Le origini del
monachesimo
Estratto da “Il
monachesimo” di Gregorio Penco O.S.B. – Ed. Mondadori
Indice:
- Gli inizi
- Le fonti letterarie
Tra la fine del III
e gli inizi del IV secolo si
viene profilando nel mondo cristiano il singolare fenomeno religioso, molto
vasto e ramificato, del monachesimo. il periodo è
quello della fine del mondo antico, della complessa crisi dell’impero romano
diviso ormai tra impero d’occidente e impero d’Oriente,
dell’urbanesimo, dello spopolamento delle campagne,
della crescente pressione delle genti germaniche ai confini dell’impero.
In questo periodo
All’indomani della pace costantiniana un campo immenso si presentava a chi avesse voluto impegnarsi nell’evangelizzazione di popoli non ancora raggiunti dal messaggio cristiano. Eppure, proprio in quei decenni, prese sempre più piede un fenomeno orientato in direzione opposta. Alcuni cristiani, specialmente in Egitto, iniziarono a ritirarsi nel deserto, volendo riaffermare con ciò che «il regno di Dio non è di questo mondo», e rivendicare i più alti valori dello spirito insieme a una più o meno esplicita protesta contro i pericoli della mondanità, ora che la professione della fede non era più causa di persecuzioni ma poteva, al contrario, procurare onori e assicurare carriere.
Quanto all’etimologia del termine «monaco» già
nell’antichità vennero proposte diverse
interpretazioni: «solitario» (san Girolamo), persona «unificata» interiormente
(i padri orientali), persona mirante all’«unanimità» coi fratelli (sant’Agostino), mentre nel mondo siriaco
si era affermata l’idea che il monaco fosse un imitatore dell'«unigenito»,
cioè di Cristo.
Quanto alle origini storiche e ideologiche del monachesimo, tra la fine
dell’ottocento e gli inizi del Novecento sono state avanzate
diverse interpretazioni, oggi superate, analogamente a quanto si è verificato
per le origini dello stesso cristianesimo. Si era supposto che il monachesimo
cristiano fosse sorto in derivazione da isolate forme di ascetismo
pagano o da alcuni presupposti spiritualistici della filosofia greca, specie
neoplatonica; o, ancora, ed era la tesi del famoso teologo protestante Adolf von Harnack,
da qualche corrente ereticale rigoristica ed
estremistica, come per esempio il montanismo; o,
infine, da forme sincretistiche pagano-cristiane
in rapporti più o meno diretti con le «religioni dei misteri» del mondo
ellenistico.
Oggi, invece, come accade per le stesse origini cristiane, le radici del movimento monastico appaiono sempre più profondamente situate nel mondo biblico. Quanto all’Antico Testamento è fondamentale, nelle vite dei santi monaci, il richiamo alla figura di Abramo e al suo abbandono della patria. D’importanza straordinaria è, poi, il tema del deserto quale luogo della prova, della tentazione, dell’abbandono in Dio, della lotta con i demoni, della precarietà e transitorietà di ogni cosa. Né vanno dimenticati quei «luoghi santi», come il Sinai e il Carmelo, a cui la tradizione cristiana si rifarà per alcune peculiari esperienze monastiche. Se erano rare, nell’Antico Testamento, le pratiche ascetiche vere e proprie (come il nazireato), va tenuto presente l’ideale del martirio (tipico dell’epoca dei Maccabei), come pure l’accentuarsi, sulle soglie dell’era cristiana, del movimento monastico degli Esseni, oggi praticamente identificato con la comunità di Qumran presso il Mar Morto, caratterizzata da tendenze accentuatamente dualistiche ed escatologiche. Manca invece nell’Antico Testamento l’ideale della verginità a causa dell’attesa e della speranza di annoverare tra la propria prole il Messia, ideale che invece si affermerà in maniera decisa nella nuova economia religiosa instaurata dal Nuovo Testamento. Fondamentale, qui, l’invito dì Cristo a seguirlo in una vita più perfetta, mentre il tema del deserto ricompare nell’episodio delle tentazioni. Anche le esortazioni di san Paolo dovevano essere ricche di conseguenze quanto alla pratica della verginità, com’è dimostrato da una prassi risalente ai primi tempi della Chiesa e documentata, tra l’altro, dai vari scritti De virginitate.
