Regola di S. Benedetto
Prologo della Regola - 33 Perciò il Signore stesso dichiara nel Vangelo: "Chi ascolta da me queste parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio il quale edificò la sua casa sulla roccia. 34 E vennero le inondazioni e soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia". 35 Dopo aver concluso con queste parole il Signore attende che, giorno per giorno, rispondiamo con i fatti alle sue sante esortazioni. 36 Ed è proprio per permetterci di correggere i nostri difetti che ci vengono dilazionati i giorni di questa vita 37 secondo le parole dell'Apostolo: "Non sai che con la sua pazienza Dio vuole portarti alla conversione?"
Capitolo VII - L'umiltà: 29 … bisogna, fratelli miei, che stiamo sempre in guardia per evitare che un giorno Dio ci veda perduti dietro il male e isteriliti, come dice il profeta nel salmo e, 30 pur risparmiandoci per il momento, perché è misericordioso e aspetta la nostra conversione, debba dirci in avvenire: "Hai fatto questo e ho taciuto".
Pazienza
Enzo Bianchi
Estratto da “Le parole della
spiritualità” – Monastero di Bose 2003
(Dal sito: monasterodibose.it)
La Scrittura attesta che la «pazienza» è anzitutto una prerogativa divina:
secondo Esodo 34,6 Dio è makróthymos, «longanime», «magnanime»,
«paziente» (in ebraico l'espressione equivalente suona letteralmente: «lento
all'ira»). Il Dio legato in alleanza al popolo dalla «dura cervice» non può che
essere costitutivamente paziente. Questa pazienza è stata manifestata
compiutamente nell'invio del Figlio Gesù Cristo e nella sua morte per i
peccatori, ed è ancora ciò che regge il tempo presente: «Il Signore non ritarda
nell'adempire la promessa, ma usa pazienza (makrothumeî) verso di voi,
non volendo che alcuno perisca, ma che tutti giungano a conversione» (2 Lettera
di Pietro 3,9). La pazienza del Dio biblico si esprime al meglio nel fatto che
Egli è il Dio che parla: parlando, dona il tempo all'uomo per una risposta, e
quindi attende che questi arrivi alla conversione. La pazienza di Dio non va
confusa con l'impassibilità di Dio, anzi, essa è il «lungo respiro della sua
passione» (E. Jüngel), è la lungimiranza del suo amore, un amore che «non vuole
la morte del peccatore, ma che si converta e viva» (Ezechiele 33,11), ed è una
forza operante anche quando il movimento di conversione non è ancora compiuto.
La pazienza di Dio trova così la sua espressione più pregnante nella passione e
croce di Cristo: lì la dissimmetria fra il Dio che pazienta e l’umanità
peccatrice si amplia a dismisura nella passione di amore e di sofferenza di Dio
nel Figlio Gesù Cristo crocifisso. Da allora la pazienza, come virtù
cristiana, è un dono dello Spirito (Galati 5,22) elargito dal
Crocifisso-Risorto, e si configura come partecipazione alle energie che
provengono dall’evento pasquale. Per il cristiano la pazienza è dunque
coestensiva alla fede: ed è sia perseveranza, cioè fede che dura nel tempo,
che makrothymía, «capacità di guardare e sentire in grande», cioè arte di
accogliere e vivere l’incompiutezza. Questo secondo aspetto dice come la
pazienza sia necessariamente umile: essa porta l’uomo a riconoscere la
propria personale incompiutezza, e diventa pazienza verso se stessi; essa riconosce
l’incompiutezza e la fragilità delle relazioni con gli altri, strutturandosi
così come pazienza nei confronti degli altri; confessa l’incompiutezza del
disegno divino di salvezza, configurandosi come speranza, invocazione e
attesa di salvezza. La pazienza è la virtù di una chiesa che attende il Signore,
che vive responsabilmente il non-ancora senza anticipare la fine e senza ergere
se stessa a fine del disegno di Dio.
Essa rigetta l’impazienza della mistica come dell’ideologia e percorre la via
faticosa dell’ascolto, dell’obbedienza e dell’attesa nei confronti degli altri e
di Dio per costruire la comunione possibile, storica e limitata, con gli altri e
con Dio. La pazienza è attenzione al tempo dell’altro, nella piena coscienza
che il tempo lo si vive al plurale, con gli altri, facendone un evento di
relazione, di incontro, di amore. Per questo, forse, oggi, nell’epoca
stregata dal fascino del «tempo senza vincoli» – in cui la libertà viene spesso
immaginata come l’assenza di legami, di vincoli, come possibilità di operare dei
ricominciamenti assoluti dall’oggi al domani, che riportino a un incontaminato
punto di partenza, azzerando o rimuovendo tutto ciò in cui prima si viveva, e
anzitutto le relazioni e gli impegni assunti – può apparire così fuori luogo, e
al tempo stesso così urgente e necessario, il discorso sulla pazienza: sì, per
il cristiano, essa è centrale quanto l’agape, quanto il Cristo stesso. Il
pazientare, cioè l’assumere come determinante nella propria esistenza il tempo
dell’altro (di Dio e dell’altro uomo), è infatti opera dell’amore. «L’amore
pazienta» (makrothymeí), dice Paolo (1 Lettera ai Corinzi 13,4). E la
misura e il criterio della pazienza del credente non possono risiedere, in
ultima istanza, che nella «pazienza di Cristo» (2 Lettera ai Tessalonicesi 3,5: hypomonè
toû Christoû). Ecco perché spesso la pazienza è stata definita dai Padri
della chiesa come la summa virtus (cf. Tertulliano, De patientia I,7):
essa è essenziale alla fede, alla speranza e alla carità.
Ha scritto Cipriano di Cartagine: «Il fatto di essere cristiani è opera della
fede e della speranza, ma perché la fede e la speranza possano giungere a
produrre frutti, abbisognano della pazienza» (Cipriano, De bono patientiae 13). Innestata
nella fede in Cristo, la pazienza diviene «forza nei confronti di se stessi»
(Tommaso d’Aquino), capacità di non disperare, di non lasciarsi abbattere nelle
tribolazioni e nelle difficoltà, diviene perseveranza, capacità di rimanere e
durare nel tempo senza snaturare la propria verità, e diviene anche capacità di
sup-portare gli altri, di sostenere gli altri e la loro storia. Nulla di
eroico in questa operazione spirituale, ma solo la fede di essere a propria
volta sostenuti dalla braccia del Cristo stese sulla croce. In questa difficile
opera il credente è sorretto da una promessa: «Chi persevera fino alla fine sarà
salvato» (Matteo 10,22; 24,13). Promessa che non va intesa semplicemente come un
rimanere saldi in una professione di fede, ma come un mettere in pratica la
pazienza e l’attiva sopportazione tanto nei rapporti intra-ecclesiali,
intra-comunitari («sopportatevi a vicenda»: Colossesi 3,13), quanto nei rapporti
della comunità cristiana ad extra, con tutti gli altri uomini («siate
pazienti con tutti»: 1 Lettera ai Tessalonicesi 5,14). La pazienza diviene così
una categoria che interpella la struttura interna della comunità cristiana e il
suo assetto nel mondo, in mezzo agli altri uomini, ai non-credenti. E mentre
interpella, inquieta!
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17 docembre 2025
a cura di Alberto "da Cormano"
alberto@ora-et-labora.net