PARTE PRIMA

GENESI E SVILUPPO DEL
MONACHESIMO NELLA TERRA RUSSA

(1062-1764)

Vincent Desprez O.S.B.

Estratto da “La Russia monastica – Mille anni di storia” – Abbazia San Benedetto – Seregno 2005

 


 

1. Introduzione

Il monachesimo russo [Ndr: Il testo originale contiene molte note esplicative] deriva da quello dell’impero bizantino, ma ha ben presto assunto, nel vasto ambito che gli compete, una fisionomia propria. Soprattutto fino al 1764, esso fu spesso legato alla storia della Chiesa e dello Stato russo, senza i quali non sarebbe neppure possibile studiarlo. È vissuto all’interno di strutture sociali, economiche e politiche feudali, paragonabili a quelle dell’Europa Occidentale. L’accumulo di proprietà ecclesiastiche e monastiche è stato percepito da taluni monaci e dal potere pubblico, come una anomalia che nel 1764 portò ad una soluzione drastica ma, in definitiva, molto meno radicale di quanto non sia stata la soppressione dei monasteri nell’Europa protestante del secolo XVI e nella Francia rivoluzionaria del 1790.

La storiografia russa, di cui Igor Smolitsch si fa portavoce, giudica severamente, seguendo i monaci scrittori russi del secolo XVI, la collusione del monachesimo con le classi dirigenti. La stessa cosa succedeva allora in tutta Europa, salvo rare eccezioni. Tuttavia, quali che siano le strutture e le condizioni esteriori in quel periodo, numerosi monaci e monache russe vissero con austera osservanza, in un clima rigoroso, generalmente con lealtà e coraggio, per quanto era possibile in regioni spesso teatro di guerra. L’essenziale rimane tuttavia nascosto. Questo studio che si limita alla storia «esteriore» invita a rendere omaggio sia a coloro che non hanno lasciato tracce scritte se non nelle statistiche, che agli autori spirituali e agli scrittori ai quali potrebbe essere dedicato un ulteriore saggio.

 

2. Gli inizi: il periodo di Kiev

Popolazioni scitiche e slave vagavano nel bacino del Dniepr; in seguito alcuni Variaghi, commercianti scandinavi, li assorbirono e formarono la «Rus’» (Rhos in greco), unificata sotto il grande principe di Kiev, il cui potere si estese nel secolo XII dal Dniestr al Volga, da Halyc e Przemysl a sud-ovest fino a Polotsk e Biélozersk a nord-ovest, Iaroslavl, Kostroma e Riazan a nord-est (La Sainte Russie. Mille ans d’histoire, Paris, DDB, p. 10).

Il principe Vladimir di Kiev venne battezzato nel Dniepr con il suo popolo nel 987. Nel 1051, il gran principe Iaroslav pose sul trono Hilarion, primo metropolita russo: primo tentativo di affrancarsi dalla tutela ecclesiastica di Costantinopoli (La Sainte Russie. Mille ans d’histoire, Paris, DDB, p. 16).

Dopo qualche monastero costruito e posto sotto la tutela dei principi, tra il 1051 e il 1062 venne fondato a Kiev il monastero di Pecerskij («delle Grotte»), da Antonio (eremita) e Teodosio (cenobita). Quest’ultimo mandò a cercare una regola a Costantinopoli: sarà il Testamento di Teodoro Studita, tratto dal «Typikon» che si praticava nel suo monastero di Stoudios a Bisanzio e conosciuto tramite la copia del patriarca Alessio di Costantinopoli. Se ne conservano numerose copie in slavo. Teodosio la adattò in parte, pur restando fedele al suo spirito strettamente cenobitico. Tuttavia uno spazio di solitudine sussisteva al mattino dopo l’utrenja/orthros e la sera, quando i fratelli pregavano nelle loro celle, recitando almeno dodici salmi, leggevano la Bibbia e le Vite dei santi. Ma l’ascesi migliore era costituita dal servizio comunitario e dall’obbedienza. Questa disciplina sentirà un rilassamento nei secoli XII e XIII, allorché si insinueranno l’idioritmia e la proprietà privata; tuttavia il primo modello delle Grotte resterà un riferimento per il monachesimo di tutta la Russia. Si vedranno anche in Russia dei reclusi, se non addirittura degli stiliti, e dei folli in Cristo (iourodivy) di cui il primo sarà sant’Isacco Zatvornik ( 1090), discepolo di Antonio. Vi saranno pure monasteri misti, monaci girovaghi e vocazioni forzate (soprattutto sotto gli zar); i principi potevano fare professione sul letto di morte, come in Occidente (M.J. Rouet de Journel, Monachisme et monastères russes, Paris, Payot, 1952, p. 33).

