SAN BENEDETTO E L'EUROPA
SAN BENEDETTO E LA NASCITA DELL’EUROPA
Dom Giorgio Picasso,
O.S.B
Dal Corso di Cultura
monastica 1997/98 presso le Benedettine di Milano - 26 gennaio 1998 -
Fonte:
https://www.benedettineitaliane.org
Occorre a questo punto del nostro percorso affrontare la figura di san
Benedetto, del suo rapporto con l'Europa, dell'Europa di oggi e con quella che
si sta prospettando. In particolare abbiamo davanti agli occhi le immagini della
visita del Papa ad Assisi, nelle Marche, in occasione del terremoto (a
dichiarare la verità abbiamo negli occhi altre visioni ancora, ad esempio quelle
di Cuba; è veramente edificante questo spirito di sacrificio che porta il Papa a
adempiere la sua missione come se si trovasse nelle migliori condizioni d'età e
di salute e non così affaticato...). Parto dalla sua visita ad Assisi e nei
piccoli centri delle Marche perché questa visita in realtà si ricollega ad una
precedente che il Papa ha fatto nella medesima regione, esattamente nel 1980,
quando fu a Norcia: si celebrava allora il centenario della nascita di san
Benedetto, ma qualche mese prima, un giorno particolare, il 19 settembre 1979,
il terremoto aveva colpito Norcia e la Val Nerina e il Papa dunque intese andare
a visitare quelle popolazioni colpite e nello stesso tempo rendere omaggio al
più illustre figlio di questa cittadina umbra. In quell'occasione pronunciò un
vibrante elogio di san Benedetto:
"La sua
statura umana e cristiana resta nella storia come uno dei più luminosi punti di
riferimento. In un'epoca di profondi mutamenti, quando l'antico ordinamento
romano stava ormai crollando e stava per nascere una nuova società, sotto
l'impulso di nuovi popoli emergenti all'orizzonte dell'Europa, egli assunse
responsabilmente la propria parte che fu preminente d' impegno non solo
religioso ma anche sociale e civile. Promosse la coltivazione razionale delle
terre, contribuì alla salvaguardia dell'antico patrimonio culturale e
letterario, influì sulla trasformazione dei costumi dei cosiddetti barbari,
instaurò un originale tipo di vita comunitaria posto sotto una regola da lui
scritta e ciò non a livello di un gretto e sconosciuto nazionalismo ma mediante
i suoi monaci a dimensione continentale per cui giustamente il mio predecessore,
Paolo VI, lo ha proclamato Patrono d'Europa. Tutto questo avvenne non contro ma
sulla base e in forza di una vita spirituale di fede e di preghiera
assolutamente intensa ed esemplare".
Partiamo
da questo testo per esprimere qualche sorpresa. Non tutti hanno avuto modo di
leggere i "Dialoghi" di Gregorio Magno e di conoscere quindi il profilo di
questo santo. Abbiamo sentito un grande elogio di lui, ma in realtà se noi
consideriamo la sua vita, egli si è mosso in un ambito molto modesto: da Norcia,
dove era nato, a Roma, poi indietro verso Tivoli a Subiaco, e poi a
Montecassino: si tratta di percorsi brevi. Quindi tutto sommato è un santo che
non ha percorso le regioni d'Europa come ad esempio altri monaci: pensiamo a san
Colombano, che dall'Irlanda lascia il monastero e finalmente ottiene il consenso
del suo Abate per peregrinare per Cristo senza sapere dove, ma prendendo la
peregrinatio
come una forma di penitenza, come l'immagine paolina del cristiano che non è uno
che ha qui una cittadinanza; il cristiano è uno che va in cerca di una città che
è la Gerusalemme futura; perciò questi monaci irlandesi e inglesi avevano preso
sul serio questo invito dell'Apostolo a vivere in questo mondo senza avere una
cittadinanza, e così cominciarono a peregrinare. E' una
peregrinatio che non ha nulla a che
vedere con i nostri pellegrinaggi, non dico sotto l'aspetto dei moderni
comforts, ma anche nella sua natura, perché noi andiamo pellegrini ad un
santuario, come già nel Medio Evo del resto, questi invece andavano pellegrini
dove li portava l'ispirazione; l'importante era di camminare, di fare penitenza,
di rendere testimonianza al Signore, in cerca della città futura. Ma erano
monaci, e quindi loro si sentivano chiamati a questa
peregrinatio, costellata dalla fondazione di tanti monasteri.
