SPIRITUALITÀ MONASTICA
di Giorgio Picasso O.S.B.
Estratto da "Vivere in Cristo. Per una formazione permanente alla spiritualità monastica" AA. VV.
Editrice Città Nuova 2004
Nell’ambito degli interessi per la storia della spiritualità cristiana che si
manifestarono negli anni dell’immediato secondo dopoguerra non mancò, come era
ovvio, attenzione per la spiritualità monastica identificata senz’altro con la
spiritualità benedettina. Ricordo due occasioni che mi sembrano significative.
Nel 1943, ancor prima della fine della guerra, si tenne all’Università Cattolica
di Milano un corso sulle varie scuole di spiritualità e ad una personalità
insigne di monaco e vescovo, il card. Schuster, fu affidato il compito di
presentare la spiritualità benedettina. Egli, dopo aver insistito sul peculiare
carattere del monachesimo nell’alto e pieno Medioevo in confronto dei successivi
ordini unitari ed accentrati, ne ribadiva l’autorevolezza derivata - così
pensava - da un particolare incarico da parte del papato a san Benedetto (fatto
non più accettato dagli studiosi), e dalla missione che in forza di tale
incarico, la Regola di san Benedetto aveva esplicato: a quella Regola - pur in
mancanza di qualsiasi forma di governo accentrato - tutti i monasteri si erano
riferiti e, pertanto, sulla base di una comune osservanza di tale regola si
poteva parlare di spiritualità benedettina, o meglio di una vera e propria
scuola di ascetica benedettina. Egli rilevava ancora che la spiritualità
benedettina non aveva mai formato un vero e proprio sistema dottrinale ed una
scuola teologica propria dell’ordine, come era poi avvenuto al tempo dei grandi
ordini mendicanti, pur avendo dato al momento opportuno papi, dottori, apostoli,
riformatori. In quella
circostanza, in pieno periodo bellico, con i mezzi a disposizione, non si poteva
dire più e meglio
[1].
Pochi anni dopo, il p. Jean Gautier, promuoveva una analoga iniziativa in
Francia e nel 1953 pubblicava una raccolta di studi su
La spiritualité catholique,
ben presto tradotta anche in italiano. Molti di noi hanno studiato quel volume.
Il primo contributo, dopo una introduzione dello stesso promotore sulla natura
della spiritualità, e il suo ambito, riguardava ancora la
Spiritualità benedettina
ed era affidato a dom Jacques Winandy, allora abate di Clairvaux (Lussemburgo),
studioso ben noto ed assai sensibile ai problemi monastici.
Ne dette prova anche in quelle pagine che cominciano così: «Spiritualità
benedettina? L’espressione è più ambigua di quanto non sembri. Si tratta di
spiritualità di san Benedetto? o di quale dei tanti rami spuntati sul tronco
benedettino?» Alle domande l’autore rispondeva tracciando un pregevole profilo
storico dell’Ordine di San Benedetto, partendo da un benedettinismo in
gestazione (così lo chiama), fino all’età contemporanea. Le perplessità dello
studioso derivavano dalla evoluzione del movimento monastico che pur riferendosi
in generale alla medesima regola, ne offriva tuttavia interpretazioni diverse,
se non contrastanti: celebre il caso di Cluny e Citeaux
[2].
Se il Winandy notava difficoltà nella evoluzione storica dell’Ordine di San
Benedetto per enucleare un concetto univoco di spiritualità, ben presto gli
studi innovatori sulla genesi, composizione e diffusione della
Regula Benedicti,
presentarono altre - e più gravi, almeno così apparivano - perplessità sulla
Regola stessa, poiché una volta accettata la sua derivazione dalla Regola del
Maestro, si veniva a porre su basi nuove anche il problema della spiritualità
benedettina. In altre parole, se Benedetto con la sua Regola non era all'inizio
della tradizione monastica occidentale, ma si collocava in uno stadio
intermedio, era cioè erede a sua volta di un monachesimo già diffuso e
codificato attraverso varie regole, bisognava ritenere benedettino quel che
veramente era originale nella
RB,
e generalmente “monastico" o pre-benedettino, il molto che san Benedetto aveva
invece accolto dalla precedente tradizione
[3].
Studi molto puntuali e numerosi, specialmente per opera del p. Adalbert de
Vogüé, come tutti sappiamo, hanno fatto luce su questi problemi di natura
storica e filologica, e oggi ci permettono di riconoscere il valore della Regola
di san Benedetto nella sintesi geniale che il santo ha composto di fronte ad una
tradizione già molto sviluppata, alla quale assicurò una posterità in forza
delle doti intrinseche alla sua sintesi, senza richiedere alcun intervento
superiore che non sarebbe stato possibile nella concezione del monachesimo del
VI secolo.