I monaci cristiani quindi — anche perché erano per lo più persone semplici, aliene da speculazioni filosofiche — non hanno elaborato un ideale di perfezione per conto proprio ma si sono rifatti sostanzialmente all’insegnamento della Sacra Scrittura come era vissuto dalla Chiesa del tempo. A questo riguardo bisogna ancora aggiungere la pratica della vita comune in vigore nella Chiesa primitiva, secondo la testimonianza degli Atti degli Apostoli: per secoli «vita apostolica» significherà non già vita di apostolato, ma, appunto, «vita comune», a imitazione degli apostoli che avevano lasciato tutto per seguire il Signore. Nella Chiesa dei primi secoli, poi, l’ideale del perfetto cristiano sarà costituito dal martire di cui, col venir meno delle persecuzioni, i monaci si considereranno eredi e continuatori. Anche la prassi penitenziale della Chiesa antica, così rigorosa, influirà sui successivi sviluppi del movimento monastico per il fatto che, cessata la penitenza pubblica, molti cristiani si sottoporranno spontaneamente a forme di disciplina penitenziale, anticipando quindi il concetto del monaco quale penitente volontario.
Assai varie quanto a provenienza, genere letterario, attendibilità storica, le fonti relative al monachesimo delle origini — e molte sono ancora inedite, come quelle in lingue orientali — presentano diversi problemi di carattere storico-letterario tuttora discussi. È certo, per esempio, che alcune fonti, specialmente le agiografie, seguono determinati schemi, per influsso sia della tradizione biblica (l’immagine del vir Dei), sia del romanzo ellenistico (fughe, nascondimenti, travestimenti, ritrovamenti), sia delle tradizioni popolari (apparizioni favolose sotto forma di animali). In ogni caso, alcuni di questi testi conobbero fortuna immensa e divennero un fenomeno culturale dì grande rilevanza.
Il monachesimo antico presenta una grande varietà di
forme quanto al genere di vita, all’estrazione sociale, alle
condizioni ambientali, all’ascesi, al lavoro, ai rapporti con la gerarchia
ecclesiastica, Per lo più i monaci
sono semplici
laici, qualche volta ancora catecumeni, per la convinzione
che lo stato monastico sia un
equivalente del battesimo (donde la
concezione della professione monastica come secondo battesimo).
La patria del monachesimo
è l’Egitto, dove alla metà del IV secolo i monaci erano centinaia di migliaia, e
Sul fondamento del contenuto spirituale insito nel messaggio cristiano venne a poco a poco elaborandosi un itinerario ascetico di cui si possono individuare le tappe essenziali. Va ricordato in particolare il tema della compunzione (pénthos), della rinuncia (apótaxis), dell’allontanamento nella solitudine (anachóresis), dell’ascesi (áskesis), del combattimento spirituale (agôn), del dominio di sé (apátheia), del discernimento degli spiriti (diákrisis), del riacquisto dello spirito colloquiale con Dio (parrhesía), della deificazione (theopoíesis). Il cammino spirituale era visto come contrassegnato dal progressivo acquisto della gioia e dal ripudio della tristezza, considerata come facente parte degli otto vizi capitali e di cui spesso ebbero a occuparsi i padri del monachesimo. Sotto questo punto di vista non c’è soluzione di continuità tra antichità e Medioevo, tra Oriente e Occidente. In base alle prime esperienze compiute dai padri del deserto e descritte nei Detti dei Padri, venne formandosi un patrimonio comune di dottrina e di idealità, via via attuato in forme sempre più differenziate dal punto di vista organizzativo e istituzionale, E infatti, dopo la prima fase dell’ascetismo domestico dei primi secoli testimoniato anche dai vari trattati De virginitate, si registra una larga affermazione dell’eremitismo, a volte nelle forme più drastiche e assolute con distacco deciso da parenti e amici, a volte mitigato mediante l’unione di vari eremiti in raggruppamenti o «laure». Non vi sono ancora regole né legami di tipo culturale con la scuola teologica alessandrina anche se a poco a poco pure i monaci verranno interessandosi alle dottrine del grande Origene e saranno coinvolti nelle relative dispute e condanne.
Nel corso del IV secolo il passaggio dall’eremitismo a una pratica di vita comune (cenobitismo) è riassumibile
nell’itinerario che va da sant’Antonio a san Basilio.
Antonio († 356), nato in una famiglia cristiana e considerato
comunemente come il padre dei monaci, avendo udito in chiesa la chiamata a
seguire il Signore, abbandonò tutto, affidò la sorella a una comunità di
monache e si ritirò nel deserto. Il suo cammino spirituale è come scandito da!la ricerca di una
solitudine sempre più completa, dalla scelta di località sempre più remote e
inospitali, in cui il santo è esposto alle violente tentazioni dei demoni. Questa ricerca della solitudine non impedisce che
attorno a lui si raccolgano dei discepoli, né che il santo eremita si rechi talvolta ad Alessandria per
affrontare gli eretici. Antonio godette di una fama
sempre crescente e l’influsso da lui esercitato sulla spiritualità monastica fu
enorme. La sua biografia fu composta da Atanasio a
pochi anni dalla sua morte e, subito tradotta in latino, divenne un testo conosciutissimo in tutto il mondo cristiano, esercitando
un’influenza decisiva su tutta la posteriore letteratura agiografica,
sull’ascesi, sull’iconografia.
