2. Il monachesimo di Gaza
Rosa Maria Parrinello
Estratto da “Monachesimo orientale – Un’introduzione” – Giovanni Filoramo (ed.) - Editrice Morcelliana 2010
2.1. Storia e geografia del monachesimo di Gaza
Gaza si trova in un’area di transizione tra il Mediterraneo temperato e il deserto arido. L’area che corrisponde all’attuale striscia di Gaza è lunga 40 km e le condizioni nell’area variano drasticamente da sud a est: così, per esempio. Gaza gode di 400 mm di pioggia annuale, Raphia, a 20 km a sud, ne ha solo 200. Lungo la valle si snoda la tradizionale via regia, che conferisce a Gaza il suo status di importante città portuale. Per quanto riguarda l’area di Gaza, l’abbondanza dell’acqua, il terreno fertile, il clima temperato e il mare pescoso la rendono ricca. Nel periodo bizantino, gli scavi archeologici attestano una grande fioritura della regione tra IV e VII secolo e dalle fonti apprendiamo che vi furono due grandi insediamenti imperiali, il Saltus Gerariticus e il Saltus Constantinianus e che essa fu il granaio della Palestina.
Il nome della città di Gaza [1] è, vocalizzato, ga-da-tu in egiziano, hazati o ha-zi-ti in assiro, ‘Azzah in ebraico, Ghazza o Ghazzeh in arabo. Stefano di Bisanzio nel VI secolo dice che si chiama anche ’Aζα e che i Siriani la chiamano in questo modo. Il nome è stato anche accostato a γάζα, tesoro. Gaza è una delle più antiche città del mondo in cui il sito è ancora abitato: si trova all’angolo sud-ovest della Palestina, a 4 km dal mare, su una pianura in una valle che è una vera e propria oasi, con giardini ben irrigati e assai fertile.
Se prestiamo credito a due fonti agiografiche, la Vita di Barione - monaco - scritta da Girolamo, e la Vita di Porfirio - vescovo - scritta da Marco il Diacono, le vicende della cristianizzazione di Gaza sono legate all’operato di alcune figure di prim’ordine. Barione, benedicendo il carro di un duumviro cristiano, ne determina la vittoria in una corsa di carri - in seguito alla sfida lanciata dai pagani -, cosa che provoca un gran numero di conversioni. La seconda Vita testimonia invece come ancora alla fine del IV secolo, Gaza fosse una città ricca, popolosa e piena di idoli: vi erano infatti 8 templi pagani, tra cui il celebre Marneion, ma solo 280 cristiani, che avevano a disposizione una vecchia chiesa che era stata edificata dal vescovo Asclepas (non tanto vecchia, dunque, visto che Asclepas è attivo nel 320-325). Porfirio, soprattutto grazie ai suoi poteri taumaturgici e nonostante l’ostilità della popolazione, riesce a ottenere la conversione di 866 pagani e, con l’appoggio imperiale, la chiusura e la distruzione dei templi, ivi compreso il Marneion, sostituito da una basilica imperiale, l’Eudossiana, in onore dell’imperatrice Eudocia, moglie di Arcadio e grande benefattrice, la cui dedica ebbe luogo il 14 aprile del 407. Anche Girolamo in una sua lettera attesta la distruzione del Marneion e, altrove, la trasformazione in chiesa.
Grazie ai legami di continuità fisica e spirituale con l’Egitto, il monachesimo di Gaza assume una fisionomia distinta rispetto all’insieme del movimento monastico della Palestina di età bizantina [2]. Il fiorire delle relazioni tra Egitto e Palestina fu nell’ultima decade del IV secolo e agli inizi del V, quando le persone cominciarono a spostarsi da Gerusalemme e dalla Palestina per fare visita ad Antonio e ad altri abba.
I monaci a Gaza sembrano partecipare attivamente alla vita della città, se è vero quanto leggiamo in Vita di Porfirio 92 in cui il diacono Marco afferma che alla dedicazione dell’Eudossiana parteciparono tutti i monaci del vicinato in numero di circa 1000. Per conto suo Girolamo testimonia che il monachesimo siro-palestinese sorse assai presto nella regione di Gaza grazie al già citato Barione, il cui esempio fece sì che si avessero ben duemila monaci, soprattutto dopo la conversione di Alafione di Asalea e della sua gens (Sozomeno, Storia ecclesiastica V,15,17).
Un contributo recente (Hirschfeld, 2004) fa il punto sugli scavi dei siti di monasteri a Gaza alla luce di nuove e importanti acquisizioni archeologiche. Il dato interessante è che, degli almeno dieci monasteri della regione, solo due sono stati identificati con certezza: quello di Seridos, e dunque di Barsanufio e Giovanni di Gaza, a Deir e-Nuserat, a sud-ovest di Gaza, e il monastero vicino a Khirbet Jemeth, a est di Gaza. 1 monasteri esaminati sono divisi in monasteri appartenenti alla cerchia più interna, alla cerchia intermedia e a quella esterna. Quelli per noi più interessanti sono i primi: il monastero supposto di Ilarione a Deir el-Balah, quello di Bethelea, ove vissero quattro suoi discepoli, quello di Silvano a Nathal Besor, quello di Zenone a Kefer Shearta, quello di Isaia a Beth Dallatha, quello di Pietro l’Iberico vicino a Maiuma, il porto di Gaza, quello di Severo in una laura vicino Maiuma. quello di Seridos e quello di Doroteo tra Gaza e Maiuma.
2.2. Per una mappa dei monasteri della regione di Gaza
Il monastero di Ilarione. Vi sono stati numerosi dibattiti sulla storicità della figura di Ilarione, che alcuni studiosi hanno pensato essere sostanzialmente un’invenzione di Girolamo [3]; anche la testimonianza di Sozomeno sembra essere in definitiva debitrice della vita geronimiana, almeno per quanto riguarda Storia ecclesiastica 5,10. In realtà le recenti acquisizioni archeologiche hanno contribuito a dare una concretezza storica assai maggiore a questa figura dai tratti evanescenti.