Il monastero delle Grotte divenne un vivaio di vescovi: si conoscono cinquanta nomi nel periodo pre-mongolo. Le vite dei santi monaci vissuti nel monastero «delle Grotte» nei secoli XI e XII sono raccolte nel Paterikon di Kiev, composto a partire dal 1220 a Vladimir-Suzdal’; alla fine del secolo XI, l’abate Nicon concentrò nel suo monastero la redazione della Cronaca dei tempi passati, ad opera del monaco Néstor.

Queste cronache redatte da monaci colti, generalmente di origine aristocratica, esaltano la memoria dello Stato di Kiev e del suo cristianesimo.

 

3. Il periodo della dispersione

A partire dal 1223, i Mongoli o «Tatari» sottomettono progressivamente i principati della Rus’, dove per lo più il potere si disperde; essi saccheggiano Kiev nel 1240, ma risparmiano Novgorod che sarà la rivale di Mosca e, fino a Pietro il Grande, sarà la finestra della Russia a occidente. La capitale del khanato della «Orda d’Oro» è Sarai sul Basso Volga. I Lituani e i cavalieri teutonici attaccano la Rus’ da Ovest.

Nel 1242 sulla Neva, Alessandro Nevskij, a capo delle armate di Novgorod e di Pskov, batté gli Svedesi e i cavalieri teutonici, trattando però con i Tatari. Morì monaco e fu canonizzato nel secolo XIV. I Tatari privilegiarono la Chiesa russa liberandola dall’obbligo dei tributi ai principi e rispettandone pienamente le proprietà. Il metropolita di Kiev, il più delle volte greco, veniva scelto dal patriarca bizantino e dall’imperatore con il consenso della «Orda d’Oro» e mantenne una posizione molto solida. I possedimenti delle diocesi e dei grandi monasteri aumentarono pertanto in modo considerevole e la Chiesa sarà nel secolo XVI la più potente proprietaria terriera del paese.

Isolata dall’esterno sotto la dominazione mongola, la Chiesa russa si piegò su se stessa assimilando e adattando poco a poco le influenze bizantine assorbite attraverso testi e manoscritti (liturgici, patristici) provenienti dalla tradizione di Kiev e dal lavoro realizzato in Bulgaria a seguito di Cirillo e Metodio.

Ma nel 1362 Kiev venne conquistata dal granduca di Lituania; il trattato del 1385 tra la Polonia e la Lituania e in seguito l’Unione di Lublino, posero Kiev, isolata dal metropolita di Mosca, alle dirette dipendenze del patriarcato di Costantinopoli in un paese a influenza cattolica.

Nel 1458, Casimiro Jagellone creò la provincia ecclesiastica di Kiev per tutto il territorio dello stato polono-lituano; il 3 settembre 1458, il Papa Pio II divise definitivamente la provincia russa in due metropoli, Mosca e Kiev. Nel 1596, i vescovi ortodossi di Polonia-Lituania si misero sotto la giurisdizione di Roma, firmando l’atto di unione a Brest-Litovsk (diventando così il primo nucleo della cosiddetta chiesa greco-cattolica o «uniate»). Ma le popolazioni non li seguirono ed emigrarono verso l’Ucraina centrale e orientale che nel 1654 si riunì alla Russia; l’Ortodossia, ristabilita dal 1654, vi si consolidò, mentre nell’Ucraina occidentale progredì l’uniatismo.

