GIOVANNI FILORAMO
Monachesimo orientale
Un’introduzione
MORCELLIANA
INTRODUZIONE GENERALE
1. Nella storia delle chiese
cristiane, il monachesimo rappresenta una istituzione fondamentale che ha come
scopo la ricerca della perfezione attraverso la scelta, sigillata dai voti, di
un particolare tipo di vita religiosa che persegue la
sequela Christi. Nella sua storia
millenaria, in guise peculiari, sia in Oriente che in Occidente, le varie forme
della vita monastica, diventate per lo più di tipo cenobitico e in genere
istituzionalizzate, hanno costituito un aspetto importante delle culture in cui
erano incardinate non soltanto dal punto di vista squisitamente religioso, ma
più in generale politico, economico e culturale. In Oriente il monachesimo è
riuscito a resistere nei secoli ai cambiamenti indotti da una storia tumultuosa,
che ha messo spesso in discussione l’esistenza stessa delle varie Chiese. In
Occidente, in particolare nella sua forma benedettina, esso si è imposto
nell`arco millenario del medioevo come una realtà sempre più importante, capace
di affrontare i cambiamenti più radicali generando nuove risposte spirituali e
organizzative, da Cluny a Citeaux, per non dire delle innumerevoli
familiae monastiche nate dal tronco principale: una realtà
complessa, messa in crisi in modo radicale e drammatico in età moderna dai
processi di secolarizzazione, che però si è dimostrata capace, attraverso
adattamenti e trasformazioni, di resistere alle sfide corrosive della modernità,
conservando il suo peculiare profilo identitario.
Già gli autori antichi, a cominciare
dal "padre" della storia ecclesiastica, Eusebio di Cesarea, si erano ben presto
resi conto dell’importanza di questa nuova realtà, che incominciò a configurarsi
nella seconda metà del III secolo per assumere un volto più preciso, col cessare
delle persecuzioni e la "svolta" costantiniana, nel corso del IV secolo, avendo
come epicentro l’Egitto e la Siria. A partire dalle descrizioni di quelli che
erano ritenuti i primi eremiti come Paolo di Tebe e Antonio e dei primi
insediamenti cenobitici, questi autori cominciarono ad interrogarsi sulle
"origini" del fenomeno e sui suoi nessi con l’annuncio evangelico e la
dimensione ascetica che caratterizzava in modo evidente la vita delle più
antiche comunità cristiane. Il problema
del rapporto tra ascesi e monachesimo, che ha dominato la moderna
ricerca, è in realtà un problema che sta già al centro delle riflessioni dei
Padri i quali, a partire da Eusebio, hanno costruito un’interpretazione
teologica del monachesimo destinata a durare nei secoli.
Nella storia delle interpretazioni del
monachesimo la cesura decisiva è costituita dalla Riforma e, più precisamente,
dalla condanna dei voti monastici da parte di Lutero nel 1521, con il
conseguente rifiuto della vita monastica come via privilegiata alla salvezza.
Questa condanna, mentre metteva in crisi una millenaria costruzione ideologica
delle origini del monachesimo che, come ci accingiamo a vedere, aveva
attraversato indenne il medioevo occidentale, nel contempo, rendendo
problematico e controverso il suo statuto all’interno della tradizione
cristiana, apriva una nuova stagione interpretativa, di natura controversistica
e dogmatica, creando un campo ermeneutico in cui per secoli regnerà un
inconciliabile conflitto delle interpretazioni, inevitabilmente dominato da
presupposti teologici e apologetici. Esamineremo nel prossimo paragrafo le tappe
più significative di questa lunga stagione interpretativa, che getta le sue
radici nelle prime opere storiografiche uscite dalla Riforma (le cosiddette
Centurie di Magdeburgo) e nella risposta, altrettanto monumentale e
importante, prodotta da parte cattolica con gli
Annales del cardinal Baronio. Quel che ora preme sottolineare è che
soltanto a fatica nel corso del Novecento la storiografia religiosa, tra mille
difficoltà e contraddizioni, ha iniziato a fare i conti con il pesante bagaglio
confessionale che si frapponeva, come un macigno, ad una adeguata comprensione
storica del monachesimo, liberandolo infine da pregiudizi apologetici, da
vincoli ideologici, da letture spiritualizzanti e restituendolo, nella sua
estrema complessità, all’indagine storico-religiosa. Mentre, infatti, la
storiografia ecclesiastica protestante ha dovuto fare i conti col pesante
giudizio teologico di condanna del
monachesimo che per secoli, nonostante alcune voci solitarie di dissenso,
l’avevano caratterizzata, quella cattolica ha dovuto fare i conti con una
tradizione secolare in cui lo studio del monachesimo antico, in quanto parte dei
trattati di ascetica e morale, ma prima ancora in quanto modello e fonte per la
esperienza vissuta di ordini e congregazioni, serviva prima di tutto e
soprattutto come mezzo per alimentare la propria identità individuale e di
gruppo.