Colombano ha fondato monasteri in Francia, dove è giunto dall'Irlanda, in
Svizzera, in una città che porta ancora il nome di San Gallo (che era un
discepolo di Colombano rimasto a capo del monastero che lui fondò); poi scese in
Italia, a Pavia, alla corte dei re Longobardi che gli assegnarono questa regione
di confine del regno tra la Lombardia e la Liguria, tra loro e i bizantini
perché andasse a fondare un altro monastero sul confine del regno. Qui si pur
scorgere la mentalità religiosa di questi re, che sono cristiani, ma non tutti:
qualcuno è cristiano ma ariano; certo quelli che Colombano incontra sono
cattolici ed è interessante questo: noi oggi manderemmo dei soldati a difendere
i confini del regno, loro mandano invece questo ormai vecchio monaco che fonda
il monastero di Bobbio e muore pochi anni dopo, nel 615. Allora san Colombano
questa Europa l'ha percorsa in lungo e in largo.
Potremmo
parlare di san Bonifacio, altro grande monaco; di Winfrido che dall'Inghilterra
viene in Italia, a Roma, e il Papa lo manda in Germania, dove evangelizza questa
nazione difficile da convertire, e fonda nel cuore della Germania il monastero
di Fulda, che ancora oggi h guardato dalla Chiesa tedesca come la propria
origine, come il proprio centro; poi riforma la Chiesa dei Franchi, si spinge
tra i Frisoni, gente che non si voleva convertire, non voleva ascoltare il
Vangelo, e muore martire.
Ecco un
altro esempio di santo che noi avremmo capito come Patrono d'Europa. Invece no:
il Patrono è san Benedetto, la cui vita, ripeto, si è svolta a Norcia, dov'era
nato in una famiglia agiata e benestante che lo manda a studiare a Roma, ma
anche qui avviene qualcosa di stridente: a Roma c'erano ancora tanti ricordi
della Chiesa primitiva, dei martiri, dei pontefici di allora che sono venerati
come santi, ma Benedetto non si trova bene, e abbandona la città, come dice san
Gregorio:
"Scienter nescius et
sapienter indoctus" (= coscientemente ignaro e sapientemente
indotto) e si allontana verso la solitudine di Subiaco, etc. Non lega neppure
con la città di Roma, ed è un altro punto in suo sfavore per diventare Patrono
dell'Europa, per insegnare all'Europa, perché in fondo da Roma avrebbe potuto
esercitare un esempio, una predicazione, un'azione di carità, anche tra i suoi
coetanei, invece taglia con tutti, a un certo punto lascia anche la nutrice che
lo seguiva, e si ritira da solo là dove c'era una villa di Nerone che al tempo
dell'Imperatore era una residenza imperiale, ma anche là, dove c'erano dei
monaci sparsi in quelle solitudini Benedetto non fonda un monastero che avrebbe
potuto esercitare una certa azione, sembra che faccia tutto il contrario per non
mettere in pratica quello che ha detto il Papa: "Ha insegnato, ha seminato, ha
coltivato, ha pregato, ha salvato...": non ha salvato nulla ancora, perché si
ritira in una grotta dove provvidenzialmente lo scopre un monaco, un eremita,
Romano, che di tanto in tanto gli porta quello che h necessario, ma conduce una
vita solitaria. Pensate che Benedetto non si accorge neppure quando arriva il
giorno di Pasqua; è un sacerdote vicino che, mentre sta per mettersi a pranzo,
ha una visione in cui il Signore gli dice di andare da quel suo servo ll da
solo, egli va e lo trova, e in un certo modo lo rende partecipe della gioia
della Risurrezione del Signore. Lo trovano poi anche altri monaci, ma sarebbe
stato meglio che non l'avessero trovato, perché lo fanno Abate, ma ben presto
non vanno d'accordo e pensano di liberarsi di lui attraverso un espediente che
fa loro poco onore: pensano di avvelenarlo. Ma lui con il segno di croce sul
vino avvelenato, rompe il bicchiere... Lascia di nuovo e torna alla solitudine.