 

4. Il gran-principato di Mosca;

l’ondata di fondazioni dei secc. XIV-XV

Il principato di Mosca poco a poco riuscì a riunire le forze russe contro i Tatari. Nel 1283- 1305, il metropolita Massimo trasferì la sede di Kiev a Vladimir-sul-Kliazma; nel 1325, il metropolita Pietro la trasferì infine a Mosca dove regnava il granduca Ivan I Kalita.

La collaborazione di questi metropoliti con i principi di Mosca ebbe un ruolo molto importante nella crescita del potere moscovita nei secoli XIV e XV. I monasteri assunsero una posizione centrale in questa cultura bizantino-slava e costituirono l’élite della Chiesa, ben più che altrove.

I vescovi e i loro più vicini collaboratori venivano d’altra parte reclutati tra i monaci. L’importanza delle città si misurava dal numero dei loro monasteri: 17 a Novogorod nella prima metà del secolo XIII, 24 alla fine del XIV; 10 a Mosca nello stesso periodo. Sergio di Radonez (v. 1314-1392), eremita, organizzò la comunità del monastero della Trinità, a nord di Mosca (oggi Sergiev-Possad, detta Zagorsk sotto il regime comunista) con la regola di Teodoro Studita. Questo monastero diverrà il cuore della Russia ortodossa. Andrej Rublëv (ca. 1360/1370-1430ca.), monaco della Trinità San Sergio, dimostrò la partecipazione dei monaci alla produzione artistica, con l’icona della Trinità eseguita per il monastero omonimo.

Il principato di Mosca si sviluppò verso Nord e Est. Nel 1462 si estendeva solo dall’Oka alla Sukhona, da Kaluga e Niznij Novgorod a Bélozersk e Veliki Ustiug; nel 1533 Cernigov e Pskov a Ovest e il corso inferiore dell’Ob a Nord-Est. Questa colonizzazione avvenne con la fondazione di città di cui i monasteri erano un elemento strutturante. Ma furono fondati anche eremi, nella campagna, nell’immensa foresta del Nord, fino al Mar Bianco dove su un’isola disabitata, verso il 1430, fu eroicamente fondato il monastero Soloveckij. Nel XIV sec. vennero così fondati 42 monasteri in città e altrettanti nelle campagne; nel secolo XV 57 in campagna contro i 27 in città. Sergio di Radonez (1314-1392) fondò tra il 1341 e il 1381, con i suoi discepoli, nuovi monasteri che a loro volta daranno vita ad altre comunità. Così Cirillo fondò il monastero di Bélozersk (a S-E della città omonima, situata sulla riva S-E del Lago Bianco, vicino al Lago Onega), da dove usciranno Savva, fondatore di Solovec, Kornelij (fondatore di Komel’skij), Nil della Sora. Nel monastero Borovskij (fondato nel 1410) si formò Giuseppe di Volokolamsk, che passò un periodo anche a Bélozersk.

Ben presto i monasteri si trovarono al centro di grandi proprietà terriere ed ebbero un ruolo essenziale nella valorizzazione e nella cristianizzazione del Nord e del Trans-Volga. All’inizio del secolo XVI circa duecentomila ettari appartenevano al monastero della Trinità San Sergio. A partire da questo momento si pose il problema dei tipi di regola: soprattutto cenobitismo, «idioritmia» e vita nello skite (piccola comunità semi-anacoretica).

 

5. Lo zar, il metropolita autocefalo, il patriarca (1439-1600)

L’ultimo metropolita greco di Mosca, Isidoro (1436-1441) accettò l’unione con gli Occidentali al Concilio di Firenze (1439). Ma, per i Russi, la posizione di Bisanzio, alleandosi con Roma l’eretica, fu considerata un tradimento.