Al
centro dell’attenzione di questa lunga stagione di studi stava il problema, già
messo in luce dai Padri, del rapporto tra ascesi premonastica e forme
dell’ascesi monastica. Ancora una volta la ragione del
contendere era teologica. Dal punto di vista protestante, che tendeva a
privarla di valore salvifico, l’ascesi monastica non aveva una radice
evangelica, ma era in sostanza dovuta ad influssi esterni, variamente
individuati e interpretati. Al contrario, una posizione cattolica tradizionale
non poteva che rifiutare questa interpretazione, che privava del suo fondamento
rivelato (il comportamento e l’azione ascetica di Gesù, i tratti ascetici
presenti in vari scritti del canone neotestamentario, da Paolo alla vita della
comunità gerosolitana) le basi dell’ascesi monastica e, dunque, cattolica.
Pur con tutti questi limiti
apologetici e pregiudizi confessionali, la moderna ricerca storico-critica
sul monachesimo antico nasce nelle Facoltà teologiche della Germania
bismarckiana sull’onda dei successi che aveva conosciuto l’applicazione del
metodo storico-critico ai testi biblici, facendo della ricerca tedesca il
modello di riferimento per gli altri paesi europei. Ben presto, in reazione a
questa corrente di studi, secondo per altro quanto era già avvenuto nel campo
degli studi biblici, anche in campo cattolico si cercò di reagire promuovendo
studi e ricerche di tipo critico. Bisognerà però attendere il secondo dopoguerra
perché il monachesimo antico, uscendo dal campo della storiografia
confessionale, diventi a pieno titolo una realtà storica, meritevole di essere
indagato, al pari di altri oggetti religiosi, per il posto che esso occupa nel
più generale panorama storico dell’epoca in cui sorse e si diffuse. Un nome su
tutti a questo punto si impone, i cui studi, a cominciare da un saggio
fondamentale del 1971, possono essere assunti come spartiacque, e precisamente
quello di Peter Brown. L’insigne storico irlandese non solo ha contribuito in
maniera decisiva a fare affermare il Tardo Antico - e cioè il periodo in cui il
monachesimo sorse e si diffuse - come un’epoca a sé stante, ma con i suoi lavori
sulla funzione dell’uomo divino ha costretto a guardare in modo nuovo, in chiave
socio-antropologica, al fenomeno monastico e ai suoi protagonisti. A partire dai
suoi primi saggi, infatti, il monachesimo è diventato un oggetto storico
pleno jure, una componente essenziale
del panorama in profonda trasformazione del mondo mediterraneo tra III e Vll
secolo, che va indagato nella sua complessità, dalle componenti materiali e
dalle dinamiche economiche alle forme sociali e alle dimensioni culturali, tutti
aspetti che interagiscono, in misure che variano a seconda degli ambienti di
insediamento, con la sua originale realtà spirituale e i suoi elementi
teologici. Nel trentennio successivo si è assistito a un vero e proprio fiorire
di studi sul monachesimo antico, diventato uno dei settori più dinamici e
innovativi nello studio del mondo tardo antico. I saggi qui raccolti intendono
fornire al lettore italiano una visione d’insieme del fenomeno monastico antico,
in particolare orientale, che tenga conto di questa mutata prospettiva di studi,
che ha caratterizzato la ricerca in questi ultimi decenni.