Pertanto e necessario riconoscere che solo gradualmente il monachesimo
occidentale diventò
benedettino:
san Benedetto stesso, lungi dal fondare una qualche scuola di spiritualità, ha
impresso il proprio timbro sul già ricco patrimonio monastico tradizionale,
consegnandolo - come ho detto - in eredità di secoli successivi
[4].
Tale patrimonio è considerato un bene comune alla Chiesa, e almeno fino al
secolo XII ha sostenuto l’unica esperienza religiosa del monachesimo
occidentale. Anche limitandosi alla produzione letteraria che a questa
esperienza si riferisce, si tratta di un complesso enorme di opere in cui tutti
i generi letterari sono rappresentati, alcuni ereditati anche dall’antichità
classica (dialoghi, lettere, trattati), altri tipici della spiritualità
monastica (sentenze, collazioni, regole, omelie, preghiere, visioni), la cui
principale caratteristica è una salda adesione ai testi sacri (Bibbia e Padri).
Per queste ragioni, ossia per quanto è stato scritto prima di san Benedetto e
per il modo attraverso il quale la stessa Regola è divenuta quasi l’unica regola
del monachesimo occidentale, oggi, pur riconoscendo i grandi meriti storici di
questo piccolo testo composto di 73 capitoli piuttosto brevi, pare più esatto,
preciso, parlare di
spiritualità monastica, non certo in
alternativa alla spiritualità benedettina, ma come comprensiva di una realtà più
ampia, più articolata, se volete anche più complessa, nella quale la RB, ben
compresa e collocata, continua a svolgere un ruolo di grande significato.
Tentiamo di presentare un profilo storico di questa spiritualità sulla base dei
contributi più recenti (tra l’altro è appena il caso di ricordare che possiamo
disporre di rassegne molto informate, tracciate anche in questi ultimi decenni)
[5].
1. UN PRIMO LUNGO PERIODO:
DALLE ORIGINI AL
X SECOLO
La spiritualità dei monaci si presenta con un carattere fortemente oggettivo: si
esprime di preferenza, anche dal punto di vista quantitativo, nelle
Vite dei santi,
anziché in trattazioni personali o autobiografiche (lettere, regole). E in tali
vite
che appare concretamente in atto l’eterno dramma della salvezza.
Il santo è sempre un personaggio straordinario, di qui l’iperbole, connaturale
al genere agiografico (miracoli).
Anche questa agiografia monastica è dominata
dalla Sacra Scrittura:
e quindi spiritualità biblica: immagini, figure, linguaggio. Ne è uno splendido
e suggestivo esempio quel che si canta nella sequenza della messa di san
Benedetto
[6].
Questa spiritualità ha avuto una evoluzione relativa. Tende a conservare le
osservanze. In genere sono poco considerate le funzioni dei laici, in quanto
tali, mentre la tensione escatologica diventa fortissima.
Si riserva molta attenzione ai temi spirituali, ben noti al monachesimo antico:
la vita religiosa è vita angelica, profetica, apostolica, martirio d’amore,
ritorno al paradiso, e in certo modo riappropriazione dell’innocenza originaria
(più tardi si parlerà di professione come secondo battesimo): si ripropone il
clima del paradiso terrestre con l’amicizia verso gli animali (compresi quelli
feroci)
[7].
Come osserva dom Gregorio Penco, «anche le questioni più strettamente
dottrinali, come i rapporti tra vita attiva e vita contemplativa, si inseriscono
in tale tematica biblica, mediante il ricorso alle figure evangeliche di Marta e
Maria, mentre i doni dello Spirito, quali profezie, visioni, rivelazioni,
tengono desta la coscienza carismatica. Le prospettive bibliche della
historia salutis
si prolungano in modo eminente nella celebrazione liturgica, considerata quale
attuazione
hic et nunc del piano provvidenziale di Dio e
fonte di elevazione mistica. Per tutta l’epoca classica della spiritualità
monastica non è dato constatare, al riguardo, alcun conflitto tra preghiera
liturgica e preghiera privata, giacché quest’ultima è un prolungamento della
prima e si nutre, attraverso la
meditatio,
dei medesimi testi. Ciò su cui si preferisce porre l'accento è piuttosto
l’assiduità della preghiera che tende a diventare continua, espressione vitale
di un animo fisso in Dio. Sebbene le formulazioni siano quanto mai varie e
rifuggano da ogni sistematicità, esiste un itinerario tradizionale per la
preghiera monastica. Il punto di partenza è dato infatti dalla
lectio
dei libri sacri e dei commenti patristici, che nella fase della
meditatio
- mediante
l’assimilazione personale - divengono sostanza viva della propria anima. L’oratio
ne rappresenta a
sua volta una fase più alta e spirituale in quanto s’innalza al mistero in se
stesso, oltre l’involucro delle parole e delle immagini, fino all’ultima fase in
cui il mistero diviene oggetto della
contemplatio.