Una fase successiva decisamente Orientata verso il cenobitismo, è testimoniata dall’esperienza di Pacomio († 346). Originario di famiglia pagana, si ritirò anch'egli nella solitudine. Raccolse ben presto però numerosi discepoli nella Tebaide, a Tabennisi nell’Alto Egitto. Ebbero così inizio varie comunità caratterizzate da una notevole tendenza alla centralizzazione con cenobi formati da raggruppamenti di case, giungendo a costituire villaggi veri e propri. Pacomio compose una Regola in cui era minuziosamente fissato l’orario relativo al lavoro, alla preghiera, ai pasti, alla penitenza: è la prima Regola monastica a noi nota. In essa viene tra l’altro codificato il sistema decanale, ossia la distribuzione dei monaci in gruppi di dieci, criterio adottato anche dalla Regola di San Benedetto. Quanto alla sua biografia ci sono giunte diverse vite a opera di discepoli.
Basilio dì Cesarea († 379), il più importante dei padri cappadoci, ci riporta a tutt’altro ambiente, quello dell’Asia Minore. Proveniente da una famiglia di intensa spiritualità cristiana era dotato di una grande cultura arricchitasi anche mediante numerosi viaggi, preziose amicizie, soggiorni nelle metropoli culturali dell'Oriente cristiano (Atene, Costantinopoli). Basilio condusse il monachesimo antico all’affermazione del pieno cenobitismo con la costituzione di monasteri autonomi, uno per ogni singola località. Le sue comunità erano spesso doppie, composte cioè di monaci e di monache, e la vita che vi si conduceva era profondamente ispirata all’insegnamento evangelico, al punto che le sue Regole morali (l'unico scritto a cui egli attribuì il nome di «regola») non erano altro che un’antologia di testi del Nuovo Testamento. Accanto a esse vanno ricordate altre due raccolte ascetiche le cosiddette Regole diffuse e Regole brevi. L’ideale monastico basiliano è caratterizzato da un vivo spirito ecclesiale, dall’importanza assegnata all’obbedienza dall’attività in scuole e opere di assistenza, Nonostante Basilio abbia espresso scarsa stima per l’eremitismo, il santo è considerato il legislatore della tradizione monastica orientale nelle sue varie formulazioni successive mentre la corrente pacomiana fu un filone meno diffuso. Con tali testi e tali autori il monachesimo orientale presentò altissimi modelli di perfezione ascetica a tutto l’antico mondo cristiano.
Le fonti letterarie
Se le fonti del
primo monachesimo sono state precedute dagli scritti ascetici dell'antica
letteratura cristiana, esse presentano pure caratteristiche proprie, la cui
considerazione contribuisce a cogliere alcuni degli aspetti salienti del
monachesimo stesso.
La prima
caratteristica dell'antica letteratura monastica è la sua abbondanza e la
sua ramificazione in un numero imprecisato di generi letterari. Mentre le
letterature di ispirazione classica vanno esaurendosi, quella promossa dal
movimento monastico si presenta come un filone vigoroso, destinato a grande
fortuna. Essa riflette alcune delle istanze più profonde degli ambienti da
cui proviene e per i quali è stata composta, in primo luogo il tema della
fuga mundi
e del
contemptus saeculi, tema che la contrappone
nettamente agli ideali di
urbanitas
della civiltà antica. Il disprezzo verso le vanità e le ricercatezze del
costume mondano legato all'urbanitas
si riflette anche nella noncuranza delle raffinatezze stilistiche così
apprezzate dalla retorica antica ma ormai prive di senso in ambienti il cui
unico fine è la ricerca e il servizio di Dio. Anche chi è stato formato
nelle scuole e nei centri della vecchia civiltà, quando scrive di persone o
istituzioni relative al mondo monastico è portato spontaneamente ad assumere
un atteggiamento di reazione verso la
urbanitas
profana e la
venustas classica, per ribadire invece, anche
nello stile, la
rusticitas degli asceti e dei solitari e il
loro ideale di semplicità e distacco.
Ciò contribuisce
alla nascita di una letteratura diversa da quella fino ad allora conosciuta.
Il fenomeno, d'altra parte, rappresenta solo un aspetto di un più vasto
movimento da cui ha avuto origine la stessa letteratura cristiana, in intimo
rapporto con lo stile della Sacra Scrittura e le sue più antiche versioni.
