LA PAROLA " MONACO"

A cura di Frère Luc Brésard, ocso, monaco de Cîteaux

estratto dal sito dell’Abazia di Scourmont (BE)

(libera traduzione dal francese)


I significati della parola "monaco" sono ricchi ed esigenti.

La parola deriva dal greco: Monakos, già utilizzata da Platone per descrivere qualcosa di unico o di solitario. Per Plotino , l'Uno che è in cima alla sua scala degli esseri, è monakos: Dio è "Monaco". La parola ha un equivalente nella Bibbia, ci torneremo.

Il monachesimo, nato per lo più in ambiente greco, ha utilizzato molto presto la parola monakos, "monaco", per riferirsi all’asceta che vive da solo, lontano dal mondo, anche se a volte questi solitari si riuniscono in piccole comunità. Per contro, le prime tre regole monastiche cenobitiche, quelle di Pacomio, Basilio, Agostino, rifiutano questa parola: il cenobita vive con gli altri, egli non è solo, egli non è solitario, egli non è monaco. Basilio, che è un accanito anti-eremita, arriva persino a dire nella sua Regola: "L'uomo non è un animale monastico". In nessuna di queste regole troviamo la parola "monaco" , ma si parla di "fratelli". Fu solo più tardi che la parola "monaco" ha designato il cenobita. Ciò è avvenuto lentamente, al punto che la frequenza della parola è un criterio per stimare l'età di una regola monastica. Al tempo di San Benedetto divenne poi un termine che vincola: "I monaci sono veramente tali, quando vivono del lavoro delle proprie mani ".

Tuttavia, se la parola è assente nella Regola di Agostino, cioè di uno che ha scritto molto e che visse in un tempo in cui la parola "monaco" si è diffusa e dove i donatisti avevano i loro monaci, cerca di giustificare questa parola nella sua Enarratio sul Salmo 132 : "Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme “in unum” ”. Poi si riferisce al passaggio degli Atti: "La comunità dei credenti aveva un cuore solo e un'anima sola”. Questo cuore e questa anima "una" è l'essenza della comunità. E’ la comunità che è "Monaco", e non colui che vive in comunità. Come arrivare quindi al: "Sono veramente monaci" di San Benedetto?

Il collegamento sarà ben formulato, nel XII° secolo, da un Cistercense, Goffredo d’Auxerre: "C'è una comunità unificata , ha detto, solo se i monaci che la compongono cercano innanzitutto la loro unità interiore". La condizione perché la comunità sia una, è che i monaci siano "uno" interiormente. Il monaco, dunque, non è più colui che lo è solo esteriormente, ma colui che è uno interiormente . Si passa dall’uno esteriore all’uno interiore. Per renderci conto di questo passaggio, dobbiamo prendere una traccia diversa, e guardare l'equivalente ebraico della parola greca monakos: Jahid.

Questa parola ebraica ha lasciato molto perplessi i traduttori greci. Prendiamo l’esempio del Salmo 68, 7 : "Elohim fa abitare nella sua casa gli jahidim". Il nostro Salterio traduce abbastanza da vicino : «A chi è solo, Dio fa abitare una casa". Si tratta proprio del Monakos che abbiamo incontrato. Ma questa traduzione non ha soddisfatto alcuni traduttori, e comprensibilmente, perché se Dio ha creato l'uomo per vivere in società: "Egli ha creato l'uomo e la donna", e ordinò loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi", perché è all’isolato che Dio dà una casa? Così altri hanno tradotto con: monozonous, "coloro che hanno solo una cintura". Vi è allora l' idea di rinuncia, di povertà. Altri andranno più in profondità : Aquila , che è un ebreo “infarinato” di cristianesimo, traduce con monogénèis, gli unigeniti, assimilando gli isolati all'unigenito Figlio di Dio (ciò che porterà a tradurre altrove la stessa parola con agapétos, il “ben-amato").

Infine i Settanta danno un'altra traduzione che sarà feconda nella posterità patristica: monotropous: "coloro che hanno una sola direzione". Dio dunque fa abitare nella sua casa coloro che hanno una sola direzione, un unico scopo". Si indovina dietro questa traduzione la frase di Goffredo d’Auxerre. Anzi, è il significato che hanno mantenuto i posteri.

Origene, per primo, quando commenta il versetto nel libro di Samuele : "C'era un uomo", si connette a questo significato. E commenta: Questo uomo "uno", è colui che ha dominato le passioni che lo dissolvono, che non è più diviso , che non è più frammentato, che è arrivato alla stabilità del suo umore, che è diventato l’imitatore di Dio , l'Immutabile . L'uomo è "uno" quando si è unito a Dio in modo che ha realizzato l'unità in se stesso.

Origene non è un monaco; si rivolge ai cristiani. Ma è ancora più vero quando si tratta di uomini consacrati a Dio . Questa è anche l'idea che troviamo più avanti in tutta la tradizione monastica, nello Pseudo- Macario come in Gregorio Magno che disse: "Noi siamo chiamati "monaci". La parola greca si traduce in latino con unus e significa "uno". Cerchiamo dunque di essere caratterizzati da questa parola”.

Probabilmente vi ricordate anche il famoso passaggio di Teodoro Studita: "Il monaco è colui che ha rispetto per Dio solo, il desiderio di Dio solo, l'applicazione per Dio solo, e che, volendo servire solo Dio, diventa motivo di pace per gli altri”. Il monaco è l’uomo con un solo sguardo, un solo desiderio: è l’uomo di grande amore che irraggia sugli altri!

Questa parola "monaco" contiene quindi in sé tutto il nostro avvenire: la nostra futura divinizzazione iniziata già qui sulla terra. In cielo, noi saremo “veramente monaci": uno con l'Uno, Uniti a Gesù, nostro Capo, che ci condurrà nell'unità della Trinità.

Ritorno alla pagina iniziale "Storia del Monachesimo"


| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto

| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |


21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net