Tale processo è valido sia per la preghiera privata sia per quella liturgica ed
è accompagnato da tutte quelle forme (oratio pura, frequens, assidua,
cum lacrimis)
e da quelle
devozioni (visite agli altari, Salmi per i vivi ed i defunti, culto dei santi) a
cui la pietà monastica ha dato un impulso grandissimo»
[8].
Anche il nome
monaco,
anche il
monastero,
hanno il loro significato spirituale, come osserva ancora il medesimo autore:
«il monaco, infatti, come dice il suo nome, attua l’ideale della solitudine
esteriore e della perfetta unità interiore, ritrovando nell’unum necessarium
quella sapienza
celeste che fa della vita monastica la vera
philosophia.
La sua vita è tutta indirizzata alla speculazione delle verità e dei misteri
divini
(soli Deo vivere):
perciò ad essa è necessaria la
quies, la
vacatio sabbati,
l’otium
contemplationis, che rimuovono ogni ostacolo e fanno
amare il nascondimento e il silenzio. Sviluppando il tema dell’Esodo, a sua
volta, il
monastero
è concepito come un deserto, attraverso il quale, dopo aver abbandonato l’Egitto
del mondo, si è avviati alla terra promessa: ivi il Signore si rivela con il
conforto della sua parola e la potenza dei suoi prodigi. Il monastero è
presentato pure come un sepolcro in cui si muore al mondo per anticipare la vita
imperitura donata dal Cristo. Tutti i classici temi ecclesiologici (l’arca, il
tempio, la casa, la città, la scala di Giacobbe, il
lectulus
e l’hortus conclusus
della Cantica) vengono richiamati dalla tradizione a proposito della dimora dei
monaci, in quanto separata dal mondo e prefigurazione della Gerusalemme celeste.
Certo, gran parte di questo patrimonio spirituale proviene dal monachesimo
antico, ma il suo approfondimento e il suo sviluppo sono opera della tradizione
monastica medievale. Da una parte assistiamo perciò ad un'integrazione di tali
temi e dottrine nella spiritualità occidentale, dall'altra al richiamo costante
verso il fervore delle origini e l'orientale lumen, mai dimenticato»
[9].
La spiritualità monastica del secolo VI è senz’altro dominata dalla figura di
Gregorio Magno, papa dal 590 al 604. Buona parte dei suoi scritti, a cominciare
dai
Dialoghi, con il libro II
totalmente dedicato alla vita di san Benedetto, sono indirizzati ai monaci, al
loro modo di vivere, al loro modo di leggere la Bibbia. Ha insegnato come sia
fondamentale nella spiritualità monastica il desiderio di vedere
Dio,
l’anelito
verso
di Lui
[10].
La dimensione escatologica
è
essenziale alla vita monastica.
Nonostante questa profonda convinzione, vissuta e
insegnata,
della dimensione contemplativa della vita monastica, il pontefice non esitò a
servirsi dei monaci per la conversione degli Angli e per altre iniziative
missionarie presso i
Longobardi:
evidentemente egli riteneva che un’opera missionaria riuscisse maggiormente
efficace se fosse accompagnata dalla fondazione di un monastero in mezzo ai
popoli guadagnati alla
fede.
Del
resto,
ancora oggi le Chiese dei paesi in via di sviluppo,
desiderano
la presenza di monaci o monache per la testimonianza
della
vita contemplativa
[11].
Né questa azione missionaria,
incrementata
in seguito dai monaci celti con la pratica della
peregrinatio,
fu percepita in contrasto con la
stabilitas
fissata dalla Regola di san Benedetto: questi elementi, armonizzati,
contribuiscono
non poco alla nascita dell’Europa
cristiana.
Alla
costruzione
di essa collaborarono il venerabile Beda in Inghilterra, san Bonifacio in
Germania, Ambrogio Autperto e Paolo
Diacono
in Italia. E la Regola di san Benedetto, divenuta con i
Carolingi
l’unica regola per tutti i
monasteri,
maschili e femminili, nel Sacro Romano Impero, diventa elemento di incontro e di
coesione per la cultura delle popolazioni chiamate a far parte della nuova
entità, non soltanto politica, ma anche religiosa e sociale.
2. LA SPIRITUALITÀ MONASTICA NEI SECOLI XI E XII
Incontriamo in questi due secoli l’origine e lo sviluppo di due movimenti
veramente centrali nella storia della spiritualità monastica. Rispondono ai nomi
di Cluny e Citeaux: parlarne in maniera appena sufficiente richiederebbe tempo
di cui in questa sede non disponiamo.