2. Come si diceva, la ricerca sulle
origini e l"‘essenza" del monachesimo getta le sue radici nel mondo antico e si
caratterizza in particolare per la riflessione sulla natura, le forme e le
conseguenze della pratica ascetica e i suoi rapporti con le nascenti forme di
vita monastica. Nella sua Storia della
Chiesa, Eusebio considera l’ascesi un elemento essenziale di quella "vera
filosofia" che è il cristianesimo: un legame vitale che egli trova realizzato
compiutamente da Origene, a cui consacra il racconto biografico contenuto nel VI
libro. Nella Dimostrazione evangelica
I,8, poi, Eusebio fissa quel duplice livello della vita religiosa, destinato a
recitare un ruolo fondamentale nella successiva storia cristiana. La Chiesa di
Cristo conosce, infatti, a suo avviso due regole di vita. La prima trascende la
natura, dal momento che si sottrae alle normali forme di vita: essa non permette
il matrimonio e dunque la generazione di figli, rifiutando il possesso di beni e
ponendosi al servizio unicamente del Sovrano celeste, Chi si converte a questo
tipo di vita decide di morire al mondo, in cui vive solamente col corpo, mentre
la sua anima già dimora in cielo. Consacrati a Dio, costoro agiscono in questo
mondo come abitanti del cielo; per questo disprezzano ogni forma di sacrificio
terreno, consacrandosi a una vita di perfezione. Questa è la norma della vita di
perfezione che questi seguaci di Cristo decidono di seguire. Il cristianesimo,
però, contempla un secondo modo di vita, che il Cristo accetta e riconosce, in
cui il suo seguace vive nel mondo
secondo le sue regole, sposandosi e generando figli, sottomettendosi alle
autorità e acquisendo e mantenendo proprietà e beni: tutte attività conciliabili
con la vita del cristiano, purché egli si lasci guidare nella sua condotta dal
Cristo. In questo modo Eusebio disegna il profilo di quel duplice livello della
vita del cristiano che segnerà la storia della spiritualità successiva.
Eusebio ha trovato conferma a questa
sua lettura nelle origini della Chiesa alessandrina (Storia
ecclesiastica II,9). La predicazione di Marco ad Alessandria avrebbe
favorito il sorgere di gruppi ascetici. Anche l’ebreo Filone sarebbe stato
impressionato dal loro comportamento, come testimonierebbe il suo scritto sulla
vita contemplativa: i Terapeuti altro non sarebbero che i primi asceti
cristiani. Eusebio, così, non solo cristianizza i Terapeuti e Filone, ma
individua una prima forma di vita ascetica e monastica in questa comunità. In
questa lettura teologica, destinata a grande fortuna, ascesi e cristianesimo
procedono insieme fin dalle origini.
La via aperta da Eusebio è stata
seguita da altri storici ecclesiastici: sia Socrate che Sozomeno, infatti, si
sono occupati di monachesimo, fornendo su di esso notizie significative. Essi
sono stati seguiti da altri autori antichi, a cominciare naturalmente da
Atanasio con la sua Vita di Antonio e
dalla controlettura che del monachesimo tenta Girolamo nella sua
Vita Pauli, per arrivare infine a Cassiano, le cui
Conlationes, pur non iscrivendosi
propriamente nel genere biografico, hanno comunque costituito per tutto il
medioevo un termine di riferimento e una chiave di lettura del monachesimo
orientale di fondamentale importanza. Cassiano, infatti, compie un’operazione
decisiva: proietta le origini della vita monastica nella stessa età apostolica,
dando così una dignità apostolica al monachesimo del suo tempo. Per un verso,
riprendendo Eusebio, egli individua la “tradizione alessandrina" che sarebbe
stata fondata da Marco e avrebbe trovato una prima realizzazione nei Terapeuti i
quali, accanto alla vita contemplativa, avrebbero anche lavorato manualmente? Ne
consegue che la vita monastica è già all’opera nel tempo delle origini. Per un
altro verso, Cassiano individua una «tradizione gerosolimitana», il cui punto di
origine è dato dalla rappresentazione ideale della vita della comunità di
Gerusalemme descritta in Atti 4,32
ss., un testo che era già stato letto come un modello di
vita fraterna e libera dai vincoli della proprietà, cui guardare per
costruire dei percorsi di perfezione, ma che ora Cassiano interpreta come la
prima forma di vita monastica: Luca non aveva fatto altro che descrivere il
primo chiostro, situato in Gerusalemme! Questa violenza interpretativa, che oggi
può far sorridere, si è rivelata in realtà decisiva, data l’enorme influenza che
l’opera di Cassiano ha avuto durante il medioevo, per le successive
reinterpretazioni. Interrogarsi sulle origini del monachesimo era inutile, dal
momento che esso si collocava nel cuore stesso delle origini cristiane. In
questo modo, per non portare che un esempio, tutte le riforme monastiche che
accompagnano la storia del monachesimo medievale, aspirando a rivitalizzare le
origini della vita monastica, non potevano che rifarsi, seguendo la via aperta
da Cassiano, al modello di vita apostolica descritto da Luca, che in questa
prospettiva coincideva con la vita monastica colta al suo culmine: la perfezione
incontaminata delle origini. La conclusione logica di questa lettura fu tratta
da non pochi autori e riformatori, tra cui Bernardo di Chiaravalle: monachesimo
e Chiesa all’origine erano un tutt’uno; in seguito si erano separati ma solo la
vita monastica, proprio perché nel contempo vita di Chiesa, ne aveva conservato
la perfezione. Il mondo si avviava dunque a diventare un chiostro.
