MONACHESIMO FEMMINILE
Réginald Grégoire O.S:B.
Estratto dalla rivista “l’Ulivo”,
Congregazione Benedettina di Monte Oliveto,
Luglio-Dicembre 2007 – N.2
Conferenza tenuta dall’Autore alle Benedettine di S. Margherita di Fabriano
il 18 maggio 2007.
Non è facile scrivere qualcosa sulla storia del monachesimo femminile,
perché le fonti storiografiche sono disseminate; inoltre le monache spesso
preferiscono il silenzio e non consegnano alla Storia la realtà dell’origine
e della continuità delle loro comunità.
1.
Le vergini martiri
Sono le donne martiri, che preferiscono, con notevole forza di animo,
offrire la vita per Cristo piuttosto che perdere la verginità considerata
come scelta dell’unico Sposo, Cristo; questo è il significato del sacrificio
della vita di tante cristiane: Agata, Agnese, Anastasia, Barbara, Caterina,
Cecilia, Fabiola, Lucia, Lucina, Margherita (Marina), Prassede, Sabina,
Susanna, Teodora, ecc. La verginità è considerata come una scelta di vita.
Dal III secolo risultano titoli ufficiali: vergini sante, vergine sacre,
spose di Cristo, serve di Dio, donne di Dio, religiose (sanctimoniales):
titoli che risultano specialmente nell’epigrafia funeraria.
2.
L’ascetismo femminile urbano
Risultano donne sante che hanno scelto la verginità e la continenza, pur
rimanendo nel loro ambiente di vita.
Atanasio di Alessandria (a Roma negli anni 341-343) e Girolamo avevano
diffuso in Occidente il modello egiziano (la
Vita Antonii, redatta da Atanasio,
e tradotta in latino da Girolamo), in particolare tra le vedove e le vergini
romane. Notevole è lo sviluppo dell’ascetismo urbano nelle famiglie
aristocratiche, che sono guidate da S. Girolamo: S. Asella († 405 ca.), S.
Blesilla († 383), S. Lea († 384), S. Marcella († 410; sull’Aventino), S.
Paola († 406) con la figlia S. Eustochio († 419) (importante lettera 22 di
Girolamo ad Eustochio), Proba e altre ancora. Girolamo chiama la comunità di
Lea con il vocabolo monastero.
Le
loro dimore suburbicarie si trasformano quasi in monasteri, e in chiese.
Melania l’anziana si trasferisce in Palestina, nel 372, per vivere una
scelta monastica sotto la direzione di S. Girolamo († 419); l’esempio sarà
imitato da Paola e da Eustochio, e all’inizio del secolo V, da S. Melania la
giovane († 440) e dal marito Piniano († 432). La loro esistenza è centrata
dall’ amore per la S. Scrittura; cf. D. Gorce,
La lectio divina nell’ambiente
ascetico di san Girolamo, Bologna 1991 (trad. dell’ed. francese,
La lectio divina dès origines du
cénobitisme à saint Benoît et Cassiodore. Saint Jérôme et la lecture sacrée
dans le milieu ascétique romain, Parigi 1925).
3.
Prime attestazioni di ascetismo
comunitario
Sembra che le comunità femminili siano anteriori a quelle maschili.
Alla fine del secolo IV, sono attestate comunità femminili; Ambrogio († 397)
conferisce il velo a sua sorella Marcellina. Cf.
De virginibus (nel 393): “Mi torna in mente che recentemente una
fanciulla nobile al secolo, ora ancor più nobile davanti a Dio, mentre era
spinta dai genitori e dai parenti alle nozze, si rifugiò presso il santo
altare; e dove avrebbe potuto trovare migliore rifugio una vergine, se non
là dove si offre il sacrificio della verginità ? E non finì qui l’audacia.
