere a Radulfo,
la madre di Pietro il Venerabile, quando era incinta di lui, «si presentò un
giorno davanti a sant’Ugo; questi, quando la vide, le disse: ‘Sappiate, signora,
che il frutto del vostro grembo è già consacrato a Dio e donato a san Pietro’
(s’intende di Cluny, il cui patrono era appunto san
Pietro). Le rispose Raingarda: ‘Se è un maschio, sia fatta la vostra volontà’.
‘Sarà un figlio, statene certa’, le replicò sant’Ugo»
[2].
Per mezzo di un abate e di un santo, il monachesimo
aveva allora messo il suo sguardo su quel bambino e gli aveva manifestato una
vocazione imperiosa. Anche se in questo racconto la leggenda si mescola alla
storia, tuttavia vi possiamo percepire il modo in cui i monaci del suo tempo
leggevano l’azione della Provvidenza nei suoi confronti: essa lo destinava a
un’alta missione nell’Ordine monastico.
Pietro il Venerabile
nacque verso il 1094. Subito dopo la sua primissima infanzia, non appena
raggiunse l’età scolare, fu offerto dai suoi genitori, su consiglio di sant’Ugo,
al priorato cluniacense di Sauxillanges. Dei suoi anni di studi noi conosciamo
solo il risultato. «Quale fu la sua fanciullezza e quanta l’assiduità che egli
ebbe nel leggere e nell’imparare—dice semplicemente Radulfo—lo dimostrarono gli
esiti futuri»
[3].
Troviamo qui un’indicazione di qual era il livello degli studi in una di quelle
piccole scuole claustrali di cui ignoriamo tutto: non possiamo dare un nome ai
maestri che vi insegnavano né elencare i libri che vi si commentavano. Noi
constatiamo solamente che questo ambiente oscuro e colto aveva saputo formare,
in pochi anni, un latinista e un letterato del calibro di Pietro il Venerabile.
Egli fece la sua
professione monastica nel 1109, solo qualche mese prima della morte di sant’Ugo.
Aveva diciassette anni. Il nuovo superiore dell’Ordine lo mandò subito a
Vézelay: vi avrebbe vissuto dieci anni, in compagnia del fratello Ponzio, futuro
abate di quel monastero. Pietro vi svolse le funzioni di maestro, poi divenne
priore claustrale, cioè il secondo dell’abate. Nel 1120 fu designato priore
conventuale, ossia superiore, del monastero di Domène, situato non lontano da
Grenoble, e vi restò per due anni.
Elezione abbaziale
Il
successore di sant’Ugo I, Ponzio, aveva appena lasciato la sua carica. Aveva
preso il suo posto l’anziano Ugo
II, che
avrebbe governato per meno di quattro mesi. Alla sua morte, Pietro il Venerabile
si recò a Cluny, come tutti gli altri priori dell’Ordine, per eleggere il nuovo
abate. Quando compare nell’assemblea, racconta Radulfo, «tutti si alzano, si
precipitano verso di lui, lo prendono e fanno tutto quanto prescrive la
Regola... Lo conducono sul seggio abbaziale e da tutti è con gioia proclamato
abate»[4].
«Oh, se avessero scelto meglio»
[5],
ecco l’unico commento che Pietro il Venerabile farà di questo avvenimento. Aveva
appena trent’anni al tempo della sua elezione, e la successione di Ponzio era un
pesante fardello. Tuttavia egli non fece alcun tentativo per sottrarsi
all’incarico, non oppose alcuna resistenza all’unanime desiderio dei suoi
confratelli: accettò di essere il loro superiore perché non aveva cercato di
diventarlo. I biografi di un tempo spesso ci descrivono le proteste, finte o
sincere, di coloro che ottengono simili promozioni. Nulla di simile si racconta
a suo riguardo. Radulfo ha perfino accennato, in alcune frasi cui non si è mai
prestata attenzione, che Pietro era preparato in anticipo al suo abbaziato:
«Dopo aver retto con energia e devozione il monastero di Vézelay e aver
abbondantemente irrigato questa piantagione, secondo lo stato religioso, con la
pioggia della sacra parola, fu promosso al priorato di Domène; lì non dimenticò
né la scienza né la disciplina, ma mentre progrediva sempre di più nel Signore,
meditava assiduamente, durante gli anni della sua giovinezza, ciò che avrebbe
compiuto nella sua vecchiaia»[6].
