LE ORIGINI DEL MONACHESIMO IN OCCIDENTE
Dom Giorgio Picasso OSB
Dal Corso di Cultura monastica
1997/98 presso le Benedettine di Milano – 19 gennaio 1998
Estratto dal sito: https://www.benedettineitaliane.org
II monachesimo in oriente – come
già sottolineato – si era sviluppato sostanzialmente in tre modi: a livello
familiare (rimanendo nella propria casa); allontanandosi dalla città (come, ad
esempio, sant'Antonio); con il cenobitismo.
Quando dall'oriente il
monachesimo passa in occidente, si sviluppa soprattutto nella terza forma,
quella dei cenobi, per quanto nella solitudine, in luoghi isolati; oppure nella
prima forma domestica, di uomini e donne che si consacravano a Dio nella propria
famiglia.
Evidentemente questa prima forma di ascetismo non è venuta
dall'oriente, ma si è instaurata su un humus comune a tutta la Chiesa.
In
occidente la Vita di Antonio – fatto curioso – dovrebbe provocare vocazioni
eremitiche: invece suscita interesse specialmente per la forma cenobitica.
Quando a Roma giunge la notizia delle azioni di Antonio, della sua vita nella
solitudine, nella preghiera, per raggiungere la perfezione evangelica, essa
suscita grande impressione, specialmente in alcune nobili donne della città, che
cominciano a radunare attorno a sé gruppi di donne e giovani fanciulle per
costruire nel proprio palazzo un cenobio.
Nella città di Roma nasce dunque il
monachesimo femminile. Non è un fatto isolato: anche Gregorio, che aveva
ricoperto varie cariche nella città e nella Chiesa, quando decide di farsi
monaco non lascia Roma, ma trasforma la sua casa paterna, sul Celio, in
monastero.
Quello che Gregorio farà nel VI secolo, già nel IV è stato fatto
da alcune donne che si sano lasciate attrarre dal racconto delle gesta di
Antonio. Non lo hanno imitato lasciando la città per cercare la solitudine, ma
creando una solitudine all'interno della città. Avevano capito che il deserto,
la fuga dal mondo era necessaria, ma si poteva realizzare anche nella città
stessa, in attesa di nuove ispirazioni.
Inoltre alcune di queste anime dedite
all'ascesi ad un certa punto si recano in Palestina, nei luoghi dove è vissuto
il Signore - è il primo esempio storico di devozione ai luoghi nei quali Gesù era
vissuto. I primi che hanno iniziato questa peregrinazione sono Melania la
giovane, Melania l'anziana. Paola ma anche preti come Rufino e Girolamo:
lasciano la città e vanno in Terra Santa. Questo elemento è da tenere in
considerazione per la caratterizzazione cristiana, cristologica del nostro
monachesimo antico. Sono i primi ad avvertire l'opportunità di riprendere a
ritroso la strada che gli Apostoli hanno fatto. Di solito si va' alle origini,
alle radici in questi spostamenti: quelle monache (Melania, Paola, etc), quel
Rufino e lo stesso Girolamo sono andati alle sorgenti.
Non tutti partirono:
alcuni rimasero in città e nacquero i primi monasteri, favoriti anche da Papa
Damaso, che visse a metà del IV secolo. Anche Girolamo torna a Roma nel 381 e
organizza gruppi di vedove e di vergini dedite alla vita ascetica e allo studio.
In queste riunioni si spiegava la Scrittura, si pregava insieme e si lavorava. A
differenza del monachesimo orientale – le cui caratteristiche erano la preghiera
e il lavoro – qui si aggiunge lo studio della Scrittura: san Girolamo, infatti,
è il più importante dottore della Chiesa per l'esegesi biblica.
La grande
versatilità nello studio della Scrittura divenne quindi una caratteristica di
questi gruppi di donne, che addirittura studiavano l'ebraico per potersi
accostare meglio alla Bibbia. San Girolamo, in particolare, scrisse proprio per
loro un'opera sulla derivazione dei vari nomi ebraici.
Queste matrone, come
già specificato, cambiano la propria casa in monastero: "ecclesia domestica",
sorta per la nuova famiglia che esse compongono, là dove prima viveva la
loro famiglia naturale.