Anche coloro che, come Girolamo, avevano ricevuto un'accurata formazione
classica, si adeguano ai nuovi criteri letterari di tutto un orientamento
spirituale. Così Girolamo, il cui carteggio è un vero e proprio capolavoro
della letteratura latina, scrivendo le sue vite degli eremiti, componendo i
Sermones ad monachos o traducendo gli scritti di san Pacomio,
adotta una lingua semplice e sobria, quasi priva di ornamenti stilistici. Un
vocabolo in particolare,
simplicitas, esprime un simile atteggiamento,
la dote di chi, in quanto monaco, si sforza di unificare tutta la propria
esistenza in Dio e si dichiara incapace di affrontare argomenti elevati. A
questo proposito un significato emblematico assume l'episodio in cui san
Girolamo e san Cesario vengono rimproverati, in sogno, di essere
«ciceroniani» e non cristiani: e l'episodio avrà una sua fortuna anche
presso il monachesimo medievale.
Sono gli aspetti
spirituali quelli che più interessano gli asceti che divengono scrittori,
meno interessati invece, anche se hanno compiuto lunghi viaggi, a descrivere
usi e costumi di popoli lontani. Ciò che attira i nostri autori quando
raccontano di altri popoli è la vita monastica che vi si conduce, come
avviene nella
Historia monachorum per l'Egitto, nella
Historia
religiosa di Teodoreto di Cirro per la Siria, nella
Historia
lausiaca (così chiamata perché dedicata al funzionario
imperiale Lauso) di Palladio per le varie regioni dell'Oriente e
dell'Occidente.
La letteratura
nata negli ambienti monastici si indirizza pressoché esclusivamente a tali
ambiti: di qui la sua particolare terminologia, il suo tecnicismo lessicale
e stilistico, la sua completa aderenza agli aspetti più umili e concreti
della prassi quotidiana. Di qui, anche, l'importanza attribuita alla
tradizione - biblica, evangelica, apostolica, ascetica - nel più vasto
quadro dell'importanza annessa alla tradizione da parte di tutta la Chiesa.
Il patrimonio trasmesso da tale tradizione è visto come un bene a
disposizione di tutti, di cui si compilano esposizioni più brevi o più
amplificate con scarsi tratti di originalità, prova ne sia che larga
diffusione hanno gli scritti pseudonimi attribuiti ai più insigni padri del
monachesimo. Il senso della tradizione è vivissimo negli scrittori ascetici
come negli autori di regole e si manifesta chiaramente anche nelle
traduzioni che, come la più antica versione latina della
Vita Antonii, vengono eseguite col massimo sforzo di fedeltà
al testo, fino a forgiare al riguardo dei termini ricalcanti l'originale.
Proprio per esprimere con maggior fedeltà tutta la ricchezza del patrimonio
tradizionale, numerosi sono i generi letterari a cui si fa ricorso. Di essi
fanno parte le conferenze (Collationes), gli ammonimenti, le sentenze (Apophtegmata
Patrum o Verba Seniorum) e le regole. A partire dalla Regola
di Pacomio, il più antico testo del genere, è tutta ima fioritura di scritti
che vengono composti in Oriente e in Occidente; e proprio dall'Occidente
proviene, tra il V e il VII secolo, il numero più elevato di regole, che a
volte comprendono solo poche pagine. Vengono infine le biografie che, a
partire dalla
Vita Antonii di Atanasio, svolgeranno un ruolo
fondamentale nella propagazione dell'ideale monastico. Affini alle vite sono
gli «encomi» dei monaci illustri, testimoni di un momento storico in cui il
culto dei santi si allarga dai martiri agli asceti, ai monaci e alle vergini
che prolungano nella nuova società il fervore della Chiesa nascente.
L'immagine più
consueta secondo cui è presentato il santo monaco è quella del
vir Dei; in lui si assommano tutti gli esempi proposti
dall'Antico e dal Nuovo Testamento (i profeti, gli apostoli, i martiri)
mentre sullo sfondo risplende l'ideale della vita angelica. Vengono
delineate alcune costanti agiografiche e spirituali: la nobiltà dei natali,
l'intensa pratica delle virtù, il potere taumaturgico, la fedele attuazione
della vita angelica, profetica, apostolica. Anche l'ideale monastico in se
stesso è fatto oggetto di esaltazione, come nel
De laude eremi di Eucherio di Lione o, per
contrastare le critiche dei denigratori di un simile ideale, negli scritti
di san Girolamo e di san Giovanni Crisostomo.
Al di là degli
individui, esiste ormai un patrimonio dottrinale di cui i singoli sono
soltanto delle estrinsecazioni, al punto che è difficile, a volte,
distinguere i tratti personali da quelli comuni. Più che il singolo contano
il suo genere di vita e le virtù da lui praticate, cosicché si tende
facilmente a una forma di schematizzazione. Tutto ciò doveva favorire infine
la nascita di uno specifico genere letterario quale gli scritti in lode
della verginità, in cui non sempre però la vita matrimoniale veniva
considerata con equanimità. Si tratta, in ogni caso, di scritti di grande
rilevanza per il prestigio dei loro autori, per la diffusione ottenuta, per
il dibattito dottrinale che spesso ne derivò.