Il «Service des Antiquité de Palestine» e l’«École Biblique et Archéologique Française»[4] hanno inventariato a Gaza strati che vanno dall’Età del Ferro fino alla Tarda Antichità. Per quanto riguarda l’epoca che ci interessa, gli scavi hanno confermato che Ilarione “fondò” il monachesimo eremitico a Gaza prima del 330 nel villaggio di Thavatha - identificata con Umm el-Tut - vicino al Wadi Ghazzeh, il cui toponimo compare sulla «carta di Madaba», la celebre mappa-mosaico della Terra Santa, fabbricata nel VI secolo da artigiani appunto a Madaba, in Giordania. Ilarione, come si è già detto, aveva convertito al cristianesimo la famiglia di Sozomeno, lo storico ecclesiastico originario di Bethelia - Betulion nella carta di Madaba - che ospita successivamente un rifugio monastico, verosimilmente monofisita. Pietro l’Iberico fondò nel 486 una laura che dovette essere sita a Magdal Tutha vicino a Thavatha, nei pressi della chiesa di Ilarione; sempre a Thavatha troviamo in epoca successiva il monastero di Seridos. A Gerara sorgeva invece la laura del monaco Silvano: a fronte delle difficoltà di individuare con esattezza il sito, gli scavi propongono di identificarlo con Umm Jarrar, sulle colline di Bani Khamis. Merita rilevare che i monasteri della zona del Wadi Ghazzeh erano così vicini da vedersi gli uni con gli altri.
Per quanto riguarda Ilarione, il punto di partenza è la scoperta, a opera di un’équipe della cooperazione archeologica franco-palestinese, nell’autunno 2003, a una decina di chilometri da Gaza, cioè a Umm el-‘Amir, sul territorio della municipalità di Nuseirat, di un’iscrizione che nomina Ilarione («Per le preghiere e l’intercessione del nostro santo Padre Ilarione, riceviamo pietà»). Si tratta di un tipo di intercessione indirizzata in generale a Cristo, a Maria, agli apostoli e a i santi, dunque l’Ilarione in questione non è un Ilarione qualunque, ma il padre del monachesimo di Gaza. Qualche settimana più tardi fu portata alla luce la sua grotta, e alcuni dei resti del sito di Umm el-‘Amr, vicino a Deir el-Balah - che vuol dire monastero delle palme e probabilmente conserva nel nome la memoria del monastero di Ilarione, le cui celle erano costruite, appunto, con ramoscelli di palme - furono identificati con quelli del primo monastero di Ilarione fatto distruggere, almeno stando a Vita di Ilarione 23,6, da Giuliano quando divenne imperatore. Probabilmente, il monastero cui appartiene lo strato superiore a questo è da datare al ritorno dei resti di Ilarione da Creta nel 372, come anche l’epigrafe.
Ilarione, nativo di Thavatha[5], a cinque miglia da Gaza, studiò ad Alessandria, abbracciò la vita monastica sotto Antonio (306), si ritirò giovanissimo a sette miglia da Maiuma (nel 306-307?) e cominciò a fare vita anacoretica: questo monastero, fondato nel 329 (?), agli inizi consisteva in un gruppo di celle, secondo la tradizione egiziana, ma nel 354 era diventato così grande, poiché si era riunita una grande comunità cenobitica, che egli decise di lasciarlo; dunque, in cerca della xeniteia, che diventa un vero e proprio identity mark del monachesimo successivo, si recò in Egitto, in Siria, in Sicilia e in Dalmazia, per poi morire a Cipro nel 371. Il monastero fu fatto bruciare da Giuliano e poi fatto restaurare da Esichio, discepolo di Ilarione, sotto Giovanni di Gerusalemme. Il sito è senza dubbio in rapporto con la «chiesa Sant’Ilarione» che Giovanni Rufo situa a Magdal Tutha (Vita di Pietro l’Iberico). L’anonimo di Piacenza, anche noto come Antonino, il pellegrino di Piacenza, visita intorno al 570 Gaza, «civitas splendida deliciosa», accogliente per i pellegrini, e segnala «ad secundum miliarum» da Gaza la tomba di Sant’Ilarione (Itinerarium Antonini 33). Ancora, verso il 560 il responsabile dei toponimi nel mosaico di Madaba aveva collocato la località di Θαυαθα nei pressi del luogo ove si trovavano di fatto la tomba e il monastero di Sant’Ilarione. Integrando le varie fonti su Ilarione, si possono fornire una serie di dati utili sui ritrovamenti monastici: in particolare, i resti del monastero mostrano due poli architetturali affiancati, un complesso ecclesiastico a sud e i bagni e un ospizio a nord. Il complesso ecclesiastico comprende le chiese, la cripta, l’ingresso e i portici, i battisteri, una cappella, celle, il refettorio, una stradina interna e annessi come granai, cucine, latrine etc. Per quanto riguarda bagni e ospizio, essi probabilmente continuarono ad essere in funzione fino al periodo omayyade.
Il monastero di Isaia. Isaia «padre dei monaci» (secondo la definizione che ne dà Giovanni Rufo in Pleroforie 73), formatosi a Sceti, si stabilì dopo il 431 a Beth-Daltha (o Beit-Dalta), vivendo da recluso e comunicando con l’esterno tramite il discepolo Pietro l’Egiziano. Zaccaria lo Scolastico in Vita di Isaia testimonia che sorse attorno a lui una comunità. Alla sua morte il discepolo si mise sotto la guida di Pietro l’Iberico. Un monastero di Isaia è certamente esistito, poiché verso il 510 andò a rifugiarsi lì, vi morì e lì fu seppellito il monaco monofisita Epifanio, cacciato dal monastero di Silvano a Gerara (Giovanni Rufo, Pleroforie 48). Nella Vita di Isaia si parla di due monaci che abitano «diverse cellule» a Kaparbiana, villaggio di Gaza (PO 8,53).