Stava in piedi presso l’altare di Dio come vittima di pudore, vittima di
castità, ora imponendosi sul capo la destra del sacerdote, chiedendo che si
pronunciasse la preghiera di consacrazione, ora impaziente per la giusta
attesa e mettendo la testa sotto l’altare, diceva: Forse che mi coprirà
meglio il velo che l’altare, il quale santifica gli stessi veli? Meglio si
addice questo flammeo sul quale ogni giorno è consacrato il capo di tutti
Cristo. Che cosa fate voi, o parenti ? Perché insistete nel sollecitare il
mio animo a volere le nozze ? Già da tempo ho provveduto ad esse. Mi offrite
un marito ? Io ne ho trovato uno migliore” (Ambrogio,
De virginibus, I,65; ed. F. Gori,
Mediolani-Roma 1989, p. 161-163) (Sancti Ambrosii episcopi mediolanensis
opera, 14 / 1). Nel 393, egli descrive la vita di un gruppo di donne
bolognesi votate alla verginità: queste lasciano la famiglia per vivere in
comunità.: “E che dire delle vergini bolognesi, schiera feconda di pudore,
le quali rinunciando ai piaceri mondani abitano il santuario della
verginità? Senza marito, ma grazie alla compagnia del pudore hanno raggiunto
il numero di venti e quanto al frutto sono cento e, lasciata la casa dei
genitori, piantano le tende nell’accampamento di Cristo, come instancabili
soldati della castità. Ora fanno risuonare canti spirituali, ora si
procurano il cibo con il lavoro, cercano con il lavoro manuale di avere di
che fare l’elemosina”(id., op.cit.,
60; ed.cit., p. 159).
A
Milano, la vergine rimane in casa paterna: “Avete udito o genitori, con
quali virtù dovete educare le figlie, con quali insegnamenti istruirle,
perché possiate per i loro meriti redimere i vostri delitti. Una vergine è
un dono di Dio, è una grazia del padre, un servizio sacerdotale di castità.
Una vergine è un’offerta sacrificale della madre: la sua quotidiana
immolazione placa la potenza divina. Una vergine è una figlia inseparabile
per i genitori, che non richiede dote, che non li abbandona quando se ne va
in sposa, non manca di rispetto. (id.,
op.cit., 32; ed.cit., p. 135).
4.
Il monachesimo femminile in Tebaide
Nel deserto, accanto ai Padri del deserto, ci sono anche le Madri del
deserto: alcuni nominativi: Matrona, Melania, Sarra, Sincletica, Pelagia,
Teodora.(cf. Meterikon. I detti delle
madri del deserto, a c. di L. Coco, Milano 2002). Per esempio: “Amma
Sincletica disse: Se ti trovi in un cenobio, non cambiare luogo; ne
riceveresti gran danno. Come l’aquila che si allontana dalle uova le rende
improduttive e sterili, così si raffredda e muore la fede di una monaca se
erra di luogo in luogo”(cf. Sincletica, in
Vita e detti dei padri del deserto,
a c. di L. Mortari, I, Roma 1986, pp. 85-86). Nel 384 è segnalata una
comunità femminile in Tebaide. Quando la sorella di s. Pacomio († 346),
Maria, si presenta a Tabennisi per esservi accolta, Pacomio la avverte: “Se
vuoi entrare in questa santa vita per ottenere misericordia davanti a Dio,
esaminati accuratamente, e i fratelli costruiranno un edificio, dove potrai
ritirarti. Senza dubbio, grazie a te, il Signore farà venire altre sorelle,
che si salveranno per merito tuo” (Vita
copta di S. Pacomio, 27). Di Sincletica si conservano una trentina di
detti; essa segue in ordine alfabetico l’amma Sarà.
L’osservanza di queste comunità è nota. Per esempio, a proposito del
rispetto dell’isolamento e della clausura, Pacomio scrive: “Diciamo qualcosa
anche del monastero delle vergini. Nessuno vada a visitare se non chi ha là
la madre o la sorella o la figlia e parenti e cugine e la madre dei suoi
figli. Se poi ci sarà necessità di vederle perché prima di rinunziare la
mondo e di entrare in monastero spettava loro l’eredità paterna o vi è
qualche altro motivo manifesto, mandino con questi un uomo di età avanzata,
visitino quelle e tornino insieme. Nessuno vada da loro tranne quelli che
abbiamo detto sopra. Se vogliono vederle, prima lo facciano dire al padre
del monastero, questi li mandi dai seniori incaricati della cura delle
vergini. Essi vadano loro incontro e insieme vedano quelle con cui devono
parlare, con ogni disciplina e timor di Dio. Quando le vedranno non parlino
con loro di questioni secolaresche” (Regula
Pachomii, 143; ed. G. Turbessi,
Regole monastiche antiche, Roma 1974).