Come già accennato, fu Lutero, con il
suo scritto De votis monasticis del
1521, a infrangere definitivamente questo sogno. Non che egli condannasse in
blocco la scelta monastica. Antonio, anche per lui il padre dei monaci e della
vita monastica, rimaneva un ideale di vita positivo. I suoi successori,
imponendo i voti e tradendo in questo modo il
consilium evangelico (il Riformatore
non riconosceva la distinzione tradizionale tra comando e consiglio), avevano
finito per imporre un vincolo che tradiva quanto Gesù aveva detto e fatto in
relazione alla vita ascetica. Ci si poteva così illudere di pervenire alla
salvezza attraverso le opere e non mediante la fede nella giustificazione.
Questa lettura fa da sfondo al modo in
cui nelle Centurie di Magdeburgo
(1559-1574), sotto la guida di Matteo Flacio Illirico, gli autori rileggono il
fenomeno monastico. Rifiutando la lettura cassianea e individuando nella Chiesa
evangelica l’unica legittima Chiesa cristiana, sulla base di una sistematica
raccolta delle fonti antiche, essi pervengono a una duplice conclusione. Mentre
ci si rifiuta di riconoscere l’esistenza di forme monastiche nel Nuovo
Testamento, si ammette però che esse sono presenti in varie forme nel
cristianesimo precostantiniano: è il problema dell`ascesi premonastica,
Naturalmente, agli occhi degli autori, si tratta di pure opere ed invenzioni
umane, prive di qualunque valore salvifico: giudizio negativo che si conferma
nel prosieguo della trattazione.
Com’è noto, a questa prima
fondamentale opera storiografica protestante si rispose, da parte cattolica, con
gli Annales ecclesiastici (1588-1607)
del cardinale Cesare Baronio. Pur riconoscendo l’importanza della Chiesa
primitiva, Baronio, a differenza dei Centuriatori, deve fare i conti col
concetto cattolico di tradizione. Il monachesimo si iscrive in una continuità
salvifica, che vede già in Elia una prima figura di monaco, ripresa, alle soglie
dell’annuncio evangelico, dal Battista. In questo modo, i monaci del IV secolo,
come Antonio, non sono solo degli innovatori, ma nel contempo dei restauratori
di una tradizione più antica, mantenuta viva nei secoli dalla Chiesa.
Mentre gettavano le basi della moderna
storiografia ecclesiastica attraverso una raccolta e uno studio sistematico
delle fonti del tutto nuovi, i Centuriatori e Baronio difendevano così, anche
nel caso dell’interpretazione del monachesimo e delle sue origini, un punto di
vista dogmatico ed apologetico. Ciò è stato gravido di conseguenze per entrambe
le tradizioni di storiografia ecclesiastica. Esse sono rimaste per secoli
congelate in queste posizioni. Anche se, per un verso, da parte cattolica si
assiste, nel corso del XVII secolo, all’opera erudita dei Maurini di cui è
testimone ancora attuale e significativo il lavoro gigantesco del Tillemont e,
per un altro, in campo protestante, a proposte innovatrici come quella di G.
Arnold che, alla luce della sua lettura antiecclesiastica della storia della
Chiesa, attingendo soprattutto agli Annali
del Baronio, rompe con lo schema confessionale dominante fornendo una lettura
positiva del fenomeno monastico, nel complesso occorrerà attendere la seconda
metà dell’Ottocento per assistere a un mutamento radicale nello studio
storico-critico del monachesimo antico.