Il monastero di abba Silvano. Esso si trovava, come si è detto, a Gerara, oggi Khirbet Umm-Djerar (Nahal Besor). Nel IV secolo Silvano, originario della Palestina, si formò come monaco a Sceti, ove ebbe attorno a sé una comunità di dodici monaci[6]; a causa delle incursioni dei Mazici, si trasferì in Siria e poi sul Sinai dove fu padre di numerosi solitari, per stabilirsi infine, appunto, a Gerara (Sozomeno, Historia ecclesiastica 6,32). Sozomeno ricorre al termine συνιοκία, indicando una comunità di persone che vivono insieme, e non al termine κοινόβιοη, che indica l’organizzazione monastica di tipo comunitario, a indicare il regime di tipo lauritico che seguiva il modello dei monasteri eremitici di Sceti o delle laure del deserto di Giuda, con celle eremitiche site lungo un corso d’acqua, con una chiesa ed edifici al centro per i bisogni della comunità. Zaccaria, discepolo prediletto di Silvano, gli succedette nella direzione del monastero fino al 415. Altro discepolo di Silvano fu Zenone, che condusse vita eremitica nel villaggio di Kafar Shearta, a 15 miglia a sud di Gaza, ove abbracciò l’eresia monofisita e morì nel 450: è presumibilmente lo stesso monaco cui sono attribuiti alcuni apoftegmi e fu il padre spirituale di Pietro l’Iberico. Ancora, un altro suo discepolo, Netra, divenne vescovo di Faran.
Il monastero di Pietro o di Teodoro. Intorno al 440 Pietro l’Iberico, principe georgiano, e Giovanni l’Eunuco, sodali di Isaia di Gaza, abbracciarono la vita monastica in un convento tra Gaza a Maiuma (Giovanni Rufo, Vita di Pietro l’Iberico 49; Evagrio Scolastico, Historia Ecclesiastica 3,33), dopo aver abbandonato il loro monastero degli Iberici a Gerusalemme a causa delle visite troppo frequenti dell’imperatrice Eudocia. Si trattava di un φροητιστήριον di dimensioni piuttosto modeste (Vita di Pietro l’Iberico 133) e senza dubbio è la laura di Maiuma di Gaza di cui parla Giovanni Rufo (Pleroforie 2) e che Zaccaria Scolastico chiama «il monastero di Pietro» (Vita di Severo 2,95) e «fondato dal divino Pietro». Zenone, discepolo di Silvano, gli annunciò un giorno che sarebbe diventato prete, cosa che accadde sette giorni dopo. Vescovo della città di Maiuma era allora Paolo, nipote di Giovenale, che aveva promesso a Pietro di lasciarlo in pace nel suo monastero e di non ordinarlo. Per mantenere la sua promessa, lo fece ordinare a forza da Ireneo, igumeno del monastero, e da numerosi vescovi venuti a celebrare la festa del martire Vittore. Pietro restò sette anni senza esercitare le funzioni del sacerdozio, fino a quando non fu giudicato degno dell’episcopato. Invano cercò di fuggire, ma dovette recarsi a Maiuma. È probabile che Pietro, una volta vescovo di Maiuma (458), abbia ripopolato il monastero dopo la dispersione dei monaci ordinata dall’imperatore Marciano nel 453. In seguito fu esiliato e si ritirò in Egitto: la fama dei suoi miracoli arrivò fino in Palestina, e gli abitanti cominciarono a provare un vivo risentimento per essere stati privati del loro pastore. Egli dunque tornò e si stabilì vicino ad Ascalona, ove cominciò a ricevere visite di persone che volevano il suo consiglio spirituale. Nel 486, mentre Pietro l’Iberico, privato della sua sede vescovile, vagabondava per la Palestina, Dionigi, σχολαστικός di Gaza, lo persuase a stabilirsi nel suo villaggio di Magdal Tavatha, a sud di Gaza, vicino alla chiesa di Sant’Ilarione e fece costruire, per lui e per i compagni, una dimora ove Pietro condusse vita monastica per tre anni (Vita di Pietro l’Iberico 100-101).
In punto di morte egli - che morì nel monastero di Jamnia nel 491 -, in una sorta di testamento spirituale, chiese esplicitamente ai monaci di trasformare la laura in cenobio, in ossequio ai valori monastici comunitari propugnati da Basilio (Vita di Pietro l’Iberico 144). Il monastero è detto anche «monastero di Teodoro» (Vita di Pietro l’Iberico 134) perché, dopo la morte di Pietro, Teodoro, legatario e successore di Pietro come igumeno, fece ingrandire considerevolmente la costruzione primitiva, che era in grado di ospitare solo i trenta monaci che allora l’abitavano. I lavori furono coronati dalla traslazione, il 30 novembre del 492, del corpo di Pietro nella nuova cripta (Vita di Pietro l’Iberico 142-145). L’altro erede e successore di Pietro è Giovanni il Canopita, nativo di Canopia, a due miglia a sud di Gaza, e che il monastero commemorava il 4 dicembre (ibi, p. 122).
Tra gli altri monaci di questo «gran monastero», vero bastione del monofisismo nel sud della Palestina, ricordiamo: Giovanni Rufo, successore di Pietro come vescovo di Maiuma (Vita di Pietro l’Iberico 9- 11); Evagrio di Samosata e sei studenti di Beirut entrati in monastero nel 492, poco prima di Severo, futuro patriarca d’Antiochia, sedotto anch’egli dalla regola, molto austera, del monastero (Vita di Severo 2,87-89 e 92-93). Dopo un soggiorno nel deserto di Eleuteropolis e nel convento di Romano - da non confondersi con l’archimandrita di seicento monaci a Tekoa, vicino a Gerusalemme, che mostrò un atteggiamento se non già conciliante, almeno non polemico nei confronti del concilio di Calcedonia, essendosi rifiutato di condannarlo nonostante le pressioni degli altri monaci (Vailhé, 1900, pp. 16-17) -, Severo ritornò nel monastero di Pietro (Vita di Severo 2,97). Si rifugiarono poi lì con Epifanio, vescovo di Magido in Pamfilia, deposto nel 477, Urbicia, diaconessa anti-calcedonense e figlia di un vescovo cretese che, dopo un pellegrinaggio a Gerusalemme, fondò un monastero vicino alla chiesa dell’Ascensione (Giovanni Rufo, Pleroforie 44) - bell’esempio di carisma di fondazione femminile monofisita - e il fratello Eufrasio, dopo la cacciata dalla loro fondazione monastica di Gerusalemme. Prima del 508 si rifugiò in quel monastero parte dei cento monaci della comunità monastica di Turgas, a Mar Bessos, presso Apamea, cacciati su ordine di Flaviano di Antiochia (Vita di Severo 2,111). Nel 519, tutti i monaci del monastero di Pietro l’Iberico furono cacciati dai Calcedonesi e si rifugiarono all’Enaton di Alessandria: tra di loro vi era anche un monaco di Gaza, Giovanni, che più tardi, nel 534-535, divenne vescovo di Hephaistos in Egitto (Giovanni di Efeso, Vita dei santi orientali 25).