Rientrato nella sua città, Isidoro venne arrestato come eretico ed espulso. Questo movimento di indipendenza da Bisanzio continuò con l’elezione da parte dei vescovi russi del metropolita di Mosca (Giona) nel 1448, finché nel 1458 la provincia russa venne divisa in due metropoli, Mosca e Kiev. Nel 1459 il metropolita Giona affermò la sua autonomia rispetto a Kiev e prese il titolo di «Metropolita di Mosca e di tutta la Rus’». Nel frattempo Bisanzio, seguita poi dai principati serbi e bulgari, venne conquistata dagli Ottomani nel 1453. La metropoli di Mosca restò così la sola Chiesa ortodossa sotto un governo cristiano indipendente. Ivan III vinse gli Jagelloni polacco-lituani a Dorogobouz (1500/1503) e i Tatari nel 1480 sull’Ougrà. Nel 1492 il metropolita Zosimo paragonò la Mosca di Ivan con la Costantinopoli di Costantino, nel duplice aspetto di autocrazia e di nuova Roma; nel 1498, quando si fece incoronare dal metropolita Simone, questi lo incoraggiò a «prendersi cura delle anime e di tutta la cristianità ortodossa». Il monaco Filoteo di Pskov teorizzò poi l’ideologia di Mosca come la Terza Roma, che non sarà seguita da una quarta (1524). Il gran-principe di Mosca divenne lo zar dell’impero cristiano, successore di Costantino e vigilante su tutta l’Ortodossia. L’aiuto dato al trono dal potere spirituale valse alla Chiesa, come contropartita, disposizioni che accrebbero il suo potere, come anche quello dei boiari, sui contadini, ridotti in una condizione quasi servile. Bisogna tuttavia guardarsi dal generalizzare tale o tal altro atteggiamento: taluni abati seppero limitare l’espansione dei loro monasteri, come Cirillo, fondatore di Belozero e la maggior parte dei suoi successori. Ma una reazione a questa secolarizzazione della Chiesa venne dai monaci di vita eremitica, eredi del monachesimo primitivo e della tradizione atonita. Questi eremiti si stabilirono soprattutto al di là del Volga. Di fronte ai possidenti (stiazateli o josefiti) si contrapposero, con Nil Maïkov della Sora (Sorskj), i non-possidenti (niestiazateli), che asserivano l’indipendenza della Chiesa nei confronti del potere e la vocazione tutta spirituale della vita monastica. Secondo questo orientamento, il monaco deve sostenersi con il suo lavoro manuale o accettare le offerte appena indispensabili per vivere. Il campione dei «possidenti» — alti dignitari ecclesiastici e monastici, membri dell’alta società laica — fu Giuseppe di Volokolamsk (1440-1515). Il parere di quest’ultimo prevalse al concilio di Mosca del 1503; egli rivendicò il diritto ai possedimenti al fine di liberare i futuri vescovi e abati dalle preoccupazioni materiali per potersi così dedicare ai propri compiti e prendersi cura dei poveri. Del resto il potere di Ivan III e Ivan IV talvolta esitò tra le due parti, e Giuseppe si dimostrò più moderato dei boiari, pronti d’altronde ad annettersi le terre della Chiesa — come pure lo Stato che aveva bisogno di cavalli e di foraggio per le truppe (come a Novgorod nel 1478-1480). I «puri» sostenevano le rivendicazioni dei contadini spodestati dal nuovo stato di cose, il che si tradusse poi in rivolte ed eresie. I discepoli di Nil furono più radicali di lui. Il «principe-monaco» Vassian Patrikeev, nel 1510-1512, condannò come contrario ai comandamenti di Dio, alla più antica tradizione monastica e al diritto canonico orientale, lo sfruttamento dei contadini così come pure i processi e il servilismo nei confronti dei possidenti che ne derivavano. Il primo dei «liberali» russi fu condannato nel 1531. Le eresie dei «tonsurati» (strigolniky) e dei «giudaizzanti» provenivano soprattutto da Novgorod; Feodossij Kossoï predicava una religione senza mediazione rituale né clericale; fuggì in Lituania nel 1554. Ma Nil, d’altra parte, concordò perfettamente con Giuseppe nel rifiutare le eresie; sembra persino che abbia collaborato alla redazione del suo «Illuminatore» (Prosvetitel’); e si può addirittura supporre che abbia effettivamente avanzato, nel 1503, la proposta «che i monasteri non posseggano terre abitate».