Risulta da questo testo una dipendenza della nascita del monachesimo
femminile dall’iniziativa degli uomini, forse sotto l’influsso di inveterate
tradizioni religiose, storiche e culturali che attribuivano a decisioni
maschili qualsiasi iniziativa rivolta alle donne.
Tuttavia è noto che c’erano peccatrici convertite (per esempio, Maria
Egiziaca, Maria Maddalena, Taisa-Tais-Taide) che abbracciavano una scelta
ascetica per ricuperare la loro vera identità (cf. B. Ward,
Donne del deserto, Bose 1995: illustra il caso delle prostitute
convertite, con il tema del pentimento).
5.
Il monachesimo femminile in Cappadocia
Nell’ascesi, S. Basilio († 379) è preceduto dalla sorella S. Macrina (†
380). Redatta dal fratello, S. Gregorio di Nissa, la Vita di Macrina è la
prima biografia cristiana di una donna (Lettera al solitario Olimpo; P.G.
46, 960-1000; ed. E. Marotta, Roma 1989; collana di testi patristici, 77). A
questa Vita corrisponde il dialogo
L’anima e la risurrezione, dove,
sul modello del dialogo platonico Il
Fedone, si narra il dialogo della monaca morente, con al capezzale
Gregorio, alcune consorelle e un medico. Macrina spiega l’esistenza della
vita eterna dopo la morte (ed. S. Lilla, Roma 1981; collana di testi
patristici, 26).
6.
Il monachesimo femminile in Africa
settentrionale
In
Africa settentrionale, s. Agostino di Ippona († 430), nel 391 crea a Tagaste
una comunità non clericale, per la quale scrive
De opere monachorum: primo trattato sul dovere monastico del lavoro
manuale; diventato vescovo di Ippona, trasforma l’episcopio in un monastero
per chierici. La Regola di Agostino, detta
Praeceptum, presenta una
recensione al femminile (ep. 211),
che sarebbe stata poi adattata per i monaci, forse da Eugippio († 535). Col
nome di Regula Augustini, si
indicano 3 opere: Consensoria
monachorum, Ordo monasterii,
Praeceptum. Il programma della sua
Regula ad servos Dei si ispira al modello della Chiesa primitiva di
Gerusalemme. Cf. L. Verheijen, La
regola di S. Agostino, 2 tomi, Palermo 1986- 1993. Dall’ambiente
agostiniano (forse opera di S. Alipio, † 430, discepolo di Agostino)
proviene l’Ordo monasterii. Per le
Regole di Agostino, cfr.sintesi di L.Verheijen,
Regula Augustini, in
Dizionario degli Istituti di
Perfezione 7 (1983), cc.1542-1554. La sorella di Agostino, rimasta
vedova, fondò un monastero a Ippone e ne divenne la
preposita.
Il
concilio di Ippona (393) e il concilio di Cartagine (397) prevedono che se
una vergine consacrata perde i genitori, il vescovo la affiderà a donne di
buona fama o ad altre vergini, per evitare di danneggiare la comunità
ecclesiale.
7.
Il monachesimo femminile in Italia
A
Vercelli, il vescovo S. Eusebio († 371) crea un cenobio per chierici, nel
345/346, e un monastero femminile affidato a sua sorella S. Eusebia
Gregorio Magno († 604) segnala la presenza della sorella gemella di s.