Dal mondo al
deserto
Se le regole ci
presentano un mondo monastico in azione, impegnato a osservare ima
determinata disciplina e a praticare ima ben precisa vita spirituale, altri
generi letterari, come le vite e i trattati, sono invece più prodighi di
indicazioni relative alla provenienza sociale dei monaci. È noto che le
fonti agiografiche tendono, in genere, ad attribuire ai loro personaggi
natali illustri, mentre a volte si tratta di grandi penitenti, rei di gravi
colpe nella vita del secolo. Indirettamente una messe di indicazioni è
fornita, al riguardo, da testi della legislazione canonica e civile
trattanti degli «impedimenti» circa l'ammissione alla vita monastica di
individui provenienti da determinate classi sociali (schiavi, soldati).
Com'è ovvio, la
provenienza sociale dei monaci rifletteva quella, più generale, dei
cristiani. Veniamo così ad apprendere che gli antichi monaci provenivano sia
da classi agiate sia povere. La legislazione monastica intendeva adottare
delle cautele contro i pericoli di carattere disciplinare e spirituale che
potevano derivarne: per gli agiati, perché non conservassero attaccamento ai
beni un tempo posseduti; per gli indigenti, perché l'ingresso nello stato
monastico non li rendesse superbi col disporre di beni che nel mondo non
avevano conosciuto. Il genere agiografico, come s'è ricordato, si compiace
di presentare i propri eroi quali persone che hanno saputo rinunciare a
grandi ricchezze o a posizioni sociali elevate, al punto che indicazioni del
genere diverranno un vero e proprio
tópos letterario. La letteratura ascetica,
invece, insisterà piuttosto sulla necessità, anche da parte di tali
individui, di non insuperbirsi per le rinunce compiute, come è il caso di
quasi tutto il libro VII degli
Instituta di Cassiano che tratta della lotta
contro lo spirito di avarizia. Quanto a posizioni sociali molto elevate si
ha notizia, per la Siria e la Georgia, di individui che provenivano da
stirpe reale. Il fenomeno avrà un considerevole riscontro, nel Medioevo,
presso il monachesimo anglosassone.
Anche il mondo
della cultura, così legato nella società antica all'elevatezza sociale e
all'agiatezza economica, fu rappresentato, sia pure in misura più ridotta,
nel movimento monastico delle origini: e, anzi, la precedente assimilazione
della cultura profana offriva un motivo per contrapporre tale sapienza del
mondo alla vera sapienza delle cose divine, la «filosofia celeste» alla cui
scuola i monaci intendevano mettersi.
Ma,
naturalmente, le persone semplici erano l'elemento più rappresentato. Più
che di nullatenenti, si trattava di persone povere e modeste, atte a
esercitare un mestiere manuale. Nei loro confronti s'imponeva un'opera di
formazione che le rendesse capaci di applicarsi alla lettura della Bibbia e
di partecipare agli uffici divini. Il monachesimo copto, per esempio, sorse
in un ambiente in cui l'ellenismo non era riuscito a penetrare e mantenne
perciò un carattere semplice e popolare, come emerge, tra l'altro, dalla
severità delle pene corporali previste dalla Regola di Pacomio e così
apprezzate da quell'ambiente monastico. Quale che fosse il livello
intellettuale di questi primi monaci - da valutare sempre in relazione a
quello della società contemporanea - la possibilità di offrire un figlio a
un monastero doveva sembrare a molte famiglie una soluzione a situazioni
economiche precarie. Sarà compito dei legislatori fare in modo che nelle
comunità la disparità di provenienza sociale non fosse causa di tensioni o
discordie, magari esaltando, come fa Agostino, la facilità con cui i
semplici possono conquistare il regno dei cieli.
Quanto alle
diverse categorie e professioni, un certo numero di monaci proveniva dal
clero e alcuni anche dall'episcopato, talvolta allo scopo di praticare in
monastero una disciplina penitenziale riparatrice di qualche fallo.