Data la centralità di Roma e il fatto che i Papi erano
oggetto di richieste di spiegazioni da parte di tutti i vescovi dell'oriente e
dell'occidente, questa vita monastica non rimane nascosta; si viene a sapere che
il vescovo di Roma ha le sue basiliche per la celebrazione della liturgia e
della carità (ecco perché alcune chiese hanno ancora oggi il titolo di diaconia,
luoghi sacri dove si celebrava non la liturgia ma la carità) e – oltre a queste
– anche le "ecclesiae domesticae", cioè i monasteri in nuce di uomini o donne
che scelgono la vita in comune per imitare il Signore.
Quindi in oriente, in
Palestina, si sviluppano queste altre forme di monachesimo latino, romano,
perché si ritorna con lo scopo preciso di aderire alla vita del Signore anche
per quanto riguarda i luoghi materiali.
Si pongono a questo punto molti
problemi: quali sono i rapporti tra il monachesimo orientale e questo
monachesimo latino che si costituisce in Palestina? E' difficile dare una
risposta definitiva, anche se ci sono scritti di san Girolamo che ci illuminano.
In realtà (pensiamo anche a Cassiano), c'è sempre stata un rapporto d’influenza
reciproca e ciò in Palestina diventa ancor più evidente.
Oltre a Roma, si ha
notizia di altre zone d'Italia dove si andavano diffondendo questi "centri di
vita ascetica". Ci sono molte leggende, di cui ovviamente non si può tener
conto, ma dalle lettere di Gregorio Magno sappiamo che la vita monastica era
organizzata in gruppi di monaci che, per il desiderio di solitudine, si erano
ritirati nelle varie isole del Tirreno (ad esempio la Capraia - davanti a Pisa,
o la Gorgona). Gregorio riferisce che queste isole pullulano di vita monastica.
Sappiamo che tra il IV e il VI secolo la storia d'Italia è caratterizzata in
senso negativo: a causa delle invasioni barbariche le comunità sono instabili:
da Aquileia fuggono a Grado, da Grado a Venezia, man mano che le invasioni
germaniche avanzano nella Penisola. Bisogna pensare che sia avvenuto per gli
insediamenti monastici ciò che avvenne per gli insediamenti umani in generale.
Non ci rimangono prove di questa fioritura monastica perché le invasioni
barbariche in molti casi hanno depredato anche questi centri.
Qualcosa di
nuovo intanto si andava costituendo, non più sulle isole, ma attorno ai grandi
vescovi delle città d'Italia e d'Africa. Ad esempio Eusebio di Vercelli
costituisce il primo "cenobio episcopale", ciò un gruppo di monaci che vivono
attorno ad un vescovo. E' stata un'idea che ha avuto un successo notevole,
imitata da altri vescovi anche in seguito.
Eusebio fu esiliato
dall'imperatore Costanzo II a causa della sua predicazione contro l'arianesimo e
mentre si trovava esiliato in oriente venne a conoscere altre comunità
monastiche, cosi quando ritornò in Occidente si convinse ancor più
dell'opportunità di continuare quella forma.
La scelta di questi vescovi
prefigura ciò che avverrà più tardi, quando - al tempo di san Benedetto - ogni
abate sceglieva la regola e in qualche caso la componeva lui stessa, o metteva
insieme degli estratti da varie regole preesistenti. Questo è il motivo per cui
non possiamo pensare che san Benedetto sia partito dal nulla: è partito da molte
regole che già circolavano e in particolare ha tenuto presente la regola del
Maestro, sulla quale ha modellato la sua. Ma con questo non pensava affatto di
fare qualcosa di straordinario e neppure nulla che fosse meno che conveniente:
così facevano tutti gli abati, perché così avevano a loro volta fatto tutti i
vescovi che avevano favorito lo sviluppo della vita monastica nella loro città.
A Vercelli. Milano, Verona e in altre città erano sorte, accanto alla
cattedrale, abitazioni di asceti che conducevano vita monastica: non erano preti
agli ordini del vescovo, ma asceti che vivono con lui, che a sua volta conduce
vita monastica quando non è impegnato a visitare le sue chiese e a compiere
determinate funzioni.
Un esempio concreto di insediamento monastico in
occidente ci viene offerto dalla vita di san Martino, nato in Ungheria
all'inizio del IV secolo. A dodici anni si iscrisse ai catecumeni per ricevere
il battesimo, ma nello stesso periodo entrò anche nel servizio militare e vi
rimase molto tempo (sino al 356, anno significativo nella storia monastica
perché è l'anno della morte di sant'Antonio abate e - allo stesso tempo - l'anno
in cui Basilio intraprende il suo viaggio per visitare i monasteri della
Palestina e della Mesopotamia).