Forse in queste parole vi è solo l’interpretazione postuma di un ammiratore.
Tuttavia la simpatia di cui Pietro il Venerabile si vedeva circondato poteva
lasciargli intuire che i suoi fratelli erano pronti ad affidargli i propri
destini. «A tutti appariva amabile—scrive Radulfo—... Per la sua bontà innata,
era aperto a tutti»[7].
Nulla esclude dunque che egli abbia non tanto desiderato, quanto previsto la sua
elezione. Possedeva sufficiente intuizione per presagire ciò che tutti si
attendevano da lui, la sua umiltà gli bastava per percepire
ciò di cui era capace, con l’aiuto di Dio, e amava
sufficientemente il suo Ordine per volerlo beneficare. Non doveva cambiare la
sostanza della sua vita: andavano mutate solo le forme della sua dedizione.
Avrebbe continuato a incutere quel religioso rispetto, quell’affettuosa
riverenza che dovevano guadagnargli, fin da vivo, il nome di Venerabile
[8].
Successione difficile
Il
cambiamento di sede e di mansioni che lo conduceva a Cluny parve dover avvenire
senza contrasti. Ma era un’apparenza ingannevole. Ben presto sorsero le
difficoltà, e vennero da
chi si credeva ormai
per sempre allontanato da
Cluny, cioè
proprio dal
vecchio abate Ponzio.
Curioso
destino delle istituzioni umane! Il successore
di sei abati che erano stati tutti santi fu un uomo il cui carattere, pieno di
contraddizioni, possedeva delle tendenze che potevano condurlo ai peggiori
eccessi. Il suo comportamento rimane sconcertante per chi tenta di giudicarlo
alla luce dei documenti che ci sono pervenuti. Lo stesso superiore che aveva
volontariamente rassegnato le sue dimissioni al papa, ritorna due anni più
tardi, con le armi in pugno per prendere di nuovo possesso del suo seggio
abbaziale. Come arrivò a farlo? «La sua personalità è ancora poco conosciuta»,
scrive con estrema prudenza Dom Séjoumé
[9]. I moderni biografi di
Pietro il Venerabile lanciano facili invettive contro la sua memoria. Ma Dom
Wilmart ha scoperto una lettera di Ponzio in cui quest’ultimo si rivela pieno di
carità e di umiltà; questo biglietto, sfortunatamente, è per la maggior parte
illeggibile, tanto è deteriorato il manoscritto in cui si trova; tuttavia Dom
Wilmart l’ha decifrato a sufficienza per chiedersi quanto vi esiste di quel
Ponzio «arrogante così come solitamente ci è presentato»
[10].
Le testimonianze dei contemporanei non sono meno discordanti. Radulfo osserva a
suo riguardo una discrezione che si può interpretare come una tacita
approvazione, e Orderico Vitale gli riconosce una salda virtù
[11].
I papi, secondo le circostanze, ora lo elogiano ora lo biasimano
[12].
Non è superfluo soffermarsi a considerare questo personaggio i cui intrighi
avrebbero provocato a Pietro il Venerabile il più grave dispiacere del suo
abbaziato e il cui carattere era tanto contrastante col suo.
Dal
1109 al 1122, Ponzio aveva dimostrato doti che, spinte all’eccesso, potevano
diventare difetti. E sempre molto difficile designare il successore di un santo,
e per colui su cui cade la scelta, non deludere quelli che l’hanno appoggiato.