Massimo il Greco, nato in Epiro verso il 1475, aveva studiato nell’Italia del Rinascimento e, come domenicano, aveva frequentato il Savonarola a Firenze. In seguito come greco passò al Monte Athos nel 1505. Rispondendo alla chiamata di Vassilij III, giunse a Mosca per tradurre in slavo un salterio greco commentato, ma scoprì anche lo spirito della società moscovita. Non poté evitare di confrontarlo con le norme apprese al Monte Athos: e ben presto ne divenne critico. Giudicato nel 1525, esiliato a Volokolamsk e in seguito alla Trinità San Sergio, morì libero nel 1556. Conclusa la traduzione, gli venne chiesto di emendare le vecchie traduzioni liturgiche slave, prefigurando così la riforma di Nicon. Egli lavorò per i circoli dei «possidenti» e ne condivise le preoccupazioni culturali, ma ne criticò il ricorso senza restrizioni alle donazioni feudali. Il concilio dello Stoglav (i «Cento Capitoli»), nel 1551-1552, affermò la validità degli antichi costumi russi ma incoraggiò le scuole e le traduzioni.

Nel 1551 Ivan IV il Terribile (1547-1584) convocò il concilio dello Stoglav e tentò di risolvere i problemi del monachesimo. Ma quando il metropolita Filippo denunciò la violenza con cui Ivan conduceva la sua rivoluzione sociale, ricorrendo ai suoi sicari (opricniki), fu deposto e giustiziato nel 1569: il giuseppinismo venne così ad inserirsi in una Chiesa nazionale strettamente sorvegliata dal potere politico. Nel 1586, lo zar Boris Godunov reclamò un patriarcato nazionale; il patriarca di Costantinopoli, Geremia II, rispose alle sue pressioni elevando il metropolita Giobbe di Mosca al rango di patriarca (1589); prese così il posto del papa di Roma divenuto eretico, restando comunque all’ultimo rango nella pentarchia (i patriarchi orientali ratificheranno questa soluzione solo nel 1593) e rimanendo quindi sottomesso alla sede ecumenica.

Il «periodo dei Torbidi» che segue alla morte di Ivan IV ridiede al metropolita, e poi al patriarca, il suo ruolo di sostegno del potere politico: il patriarca Ermogene assicurò la reggenza nel periodo 1606-1612 e, sotto il giovane zar Michele Romanov, fu suo padre, Fedor Nikitic Romanov — divenuto per costrizione monaco col nome di Filerete e designato patriarca nel 1619 — a governare di fatto fino alla morte nel 1633. La Laura della Trinità San Sergio resistette ad un assedio di quindici mesi nel 1608-1610, di fronte ad una armata lituano-polacca dieci volte superiore al presidio dei monaci. La coscienza nazionale ne uscì così rinforzata, fondata sul legame indissolubile tra il paese russo, il sovrano-autocrate e la Chiesa autocefala. Filippo è il più degno rappresentante dell’episcopato durante tutto questo periodo. Fedor Kolycev, proveniente da una famiglia di boiari, era stato un umile novizio e asceta, poi abate di Soloveckij e molto abile sul piano economico. Chiamato al seggio di Mosca (1566-1568), egli pose come condizione alla sua accettazione dell’episcopato la soppressione da parte di Ivan IV dell’Opricnina, il sistema di eliminazione dei boiari e di tutti coloro che erano invisi a Ivan. Questi accettò solo il fatto che Filippo potesse mantenere il diritto di interpellanza (pecalovanie), che era stato sospeso al tempo dell’Opricnina, ma in realtà Filippo, e con lui i vescovi del sinodo, dovette firmare un atto che prendeva in considerazione la richiesta di Ivan di non immischiarsi nella Opricnina. Atto e caso unico nella storia dell’episcopato russo: colpo definitivo portato all’ideologia di Mosca, terza Roma (Fedotov). La serie di crimini del periodo 1566-68 costrinse Filippo ad usare il suo diritto di interpellanza. Nel marzo del 1568 Ivan assistette ad una celebrazione religiosa assieme ad alcuni rappresentanti dell’Opricnina, rivestiti dei loro abiti neri. Filippo rifiutò di benedirli e rivolse loro una esortazione. Ne seguì un ulteriore shoc. Persecuzione contro i congiunti del metropolita, false testimonianze: un tribunale ecclesiastico lo condannò ad abbandonare funzione e dignità. Rinchiuso nel convento di Otroc vicino a Tver, Filippo vi fu strangolato il 23 dicembre 1569. Sepolto a Solovec nel 1590, il corpo venne poi riportato a Mosca. La Chiesa lo venera come «paladino della verità».