In effetti, nemmeno i padri fondatori della moderna storiografia
ecclesiastica protestante, come L. Mosheim e F. Chr. Baur), hanno nella sostanza
mutato questo quadro. Per il primo, infatti, il monachesimo ha rappresentato un
tradimento degli ideali evangelici e una ricaduta idolatrica nel paganesimo.
Quanto al secondo, anch’egli si muove, pur con qualche correzione, nel solco
della tradizione.
3. In
genere si suole far iniziare la moderna ricerca scientifica sul monachesimo nel
1877 con la pubblicazione di un saggio di Hermann Weingarten. Fin dalle prime
righe l’autore assume una posizione di critica radicale nei confronti della
ricerca precedente. Le differenti tesi all’epoca circolanti (Paolo di Tebe come
il primo eremita ed Antonio come il fondatore del monachesimo; il suo luogo di
origine individuato nelle persecuzioni di Decio e Diocleziano; il suo legame
profondo col martirio in quanto continuazione dopo l’epoca delle persecuzioni
del sacrificio di sé), vengono criticate e rifiutate in blocco. Il Paolo di
Gerolamo non è, infatti, un personaggio storico. Del pari, i Terapeuti di
Filone, dopo una carriera secolare come "primi monaci", vengono con un colpo di
penna cancellati da questa nobile genealogia. Anche Atanasio viene messo da
parte in quanto gli viene rifiutata la paternità della
Vita di Antonio. In questo modo,
Weingarten perviene alla conclusione radicale che non esistono testimonianze
accettabili da un punto di vista critico su di un monachesimo precostantiniano.
Di qui una tesi storico-religiosa che, se non priva di precedenti, si impone
per la novità del quadro in cui si colloca: l’origine del monachesimo va
cercata in un ambito religioso non cristiano, e precisamente nelle forme
"monastiche" presenti nei devoti egizi di Serapide.
Il contributo di Weingarten suscitò
una vivacissima discussione che, favorita dalla scoperta di nuove fonti,
edizioni affidabili di antiche, scavi archeologici, diede luogo ad alcuni
contributi che conservano ancora oggi la loro importanza, poiché servirono a
mettere a fuoco i nodi principali che dovevano occupare la ricerca novecentesca.
A. Harnack, in un saggio del 1891 consacrato al rapporto tra il
De virginitate pseudoclementino e l’origine del monachesimo,
individuò nell’ordinamento ecclesiastico presente nello scritto pseudoclementino
un cammino ascetico che poteva essere interpretato come una fonte interna per le
origini del monachesimo. In questo modo, era indicato un percorso che non doveva
più essere abbandonato, anche se esso andava opportunamente intrecciato con
altri fattori, dal momento che una realtà complessa come il monachesimo non si
lasciava ricondurre ad un`unica causa.
In questa direzione si mossero, a
cavaliere tra Ottocento e Novecento, vari studiosi della
Religionsgeschichtliche Schule, da R.
Reitzenstein a W. Bousset, da E. Preuschen a E. Troeltsch, autori di contributi
determinanti non solo dal punto di vista filologico, ma anche storico-religioso.
Essi trovarono una prima compiuta sistemazione nel lavoro di sintesi di Karl
Heussi del 1936, Der Ursprung des
Mönchtums. Questo lavoro costituisce un vero e proprio spartiacque per la
ricerca protestante sul monachesimo. Superando definitivamente la condanna di
Lutero, il monachesimo cessava di essere un oggetto guardato con diffidenza o
disprezzo per assurgere definitivamente a vero e proprio oggetto storico.
Punto di partenza della sua indagine
era la consapevolezza che fino ad allora la ricerca si era mossa sulla falsa
pista di cercare una causa delle origini del fenomeno monastico ora
individuandola nella grande persecuzione dioclezianea ora nella situazione
economica ora nell’influsso di una tradizione religiosa non cristiana (l’essenismo,
i Terapeuti, il pitagorismo, il neoplatonismo, il culto di Serapide, il
manicheismo, fino ad arrivare all’India). Alcuni l’avevano ricercata in una
radicalizzazione dell’ascesi protocristiana, altri nell’influsso di padri come
Clemente e soprattutto Origene. Ora, le ricerche intercorse tra il saggio di
Harnack e gli anni ’30 del Novecento dimostravano che il monachesimo era in
realtà l’esito di un processo pluricausale, in cui si intrecciavano fattori
interni ed esterni alla storia cristiana.