Benedetto, Scolastica († 547) che la tradizione propone come iniziatrice del
cenobitismo benedettino femminile: “La sorella del grande padre Benedetto,
di nome Scolastica, consacrata al Signore onnipotente fin dalla sua tenera
età, solea fargli visita una volta all’anno” (Gregorio Magno,
Dialoghi,II, 33; ed. San
Benedetto, un maestro di tutti i tempi.
Dialoghi e Regola, Padova 1981,
p.106). Sono state elaborate recensioni femminili della Regola di S.
Bnedetto, femminilizzando ove possibile, e quindi si incontrano
abbatissa, preposita, celleraria,
ecc.; inoltre sono stati eliminati alcuni capitoli: i sacerdoti del
monastero, i fratelli che partono in viaggio (cf. L. Cremaschi,
Regole monastiche femminili, Bose
2003, pp. 233- 285). Prova ne è che la Regola esiste in funzione di una
comunità. La comunità interpreta la Regola: A buon diritto E. Bianchi poteva
affermare che l’unico monastero dove fu vissuta la Regola di S. Benedetto
era stato Montecassino durante l’abbaziato dello stesso Benedetto (Regole monastiche d’Occidente, a c. di E. Bianchi, trad. e note di
C. Falchini, Torino 2002, pp. XI-XII). Il secondo concilio del Laterano
(1139) condannò le monache che non osservavano la
Regola di S. Benedetto.
Fisionomia particolare dell’”abbazia
nullius” S. Benedetto di Conversano (titolo
concesso dal papa Pasquale II, grazie al quale il convento venne esentato
dalla tutela vescovile, passando direttamente sotto la giurisdizione papale
nel 1110. N.d.r.),
dove risiedettero le monache cistercensi dal 1266 al 1810; la prima “badessa
mitrata” fu Dameta Paleologo; la badessa esercitava una giurisdizione
ecclesiastica.
8.
Il monachesimo femminile nelle Gallie
Una Regola ai monaci era stata
composta da S. Cesario di Arles († 542) negli anni 534-542, per il monastero
di cui egli era stato abate dal 499 al 502. Poi Cesario scrisse anche una
Regola per le vergini, destinata
al monastero femminile inaugurato nel 512.
Badessa importante: S. Teodechilde di Jouarre († ca. 563).
Ida di Boulogne, vedova, fondatrice di monasteri, oblata di Cluny (†1113).
S.
Ildemarca, badessa di Fécamp († ca. 677); S. Radegonda, regina, poi monaca a
Poitiers († 587); nota per aver ottenuto una reliquia della Croce
dall’imperatore Giustino II; in occasione dell’arrivo della reliquia,
Venanzo Fortunato scrisse nel 569 l’inno
Vexillas regis prodeunt; S.
Lutgarda di Aywières, cistercense († 1246).
9.
Il monachesimo femminile in Germania
Celebri sono le grandi badesse germaniche del secolo VIII. S. Erentrude,
badessa di Nonnberg († 718 ca.); S. Lioba († 782), e le discepole di S.
Bonifacio: S. Tecla di Kitzingen († fine secolo VIII), S. Walburga di
Heidenheim (secolo VIII), S. Guntilde in Turingia, e S. Bertgitta († secolo
VIII); S. Teofano di Essen († 1058/1060); S. Elisabetta di Schönau († 1164);
Iltrude di Bingen, benedettina († 1177); S. Ildegarde di Bingen, benedettina
(† 1179); Gertrude di Johanniszelle († ca. 1209); Gertrude, badessa
premostratense di Alltenberg († 1297); S. Matilde (Mectilde) di Hackenborn
(Helfta), monaca cistercense († 1299); S. Gertrude di Helfta, monaca
cistercense († 1301/1302).
Ida di Herzfeld, vedova († 813/825).
Presenza significativa di una domestica (verginità consacrata): S. Guntilde
di Suffersheim († 1057).
All’ambiente svedese: S. Brigida di Svezia, fondatrice dell’Ordine del S.
Salvatore in Alvastra († 1373).
10. Il monachesimo femminile in
Inghilterra
S.
Ebba, badessa di Coldingham († 683); s. Edith, badessa († 925); s. Ildelita,
badessa di Barking († secolo VII); b. Giuliana di Norwich († dopo 1416),
mistica e reclusa.