Il monastero di Severo. Fu fondato intorno al 500 dal futuro patriarca di Antiochia, nelle vicinanze del monastero di Pietro l’Iberico (Zaccaria lo Scolastico, Vita di Severo 2,97). Severo vi seppellì il suo padrino di battesimo, Evagrio di Samosata, e vi accolse Pietro di Cesarea di Palestina e una parte dei cento monaci esiliati da Mar Bessos (Vita di Severo 2,97-98). Nel 508 Severo lasciò la Palestina e nel 512 fu eletto patriarca di Antiochia.
Il monastero di Seridos. Dovette essere fondato o rifondato alla fine del V secolo: igumeno fu, nel VI secolo, Seridos, cui successe Eliano. Vissero da reclusi Barsanufio e Giovanni e vi si formarono Doroteo e Dositeo. Alla fine del VI e agli inizi dell’VIII vi furono monaci il γέρωη (gheron, anziano)Vitale, apostolo delle prostitute alessandrine, e un discepolo (Leonzio di Neapolis, Vita di San Giovanni l’Elemosiniere 35).
Esso, come si è detto, è stato identificato con certezza con gli imponenti resti scoperti a Deir e-Nuserat, 1 km a sud di Thabatha e 2 km a sud di Nahal Besor, su un promontorio che separa la spiaggia dall’area coltivata a est. Il sito coincide con quello individuato per Ilarione: si tratta forse di un esempio di successione di comunità monastiche. Gli scavi hanno portato alla luce i resti di «a large and splendid coenobium». Entro le mura del monastero vi era un ampio cortile circondato da ingressi e numerosi ambienti, tra i quali possono essere individuati una chiesa con una cripta, i bagni e un ospizio. La chiesa aveva poi un pavimento con un mosaico policromo.
Gaza infatti aveva, in quel periodo, una scuola di mosaicisti la cui arte operò una sintesi tra l’Egitto e l’Oriente siriaco [7].
Il monastero di Doroteo. Esso fu fondato tra Gaza e Maiuma nel 545 da Doroteo, nativo di Antiochia, che morì negli anni ottanta del VI secolo. Egli si formò nel monastero di Seridos, ove fu prima sovrintendente dell’ospizio, poi responsabile dell’infermeria. Alla morte di Seridos e Giovanni, fondò, appunto, il proprio monastero.
Hirschfeld ha notato come questi monasteri formino un gruppo “denso”, con una concentrazione tra il sud-ovest e il nord-ovest di Gaza, una prossimità fisica che senza dubbio ha contribuito alla coesione sociale dei monaci; inoltre i monasteri sono vicini ai villaggi, cosa che dimostra che i monaci erano coinvolti nella vita della popolazione rurale e in quella religiosa e intellettuale di Gaza (Hirschfeld 2004, pp. 78-79).
Per quanto riguarda le altre due cerchie di monasteri, possiamo citare: il monasterium graecorum, localizzato da Guglielmo di Tiro a quattro miglia da Gaza, nella regione della cittadella crociata di Daron. Il suo nome deriverebbe da questa domus graecorum.
Infine, il grande e celebre monastero delle donne situato tra Ascalon e Gaza, in cui la persiana Susanna abbracciò lo stato monastico e praticò l’ascetismo per dieci anni. Nel 519, nel momento della cosiddetta persecuzione calcedonese, mentre il resto della comunità aderì alla cristologia ufficiale, Susanna, dovendo scegliere tra la fede calcedonese e l’esilio, preferì andare in esilio in Egitto con cinque consorelle (Giovanni di Efeso, Vita dei santi orientali 26).
La storia del monachesimo di Gaza deve moltissimo a Giovanni Rufo, vescovo di Maiuma, e a Zaccaria il Retore, avvocato a Gaza (e fratello di Procopio di Gaza?), autori delle biografie di Isaia, di Pietro l’Iberico e di Severo di Antiochia.
2.3. La legislazione giustinianea sul monachesimo
Momento centrale per la storia del monachesimo di Gaza - e non solo - è il 451, data del Concilio di Calcedonia, giacché la questione cristologica divise la chiesa e il monachesimo di Palestina tra i fautori del dogma calcedonese delle due nature di Cristo in una persona e i loro avversari, favorevoli alla formula dell’unica natura (da ciò la designazione tradizionale di monofisiti) che era stata difesa da Cirillo di Alessandria.
I monaci di Gaza, nel V secolo, si schierarono a favore della dottrina monofisita, giocando un ruolo molto attivo di opposizione alla politica filocalcedonese della chiesa e dell’impero (Perrone, 1980). Nel VI secolo, invece, anche i monaci di Gaza si assestarono, complice la legislazione giustinianea in questa direzione, sulla confessione del dogma calcedonese, ma gli ambienti monastici vennero comunque toccati dal riemergere della controversia sull’origenismo, che toccava particolarmente da vicino il mondo del monachesimo, poiché il pensiero di Origene vi era stato riproposto dal grande teorico dell’anacoretismo egiziano, Evagrio Pontico. La seconda crisi origenista, che sfociò nella condanna di Origene, Evagrio e Didimo di Alessandria nel Concilio di Costantinopoli del 553, vide coinvolte anche le comunità di Gaza.