Alla morte di sant’Ugo, dato che nessun religioso si distingueva per le sue
eminenti virtù, era stato eletto Ponzio a causa della sua nobile nascita, delle
sue influenti amicizie e della ricchezza della sua famiglia. Attivo, ma assai
autoritario, ostile a ogni opposizione, Ponzio mancava di elasticità quando gli
eventi gli erano sfavorevoli. Non era certo benevolo verso gli errori altrui,
anche se erano gli stessi che egli compiva. Abile nel condurre gli affari, anche
se talvolta imprudente, non esitava a irritarsi quando le circostanze sembravano
dargli torto. Quest’uomo, che tanto amava aver ragione, si trovava disarmato
davanti alle delusioni della vita. Si impuntava, perché non aveva il coraggio di
cedere, di piegarsi per essere vincitore. Non sapeva dominare né se stesso né
l’avversità.
Doveva
far fronte a difficoltà che spesso sorgevano per cause minime, ma che si
ripetevano continuamente. Cluny era una vasta istituzione. Il grande numero di
monasteri sui quali si estendeva la sua giurisdizione ravvicinava a molti
prelati e laici potenti. Il superiore di un Ordine a cui i papi avevano
accordato tanti diritti e tanti privilegi era facilmente considerato dai vescovi
come un rivale. Occorreva dunque che possedesse, se non virtù, almeno un certo
tatto. Ora, era proprio questo che più mancava a Ponzio. In simili circostanze,
Pietro il Venerabile si mostrerà ben diverso. Parecchi tentativi di Ponzio
furono coronati da successo, ma egli non sapeva dominare le sue vittorie; vi
attingeva una fiducia in se stesso che lo rendeva incapace di sottomettersi agli
eventi, se ne era il caso. E quando si scontrava con qualche opposizione,
perdeva la pace interiore e diventava incapace di diffondere e di mantenere la
pace intorno a sé. Pietro il Venerabile invece si arenò più di una volta in ciò
che aveva intrapreso. Ma un insuccesso non era mai per lui una disfatta. Sapeva
mantenere in ogni circostanza una suprema serenità che finiva per guadagnargli
la simpatia dei suoi stessi avversari. La sua forza stava nella sua bontà e
nella benevolenza che grazie ad essa si acquistava.
Come
riconoscimento dei servizi resi alla Santa Sede, Ponzio aveva ricevuto dai papi
insegne e titoli onorifici che egli paragonava a quelli dei Sommi Pontefici.
Quasi inebriato dai successi dei suoi primi anni di abbaziato, si fece dei
nemici dentro e fuori del monastero, e non
poté
fare a meno di accorgersene. Scoraggiato davanti a questi ostacoli, si recò a
Roma e supplicò Callisto II di esonerarlo dalla sua carica. Il papa dapprima si
oppose, poi acconsentì alla sua richiesta. Ponzio allora partì per la Terra
Santa, dove aveva progettato di stabilirsi. A Cluny solo qualche monaco gli era
rimasto fedele; la maggior parte si era rallegrata dell’elezione di Ugo
II e poi di quella di Pietro il Venerabile. Tuttavia
soltanto due anni dopo le sue dimissioni, Ponzio ritornava in Francia.
Ascoltiamo Pietro il Venerabile che ci racconta personalmente quanto accadde.
Comprenderemo, grazie a questo esempio, ciò di cui gli uomini del medioevo erano
capaci, anche se si trattava di religiosi:
«Accertatosi della mia
assenza—mi trovavo infatti in quel momento nelle terre dell’Aquitania
Seconda, per sbrigare alcuni affari di Cluny—, Ponzio finse di non voler venire
a Cluny, ma a poco a poco vi si avvicinò. Unitosi ad alcuni monaci che avevano
abbandonato il convento, scortato da una banda armata di cui si era attorniato,
si presenta all’improvviso davanti alle porte del monastero, le sfonda e dopo
aver costretto alla fuga il vecchio Bernardo, venerabile priore dell’abbazia, e
gli altri religiosi, penetra nel chiostro con quell’accozzaglia di armati, tra i
quali vi era anche qualche donna. Appena entrato, prende possesso di tutto e tra
minacce, terrore e percosse obbliga quelli che sono rimasti a giurargli fedeltà.