Allora vedete la vita di Benedetto: questo giovane
"vir Dei", quest'uomo
di Dio di per si non fa nulla per essere visto, per rendere una testimonianza,
come diremmo noi oggi.
Ma dopo
l'esperienza di Vicovaro il santo viene trovato da alcuni contadini, gente
semplice, che non esercita influssi sulla cultura di nessuno, che sono rudi e
conoscono poco o nulla della religione, ma sono cristiani: nel sec. VI nelle
città la maggior parte delle persone era almeno ufficialmente convertita e
battezzata, ma nei villaggi pagani resistevano ancora queste sacche di antiche
tradizioni pagane e quando san Benedetto va a Montecassino troverà il tempio di
Apollo, perché il cristianesimo si è diffuso nelle città attraverso le strade
romane, che rendevano agevole il passaggio da una città all'altra; i romani per
poter perseguire con i loro eserciti vincitori la conquista dell'impero avevano
dovuto preparare le strade ai loro eserciti, non potevano arrampicarsi sui
monti; così attraverso quelle strade (Via Aurelia, Via Cassia) ancora oggi
conosciute, passano anche gli apostoli e i loro discepoli, i primi cristiani.
Quindi, prima si convertono le città, dove peraltro risiede anche il vescovo,
almeno nella nostra zona, mentre i pagani resistono ancora nel contado. Allora
molto probabilmente quei contadini che vanno a trovare Benedetto e che lui
istruisce, pur darsi che non fossero neanche del tutto convertiti.
Non
solo: ecco che quello che lui non ha voluto, cioè fermarsi nella città e creare
delle strutture accoglienti, avviene per volontà di altri; lui non ha voluto
stare a Roma, ma da Roma corrono a lui. E non persone modeste, ma famiglie
romane che portano i loro figli a Benedetto perché li educhi. E difatti abbiamo
Mauro, Placido e in breve la fondazione dei primi dodici piccoli monasteri,
perché erano tanti ormai quelli che lo cercavano; quindi Benedetto diventa padre
di monaci nonostante le sue scelte eremitiche; diventa un fondatore di monasteri
proprio perché la provvidenza lo conduce per queste strade, che non sono quelle
che lui aveva messo nel suo programma. E così arriva a Montecassino (lascia
Subiaco per dei contrasti non suoi, per l'invidia di un sacerdote), si reca in
questa città della Campania al confine con il Lazio (oggi è in provincia di
Frosinone): allora
Cassinum era
considerata alle porte della
"Campania felix", con i suoi campi ricchi di grano - e in cima a
questo monte fonda il monastero di Montecassino dal quale esce raramente e dove
però, avvalendosi delle esperienze monastiche condotte anche da altri, scrive la
sua Regola. La Regola che Benedetto scrive a Montecassino non è all'origine di
una tradizione monastica che lui si inventa, ma è una Regola che lui scrive
raccogliendo questa ampia esperienza monastica che si era appunto via via
formata in tanti monasteri, in tante città e deserti, tutti in vario modo
avevano contribuito a consolidare una tradizione, per cui quando un uomo di Dio,
un Padre, un uomo carismatico, un Abate, fonda un monastero sceglie anche una
Regola o la scrive lui: Benedetto fa così. Purtroppo per molto tempo noi abbiamo
pensato a san Benedetto come al grande legislatore che ha inventato questa
Regola, e quindi si è fatto di Benedetto un po' come un fondatore dell'Ordine
benedettino: non è così. Benedetto ha preso alcune Regole, in particolare una,
l'ha semplificata, l'ha adattata e ha composto la sua Regola, che però non ha
scritto per nessun Ordine: non esisteva un Ordine monastico. Ogni vescovo aveva
dei monasteri che dipendevano da lui, e Montecassino non è diverso da questi,
anzi Montecassino dopo non sappiamo esattamente quanti anni dalla morte di
Benedetto (dal momento che non abbiamo date certe della sua vita), comunque
vent' anni o trenta dopo al massimo, una notte viene assalito dai Longobardi
(che non erano ancora i Longobardi convertiti che manderanno Colombano a Bobbio,
erano ancora feroci, predatori di chiese e monasteri, come dice uno di loro,
Paolo Diacono, che poi si era fatto monaco a Montecassino nell'VIII secolo). I