Daniel Hombergen[8] affronta il problema dell’attitudine dei Padri di Gaza nei confronti delle speculazioni teologiche, partendo dalla vulgata che considera Barsanufio e Giovanni come i conservatori della pura tradizione monastica, cioè una tradizione di vita semplice, ereditata dagli Apoftegmi e da Isaia, versus la tradizione intellettualistica di stampo evagriano. Lo studioso contesta questa interpretazione per tre motivi: gli studi recenti sul monachesimo egiziano hanno messo fortemente in dubbio la contrapposizione tra una corrente maggioritaria di monaci incolti opposti a una minoranza marginale di intellettuali come Evagrio prima della crisi origenista del 400 [9]; Doroteo mostra apertamente le proprie simpatie per Evagrio; la recente scoperta della lettera 137b, cioè la meditazione di Barsanufio sulla lettera eta, dimostra chiaramente un influsso evagriano. Hombergen propende dunque, con altri studiosi, per ritenere che vi fosse un’unica grande tradizione monastica originale, focalizzata sul progresso spirituale, che va dalla prassi ascetica alla contemplazione per il tramite dell’interpretazione allegorica della Bibbia, e in cui Evagrio Pontico occupa un posto centrale. Dopo la prima controversia origenista l’immagine di questa tradizione sarebbe stata modificata dai redattori delle fonti posteriori (Apoftegmi, in particolare quelli attribuiti ad abba Poemen), che continuamente invitano alla cautela nei confronti dell’ideale mistico, cautela espressa però del resto già da Evagrio. In una lettera, la 605, Barsanufio parla del motivo per cui Dio ha permesso che alcuni grandi Padri del deserto abbiano deviato dalla retta fede, e afferma che nelle Scritture vi sono parole che sono di inciampo per gli incolti e per quanti non conoscono il senso spirituale della Scrittura e si chiede con uno “spirito” conforme a quello origeniano di Principi 4,2,9 e ricorrendo alla stessa terminologia - perché Dio non ha manifestamente aperto il senso spirituale della Scrittura sicché gli uomini non ne fossero danneggiati, ma ha lasciato ai santi, e in momenti determinati, la fatica della ricerca della soluzione.
Per quanto riguarda il rapporto del monachesimo del VI secolo con la legislazione di Giustiniano, solo recentemente gli studiosi hanno cominciato a occuparsene. Occorre prendere spunto storico e metodologico da quanto affermato da Bernard Flusin sulla centralità delle leggi imperiali, che non sono affatto rimaste lettera morta e che, «oltre al loro valore normativo e all’influenza durevole che hanno esercitato, sottolineano i problemi che lo sviluppo del monachesimo ha posto alla Chiesa e allo Stato». Esse costituiscono così, su un piano generale, «un prezioso punto di riferimento per una migliore comprensione di ciò che, nella Chiesa e nell’impero considerati globalmente, sono stati il fenomeno monastico e la sua storia»[10]. In particolare, Flusin mette in evidenza un dato assai interessante ai fini del nostro discorso, e cioè che il monastero di Seridos, in cui erano reclusi Barsanufio e Giovanni di Gaza, è la roccaforte del monachesimo calcedonese: esso rappresenta infatti agli occhi di Giustiniano il modello, il vero e proprio ideale di monastero (Flusin, 2002, p. 553).
La Novella 5 del marzo 535 de monachis, indirizzata a Epifanio, vescovo di Costantinopoli, riguarda i monasteri e la vita monastica. Essa è stata definita «forse uno dei testi spiritualmente più elevati dell’intera produzione giustinianea»[11]. Il cap. 3 è particolarmente interessante, perché sancisce la preferenza accordata alla forma cenobitica[12].
Il modello cenobitico che Giustiniano ha in mente è sicuramente quello basiliano, essendo il sistema pacomiano una roccaforte del monofisismo.
La Novella 133 del marzo 539, al cap. 1 ribadisce che a nessuno è lecito avere una propria dimora, né quella che è chiamata κελλιον, cella, se non nel caso del μóνos, del solitario che conduce una vita di contemplazione e di tranquillità (ησυχία), il quale può avere uno o due servitori. Se vi sono ancora monasteri con abitazioni separate per i monaci, devono essere modificati secondo le disposizioni date. Giustiniano ordina che il monastero abbia solo una o due porte, attentamente sorvegliate da anziani casti, che non permettano ai monaci di allontanarsi senza il permesso dell’igumeno né ad estranei di entrare Il monastero dovrà essere circondato da un muro, sicché si possa uscire solo dalla porta: la clausura è così un regime stretto che fa sì che i monaci si occupino unicamente delle cose di Dio.
La Novella 123, del 546, stabilisce che nei cenobi bisogna condurre vita in comune, come nelle altre novelle. In questo caso, però, si precisa che possono condurre vita solitaria nel monastero gli asceti, o coloro che a causa della vecchiaia o della malattia si trovano a vivere in celle separate [13].
2.4. Alcuni protagonisti
2.4.1. Isaia di Gaza, Pietro l’Iberico e Giovanni Rufo, anticalcedonesi
A Isaia, monaco formatosi a Sceti e in relazione con i più importanti Anziani protagonisti degli Apoftegmi (da Ammonas ad Agatone, da Poemen a Sisoes [14]), viene attribuito l’Asceticon. Sulla base di un passo della Vita di Isaia di Gaza, che fu esponente di spicco della Chiesa monofisita, amico di Pietro l'Iberico, e autore secondo la Vita stessa di molti scritti di edificazione monastica, si è proposto di identificare Isaia di Gaza con Isaia di Sceti. Questa identificazione, accettata da molti studiosi, da altri è stata per varie motivazioni rifiutata Oggi si propende per attribuire al gruppo di discepoli raccolti attorno a Isaia di Gaza, e dunque in Palestina, la raccolta del primo nucleo de gli Apophthegmata Patrum [15].