Chi si rifiuta viene cacciato dal monastero o duramente imprigionato. Poi con la
sua masnada si avventa sugli oggetti sacri, si impadronisce delle croci d’oro,
dei quadri dalle cornici dorate, dei candelabri e dei turiboli d’oro e di molti
altri e preziosi vasi. Arraffa anche i calici, non risparmia né i cofanetti né i
reliquari d’oro e d’argento che racchiudono le ossa di molti martiri e santi. Ne
fa alla fine un immenso bottino e mentre lo distribuisce ai mercenari che lo
attorniano e a tutti quelli di cui conosce l’avidità, propone loro una nuova
spedizione. Col loro aiuto, si impossessa delle fattorie e dei castelli che
circondano il monastero, tenta barbaramente di sottomettere alla propria
autorità tutti i luoghi consacrati e mette a ferro e fuoco tutto quanto può
distruggere. Non si astiene da nessun flagello di guerra: ruba, uccide, ovunque
semina distruzione, grazie a quei mercenari che si è pagato con i sacri ori.
Dall’inizio della quaresima ai primi giorni di ottobre, tutta l’estate trascorre
in simili lotte, e non v’è neppure qualche giorno di tregua in mezzo a tante
calamità. Il priore Bernardo, di cui si è detto, e con lui altri notabili
monaci, si erano rifugiati fuori da Cluny, dove potevano, e tentavano di
difendersi dagli attacchi di nemici così irriducibili. Così, per un segreto ma
giusto disegno di Dio, Satana, lasciato per qualche tempo in libertà, sfogava i
suoi furori in questa santa e famosa abbazia di Cluny; ma, come dice il libro
del beato Giobbe, Colui che ha creato Satana, guidando e trattenendo la sua
spada, mise in breve tempo un lieto fine a questi grandi mali»
[13].
Infatti Callisto II scomunicò Ponzio, il quale, pronto al pentimento tanto
quanto al furore, fece penitenza e morì poco dopo nella pace della Chiesa.
Morire un giorno di festa
Da quel momento, poche
sono le date che segnano la camera abbaziale di Pietro il Venerabile: nel 1132,
quella del capitolo generale a cui convocò tutti i superiori dell’Ordine di
Cluny; nel 1145, quella della peste che gli sottrasse parecchi monaci, durante
una delle sue assenze, lutto da cui questo padre di famiglia fu profondamente
colpito; nel 1150, quella in cui il suo abbaziato ricevette il suo coronamento
con la promulgazione, nel capitolo generale, degli statuti di riforma e di
amministrazione che aveva pazientemente sperimentato e che aveva appena redatto
in forma definitiva. Il 25 dicembre 1156 morì.
Negli intervalli di
queste date accaddero dei fatti nei quali il suo intervento fu talvolta
indispensabile. Dal 1130 al 1138 uno scisma nel papato oppose a Innocenzo
II l’antipapa Anacleto; fin dall’inizio, Pietro il
Venerabile si era schierato dalla parte di Innocenzo, il quale si era rifugiato
in Francia, da dove poté rientrare a Roma solo
nel 1137. Nel 1134 Pietro il Venerabile si era recato al concilio convocato a
Pisa da Innocenzo II. Partecipò anche al
concilio Laterano II nel 1138. Lo troviamo nel
1151 ancora a Roma, dove andò sei volte. Visitò due volte, nel 1126 e nel 1134,
le case dell’Ordine in Spagna; fu dopo questo secondo viaggio che si impegnò a
far tradurre in latino il Corano. Si recò infine due volte anche in Inghilterra.
Questi spostamenti,
quando li si considera in un breve resoconto, a prima vista sembrano dare a una
vita un andamento movimentato. Ma se si tiene presente che sono ripartiti
nell’arco di sessantaquattro anni, si capisce che occuparono in una vita ben
poco spazio. Quasi sempre, Pietro il Venerabile ha condotto una vita da monaco,
poi d’abate. I soli elementi che ne hanno cambiato il corso furono gli incarichi
che egli ebbe; ma la sua anima rimase la stessa.