Longobardi distruggono il monastero, i monaci perdono la vita, un gruppetto
riesce a fuggire a Roma e portano qualcosa di san Benedetto, il testo della
Regola, qualche piccolo ricordo, ma devono lasciare il monastero. Non è un
abbandono di qualche giorno: tutto il secolo VII è il secolo del silenzio: a
Montecassino non c' più niente, l'opera di san Benedetto, prima che finisca il
secolo VI, 580-85, viene completamente azzerata da questa distruzione
longobarda, e nessuno pensa a tornare per oltre cento anni. Noi diciamo:
"Montecassino, faro di civiltà...", certo, per più di cento anni tace, forse
qualcuno rimasto, qualche eremita, ma noi lo sappiamo perché all'inizio del
secolo VIII questo monaco bresciano passa per Roma per andare pellegrino in
Oriente, Petronace, viene chiamato dal Papa e indirizzato a Montecassino, per
far risorgere il monastero. E lui, arrivato a Montecassino, trova degli
"homines simplices"
e gli studiosi si sono chiesti chi sono, cos'han fatto, se erano degli eremiti,
se erano dei monaci... Uomini semplici, certamente non uomini che vivevano una
vita monastica ordinata, certamente non uomini che avevano ricostruito il
monastero. Per oltre cento anni da Montecassino non giunge nessun messaggio, a
Roma la Regola stata messa negli archivi della Chiesa romana per poi tornare a
Montecassino cento anni dopo, qualcuno l'ha conosciuta a Roma, l'ha portata
nella Gallia e qui sono nati alcuni monasteri che osservano la Regola di san
Benedetto Abate - dicono i codici -
"romensis": Abate di
Roma. Gli studiosi sono meravigliati da questo titolo: quando Benedetto stato
Abate a Roma? Mai. Però si dimenticata anche la sua vita, e allora questi monaci
di Cassiano che dalla Gallia vanno a Roma, si fanno una copia di questa Regola
di questo
"vir Dei Benedictus" che conservata negli archivi della Chiesa
romana, dicono che l'autore un certo Benedictus,
Abbas romensis, un Abate tra i tanti
Abati di Roma: non sanno neppure che viene da Montecassino. Comunque la Regola
cammina e arriva nella Gallia. Qui viene osservata, si diffonde spontaneamente.
Petronace va a Montecassino con la Regola, in breve tempo ricompone la
comunità..., il monastero risorge e la figura di Benedetto ritorna di nuovo ad
essere conosciuta e apprezzata. Al punto che quando nell'800, notte di Natale il
Papa Leone III incorona il nuovo Imperatore, non un Imperatore romano dell'età
classica, ma un Imperatore romano cristiano, Carlo, re dei Franchi, Carlo, per
costruire questo nuovo Impero cristiano cerca degli elementi di unità..., e così
chiede al Papa una copia dei libri liturgici che la Chiesa di Roma usava e li
impone a tutto l'Impero, ecco perché il rito romano il rito di tutta la Chiesa
latina - salvo poche eccezioni. Prima ogni Chiesa, come Milano, Genova, Torino,
avevano un proprio rito, sempre rito latino quindi senza differenze enormi; ma
Carlo Magno impone a tutti l'unico messale che si fatto mandare da Roma, lo fa
copiare, cos anche per le leggi, ma chiedono anche a Montecassino la Regola da
far osservare a tutto l'Impero: già nella Gallia si osservava, già altri
monasteri, come quello di Bobbio, c'erano arrivati. In questo caso i carolingi
impongono a tutti i monasteri l'osservanza della Regola di Benedetto, e si
avvalgono, specialmente il figlio di Carlo Magno, Ludovico il Pio, della
collaborazione di un Abate, Benedetto di Aniane, che fa venire la Regola da
Montecassino, poi la copiano, la diffondono, però non proprio una imposizione
politica per avere un'osservanza uguale: in realtà molti monasteri l'avevano già
adottata per conto proprio. Quella decisione comunque importante perché da
allora, effettivamente, tutti i monasteri, maschili e femminili, dell'Impero
carolingio osservano la Regola di san Benedetto: allora sì che c'è un Ordine di
san Benedetto, perché tutti i monasteri hanno il medesimo codice. Qualcuno dice
che l'Ordine benedettino l'ha fondato Benedetto d'Aniane, perché lui che ha
collaborato perché questa Regola fosse osservata veramente in tutti i monasteri.