Smessi gli uffici militari, poté
finalmente dedicarsi a quella vita che aveva sempre desiderato, la vita
monastica. Venne a Milano (una delle capitali dell'impero) e in un luogo
sconosciuto costruì una piccola cella dove conduceva la sua vita solitaria.
Sappiamo che il punto dove era ubicata la sua cella era nei pressi della città
poiché il vescovo ariano Aussenzio – disturbato dalla sua presenza – lo espelle.
La storia monastica di Milano, pertanto, è stata molto influente: i monasteri di
sant'Ambrogio e quelli di san Maurizio sono riferimenti importantissimi. Però
non sappiamo dove è cominciata la grande tradizione monastica di questa città.
Un grande studioso della liturgia ambrosiana, monsignor Enrico Cattaneo,
sottolineava le medesime osservazioni quando in un suo studio si chiedeva dove e
quando fu celebrata la prima Messa a Milano. Anche in questo caso probabilmente
non lo sapremo mai.
Per ta vita monastica abbiamo maggiori certezze se
facciamo riferimento, appunto, a Martino, che dopo essersi recato a Milano venne
cacciato dal vescovo Aussenzio, quando l'arianesimo aveva ripresa un certo
vigore (Ambrogio sarà il suo successore). Successivamente Martino si trasferisce
sull'isola di Gallinara, dove conduce vita monastica. Venendo quindi a
conoscenza della figura e della teologia di Ilario di Poiters, anch'egli
esiliato, lo raggiunge a Ligugé, dove fonda il primo monastero, uno dei primi in
zona continentale. Nel '71 viene chiamato alla dignità di vescovo di Tours.
Martino continua a vivere da monaco anche se è vescovo, ma non fonda un
monastero accanto all'episcopio non era necessario, perché poteva ritirarsi
spesso a Ligugé.
Accanto a questo centro si sviluppano altre esperienze: a
Marsiglia Cassiano, che in precedenza era stato in oriente per vedere come
vivevano i monaci, fonda un monastero sull'isola di Nerino (di fronte a Cannes),
Onorato avvia la sua esperienza monastica, che diverrà un seminario di vescovi
per la conversione della Gallia.
Quindi la diffusione del monachesimo
in occidente deriva da quello orientale, ma si arricchisce con esperienze e
scritti propri, che non sono regole vere e proprie (Cassiano, ad esempio, parla
di "istituzioni monastiche", cioè virtù degli "istituti" monastici: preghiera,
silenzio, modo di comportarsi in refettorio, etc.). Queste istituzioni
cenobitiche sono in nuce le prime regole: espongono le virtù proprie del monaco
(la preghiera, l'amore al lavoro e – nel monachesimo romano – l'amore allo
studio, specialmente della Sacra Scrittura). Quello che è costante di questi
testi è la descrizione della virtù principale del monaco, cioè l'umiltà: non ce
ne meravigliamo, perché anche nella Regola di san Benedetto è il capitolo più
ampio.
Ci sono inoltre episodi un po' estemporanei nella pratica
dell'obbedienza e dell'umiltà. Ad esempio scrive Cassiano:
"Sentii
raccontare [in oriente] un fatto che, solo a rammentarlo, mi sento preso da un
forte ribrezzo. Un monaco dei più giovani fu rimproverato dal suo abate perché
aveva cominciato ad abbandonare la virtù dell'umiltà, che pure, con la sua
rinuncia al mondo aveva coltivato. Ora stava gonfiandosi di orgoglio diabolico."
Quindi la vita monastica cresce se il giovane monaco cresce in quella umiltà che
ha dichiarato di professare quando è entrato nella vita monastica. E l'abate può
anche rimproverarlo, perché è possibile riscontrare questa crescita o questo
abbandono della pratica dell'umiltà. Non si dice "dell'ubbidienza" – si parla di
"umiltà".
Rimproverato dal suo abate perché aveva cominciato ad abbandonare
questa virtù, rispose con incredibile arroganza: "Mi sono forse umiliato in
questo tempo per rimanere sempre nella condizione di un suddito?"