Su questo sfondo storiografico, lo
storico protestante veniva poi disegnando la sua personale ricostruzione. Per
quanto gli influssi esterni non potessero essere trascurati, il monachesimo era
il punto di arrivo di un processo che affondava nelle tendenze ascetiche del
primo cristianesimo. Preparato da fenomeni come la scelta della vita verginale,
esso era fiorito quando si era affermato un
Sonderwelt, quando si erano create le
premesse di una Sonderexistenz, frutto
di una radicalizzazione delle tendenze ascetiche. Esso era dunque una
Steigerungsform dell’ascesi, il frutto
più maturo di questa tradizione, un fenomeno a cui avevano contribuito anche
cause materiali e sociali ma che rispondeva ad una logica interna puramente
religiosa: quella dell’”entusiasmo", del sorgere e del rinnovarsi del carisma
degli spiriti.
4. Non è ora possibile indagare le
fasi successive della ricerca. Gli anni che vanno dal libro di Heussi ai lavori
di Peter Brown sono stati, infatti, caratterizzati da una progressiva
deconfessionalizzazione sia in ambito cattolico che protestante, per altro in
linea con più generali processi come la “secolarizzazione" della Storia della
Chiesa. Nel contempo, la costruzione di un settore di studi collegato
all’antichità tardiva contribuiva a far prendere consapevolezza della
specificità storica del fenomeno monastico, una realtà policentrica sorta
parallelamente in più zone del Mediterraneo, in collegamento con le profonde
trasformazioni della coeva società. Le due grandi scoperte di Qumran e Nag
Hammadi hanno concorso, a loro volta, a far rileggere in modo nuovo sia il
problema dei precedenti sia quello del tipo di teologia presente nelle più
antiche comunità cenobitiche egiziane. Nel contempo, l’emergere e l’imporsi di
settori specialistici come la coptologia gettavano le basi per un nuovo fiorire
di studi specialistici. Anche il problema del rapporto con le forme più antiche
di vita ascetica è apparso in modo nuovo grazie ad analisi terminologiche che
hanno messo in luce la ricchezza semantica del termine
monachos. Emerge cosi più chiaramente
il fatto che, rispetto alle forme precedenti di vita ascetica, quella monastica
del IV secolo si caratterizza per la sua ricerca di una vita
separata dal mondo.
È su questo sfondo, sommariamente
abbozzato, che negli ultimi trent’anni si è assistito a una nuova stagione di
studi monastici sia per quanto riguarda il monachesimo orientale che quello
occidentale. Le cause sono molteplici e in parte sono già state accennate. Esse
sono riassumibili nella constatazione che si è presa sempre più consapevolezza
del ruolo strategico che l’esperienza monastica ha recitato in un’epoca di
profonde trasformazioni sociali e culturali tra IV e VII secolo vuoi per la
promozione di nuove forme di vita sociale come le comunità cenobitiche vuoi per
la sperimentazione religiosa di frontiera promossa dai suoi "eroi” vuoi, infine,
perché lo studio delle varie forme monastiche permette di andare meglio al cuore
di problemi come il formarsi di un nuovo tipo di Chiesa, il ruolo recitato nella
costruzione dei cristianesimi nazionali postcalcedonesi, la politica religiosa
imperiale ed episcopale.
Questa
Introduzione si pone dunque come un
primo bilancio per il pubblico italiano di questa recente stagione di studi,
caratterizzata non solo dal crescere delle prospettive interpretative, ma anche
dall’allargarsi dello spettro delle fonti o da una loro rinnovata lettura. A
lungo la conoscenza del primo monachesimo è stata condizionata dalle fonti
letterarie e agiografiche e dal loro particolare modo di filtrare la realtà che
pretendevano di rappresentare attraverso lenti apologetiche e propagandistiche.