Come voi
capite, Benedetto non si mosso dalla regione romana; non ha lanciato proclami,
non ha scritto una Regola perché tutti i monasteri la osservassero; quando
scriveva che in altri luoghi si possono modificare le prescrizioni della Regola,
era un'ipotesi, come tutti gli abati, che quando scrivevano una Regola
aggiungevano che anche altri potevano osservarla se volevano, egli prevedeva
anche che ci potessero essere anche altri luoghi dove alcune cose non si
praticano (alcuni cibi, lo stesso abito monastico in zone più fredde previsto
che sia più pesante, etc.). Benedetto non escludeva che altri monasteri
l'avrebbero osservata, comunque ha scritto la Regola per il suo monastero,
quello di Montecassino. Ma nel volgere di tre secoli, ecco che quasi per forza
spontanea viene scelta dai monasteri, e poi intervengono Carlo Magno e i
carolingi, i grandi costruttori dell'Europa cristiana, che per quanto riguarda
la Regola dei monasteri - i monasteri erano molto numerosi e diffusi ovunque -
era in fondo l'unico Ordine religioso, e questo spiega anche perchè questi
monasteri abbiano assunto via via vari compiti, i primi ospedali sorgono accanto
ai monasteri come
ospitium per i
pellegrini che passavano e che erano accolti, come dice san Benedetto nella
Regola, come Cristo; le prime scuole monastiche, Anselmo di Aosta si recherà al
Bec non per farsi monaco ma perché gli piaceva la filosofia, e là c'era un
grande maestro di filosofia, Lanfranco, anche lui espatriato da Pavia, e Anselmo
va e alloggia nella foresteria, dove vi sono i giovani che frequentano la
schola e che non
necessariamente diventano monaci; Anselmo andato nel 1059 al Bec per imparare la
filosofia. Giovane di indole molto buona, molto religioso e devoto, studiava ma
poi prendeva parte anche alla preghiera dei monaci. Passato un anno, trovandosi
bene con i monaci, decide di passare dalla scuola esterna alla scuola interna al
monastero, diventerà a sua volta Priore, poi Abate, e sono i trent'anni più
belli della sua vita, perché poi i Normanni che hanno conquistato l'Inghilterra
lo vogliono Arcivescovo di Canterbury, lui va in Inghilterra ma cominciano gli
anni più difficili, l'esilio i contrasti per la riforma della Chiesa che dovette
affrontare, per cui del Bec ha sempre nostalgia, quando poi uno si trova male
vede le cose ancora migliori di quanto erano, cos egli parla del suo "nido", ha
delle espressioni bellissime, probabilmente quando era al Bec avrà avuto anche
le sue difficoltà, ma non sono paragonabili alle peripezie che dovette
affrontare quando divenne Arcivescovo della Chiesa di Canterbury.
Allora,
il monastero esercita tutte le funzioni: scuola, ospedale, ma anche come diceva
il Papa: "promosse la coltivazione razionale delle terre", vero anche questo:
non dappertutto, non sempre, ma quando si fondava un monastero dove non c'era
gente che capace di coltivare la terra, queste popolazioni germaniche vivevano
soprattutto di pesca e di caccia, ecco perché abbiamo queste invasioni, avevano
bisogno di terre nuove da sfruttare, non erano capaci di fermarsi e coltivare la
terra, dovevano sempre trovare delle terre nuove, dei boschi e delle foreste per
tagliare legna, per cacciare, etc. Durante il Romanticismo qualcuno vedeva i
monaci soltanto come prosciugatori di paludi, forse si esagerato, però i monaci,
quando c'era bisogno, hanno fatto anche quello.