Il monachesimo partecipò all’espansione dello Stato moscovita verso Est. Nelle città della sola regione del Volga (Ponizovie), nel secolo XVI vennero fondati 31 monasteri e 70 nel XVII; le città, i privati e lo Stato partecipavano al loro appannaggio, mentre nelle immense distese della pianura russa sorsero degli eremi, come quello dell’Assunzione a Sarov (1679-1692), che diventerà famoso con san Serafino.

L’episcopato russo del secolo XVI fu dominato da discepoli di Giuseppe, come Daniil, metropolita nel 1522-1539, e Macario, nel 1542- 1563. Per altro tutto ciò andava nella direzione dell’assolutismo monarchico: la concentrazione del potere religioso in una sola persona preparò la sottomissione della Chiesa allo Stato. La nuova coppia zar-metropolita è quindi la realizzazione di un modello bizantino ispirato dai «giuseppiti».

Ma il secolo XVII vide crescere i problemi causati dall’aumento dei beni dei monasteri, dalla ignoranza del clero e dal degrado dei testi biblici e liturgici già denunciato da Massimo il Greco.

 

6. Il Raskol

Per risolvere quest’ultimo problema, venne costituita una commissione presieduta dall’archimandrita della Trinità San Sergio, Dionisio, i cui lavori furono però rifiutati dal concilio del 1618. Nel 1649 venne costituita una nuova commissione di monaci di Kiev, di migliore formazione (Kiev si era da poco riunita a Mosca, 1645). Il nuovo patriarca, Nicon (1652-1658), figlio di contadini e dal carattere deciso, volle affermare la superiorità del potere spirituale sul potere temporale. Sostenne la riforma intrapresa dai suoi predecessori e, nei concili del 1654 e del 1655, appoggiato dal consenso di un concilio tenuto a Costantinopoli, fece decretare la correzione dei libri liturgici, del segno della croce (con le tre dita simbolizzanti la Trinità, e non più con le due dita simbolizzanti la duplice natura di Cristo) e del simbolo della fede, sopprimendo due aggiunte recenti all’articolo 8° sullo Spirito Santo (che è Signore «vero» e vivificante, che procede dal Padre, che è adorato e glorificato con il Padre e il Figlio, che ha parlato per mezzo dei profeti «e il cui regno non ha fine»). Queste modifiche, rifiutate dal vescovo Pavel di Kostroma, provocarono lo scisma (Raskol) dei Vecchi-Credenti e le brusche dimissioni di Nicon nel 1658, facendo precipitare la Chiesa nella confusione e gettando discredito sul patriarcato. I monaci furono spesso ostili alle modifiche liturgiche. L’archimandrita Ilija di Solovec, dopo aver sottoscritto il concilio del 1654, una volta rientrato nel suo monastero, ritirò il suo consenso. La comunità decise, nel 1658, di non utilizzare i libri corretti e da dietro le mura del monastero sull’isola del Mar Bianco, si ribellò. Il potere reagì con cautela in questo periodo di turbamento; il 13 maggio 1667 un concilio mise al bando i ribelli. Diverse spedizioni intervallate da vani tentativi di trattativa, portarono alla presa del monastero per tradimento il 22 gennaio 1676. L’igumeno Nikanor e i dirigenti furono condannati a morte, i ribelli esiliati in altri monasteri; chi aderiva rimase sul posto, mentre i fuggitivi sparsero la notizia e niente fu più efficace per radicare lo scisma nello spirito del popolo.