2.1.
Cluny
Sorge nella Borgogna a seguito
di una donazione fatta ai Santi Pietro e Paolo nel 910 da Guglielmo, conte di
Mâcon e duca d’Aquitania, che la affidò all’abate Bernone: alla sua morte (926)
gli successe l'abate Oddone con il quale comincia la serie dei grandi abati di
Cluny, fino a Pietro il Venerabile († 1156).
Il successo di Cluny,
attraverso donazioni e fondazioni (priorati) in tutta l’Europa, fu enorme: ed
anche notevole fu l’influsso nella vita ecclesiastica e civile. Ma senza dubbio
più rilevante la sua funzione nel campo della spiritualità, che il già citato
dom Gregorio Penco sintetizza molto efficacemente in queste tre componenti:
1. «Una forte coscienza
ecclesiale che rende la
Ecclesia Cluniacensis
l’espressione più alta
della vita religiosa del tempo, mentre i legami con la Chiesa romana ne
assicurano, attraverso l’esenzione, la base storico-giuridica.
La vita monastica perpetua, nella Chiesa, il fervore della Pentecoste e, anche
mediante la preghiera per i defunti (la cui commemorazione, il 2 novembre, fu
appunto propagata dall’abate sant’Odilone),
esprime l’unità di tutto il Corpo mistico.
2. Un vivissimo senso
dinamico della
historia salutis che accentua per conseguenza il significato della
vita monastica in seno alla comunità cristiana e nel quadro della salvezza. A
questo riguardo, come per il caso di Orderico Vitale, si è potuto parlare
addirittura di una "concezione storiografica cluniacense”.
3. Il prevalere della vita di
preghiera su ogni altra attività, nel desiderio di giungere, attraverso il
prolungamento degli uffici liturgici, alla
oratio continua.
Il monastero è infatti concepito quale un’immagine della corte celeste, una
dimora degli spiriti beati, un
deambulatorium angelorum,
associato perciò alla lode perpetua delle creature angeliche. Nulla quindi
appare sufficientemente bello e ricco per esprimere, nella solennità e nello
splendore del culto, il desiderio di elevarsi ad una armonia sovrasensibile ed
imperitura. Ma accanto a tale straordinario sviluppo della vita liturgica, non
esclusiva certo di Cluny, sta il fiorire della pietà
privata e del culto mariano,
l’amore alla
lectio divina e
la
tendenza escatologica»
[12].
È questa l’epoca della massima fioritura spirituale. Il fascino della preghiera
contemplativa si esprime negli opuscoli e nelle preghiere di Giovanni di Fécamp
(† 1078), nativo di Ravenna ma abate dal 1028 dell’abbazia della Trinità sulle
coste normanne
[13]. In Anselmo di Aosta, abate
del Bec e arcivescovo di Canterbury († 1109) prevale l'interesse speculativo, ma
avvolto in un clima spirituale, aperto verso le gioie dell’amicizia e l’impegno
per la vita comune [14].
Una rigorosa e originale ripresa della vita eremitica si incontra nella corrente
promossa da san Romualdo e raccolta poi, sul piano istituzionale, dalla
tradizione camaldolese. «Pur rifuggendo da ogni rigido schematismo, eremo e
cenobio venivano posti sotto un solo superiore, vivente nell’eremo, verso cui
doveva perciò essere orientato ogni sforzo ascetico e ogni interesse spirituale.
La teoria della vita eremitica venne presentata in termini entusiastici
all'Occidente da san Pier Damiani († 1072), eccezionale figura di asceta e di
uomo di Chiesa, biografo di san Romualdo e ardito polemista. Le gioie della
solitudine contemplativa volontaria e la devozione all’umanità di Cristo trovano
in lui un espositore efficacissimo, sollecito nel mettere in guardia contro i
pericoli della scienza profana e nello spronare chierici e monaci alla ricerca
della perfezione»
[15].
Non voleva che tutti accorressero all’eremo, però egli riteneva fosse il luogo
più adatto per realizzare la propria salvezza. Come è noto, si dimise da
cardinale vescovo di Ostia e scrisse un opuscolo sulla rinuncia alle dignità
ecclesiastiche. Nel rapporto con il cenobio Pier Damiani accentuò - un po’ oltre
il dettato della Regola di san Benedetto - la funzione dell’eremo, al quale si
poteva accedere direttamente senza passare dal cenobio. Pier Damiani - di cui si
stanno traducendo le lettere
[16] - fu veramente un eremita ed uomo di
Chiesa
[17]:
ma per lui la Chiesa era anche tutta nell’eremo (si ricordi il trattato
Dominus vobiscum,
che ora si legge nel vol. II della citata edizione delle Lettere)
[18].