I
mendicanti, i francescani, gli agostiniani, sono tutti venuti dopo il 1000,
quando l'Europa era già stata fondata. Certo, il loro contributo stato poi
notevolissimo come predicatori etc., per l'esempio che hanno dato, però tutto
questo non c'era ancora, quando divenne Papa il Papa dell'anno 1000, Silvestro
II - noi ci auguriamo che l'attuale Papa sia il Papa dell'anno 2000 - era un
monaco, addirittura uno dei pochi che allora conoscevano l'aritmetica, tant' è
vero che la gente lo guardava con sospetto per questa sua capacità di compiere
problemi e operazioni geometriche, lui le aveva imparate andando verso la
Spagna, non travestendosi come dice una leggenda, ebbe dei contatti dagli Arabi
da cui apprese questa scienza, poi divenne Abate di Bobbio, Arcivescovo di
Ravenna, e poi Papa Silvestro II. Il secondo millennio si aperto con un Papa
benedettino, ma era la cosa più ovvia, erano gli unici che nella Chiesa
rappresentavano questa istanza ascetica, questa vocazione alla santità..., e
quindi i monaci e i monasteri erano dappertutto; anche come studiosi, facciamo
fatica a ricomporre un elenco preciso, anche come ubicazione, dei monasteri. A
Milano, quando Ariberto, grande Arcivescovo di Milano (vissuto nel secolo XI,
poco dopo l'Arcivescovo dell'anno 1000, Arnolfo II, che però muore nel 1018 e
gli succede il grande Ariberto) nel suo testamento ricorda i monasteri,
anzitutto ha fondato un monastero, un monastero che doveva essere abbastanza
vicino a noi, quello di san Dionigi, dove non rimasto più nulla, dove ci sono i
giardini di P.ta Venezia, quando muore si ricorda di tutti i monasteri per
lasciare loro una parte dei suoi bene - apparteneva a una grande famiglia
feudale - e fa l'elenco dei monasteri: sono diversi maschili e otto femminili,
quindi la Milano dell'anno 1000 aveva almeno una quindicina di monasteri, tra
cui al primo posto troviamo quello di sant'Ambrogio, maschile, mentre tra quelli
femminili il più importante è quello di san Maurizio, di cui oggi rimane ancora
la chiesa in via Meravigli. Non dico che a Bergamo o Brescia ci fossero
altrettanti monasteri, però quando si va a studiare, a verificare, quei tre o
quattro monasteri si trovano sempre. E nelle piccole città episcopali, almeno
due, uno maschile e uno femminile, si trovano sempre. San Benedetto non si è
mosso dalla piccola regione laziale però con la sua Regola ha coperto tutta
l'Europa. Come esercitavano questa influenza sulla società? Ripeto, non
essendoci altri ordini religiosi hanno fatto tutto, hanno salvato anche i
codici, li hanno trascritti, certo, hanno coltivato la terra, hanno prosciugato
qualche palude là dove c'era, hanno costruito i primi ricoveri, i primi
ospedali, le prime scuole, hanno inciso veramente sulla società, ma tutto questo
un'opera di contorno, quello che era più essenziale, quello che era più
importante la trasmissione della testimonianza di fede, il monastero parlava già
con la sua presenza, anche se nessuno fosse uscito, ma il fatto che la gente
vedeva un monastero, quello predicava e annunciava una verità. Un autore nel
Medioevo parlava di una
"predicatio muta", che una contraddizione in termini: invece no,
nel Medioevo questa
"predicatio muta"
era esercitata dalla presenza del monaco come
"testimonium fidei", un testimone della fede, un predicatore, uno
che annuncia col suo modo di vivere, con le sue scelte, ma poi come dice Pietro
il Venerabile il monaco predica perché copia nei codici la Bibbia, copia le
opere di sant'Agostino e dei Padri della Chiesa, cos Pietro il Venerabile per
incoraggiare i monaci di Cluny che dovevano passare ore ed ore a scrivere, e non
era facile scrivere sulla pergamena, bisognava stare molto attenti, gli ambienti
poi non erano riscaldati come oggi, c'erano monaci che si lamentavano, ed egli
diceva loro: "Cosa fai tu? Scrivi? Tieni presente i sacerdoti che spiegano il
Vangelo adesso, un giorno smetteranno di parlare perché moriranno; tu invece
continuerai a predicare anche quando non ci sarai più, attraverso la Bibbia che
tu hai scritto e tu continuerai a parlare anche se sarai morto", ecco la
"muta predicatio",
ed questo l'aspetto più incisivo della presenza dei monasteri in tutta l'Europa.