Tipica dell’elaborazione che avviene nel monachesimo di orientamento monofisita, e nella fattispecie con Pietro l’Iberico, è la tendenza verso forme di vita monastica capaci di armonizzare fra loro ideale eremitico e ideale cenobitico: Isaia di Gaza - ma prima di lui Ilarione - introduce infatti quella peculiarissima formula di un monaco recluso attorno alla quale si costituisce una comunità di tipo cenobitico che egli dirige attraverso un discepolo, nel suo caso Pietro l’Egiziano, formula ripresa da Barsanufio e Giovanni.
Attorno alla cella di Isaia si organizzò una comunità cenobitica, guidata da un abba designato da Isaia: la Vita di Pietro l’Iberico (capp. 100-104) ci attesta che il primo abba designato da Isaia fu appunto il suo discepolo Pietro che, secondo questa fonte, e solo secondo questa - poiché né la Vita Isaiae né le altre opere che parlano di Isaia lo attestano - era un prete. Isaia morì l’11 agosto del 491, seguito, il 4 dicembre, da Pietro (Vita di Pietro l’Iberico 124-126 e 145)[16].
Particolarmente complicata appare poi la questione filologica e testuale dell'Asceticon isaiano: il materiale si presenta sotto forma di discorsi o orazioni di lunghezza ineguale tra di loro. Il numero e l’ordine variano a seconda dei manoscritti: si parte da un minimo di 15 Discorsi per arrivare a un massimo di 32. Alcuni discorsi ci sono solo nella tradizione greca, altri solo nella tradizione siriaca e altri ancora solo nella redazione copta.
Argomenti di critica esterna permettono di considerare il testo greco come l’originale[17], e tuttavia la recensione siriaca è rappresentata da alcuni manoscritti più antichi di quelli greci, di qui la sua importanza per la tradizione testuale.
L'unica edizione del testo greco attualmente esistente è quella del monaco Augoustinos (Gerusalemme 1911, Volos 1962), fatta sulla base di una serie di manoscritti della Biblioteca patriarcale di Gerusalemme e di manoscritti sinaitici.
Pietro l’Iberico[18] nacque nel 412 o nel 417 da una coppia regale georgiana e all’età di dodici anni fu spedito come ostaggio alla corte di Teodosio II a Costantinopoli e a corte il giovane cominciò a desiderare di abbracciare la vita monastica. Partì dunque alla volta di Gerusalemme con l’amico Giovanni l’Eunuco. A Gerusalemme i due pellegrini andarono prima nel monastero di Melania sul monte degli Olivi, poi Pietro fondò un proprio monastero vicino alla Torre di Davide. Essi in seguito abbandonarono la città Santa e si recarono a Gaza. Pietro svolse un ruolo di prim’ordine nella rivolta dei monaci palestinesi del 451.
Giovanni Rufo[19] è considerato uno dei più importanti autori del movimento anticalcedonese in Palestina: le sue opere più importanti sono le più volte citate Vita di Pietro l ’Iberico e Pleroforie.
2.4.2. Barsanufio, Giovanni, Doroteo, calcedonesi
Di Barsanufio, un egiziano di lingua copta che scrive in greco, ignoriamo sia la data di nascita sia quella della morte: verosimilmente nato verso la metà del V secolo, si trasferì in una cella accanto al cenobio guidato da Seridos nei primi decenni del VI. Seridos si sottomise con tutta la comunità alla direzione spirituale di Barsanufio, fungendo da tramite con l’esterno per l’anziano monaco dedito al più assoluto isolamento. Per quanto riguarda Giovanni, egli fu discepolo di Barsanufio e abitò per diciotto anni nella prima cella del Grande Anziano, avendo come intermediario prima Seridos e poi Doroteo, figlio spirituale di entrambi i Reclusi. Giovanni morì poco tempo dopo Seridos, nel 543, e da quel momento Barsanufio si chiuse in un silenzio totale[20]. Barsanufio e Giovanni ci hanno lasciato un corposo Epistolario, che in realtà è una raccolta di domande e risposte, non già al modo delle Erotapocriseis, che in genere sono ricostruzioni fittizie di domande poste dai discepoli e risposte date dai maestri: la collezione infatti rappresenta la selezione, operata da un discepolo anonimo dei due monaci, delle lettere - che a volte però sono più simili a bigliettini - ritenute più significative dei due abba durante il loro lungo magistero di direzione spirituale. La contestualizzazione degli insegnamenti viene appunto fornita per il tramite delle domande poste dai figli spirituali, domande che riguardano tutte le sfere dell’esistenza, non solo monastica, da quelle più alte e speculative e quelle più pratiche e concrete. Questa fonte, per la sua stessa tipologia, è una vera e propria miniera di informazioni sulla pratica della direzione spirituale nel monachesimo tardo-antico, sulle modalità di coesistenza tra le diverse comunità religiose, sulla persistenza delle pratiche pagane e sul ruolo della magia in particolare negli strati più bassi della popolazione cristiana.
Doroteo di Gaza visse nel VI secolo: di origine antiochena, nacque verosimilmente intorno al 507-508 in una famiglia ricca. Fu dotato di solide competenze mediche e di una buona cultura profana. Dopo essere stato sotto la direzione spirituale dei due anziani di Gaza, in seguito alla morte di Giovanni, di Seridos e al definitivo isolamento in cui si chiuse Barsanufio, egli lasciò il monastero di Seridos per fondare a sua volta un cenobio, che dovette trovarsi tra Gaza e Maiuma[21], e ai monaci di questo cenobio egli indirizza i propri Insegnamenti spirituali (Διδασκαλία! ψυχωφελείς).