2.2.
Cîteaux
Desiderio di autenticità si esprime sul finire dell’XI - inizio del XII secolo
in diverse istituzioni, tutte appartenenti all’ambito monastico, e tutte
orientate, come Grandmont in Francia e Pulsano in Italia, verso una vita
evangelica dove trovava spazio, ovviamente, la pratica della povertà: alla
vigilia, si può dire, della nascita dei mendicanti, l’antico monachesimo
riscopriva il valore della povertà e della semplicità nella propria tradizione.
Ma nessun movimento monastico del XII secolo ottenne il successo di Citeaux.
Citeaux fu fondata il 21 marzo 1098 da alcuni monaci che avevano lasciato
l’abbazia di Molesmes, di osservanza cluniacense, desiderosi di osservare la
Regola di san Benedetto nella sua integrità, armonizzando preghiera, lavoro
manuale e lettura spirituale. Come è noto, il monachesimo di Citeaux ebbe un
incremento imprevisto, grazie all’ingresso in quella comunità, nel 1113, di
Bernardo de Fontaine e dei suoi compagni. Mi piace riproporre ancora una volta
una efficace pagina del Penco sulla spiritualità cistercense:
«L’eliminazione delle osservanze accumulatesi
nel decorso dei secoli e la tendenza alla
rectitudo Regulae
fanno desiderare il ritorno al deserto, alla solitudine aspra e selvaggia, in
cui la vita monastica venga ricondotta a quegli elementi primordiali di
ascesi-ufficio divino,
lectio,
lavoro manuale - su cui la
Regola di san Benedetto l’aveva posta. Un
orientamento così netto e preciso in fatto di disciplina claustrale ha avuto
degli enormi riflessi anche nel campo della spiritualità, specialmente per opera
di san Bernardo e dei suoi discepoli. Si tratta infatti di una vera e propria
“scuola”, come gli stessi cistercensi amarono definirla. Con essa tutto il
precedente patrimonio di dottrina e di ascesi riceve il massimo di
approfondimento e di interiorizzazione donando alla
teologia monastica
i suoi frutti più copiosi e maturi. L’universo spirituale è visto attraverso un
accentuato simbolismo, mentre l’interesse psicologico si traduce nei trattati
De anima.
Lo circonda e lo segue una serie imponente di scrittori spirituali, rivalutati
dalle ricerche più recenti: Aelredo di Rievaulx († 1167), Guerrico d’Igny (†
1157), Isacco della Stella († 1169), Goffredo di Auxerre, Gilberto di Hoyland,
Adamo e Tommaso di Perseigne e specialmente Guglielmo di Saint-Thierry († 1148),
autore della celebre
Epistula ad fratres de Monte Dei e teorico
della mistica trinitaria. La “scuola" cistercense segna perciò l’ultima grande
tappa della spiritualità benedettina nel Medioevo, riconfermando sui punti
fondamentali di essa la propria solidarietà con i
claustrales
di tutte le
osservanze. Si potrà dire tutt’al più che, quasi cercando di superare il segno
sensibile della vita liturgica e sacramentale, tali monaci hanno incentrato la
loro pietà direttamente sul mistero, influenzando in maniera decisiva la
spiritualità del basso medioevo. Ma non si può dimenticare che dalla loro
corrente proviene pure Gioacchino da Fiore, levatosi, con il suo messaggio
escatologico, quale interprete del rinnovamento spirituale di tutta la società
cristiana. Negli ambienti femminili tedeschi si segnalano gli scritti di Matilde
di Magdeburgo, Matilde di Hackeborn e Geltrude la Grande del monastero di
Helfta, di particolare importanza per l’accentuata spiritualità liturgica, lo
sviluppo della mistica nuziale e la devozione verso il Cuore di Gesù»
[19].
3. L’età della Devotio moderna:
un’epoca di crisi?
Si parla di crisi della spiritualità benedettina alla fine del Medioevo, quando
si sviluppa la
Devotio moderna. Il movimento è sorto nei Paesi
Bassi (Belgio e Olanda) all’insegna della
Devotio, applicata alla
vita comune dei nuovi movimenti religiosi, denominati «Canonici di Windesheim» e
«Fratelli della vita comune»: è
devota la vita comune, nel silenzio, nella
preghiera privata a preferenza di quella liturgica: ne
è
l’espressione altissima il
devoto libello «De imitatione Christi», che
non
è
sorto in ambiente italiano come pensavano i sostenitori della tesi gerseniana,
ma che
è
stato adottato ben presto dal Barbo († 1443) per la riforma monastica attuata
nella Congregazione di Santa Giustina che, in Italia, ha salvato l’antico
monachesimo
[20].