Non togliamo nulla a quello che hanno fatto esteriormente, ma quello che più ha
inciso stata questa presenza; la riforma luterana in Germania, ad esempio, ha
attecchito dove c'erano meno monasteri, là dove c'erano più monasteri, quella
regione è rimasta attaccata alla tradizione e alla fede cattolica. Questo
significa che anche senza essere predicatori contro l'eresia, i monaci con la
loro presenza hanno inciso: l'Europa si trovata cristiana (questa la parola che
si deve aggiungere: san Benedetto e l'Europa cristiana). San Benedetto non ha
contribuito a formare una cultura classica, un certo modo di coltivare la terra,
una certa concezione del lavoro, che completamente rivoluziona quello che
pensavano i romani: il lavoro era però per i servi, le opere servili erano
demandate agli schiavi, l'uomo libero usava le armi per combattere, per andare a
caccia, ma non per il lavoro umile; san Benedetto ha capovolto questa visione:
ogni lavoro è un servizio di Dio, al lavoro devono alternarsi i fratelli dalla
cucina alle varie necessità... , nessuno è esentato dai lavori umili in
monastero, sono tutti uguali, servi e liberi, tutti sono una cosa sola, questa
grande concezione anche del lavoro ha contribuito a formare l'Europa. Ma il suo
contributo l'ha dato, appunto, per formarla cristiana, vale a dire, per rendere
questa testimonianza di fede in Dio, questa testimonianza di amore ai fratelli,
questa testimonianza di una società dominata dalla pace, dall'obbedienza. E'
molto bello il discorso che Paolo VI pronunciò a Montecassino quando proclamò
san Benedetto Patrono d'Europa: questa società nuova, alternativa, che Benedetto
ha creato e che poi si moltiplicata e ha coperto capillarmente tutta l'Europa,
per cui ecco la conseguenza: l'Europa si ritrovata cristiana, proprio per merito
della Regola di san Benedetto, e qui ho detto che andiamo un po' al di là del
tracciato, ma non è stata una scelta inopportuna, perché adesso voi in questo
secondo gruppo di lezioni tenuto dal P. Abate Cattana, vi farà conoscere la
Regola di san Benedetto, dalla quale io mi sono fermato un po' all'esterno.
Perché dobbiamo conoscerla? Non per conoscere un testo antico, sempre utile
studiare anche un testo antico, oppure si può studiare perché ancor oggi vivono
i benedettini e le benedettine che vivono secondo questa Regola, ma si può anche
studiare ad un livello ancora più profondo che quello di assimilarne lo spirito
perché questa Regola che ha costruito l'Europa cristiana, in forza di questa
Regola che san Benedetto Patrono d'Europa, non quello che lui ha fatto, i viaggi
che ha compiuto, le persone che ha convertito, ma la Regola che ha scritto, la
vita che ha vissuto, e attraverso la Regola diventa padre, come diceva un antico
testo liturgico, di un'innumerevole moltitudine di monaci, sparsi in tutta
l'Europa, che era il mondo conosciuto di allora, il mondo cristiano. Le lezioni
che seguiranno sulla Regola benedettina diventano quanto mai opportune perché
proprio assimilando quello spirito di preghiera, di lavoro, di studio, lectio,
l'Europa si ritrovata cristiana.