Il ricorso a fonti documentarie, in particolare papirologiche almeno per quanto
riguarda il caso fortunato dell’Egitto, la possibilità di accesso attraverso
nuove edizioni critiche a fonti importanti, il moltiplicarsi delle campagne
archeologiche, l’uso di altre fonti non letterarie, un utilizzo più attento di
fonti come quelle gnostiche, insieme a un lavoro di decostruzione delle fonti
tradizionali e a nuove e vincenti proposte interpretative, questo e altro ancora
hanno favorito nell’insieme una conoscenza sempre più capillare e approfondita
dei vari tipi di monachesimo dell’Oriente cristiano. Secondo una prospettiva che
ha a lungo dominato nella seconda metà del Novecento, sotto l’influenza della
scuola francese delle Annales, ampi
settori della ricerca storica dal medioevo al contemporaneo, anche il
monachesimo è diventato, in questi ultimi anni, un oggetto di studio "totale”.
Esso copre ormai settori trasversali che vanno dall’architettura allo studio
degli abiti, dalle sepolture al cibo, con un crescente privilegiamento della
vita materiale a scapito di quegli aspetti, come la spiritualità o la "teologia
monastica", che erano stati al centro della fase precedente della ricerca. È
troppo presto per dare una valutazione serena ed equilibrata di questo
cambiamento di prospettiva. Quel che pare evidente è che anche in questo caso
diventa sempre più difficile per il singolo studioso, col moltiplicarsi in
progressione geometrica della bibliografia, dominare questo campo, che esige
competenze specialistiche sempre più estese, non più solo filologiche, ma
papirologiche, archeologiche, economiche e così via. Di qui la necessità di
tentare dei bilanci e delle messe a punto che, per quanto destinate ad essere
superate dalla ricerca successiva, permettano di farsi un’idea del cammino
percorso e di intravedere possibili future piste di ricerca.
I saggi che seguono, disposti in
ordine cronologico, presentano un quadro generale dei vari tipi di monachesimo
in Egitto prima del concilio di Calcedonia (F. Vecoli,
L' Egitto tra IV e V secolo), in
Anatolia nella seconda metà del IV secolo (F. Fatti,
Monachesimo anatolico: Eustazio di
Sebastia e Basilio di Cesarea), nell’Egitto postcalcedonese (M.C. Giorda,
Il monachesimo egiziano tra il concilio di
Calcedonia [451 d.C.] e l’arrivo degli Arabi [VII sec.]), in Siria (Vittorio
Berti, Il monachesimo siriaco), infine
in Palestina (R,M. Parrinello, Il
monachesimo palestinese e quello sinaitico). Il saggio di R. Alciati (L’Oriente
in Occidente) presenta il modo in cui, attraverso la fondamentale mediazione
di Cassiano, la tradizione del monachesimo egizio è stata reinterpretata nella
Gallia della prima metà del V secolo.
Questa
Introduzione è limitata alla fase più
antica del monachesimo orientale. Essa esclude dunque altre forme monastiche,
pur significative, come quelle promosse da Agostino, né approfondisce, se non
per cenni, la "preistoria" del monachesimo occidentale. Su tutti questi aspetti
ed altri ancora esiste ormai un’ampia bibliografia cui il lettore può fare
riferimento.
Nonostante la sua complessità e
ricchezza, il monachesimo rimane un fenomeno essenzialmente religioso. Religiose
erano le motivazioni che spingevano gli eremiti nel deserto, religiose quelle
che inducevano a scegliere forme di vita comunitaria con lo scopo di perseguire
la salvezza attraverso la sequela Christi.
Questa prospettiva di fondo non va mai dimenticata nell’accostarsi ad un
fenomeno come il monachesimo. D’altro canto, oggi si è sempre più consapevoli
dell’inesauribilità del fenomeno religioso, che può essere accostato da una
molteplicità di punti di vista. Questa
Introduzione, senza pretesa di esaustività, cerca di mantener viva questa
duplice esigenza, fornendo nel contempo delle prospettive di lettura storica. Di
fronte a un fenomeno così paradossale come il monachesimo, un monachesimo che
sorge e si diffonde in un’epoca abissalmente diversa dalla nostra, ci si può
legittimamente chiedere se e fino a che punto la storia sia in grado di aiutarci
a comprendere un mondo cosi diverso. Certo, la storia non è l’unico né forse il
più sicuro cammino per realizzare questo scopo. Essa è, però, l’unico strumento
che la nostra tradizione culturale ha saputo elaborare per accostarsi in modo
critico, al vaglio della nostra ragione, all’Alterità, anche quella monastica,
così come essa si è manifestata nel passato.
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21 giugno 2014 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net