Non
è
in crisi la spiritualità monastica:
è
in crisi l’ordine benedettino, e per varie ragioni: la peste del 1348 e dei
decenni successivi, il grande scisma d’Occidente (1378-1417), il nuovo clima
culturale dell’Umanesimo con il quale il monachesimo deve confrontarsi senza
trovare sempre il giusto equilibrio, lo sviluppo degli ordini mendicanti
[21].
Ma il monachesimo si riforma, rinasce, nel clima della
Devotio moderna.
Grandi riformatori sono stati Ludovico Barbo, autore di una
Forma orationis et meditationis;
e García Cisneros autore di un
Exercitatario
al quale si ispirò anche sant’Ignazio di Loyola.
L’età moderna, per il monachesimo, si apre in queste prospettive: aspetti
positivi e limiti. Nella sostanza però, come istituzione, il monachesimo rimane
ad un buon livello, ed anche come osservanza.
Gli studi si sviluppano: basterebbe ricordare i monaci di varie congregazioni,
collaboratori di Galileo: il cassinese Benedetto Castelli (1557-1643), ma anche
l’olivetano Vincenzo Renieri, di Genova, morto nel 1647 appena quarantenne
[22].
Né del tutto si è perso il contatto con la tradizione patristica e medievale,
anzi è mantenuto vivo dalle grandi ricerche erudite compiute dai monaci francesi
della Congregazione di San Mauro (Maurini), e dal loro principale esponente,
Jean Mabillon († 1707), eruditissimo, fondatore della paleografia come scienza
delle antiche scritture, ma anche autore di un trattato sugli studi monastici,
nel quale hanno grande risalto proprio quelle discipline che avevano alimentato
la spiritualità dell’età patristica e medievale.
Attraverso gli studi si ebbe pure un ricupero - magari molto modesto - della
spiritualità monastica medievale.
De antiquis monachorum ritibus del Martène è
opera di erudizione, non è
L’anno liturgico del Guéranger o il
Liber sacramentorum
di Schuster, ma intanto mantenne vivo e su solide basi l’interesse per l’antica
liturgia monastica che era alla base della spiritualità alimentata nei monasteri
[23].
La vera crisi della spiritualità monastica si ebbe, ovviamente, con la fine del
monachesimo decretata dalla Rivoluzione francese alla fine del XVIII secolo.
4. La
ripresa DOPO LE SOPPRESSIONI:
IL
MOMENTO ATTUALE
La ripresa di coscienza nel mondo contemporaneo dei valori monastici è
strettamente collegata alla rinascita dello stesso monachesimo e, in
particolare, all’opera dell’abate Prospero Guéranger († 1875) restauratore del
monastero di Solesmes e, di conseguenza, del monachesimo benedettino in Francia.
Anche in altre nazioni, come in Italia, si ebbe una ripresa della vita
monastica, ma nessuno riuscì a riprendere e a diffondere gli antichi ideali del
monachesimo, le antiche tradizioni, quanto e come il movimento di Solesmes. Oggi
è facile scorgere nel movimento di dom Guéranger qualche aspetto piuttosto
derivato dal clima del Romanticismo che non dalla tradizione monastica
medievale, ma nella sostanza l’opera del monaco francese fu altamente
benemerita, e si può dire sia culminata con il classico commento alla Regola
benedettina dell’abate Paolo Delatte, ritenuto il migliore di quelli allora
esistenti, nel quale si ribadiva l'indole contemplativa della vita e
spiritualità benedettina, ancorata ad una intensa vita liturgica ricuperata
anche nei minimi particolari. Ma è con un’altra opera fondamentale, destinata a
divenire addirittura un testo classico della letteratura spirituale del nostro
secolo,
Cristo ideale del monaco,
dell’abate C. Marmion († 1923 ) che si compie un radicamento in profondità, nel
cuore stesso del messaggio evangelico - la persona di Cristo - sulla base di un
paolinismo che non poteva ancora, per altro, usufruire della conoscenza della
tematica spirituale e particolarmente cristologica del Medioevo monastico. Le
meditazioni del Marmion sulla Regola di san Benedetto si contemperavano con le
dottrine attinte alla grande scuola francese del Seicento, allora in via di
rivalutazione da parte di H. Bremond nella sua celebre opera
Histoire littéraire du sentiment
religieux en France, uno dei principali
coefficienti per la moderna scoperta del concetto di “scuola di spiritualità”.