Oggi si
sta ricomponendo quest'Europa, ma a livello politico ed economico, con la moneta
comune, e c'è il pericolo che dell'Europa cristiana si dimentichi il fondamento.
Allora compito dei monaci e delle monache ma anche di quelli che hanno la
fortuna di conoscere questo testo, di vivere questa spiritualità è proprio dare
a questo vecchio continente europeo la giovinezza spirituale, che può attingere
soltanto se rimetterà al loro posto questi valori, altrimenti, come diceva ieri
il Papa, creare un'Europa ricca e opulenta, una moneta forte una forma di
capitalismo, che può portare a sfruttare delle altre persone, non so neanche se
ne valga la pena, anzi la Chiesa dovrebbe prendere le distanze se cos nascesse.
Se invece è un'Europa solidale, aperta ai problemi e ai bisogni del terzo, del
quarto mondo, allora sarà veramente un'Europa che attinge a quella linfa vitale
che stata la Regola di san Benedetto.
E c'è
anche chi ha osservato che - come voi sapete - il monachesimo soprattutto in
questi ultimi cinquanta-sessant'anni ha fatto enormi progressi nel terzo mondo:
siccome questi nostri confratelli impostando questo monachesimo senza tradizioni
precedenti ma soltanto attaccandosi alla Regola, riescono a costruire, a dare
una testimonianza genuina di fede, come i monasteri medievali - san Benedetto
possa riconquistare l'Europa muovendo da questi monasteri fuori d'Europa, che
sono in Africa, in Asia, ma che siccome stanno assimilando molto bene lo spirito
della Regola, ecco che può darsi che Benedetto si serva di questi suoi nuovi
figli per riportare nel continente lo spirito di preghiera, di studio e di
lavoro con il quale ha dato un contributo determinante alla costruzione
dell'Europa.
Cosa ci
può suggerire ancora oggi chi ha ancora la fortuna di vivere questa Regola? Sono
molti gli aspetti, sono molti i valori, però in genere gli autori parlano per
esempio del valore del silenzio, la realtà del silenzio, che un bene che la
società ha perso: chi può insegnare il silenzio come lo ha insegnato san
Benedetto? Oggi poi si parla di lavoro "non- profit", cioè un lavoro che non è
fatto per un guadagno, per un interesse: tutti dobbiamo lavorare, certamente,
abbiamo bisogno di guadagnare per mantenere la famiglia, ma forse nella nostra
vita ci può essere anche uno spazio per un lavoro disinteressato, cioè un lavoro
al servizio degli altri, come quello che san Benedetto suggerisce nella sua
Regola. Poi anche uno spirito di collaborazione: si dice che i monasteri sono
isolati, non sono come gli altri ordini che sono molto accentrati tra di loro,
ogni monastero
"sui juris"; certo, ma questo isolamento, che viene dal Medioevo,
come vedete era un isolamento apparente, perché in realtà questi monasteri erano
dappertutto e in ogni luogo si serve, come dice la Regola, ad un unico Signore.
Questo spirito di collaborazione che nell'alto Medioevo i monaci hanno
dimostrato, assumendo anche compiti che poi giustamente sono passati ad altri
nella Chiesa col moltiplicarsi degli Ordini religiosi, era necessario, qualcosa
che deriva dalla Regola di san Benedetto. Le operazioni sono molto delicate,
silenzio e collaborazione, lavoro e amore per gli altri, tutti valori che san
Benedetto ha saputo armonizzare, la sua Regola li ha armonizzati e si possono
adattare ai vari momenti della storia senza perdere la propria vitalità. Erano
veri monasteri quelli dell'alto Medioevo, dove c'erano officine, scuole,
ospedali, erano veri monasteri quelli che invece sono sorti nelle epoche
successive o nelle città, e che hanno praticato maggiormente il silenzio e la
clausura, sempre il medesimo spirito, la medesima Regola che ha saputo compiere
il miracolo di essere ancora viva e attuale dopo quattordici secoli.
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21 maggio 2015 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net