L'amministrazione imperiale forniva postulanti di vario rango, quali
tribuni, dignitari di corte, funzionari, soldati. Quanto ai vincoli
familiari, alcuni individui sposati divenivano monaci dopo essersi separati
dalla moglie, datasi anch'essa alla vita ascetica. Si tratta di un fenomeno
che darà vita a uno specifico filone agiografico non privo di risvolti
romanzeschi. Anche i diversi mestieri e professioni vengono ricordati nelle
fonti: ci imbattiamo in fabbri e carpentieri, commercianti e marinai, medici
e musicisti, mimi e architetti. Una categoria a parte, in corrispondenza con
l'importanza assunta nella società tardoimperiale, erano gli eunuchi, per i
quali venne istituito un apposito monastero presso Gerusalemme. Più
complessi si rivelarono i problemi posti dalla presenza di schiavi a causa
delle eventuali rimostranze dei rispettivi padroni. Al riguardo si
richiedevano opportune cautele anche per evitare che nei monasteri si
ricostituissero dei nuclei sociali esistenti nella vita secolare. Le
difficoltà, a ogni modo, non erano poche se giunsero a essere affrontate
anche dalla legislazione civile, tra cui per esempio quella di Giustiniano
che adottò una posizione di crescente larghezza. In genere si esigeva
l'affrancamento dallo stato servile, anche se non era sempre facile superare
i pregiudizi sociali dovuti a una mentalità fortemente radicata.
Si può quindi
constatare come negli antichi ambienti monastici tutte le condizioni
sociali, o quasi, fossero rappresentate, con una prevalenza numerica delle
classi più modeste ma anche con significative presenze dei ceti più elevati
specie negli uffici direttivi e nei compiti formativi. Anche il movimento
monastico contribuì, per la sua parte, a far superare barriere e pregiudizi
sociali e a favorire la trasformazione dell'intera società in senso
cristiano.
Le origini del
monachesimo femminile
Le
considerazioni sopra esposte rimarrebbero incomplete se non si facesse
parola di ima componente importante del monachesimo delle origini: quella
femminile. Benché le indicazioni più esplicite riguardino le donne postesi
sotto la direzione spirituale di grandi maestri come Girolamo, il fenomeno
presenta ima diffusione ben più vasta anche se ancora minoritario rispetto a
quello maschile. Per una donna era molto più disagevole e pericoloso
affrontare la solitudine del deserto, e gli stessi cenobi femminili erano
ancora piuttosto rari. È noto al riguardo il tema agiografico della donna
entrata in un monastero con abiti maschili e riconosciuta solo dopo la
morte. Anche per le donne, tuttavia, venne organizzandosi un particolare
movimento monastico che fu un fatto di grande rilievo sia in se stesso sia
nei confronti della società, senza contare le prospettive che apriva per
l'avvenire. Non è solo il desiderio di emulare gli uomini che sospinge tante
donne nei secoli IV-VI ad abbandonare il mondo e a consacrarsi a Dio nella
vita monastica; è soprattutto la coscienza di essere destinatarie anch'esse
di una vocazione che non conosce discriminazioni né di razza né di sesso né
di classe sociale. È anzi la figura femminile che pare incarnare in maniera
più espressiva l'ideale della verginità celebrato da tanti scritti di
illustri padri e dottori della Chiesa. Si apre così un nuovo capitolo nella
storia della spiritualità in cui la donna non esita ad abbandonare, ancora
più dell'uomo, agi, comodità, sicurezze, affetti familiari, ma anche
consuetudini, pregiudizi, convenzioni sociali. Melania la Giovane che decide
col marito Piniano di dedicarsi a Dio elargendo ai poveri il suo immenso
patrimonio, le nobili donne in rapporto con san Gregorio Nisseno o san
Giovanni Crisostomo che si dedicano alla vita ascetica, sono solo gli esempi
più clamorosi di un movimento ascetico che non conosce più confini.
In questo modo
si affermava anche per la donna la possibilità di un'autodecisione quanto al
proprio futuro, superando quello che sembrava essere il destino ineluttabile
di un matrimonio per lo più deciso dai parenti. Di conseguenza avveniva pure
un superamento dei pregiudizi circa l'importanza, nella vita di una donna,
degli agi, del lusso, dell'esistenza mondana in cui pareva esaurirsi il suo
ruolo, specialmente se si trattava di persona altolocata. Sul versante
positivo, la donna in tal modo poteva avere accesso a una più profonda
conoscenza dei misteri della fede e dei più elevati argomenti di
spiritualità, stabilendo relazioni coi maggiori padri spirituali e asceti
del tempo e divenendo essa stessa madre e direttrice di una comunità di
vergini consacrate. L'universo religioso femminile comprende anche il caso
di sorelle di monaci. Queste ultime esercitarono a loro volta un ruolo
importante nella vita monastica del tempo, come Maria sorella di Pacomio, o
Macrina sorella di Basilio, che paiono prefigurare il modello di Scolastica
e Benedetto. Tale universo non ignora neppure le ex peccatrici come - ed è
l'esempio più famoso in campo agiografico e iconografico - santa Maria
Egiziaca che, ritiratasi a penitenza nel deserto, riceveva una volta
all'anno l'eucarestia dal monaco Zosima. In questo, come in altri casi
analoghi, tutto il dramma di un'esistenza appare riscattato e trasfigurato
in un alone di poesia che esprime intensamente, più di tanti trattati
dottrinali, il mistero dell'animo umano.