L'umiltà
vista nel senso di ubbidienza doveva essere una prova per un certo periodo di
tempo, che poi si poteva mettere da parte per agire con una certa
disinvoltura...
Di fronte a questa sua risposta così insolente; così
perversa quel vegliardo rimase sorpreso al punto di non trovare modo di
rispondere; come se quelle parole non fossero state pronunciate da un uomo, ma
dallo stesso Lucifero. Davanti a tanta protervia, egli non riuscì ad emettere
una sola parola che non fosse espressa in gemiti e sospiri nati dal cuore. In
silenzio, e fra se stesso soltanto, egli volle ripetere le parole scritte per il
Signore: "Egli, pur essendo nella forma di Dio, umiliò se stesso facendosi
obbediente".
Abbiamo qui un'altra prova della derivazione del
monachesimo dall'imitazione di Cristo e non da dottrine pagane, esseniche o
altro. A quel monaco, che aveva dimostrato di disprezzare l'umiltà, che non era
venuto per ubbidire per tutta la vita, per essere sempre suddito, sempre
sottoposto, il vegliardo non sa cosa rispondere, anche perché gli pare che
quelle parole vengano non da un monaca ma da Lucifero stesso. Riesce però a
rispondergli con quello che dice la Scrittura: "Egli [cioè Cristo] pur essendo
in forma di Dio umiliò se stesso facendosi ubbidiente", e non solo per un po' di
tempo, come aveva fatto quel giovane monaco in predo alla spirito di un orgoglio
demoniaco, ma si era fatto ubbidiente (come dice san Paolo nella lettera ai
Filippesi) fino alla morte.
Pertanto le prime comunità si distinguevano per
la pratica dell'umiltà, l'umile sentire di se stessi, il disporsi a camminare
"alieno iudicio" come dirà poi san Benedetto.
Alla vita monastica, in un certo modo, ha aderito anche sant'Agostino. Quando
decise di ricevere il battesimo, infatti, decise di farsi monaco. Fu influenzato
dalla vita di sant'Antonio e intendeva realizzare il suo programma ascetico
nella ricerca di Dio ogni giorno, senza fermarsi. II modello di vita cristiana
da lui intravisto fu appunto modellato sulla comunità primitiva; sugli Atti
degli Apostoli. L'esistenza di un monastero a Milano gli offri la possibilità di
ammirare questo tipo di vita. Perciò quando, venduti i suoi beni e dato il
ricavato ai poveri, tornò in Africa, a Tagaste, fece della sua casa un monastero
(episcopale, data la sua carica): è una comunità sacerdotale, da lui sempre
chiamata "monasterium mei". E' "sacerdotale" perché lui é vescovo e vi sono
altri preti con lui; ma viene comunque definito "monasterium", proprio perché
aveva subito l'attrazione della vita monastica.
I canonici regolari
agostiniani, che seguono le sue "regole" (in realtà delle esortazioni alla vita
in comune) sono preti che vivono vita comune, nelle canoniche, come monaci. Tra
Agostino e il monachesimo, quindi, c'è una parentela molto profonda, che è
durata per tutto il medioevo. Successivamente nel XIII secolo, per unire le
varie espressioni di vita eremitica che si ispiravano a sant'Agostino, papa
Alessandro IV ha unito le piccole congregazioni e ha fondato l'ordine degli
Eremitani di sant'Agostino (ordine mendicante, quindi con caratteristiche
diverse da quelle che il santo aveva indicato). Per questo oggi parlare di
agostiniani non significa più parlare di monaci, ma di un ordine che comunque
ebbe un notevole sviluppo, il terzo in importanza dopo quelli dei francescani e
dei domenicani.
L'Agostino della storia, che si prepara al battesimo, che
vive con i suoi sacerdoti nel monastero di Ippona, per molti aspetti si avvicina
alla spiritualità monastica. Non per nulla sappiamo che in quelle parti della
Regola in cui Benedetto non prende dal Maestro, fa molto spazio alla dottrina
agostiniana: per esempio, il capitolo sullo zelo buono che i monaci devono avere
riecheggia i pensieri di Agostino.
Anche questo grande santo, dunque, in un
certo modo entra nella tradizione monastica con apporti tutt'altro che
irrilevanti, perché toccano quei punti fondamentali della Regola di san
Benedetto che riguardano il costituirsi della comunità e gli elementi della
fraternità.
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5 ottobre 2014 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net