Kofsky[22] suggerisce che la cerchia monastica di Barsanufio, Giovanni, Seridos e Doroteo, in reazione al clima ecclesiastico di cambiamento politico e culturale, avesse subito una «transformation into a kind of cripto-Monophysitism». Egli parte dal problema del destino del monachesimo monofisita dopo la stagione di Isaia e Pietro l’Iberico e ipotizza che esso abbia avuto un prosieguo con Barsanufio, Giovanni e Doroteo, cripto-Monophysites, per l’influsso di Isaia sui personaggi or ora citati. Il problema a monte è che però nell’Ascetikon di Isaia è difficile trovare anche solo tracce di monofisismo. Nel caso di Barsanufio, Giovanni e Doroteo e, prima ancora, di Isaia, mi pare che sia stata tipica la relativizzazione del dato teologico, relativizzazione che contribuì a mantenere le comunità monastiche di Gaza “calcedonesi” sostanzialmente al riparo da situazioni di conflitto. Basti pensare, per quanto riguarda Isaia, al celebre passo, citato sempre come dimostrazione del suo monofisismo moderato, in cui l’abba consiglia a due monaci, che gli chiedevano se dovessero passare al monofisismo, di restare fedeli a Calcedonia perché nella chiesa non v’è peccato (Chitty, 1980, pp. 157-158), e che costituisce un significativo esempio, nella prospettiva isaiana, della marginalità del dato teologico.
2.5. L’Epistolario di Barsanufio e Giovanni
Si è detto brevemente della fisionomia dell’Epistolario, che è fonte di prim’ordine per ricostruire non solo le concrete modalità di vita e i rapporti tra i monaci tra di loro, ma anche i rapporti di un monastero con l’esterno.
Peculiare è, in esso, la riflessione sulla regola. Si è visto come Saba sia stato probabilmente il primo a introdurre una regola propria nel monachesimo palestinese. Effettivamente, se guardiamo all’Epistolario, la regola risulta la grande assente. Barsanufio soppianta la regola monastica con i precetti che egli dà individualmente, precetti che contengono da soli tutta la Bibbia e su cui l’anacoreta deve meditare: aspetti come l’astensione dal lavoro o l’uso o meno delle medicine sono considerati come non essenziali, sono αδιάφορα (lettera 32).
La lettera 86, incentrata sul problema del regime ascetico è eloquente:
«Tu devi un poco (μικρόν) salmodiare, un poco recitare a memoria, un poco esaminare e sorvegliare i tuoi pensieri. Colui che ha molta varietà di cibi nel suo pasto desidera mangiare molto; colui che invece mangia un solo cibo ogni giorno, non solo non lo desidera, ma in breve si disgusta di esso [...]. È solo dei perfetti abituarsi a prendere ogni giorno della stessa zuppa cotta senza disgustarsene. Non impedirti di leggere e pregare. Un po’ di questo e un po’ di quello, e trascorrerai la giornata piacendo a Dio. Poiché i nostri padri, che erano perfetti, non avevano una regola fissa. In tutto il giorno la loro regola era di salmodiare un poco a memoria, esaminare un poco i pensieri, occuparsi un poco del cibo, e questo nel timore di Dio»[23].
Barsanufio prende dunque a modello i “Padri del deserto”, che erano in qualche modo idioritmici, cioè sembravano regolarsi ognuno su un proprio ritmo ascetico.
Altrove, a un solitario che gli chiede una regola, Barsanufio risponde: «Un monaco di vita solitaria, soprattutto quando è infermo a letto, non ha regola. Sii come un uomo che mangia e beve quanto gli piace» (lettera 88) e nella lettera 17, dopo aver detto che il discernimento serve al monaco per decidere quale regime dietetico adottare in caso di malattia, aggiunge che «quando il corpo è malato non lo si nutre con il solito cibo. Dunque anche in ciò è inutile la regola (ό κανών)».
Il modello è il rythmos dei monaci di Scete: «non hanno ore né dicono odi, ma in solitudine compiono lavoro manuale e meditazione, e di tanto in tanto preghiera [...] Per i Vespri, gli Scetioti dicono dodici salmi, e alla fine di ciascuno, invece della dossologia, dicono Alleluia e fanno una preghiera» (lettera 143). Giovanni nella lettera 155 si richiama alla tradizione degli Anziani: «Essere temperanti è alzarsi da tavola un po’ meno che sazi, come gli anziani hanno prescritto ai novizi»[24]. La regola aurea è dunque quella del μικρόν, del restare un po’ al di sotto, non raggiungere la sazietà (lettera 156-157): egli dunque non è il padre spirituale della misura fissa, ma è il maestro del καιρoς, dell'agire secondo le proprie possibilità, del fare ciò che si può, tenendo conto della situazione e della personale condizione, che può richiedere di nutrirsi o di dormire più del solito, e la stessa misura vale anche per anacoreti e cenobiti.
L’Epistolario è assai ricco di indicazioni pratiche che riguardano problemi che vanno dalla gestione della cella, alla regolazione dei rapporti tra il monaco anziano e il suo servitore, all’interpretazione di passi biblici o della tradizione monastica, al comportamento da tenere durante i pasti, al tipo di accoglienza da fare ai fratelli stranieri, alle donne, ai girovaghi, alle cautele da prendersi nei confronti di eretici, pagani, ebrei, origenisti.
Utili sono anche le lettere nelle quali si parla della successione nel monastero alla morte di Seridos, che possono essere utilmente confrontate con quanto emerge nella normativa giustinianea a proposito dell’elezione degli igumeni (lettere 570-574).
Esse offrono inoltre uno spaccato socialmente rilevante, che emerge dalla tipologia dei laici che si rivolgevano al monastero dei due carismatici per riceverne il consiglio spirituale.
[1] Cfr., in generale, Perrone, 1977; Lorenzo Perrone, Per una storia della Palestina cristiana. La Storia della Chiesa di Terra Santa di Friedrich Heyer, in «Cristianesimo nella storia» 7 (1986), pp. 141-165. François-M. Abel, Histoire de la Palestine depuis la conquète d’Alexandrie jusq’à l’invasion arabe. Tome II. De la guerre juive à l’invasion arabe, Gabalda, Paris 1952, in part. pp. 322-392; Michael Avi-Yonah, The Jews under Roman and Byzantine Rule. A Political History of Palestine from the Bar Kokhba War to the arab Conquest, The Magness Press, Jerusalem 1984; Claudine M. Dauphin, The Christian communities of Palestina from Byzantine to Islamic rule, Darwin Press, Princeton 1988.