La vita degli
antichi monaci
Le antiche fonti
ci parlano dettagliatamente della vita quotidiana dei monaci al punto che,
raccogliendo le varie indicazioni, è possibile ricostruire una giornata-tipo
degli asceti del deserto, e quindi intravedere il ritmo ordinario di tutta
un'esistenza.
Quanto agli
aspiranti alla vita monastica, essi non vengono incoraggiati in quel loro
desiderio ma messi alla prova per giorni, spesso anche mediante esperimenti
abbastanza ardui. Lo richiede l'ambiente, il deserto, in cui il futuro
monaco dovrà cimentarsi con le prove più dure, dell'ambiente stesso, della
disciplina, ma soprattutto con se stesso. Il deserto è solitudine, è una
natura che non offre quasi nulla e in cui anche il più elementare
sostentamento viene spesso a mancare. Il tema biblico del deserto diviene
realtà di ogni giorno con i sacrifici che richiede, gli inganni che
presenta, le tentazioni a cui espone. I monaci vivono in umili capanne che
li riparano dal calore del giorno e dalla rugiada della notte: in esse
pregano, lavorano, prendono cibo. La custodia della cella è decisiva per il
discernimento di un'autentica vocazione monastica che sa superare l'accidia,
ossia la pigrizia, delle ore pomeridiane e la tentazione di aggirarsi a
vuoto. Dal raggruppamento di più celle nascono le comunità di cenobiti che
si radunano in un modesto oratorio per l'eucarestia domenicale. L'abito a
poco a poco viene ad acquistare ima certa forma comune, essendo costituito
da ima tunica con cintura di cuoio e da imo scapolare, o piccolo mantello,
stretto ai fianchi. L'abbigliamento è completato dai sandali, mentre la
barba è comune a tutti.
La vita dei
primi monaci assegna grande importanza al fattore penitenziale: digiuni,
astinenze dalle carni e dal vino, veglie, prostrazioni sono gli elementi che
s'incontrano con maggiore frequenza. Né sono meno apprezzate le penitenze e
la lotta contro l'amor proprio. Le penitenze sono accresciute talvolta
dall'abitare in luoghi ristretti (stenochoréia), dall'uso di incatenarsi, dal
dormire sulla nuda terra, dal procedere a piedi scalzi, dall'esclusione dei
bagni, dal nutrirsi di cibi crudi (xerofagia).
Non si può negare che in alcuni casi vi sia stato al riguardo un certo
spirito di emulazione, ma i grandi maestri di vita spirituale hanno
insistito vivamente sul senso di discrezione e di moderazione che doveva
prevalere anche in questo campo. Normalmente il monaco si metteva alla
scuola di un anziano a cui chiedeva l'opportuna direzione spirituale per
lottare contro le passioni, evitare i «cattivi pensieri» e allontanare i
ricordi del mondo. Nei confronti di quest'ultimo la separazione era quasi
totale, al punto di escludere incontri perfino con i propri congiunti, anche
se i monaci dovevano spesso recarsi in borgate e città per vendere i
prodotti del loro lavoro, per lo più stuoie e tessuti.
Un luogo comune
abbastanza diffuso tenderebbe ad attribuire agli antichi monaci una specie
di ossessione nei confronti delle donne. Certo, essi hanno cercato di
fuggire ogni sorta di presenza femminile, tanto più pericolosa in un
ambiente solitario come quello del deserto, ma non hanno espresso al
riguardo nessuna forma di disprezzo. Le
Vite dei Padri narrano infatti di tentativi
compiuti dai monaci per ricondurre sulla buona strada alcune pubbliche
peccatrici, mentre nei loro detti non sono rari i paragoni desunti dalla
sfera della sessualità. Anche in ciò essi seguivano l'esempio derivante
dalle Sacre Scritture che non sono affatto morbose o reticenti in materia.