Il Raskol mise in evidenza ancora una volta la mancanza di istruzione del clero, dei monaci e del popolo, che confondevano la fede e la dottrina con la lettera dei testi e dei riti liturgici. Il fanatismo si manifestò nei ventimila suicidi collettivi sul rogo, che ebbero luogo tra il 1672 e il 1691.

La crisi di coscienza causata dal Raskol lasciò il monachesimo paralizzato all’inizio del secolo XVIII; la sua partecipazione allo scisma lo rese sospetto al potere, fatto che al tempo di Pietro il Grande non fu privo di conseguenze.

 

7. I beni monastici e ecclesiastici

Nel contempo, il problema dei beni monastici suscitò misure da parte del potere. Mentre i «giuseppiti» difendevano le ricchezze della Chiesa, i nobili erano avidi di terre e soprattutto di servi della gleba. Nel 1649, durante un’assemblea dominata dai boiari, venne promulgata una Istituzione (Sobornoe Ulozenie) che intendeva definire tutto il funzionamento della società russa: il primo capitolo sosteneva l’ortodossia come fondamento dello Stato, ma in concreto le misure subordinavano la Chiesa allo Stato. Il capitolo 13° creava, accanto allo zar, un «Ufficio dei monasteri» (Monastyrskij prikaz) che controllava l’amministrazione dei beni monastici, giudicava le cause civili e penali concernenti i chierici e i loro laici, tranne il patriarca, costringeva i monasteri a pagare certe tasse e censiva i cittadini che tentavano di passare al servizio del clero. In realtà queste misure, miranti a limitare le acquisizioni di beni immobili, non furono applicate durante il secolo XVIII. Di fatto, la secolarizzazione del monachesimo progredì. Il concilio del 1667 riconobbe solamente, e a buon diritto, l’illegittimità dei beni personali dei singoli monaci. Non esisteva un codice giuridico che stabilisse chiaramente i rispettivi diritti.

Il patriarca Joakim (1674-1690) ottenne la soppressione dell’«Ufficio» e del conseguente regolamento. La Chiesa tornò ad essere pienamente libera di amministrarsi, cosicché i suoi beni si accrebbero ulteriormente (525.000 contadini nel 1678, 715.000 nel 1701 e 910.866 nel 1760 solamente sulle proprietà monastiche).

 

8. Le riforme di Pietro il Grande e di Caterina

Pietro il Grande modernizzò il suo Stato seguendo i modelli occidentali. Considerava inutili i monaci, non si fidava dei vescovi e non poteva accettare che la Chiesa fosse come uno stato nello Stato; essa doveva essere ridimensionata e inoltre rendere allo Stato servizi politici. Egli incominciò, come era già avvenuto in passato, con l’imporre tributi sulle risorse della Chiesa per la «guerra del Nord» (1700-1721). Alla morte del patriarca Adriano (1700), nominò «vicario del patriarcato» l’anziano monaco delle Grotte di Kiev, Stefan Javorskij, di formazione latina.

A partire dal 1718 un altro monaco delle Grotte, Teofane Prokopovic, di formazione germanica, dovette redigere un Regolamento ecclesiastico (Duchovnyj Reglament) adottato alla fine del 1720; nel 1721 il patriarcato fu sostituito con una direzione collettiva, il Santo Sinodo, dominato dall’Oberprokuror laico, che resterà in vigore fino al concilio del 1918.