[2] Samuel Rubenson. The Egyptian Relations of Early Palestinian Monasticism, in Anthony O’Mahony-Goran Gunner-Kevork Hintlian (eds.), The christian Heritage in the Holy Land. Scorpion, Cavendish 1995, pp. 35-46; cfr. anche Philip Mayerson, The Desert of Southern Palestine according to Byzantine Sources, in «Proceedings of the American Philosophical Society» 107, 2(1963), pp. 160-172.
[3] Sulla questione della storicità o meno di Ilarione, cfr. Antonius A.R. Bastiaensen, Jeròme hagiographe, in Hagiographies. Volume I, Brepols, Turnhout 1994. pp. 97-123.
[4] Jean-Baptiste Humbert-Ayman Hassoune, Brefs regards sur les fouilles byzantines à Gaza e René Elter-Ayman Hassoune, Le monastère de saint Hilarion: les vestiges archéologiques du site de Umm el-Amr. in Catherine Saliou (ed.), Gaza dans l’Antiquité tardive. Archéologique, rhétorique et histoire. Actes du colloque International de Poitiers (6-7 mai 2004). Helios, Salerno 2005, pp. 1-40.
[5] Yaron Dan, On the ownership of the Lands of the village of Thavatha in the Byzantinc Period, in «Scripta classica israelitica» 5 (1979-1980), pp. 258-262,
[6] Michel Van Parys, Abba Silvain et ses disciples. Une famille monastique entre Scété et la Palestine à la fin du IVe et dans la première moitié du Ve siècles. in «Irenikon» LXI, 3-4(1988), pp. 315-331 e 451-480 (secondo lo studioso Silvano aveva undici discepoli: p. 315).
[7] Asher Ovadiah, Les mosaicistes de Gaza dans l’antiquité chrétienne, in «Revue biblique» XCII (1975), pp. 377-383.
[8] Le fonti scritturistiche e patristiche dei Padri di Gaza, in Kallistos Ware-André Louf-Leu Di Segni et Al., Il deserto di Gaza. Barsanufio, Giovanni e Doroteo, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose (Magnano) 2004, pp. 81-98.
[9] Il rimando d’obbligo è sicuramente agli studi della studiosa polacca Ewa Wipszycka che, in Le degré d’alphabetisation en Egypte byzantine, in Ead., Etudes sur le christianisme duns l’Égypte de l’antiquité tardive, Institutum Augustinianum, Roma 1996, pp. 107-126, ha dimostrato che i primi monaci erano per la più parte uomini colti, perfettamente bilingui ed esperti di cui tura greca, provenienti dall'élite copta che stava sorgendo nell’Egitto bizantino.
[10] Flusin, 2002, p. 514. Cfr. ora, anche Rosa Maria Parrinello, Prima e dopo Giustiniano. Le trasformazioni del monachesimo di Gaza, in «Annali di storia dell’esegesi» 23,1(2006), pp. 165- 193.
[11] Roberto Bonini, Note sulla legislazione giustinianea dell’anno 535, in Gian Gualberto Archi (ed.), L’imperatore Giustiniano. Storia e mito. Giornate di studio a Ravenna, 14-16 ottobre 1976, Giuffré, Milano 1978, p. 176.
[12] Corpus Iuris Civilis, editio sexta lucis ope expressa, volumen tertium. Novellae, recognovit Rudolfus Schoell, apud Weidmannos. Berlin 1959, pp. 31-32.
[13] Corpus Iuris Civilis, cit., p. 619.
[14] Lucien Regnault, Isaie de Scété ou de Gaza, in Dictionnaire de Spiritualité, Ascétique et Mystique VII (1971), col. 2083.
[15] Id., Les Apophtegmes des Pères en Palestine aux Ve - Vle siècle, in «Irénikon» LIV, 3(19811, pp. 320-330.
[16] Cfr. Derwas J. Chitty, Abba Isaiah, in «The Journal of Theological Studies. New Series» 22(1971), pp. 47-72.
[17] Antoine Guillaumont, La recension copte de l'«Ascéticon» de l'abbé Isaie, in Coptic Studies in honor of Walter Ewing Crum. The Second Bullettin of the Byzantine Institute, Byzantin Institute, Boston 1950, p. 49.
[18] J.-B. Chabot, Pierre l’Ibérien. Évéque monophysite de Mayouma (Gaza) à la fin du Ve siècle d’après une recente publication, in «Revue de l’Orient Latin» 3 (1895), pp. 367-397; Paul Devos, Quand Pierre l’Ibère vint-il à Jérusalem?, in «Analecta Bollandiana» 86 (1968), pp. 337- 350; Cornelia B. Hom, Peter the Iberian and Palestinian Anti-Chalcedonian Monasticism in Fifth and early Sixth-Century Gaza, in «Aram» 15 (2003), pp. 109-128.
[19] Cfr. Lorenzo Perrone, Dissenso dottrinale e propaganda visionaria: le Pleroforie di Giovanni di Maiuma, in Sogni, visioni e profezie nell'antico cristianesimo, Augustinianum, Roma 1989, pp. 451-495.
[20] Barsanufio e Giovanni di Gaza, Epistolario, tr., intr. e note a cura di M. Francesca Teresa Lovato e Luciana Mortari, Città Nuova, Roma 1991, pp. 7-66; SC 426, pp. 11-46; Bitton Ashkelony, 2006.
[21] SC 92, pp. 9-29; Dorotheos of Gaza, Discourses and Sayings, translated with an introduction of Eric P. Wheeler, Cistercian Publications, Kalamazoo, Michigan 1977, pp. 9-73.
[22] What Happened to the Monophysite Monasticism of Gaza?, in Bitton-Ashkelony-Kofsky, 2004, pp. 183-194.
[23] SC 427, pp. 372-375; Barsanufio e Giovanni di Gaza, Epistolario, p. 157.
[24] SC 450, pp. 548-549; Barsanufio e Giovanni di Gaza, Epistolario, p. 213.
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22 dicembre 2024 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net