Prima di diventare
vecchio, aveva pensato alla sua morte, non per scoraggiamento davanti ai suoi
compiti terreni, ma per desiderio del cielo. «Ricordatevi—scriveva al vescovo di
Chartres—che né a voi né a me resta ormai da passare molto tempo in questa
misera vita. Voi siete già anziano, e io non sono più un ragazzo. Che cosa ci
resta dunque se non dirigere tutti i nostri pensieri verso il sommo pontefice e
vescovo delle nostre anime, Gesù, e desiderarlo con tutto il nostro cuore,
rivolgere a lui tutto in noi, l’uomo interiore e quello esteriore? Ecco che già,
secondo la sua parola, il ladro notturno si affretta a penetrare nella nostra
dimora corporale. Il padrone di casa già accorre, già il grido levato nel cuore
della notte sveglia quelli che dormono e dice loro: Ecco lo sposo, andategli
incontro! A che servirà essere vescovo più a lungo? A che essere più a lungo
abate?»[14].
Pietro il Venerabile non si credeva necessario. Smetterà volentieri di essere
abate sulla terra per ridiventare monaco nel cielo dove, libero dal governo
dell’Ordine, si dedicherà solamente alla contemplazione di Dio. Egli era
totalmente pronto a passare in questo nuovo stato di vita, con la stessa
semplicità che aveva dimostrato nel diventare abate. Desiderava solo morire in
un giorno di festa e aveva scelto il Natale: pregava e faceva pregare per questa
intenzione. Il suo voto fu esaudito: alla vigilia di Natale godeva ancora di
buona salute, e all’aurora del santo giorno morì
[15]. Pietro di Celle gli attribuì subito il nome di santo
[16].
I monaci di Cluny non sollecitarono l’autorità
ecclesiastica a decretargli questo titolo. Collocarono il loro nono abate nel
martirologio benedettino e fissarono al 25 di dicembre la commemorazione del suo
ingresso in cielo
[17].
Il Signore aveva costellato la sua nascita di
presagi: ora aveva fatto coincidere la sua morte con il giorno che egli stesso
aveva prediletto. Voleva così far comprendere che delle grazie sublimi avevano
sempre accompagnato quest’uomo semplice e grande.
[1]
L. Holstenius,
Codex regularum,
riprodotto in
PL
189, 1023.
[2] Radulfo,
Vita, 1, 17.
[3]
lbid.
[4]
Ibid.,
18.
[5]
De miraculis
n, 12, 923.
[6] Vita,
1, 17.
[7] lbid.
[8]
Testimonianze di S. Bernardo, Innocenzo II e Federico n, 43 e 65.
[9] Loc. cit, col. 2065.
[10] Deux pièces relatives à l’abdication
de Pons, abbé de Cluny en 1122, in «Revue Bénédictine» 44 (1932), p. 351, nota 3.
[11]
Historia
aecclesiastica,
XI,
20,
PL 188, 843.
Testi raccolti da L.M. Smith,
Cluny in the Eleventh and Twelfth Centuries, London 1930,
pp. 266-284.
[12]
Testi in A.Bruel,
Recueil des chartes de l’Abbaye de Cluny, V, Paris 1894, n. 3875-3893
passim.
[13]
De miraculis n, 12, 923-924.
[14]
Ep.
137,
344.
[15]
La tomba di Pietro il Venerabile, situata
all’estremità sud dell’ambulacro della chiesa abbaziale, fu profanata
durante la Rivoluzione. K.J. Conant, durante gli scavi che fece nel
1931, ne ritrovò l’ubicazione. Vide che la tomba era volta a oriente e
che vi erano rimaste alcune ossa. Fece ricoprire il fondo del sarcofago
e le ossa contenute con una lamina di piombo, l’avvolse di sabbia e fece
richiudere lo scavo; cfr. J. Virey,
Les travaux du Prof. K.J. Conant à Cluny, in
«Revue Mabillon» 24 (1934), p. 72.
[16]
Ep.
I, 26,
PL 202, 432.
[17]
Nota del Duchesne in
PL 189, 64; testo del
Martyrologium, ibid., 46, XVII.
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23 febbraio 2025
a cura
di Alberto "da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net