Tali scuole erano, quindi, qualche cosa di ben valido e consistente, con un
proprio nucleo centrale di dottrine, una propria tradizione letteraria, un
proprio ambito di influenza spirituale e, come sarebbe apparso chiaramente ai
nostri giorni, un proprio peso nel campo delle vere e proprie discussioni
teologiche. Col Marmion il cristocentrismo della Regola benedettina veniva posto
così efficacemente in risalto e inserito così nella sua classica trilogia (di
cui gli altri volumi sono i notissimi
Cristo vita dell’anima
e
Cristo nei suoi misteri)
da indurre critici e studiosi della spiritualità a collocare la tradizione
benedettina entro l’alveo delle spiritualità di tipo cristocentrico e a
rafforzare quindi il concetto dell’esistenza indiscussa di una spiritualità
benedettina di cui il cristo- centrismo veniva perciò ad essere indicato come
una connotazione essenziale.
Questa affermazione del cristocentrismo come connotazione essenziale della
spiritualità monastica, si presterebbe per ripercorrere tutta la sua storia alla
ricerca di questo tema. Incontreremo conferme sorprendenti, dall’antica
agiografia monastica prebenedettina (di un santo asceta, monaco, si dice:
semper in ore psalmus, semper in
corde Christus!),
agli autori medievali (voglio citare almeno una preghiera di sant’Anselmo
testimonianza - rara - della devozione a
Gesù nostra madre: sed et tu Jesu,
bone Domine, nonne et tu mater?
[Opera, III, p. 40]) fino alle opere appena
citate del b. Marmion.
Ma sarebbe necessaria almeno un’altra conferenza, per altro non necessaria
perché il tema è stato già studiato egregiamente, ad es., da dom Gregorio Penco,
in un altro suo efficace saggio dal titolo:
Gesù Cristo nella spiritualità
monastica medioevale
[24].
Come superfluo sarebbe attardarsi sui noti rapporti della rinascita monastica
con il movimento liturgico, e quindi con
l’influsso esercitato
su tutta la Chiesa specialmente ad opera del
Liber sacramentorum
del b. card. Schuster (†
1954).
Si può concludere,
allora, osservando che nei due monaci scrittori più letti in questi ultimi
decenni, Columba Marmion e Thomas Merton (†
Bangkok 1968), si può cogliere una somiglianza, una riproposta delle due
principali correnti spirituali del Medioevo monastico: con il Marmion, una
spiritualità oggettiva (Cristo ideale del monaco),
eco della spiritualità cluniacense; con il Merton, una spiritualità soggettiva
(La montagna delle sette balze),
eco della scuola cistercense
(De anima)
mentre nella riscoperta della
lectio divina
a seguito della
Dei Verbum nel Concilio Vaticano
II si ha l’aggancio più immediato con quello che appare sempre più chiaramente
come l’elemento unificatore della spiritualità monastica, offerta veramente a
tutta la Chiesa, al di là di una ricerca puramente erudita od anche di una
concezione troppo ritualistica e formale della liturgia.
[1]
A.I.
SCHUSTER,
La spiritualità benedettina, in
Le scuole
cattoliche di spiritualità. Vita e Pensiero, Milano 19452, 27-46.
[2]
G.
WINANDY,
La spiritualità benedettina,
in
La spiritualità cattolica,
a cura di J. Gautier, Ancora, Milano 1956 (ed. francese, 1953), 15-47.
[3]
Sui rapporti tra le due regole, del Maestro e di san Benedetto, la
bibliografia è sconfinata: si possono intanto utilmente consultare le
edizioni critiche con versione francese curate dal p. Adalbert de
Vogüé e suoi collaboratori:
La Règle du Maître,
I-III,
Cerf.
Paris
1964-1965 (SC 105-107);
La Règle de
saint Benoît,
IVI, Cerf, Paris 1971-1972 (SC 181-186).
Per una sintesi cf.
San Benedetto: La Regola,
a cura di G. Picasso, San Paolo, Roma 1996.
[4]
Sulla diffusione della Regola di
san Benedetto in età carolingia, cf.
BENEDETTO DI
ANIANE,
Vita e riforma monastica, a cura di G.
Andenna - C. Bonetti, San Paolo, Cinisello
Balsamo 1993, con bibl. precedente nella quale si distingue il saggio di
R.
GRÉGOIRE,
Benedetto d’Aniane nella riforma
monastica carolingia, in «Studi medievali».
III serie, 26, 1985, 573-610.
[5]
La più aggiornata rassegna è
quella che si pubblica, con paginazione propria, nella rivista «Collectanea Cisterciensia» con il titolo
Bulletin de spiritualité monastique, attualmente redatto dal p.
Jacques Delasalle dell’Abbazia di Mont-des-Cats (Francia).