Venne ricostituito l’«Ufficio dei monasteri» che aveva giurisdizione sui laici e sui chierici e amministrava l’essenziale dei beni ecclesiastici, per erogare la maggior parte degli introiti al Tesoro, pur versando ai monaci e alle monache un appannaggio fisso annuale e garantendo un minimo di manutenzione degli immobili. Vennero imposti ai monasteri carichi militari e sociali. Nel 1722 i «Complementi al Regolamento ecclesiastico dei monaci» proibirono agli uomini di fare professione prima dei 30 anni e alle donne prima dei 50 o 60. Non più nuove fondazioni, non più skite o eremi; i monasteri di meno di 30 monaci vennero chiusi o raggruppati, ma il numero effettivo di monaci non poteva superare i 30. Gli abati furono eletti; i monaci non potevano più cambiare monastero, o potevano farlo una sola volta, ma con il permesso del Santo Sinodo. Le uscite erano molto rare, soprattutto per le monache. I monaci inoltre, non potevano avere né carta né inchiostro nelle loro celle, se non con autorizzazione superiore.

Anna Ivanovna (1730-1740) rinnovò la proibizione ai monasteri di acquisire nuovi beni; solo i vedovi delle famiglie del clero secolare o i soldati in pensione avevano il permesso di dedicarsi alla vita religiosa. Le sue oppressioni divennero talvolta una vera e propria persecuzione che «distrusse completamente la vita interiore dei monasteri» (I. Smolitsch, Russiches mönchtum Entstehung ,Entwicklung und Wesen 988-1917, Würzburg, Augustinus-Verlag, p. 390). Elisabetta ristabilirà la libertà delle vocazioni solo nel 1760. Pietro III avviò la secolarizzazione di alcuni possedimenti conventuali. In conseguenza di ciò, il numero dei professi, uomini e donne, diminuì: 25.207 nel 1724, 14.282 nel 1740 e 12.392 nel 1762.

Il 26 febbraio 1764, Caterina II pubblicò l’ukaze (editto) secondo il quale i beni ecclesiastici situati nella Grande Russia e in Siberia, così come i rispettivi archivi, dovevano essere confiscati dallo Stato. Furono distinte tre classi di diocesi e di monasteri iscritti nello «Stato dei monasteri» (monastyrskie staty) e retribuiti; oltre a questi furono lasciati 161 monasteri «fuori Stato», i quali vivevano del loro lavoro e di offerte. I monasteri non conservarono che la disponibilità degli immobili e degli orti, dei luoghi per la pesca e dei pascoli. I monasteri maschili riconosciuti, passarono da 965 (nel 1701) a 158, quelli femminili da 236 a 67. Il 1764 segnò «la fine del potere fondiario del monachesimo e dell’episcopato russo», a beneficio parziale del basso clero (abolizione dei canoni episcopali). Caterina seppe trarre vantaggio dall’isolamento dell’alto clero in seno all’ordine ecclesiastico.

Alla fine del secolo XVIII sussistevano 452 monasteri, di cui 340 godevano del trattamento dello Stato, mentre gli altri vivevano del loro lavoro e delle offerte dei fedeli.

Il rinnovamento verrà in parte dall’emancipazione della donna che si sviluppò ovunque nel secolo XIX. Decisivo sarà il movimento dello starcestvo, la direzione spirituale da parte di monaci anziani (starec, al plurale starcy) che si esercitò dapprima nei monasteri maschili, seguendo l’indirizzo di Païsij Vélickovskij e della sua «scuola», e poi raggiunse le monache di clausura e in fine tutte le classi della società. Nel contempo la pubblicazione della Filocalia nel 1782 a Venezia a cura di Macario di Corinto e di Nicodemo l’Agiorita, e poi la redazione in slavo nel 1793, da parte di Païsij, andarono ad alimentare la cultura più tradizionale nella Chiesa russa e a concentrarla nuovamente sulle fondamenta della propria tradizione, ponendo così rimedio alle aperture verso l’Occidente latino o germanico dei secoli XVII e XVIII, che avevano portato alla deformazione del pensiero ortodosso russo.

 


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7 giugno 2024                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net