In ima vita, poi, molto vicina alla natura tutto ciò che si riferiva a essa
era considerato con altrettanta naturalezza. Tentazioni carnali e relative
cadute non vengono taciute ma neppure enfatizzate. Si sente che esiste, al
riguardo, una tradizione che sa ricorrere agli opportuni antidoti della
preghiera e della penitenza. Né meno efficace è la narrazione dei doni
particolari posseduti da alcuni asceti quanto a visioni e ad apparizioni, al
discernimento degli spiriti, alla contemplazione della sorte futura delle
anime. Anche in questo campo, però, le fonti mostrano una grande sobrietà e
preferiscono un rispettoso silenzio; e ciò nonostante alcuni teorici della
vita spirituale come Evagrio Pontico e Cassiano, parlando di doni
straordinari, abbiano fornito qualche delucidazione in proposito. Di fatto i
monaci del deserto dimostrano spesso di aver acquistato un valido dominio
sulle forze della natura, acqua, fuoco, belve feroci. Il santo monaco è per
lo più descritto come pervenuto a una notevole longevità per cui il suo
passaggio all'altra vita è del tutto naturale e inavvertito. Il pensiero
della morte, d'altro lato, accompagnava 1'esistenza degli asceti senza
lasciarli un istante, inducendoli a preferire ima morte senza testimoni.
Alcuni di loro, sentendosi alla fine, rivolgevano ai fratelli sagge
esortazioni che costituivano ima sorta di testamento spirituale. Essi
esortavano, tra l'altro, a non rivelare il luogo della propria sepoltura per
non diventare oggetto di venerazione.
Spiritualità
della preghiera
Uno dei problemi
più vivamente avvertiti dal monachesimo primitivo è stato quello della
preghiera, specialmente quanto al suo carattere di «continuità» raccomandato
dai testi evangelici. L'orazione è infatti considerata dai primi monaci come
una condizione stabile -
orationis status, al dire di Cassiano -, un
qualche cosa, secondo Evagrio Pontico, verso cui deve essere indirizzata
tutta 1'esistenza. Dice Evagrio: «Se tu sei teologo pregherai veramente e se
preghi veramente allora tu sei teologo». Per i padri del monachesimo la
preghiera deve essere pura (ossia priva di elementi estranei), breve,
frequente, dando vita a pratiche come le invocazioni giaculatorie desunte
per lo più dal Salterio. I Salmi rimangono il testo privilegiato della
preghiera, divenuti così familiari come se, stando al classico insegnamento
di Cassiano, il monaco li componesse egli stesso durante la loro recita. La
preghiera è strettamente legata al ricordo di Dio, senza alcuna rigida
separazione tra preghiera comune e preghiera individuale. La scelta del
deserto è sostanzialmente dovuta al desiderio di applicarsi a una simile
attività riportando l'uomo alla condizione paradisiaca della familiarità con
Dio e assimilandolo allo stato angelico. La consapevolezza della propria
condizione di peccatore induce tuttavia il monaco ad assumere un
atteggiamento di compunzione e di richiesta di perdono. Si stimava molto in
questo senso l'importanza delle lacrime, promessa di consolazione e preludio
di contemplazione e di gioia.
I monaci
privilegiavano la lettura dei testi sacri attingendo dalla Bibbia il proprio
nutrimento spirituale. Da Pacomio a Cassiano l'insegnamento è, al riguardo,
costante; Girolamo, dal canto suo, aggiunge: «Se preghi parli allo Sposo; se
leggi Egli ti parla». Da ciò nasceva il pensiero di un'incessante presenza
di Dio che conferiva unità a tutta la vita del monaco. I momenti stabiliti
di preghiera costituivano quasi una sorta di cristallizzazione di questa
convinzione, come il desiderio di rafforzare con momenti più esplicitamente
dedicati alla preghiera il fondamentale desiderio di unione con Dio. Alla
salmodia succedeva la preghiera silenziosa cui seguiva la «colletta» o
orazione finale, prassi che subì delle variazioni e che probabilmente già
era scomparsa nella Regola di san Benedetto. Quanto alla sempre viva
preoccupazione della «preghiera continua», essa sollecitava a volte
soluzioni originali come, in Siria, la prassi della
laus perennis da parte di gruppi di monaci che si susseguivano
ininterrottamente nell'oratorio. Ma già agli inizi è possibile individuare
le linee successive di tendenza: nel monachesimo orientale (bizantino e
slavo) prevale l'aspetto individualistico, rappresentato per esempio dalla
«preghiera a Gesù» (invocazione del suo Nome); nel monachesimo occidentale
prevale invece l'aspetto normativo con prescrizioni sempre più precise sulla
celebrazione degli uffici divini. Fenomeno isolato, anche se di notevole
importanza, fu quello dei messaliani o euchiti: per costoro, comparsi verso
la metà del IV secolo in Mesopotamia, Siria e Asia Minore, la preghiera era
di fatto l'unica occupazione dei monaci. Condannati da alcuni concili, la
loro dottrina venne propagata dalle omelie spirituali diffuse sotto il nome
di Macario il Grande. A tali estremismi il mondo monastico specialmente
occidentale (Agostino) risponderà esaltando l'importanza del lavoro quale
fattore ordinario di una sana ascesi cristiana.
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18 febbraio 2018 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net