[6]
Mi riferisco alla sequenza
Laeta quies
del Messale monastico O.S.B., e in particolare alle strofe nelle quali
il santo è paragonato ad Abramo
(Abrahae persimilem),
ad Elia
(Eliam latitantem),
a Eliseo
(Elisaeus dignoscatur),
per finire in un crescendo:
Illum
Ioseph candor
morum - Illum
Iacob futurorum
-
meus effecit conscia.
[7]
J.
Leclercq,
La vie parfaite.
Points de vue
sur l'essence de l’état
religieux, Brepols.
Turnhoult-Paris 1948
(tr. it., Milano 1961).
[8]
G. PENCO,
Profilo storico della spiritualità benedettina, in
Il monachesimo
fra spiritualità e cultura, Jaca Book,
Milano 1991, 55-65; testo citato, 58.
[9] G. PENCO,
Profilo storico della spiritualità, cit., 58-59.
[10]
J. LECLERCQ,
Cultura umanistica e desiderio di Dio, Sansoni, Firenze 1988, 29-42, per
un penetrante profilo di san Gregorio Magno, «dottore del desiderio».
[11]
J. LECLERCQ,
Venticinque anni di storia monastica. A.I.M (Aiuto Inter Monasteri per
le giovani Chiese), 1960-1985, Benedettina Editrice, Parma
1988
[12]
G. Penco,
Profilo storico
della spiritualità, cit., 60-61.
[13]
Giovanni DI Fécamp,
Pregare nel medioevo. La
confessione teologica e altre opere, tr. e note di
G.
Maschio, Jaca Book, Milano 1985: nella
Introduzione di J. Leclercq, assai efficaci le
pagine (16-20) dedicate alla «gioia di pregare».
[14]
Riferimenti bibliografici essenziali in
Anselmo d’Aosta figura europea
(Convegno di studi, Aosta 1988), a cura di I. Biffi
-
C.
Marabelli, Jaca Book. Milano
1989.
[15]
G. Penco,
Profilo storico della
spiritualità,
cit.,
61.
[16]
Opere di Pier Damiani. Edizione latino-italiana,
a cura di
G.I. Gargano:
Lettere, I, a cura di G.I. Gargano c di N.
D’Acunto, 3 voll.,
Città Nuova Roma 2000-2002. Ad ogni volume è premessa una introduzione,
appropriata ai testi pubblicati, scritta da N. D’Acunto.
[17] J.
Leclercq,
Saint Pierre Damien eremite et homme d‘Église, Ed. di Storia
e Letteratura, Roma 1960, tr. it., Brescia 1972.
[18]
Si tratta della
Lettera 28 (vol. II,
113-153) nota anche come
opuscolo 11:
Liber qui appellatur Dominus
vobiscum (PL 145, 231A-252B).
[19] G. PENCO,
Profilo storico della spiritualità,
cit., 62-63.
[20]
Anche in questo
caso rinvio ai contributi di un recente incontro di studio:
Imitazione di Cristo.
Atti della giornata di studio (Vercelli. 13 gennaio 2001), a cura di A.
Cereuti Garlanda, tip. Saviolo, Vercelli 2002 (Biblioteca eusebiana, 1);
in particolare cf. il contributo di G.
PICASSO,
L’Imitazione di Cristo nella
storia della spiritualità. 41-54; e quello
di C.
TRISTANO,
In calce alla datazione del Codice
B dell’archivio e biblioteca capitolare di Vercelli,
55-66.
[21]
Per alcuni di
questi aspetti, specialmente per i rapporti con
l’Umanesimo
e la loro armoniosa composizione nella Congregazione di Monte
Oliveto, rinvio ai saggi raccolti nella seconda parte del vol.
Tra umanesimo e ‘devotio’. Studi di storia monastica.
a cura di G. Andenna - G. Motta - M. Tagliabue, Vita
e Pensiero, Milano 1999.
[22]
Assai utile la sintesi di
M. Mazzucotelli,
Cultura scientifica e tecnica del monachesimo in Italia,
MI. Abbazia San Benedetto, Seregno 1999; specialmente I, 58-65:
I
Monaci della cerchia di Galileo.
[23]
Il
De antiquis monachorum ritibus
si legge come vol. IV dell’opera di E.
Martène,
De antiquis ecclesiae ritius,
ristampato a Hildesheim nel 1969, nella 3a ed., Antwerpen
1738.
[24] In
Medioevo monastico. Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. Roma
1988, 133-170.
Ritorno alla pagina iniziale "Storia del Monachesimo"
|
Ora, lege et labora |
San Benedetto |
Santa Regola |
Attualità di San Benedetto
|
Storia del Monachesimo |
A Diogneto |
Imitazione di Cristo |
Sacra Bibbia |
23 marzo 2021 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net