11. Il monachesimo femminile nei Paesi
Bassi
S.
Begga di Nivelles († 709), S. Gertude di Nivelles († 659), S. Vulftrude di
Nivelles († 669/670); S. Gertrude, badessa di Hamay († 649); S. Ida di
Léau-Rameige, cistercense († secolo XIII); S. Ida di Lovanio, monaca
cistercense († 1290 ca.); S. Iltrude di Liessies, vergine consacrata († 786
ca.).
12. Il monachesimo femminile nella
penisola iberica
Il
caso più singolare è quello di Egeria, che lascia l’Europa intorno al 380 e
visita, negli anni 380-384, i luoghi santi di Terra Santa, inviando alle
consorelle rimaste in Spagna il racconto (Itinerarium)
del suo lungo viaggio: Bitinia, Galazia, Cappadocia, Terra Santa (Haifa,
Lydda, Emmaus, Gerusalemme; deserto del Sinai; Antiochia, Edessa, Bosforo,
Costantinopoli).Cf. Egeria,
Pellegrinaggio in Terra Santa, a c. di N. Natalucci, Firenze 1991.
(Biblioteca patristica, 17).
B.
Ilduara, monaca di S. Maria di Villanueva († 941); b. Radegonda, benedettina
di Villa Mayor (Burgos), poi reclusa († 1156).
13. Casi singolari
Celebri sono le donne che adottano vesti maschili allo scopo di essere
ammesse in un monastero di uomini. Esempi analoghi: Anastasia (BS (Bibliotheca Sanctorum) I, cc.1030-1032), Atanasia (BS I, cc.
1178-1179), Apollinaria (BS II, c. 251), Eufrosina-Smaragdo (BS V, cc.
175-176), Eugenia (BS V, cc. 181-183); Reparata (BS XI, cc. 124-127),
Teodora (BS XII, cc. 220-221).
-
Anastasia: donna vergine travestita da uomo. Già dama di corte, per
conservare la sua verginità e per evitare le attenzioni dell’imperatore
Giustiniano, alla morte dell’imperatrice Teodora (548); si reca in Egitto e
divenne discepola dell’abate Daniele, nel monastero di Scete, con abiti
maschili, e con il nome di Anastasio l’eunuco. Visse per 28 anni in quella
solitudine; la sua femminilità fu rilevata dopo il suo decesso. “Nella
leggenda della santa patrizia Anastasia si riconosce facilmente uno dei temi
più familiari creati dalla fantasia degli agiografi greci, quello della
donna travestita da uomo che cela la sua condizione fino alla morte. La sua
biografia, inoltre, fa parte di una serie di racconti edificanti sorti
attorno alla figura di Daniele di Scete, e non è possibile discernere gli
eventuali elementi obiettivi” (G.M. Fusconi, in BS I, cc. 1039-1040). Altri
esempi analoghi: Eufrosina, Marina.
-
Andronico e Atanasia: sposi; Atanasia è la moglie di Andronico. Dopo un
pellegrinaggio in Palestina, Atanasia si reca nel monastero femminile di
Tabenna, e Andronico rimane presso s. Daniele di Scete. Dopo dodici anni,
Atanasia cerca una vita più austera, lascia Tabenna e veste abiti virili:
“Tale fu la sua magnanimità e il suo spirito di santificazione che ottenne
la direzione dei centri religiosi formatisi proprio in quel tempo in
Palestina e in Egitto. Andronico, desideroso di conoscere la vita tanto
celebrata di quei monasteri, si pose in viaggio per visitarli. Atanasia
appena lo vide, lo riconobbe e, senza rivelarsi, gli propose di entrare in
quel monastero, che ripeteva nel nome il numero delle miglia che lo separava
da Alessandria: il monastero XVIII. Dopo dodici anni, trascorsi nell’eroismo
e nella santa emulazione, Atanasia morì: solo allora Andronico ne conobbe
l’identità e chiese di essere sepolto al suo fianco, in Gerusalemme. La
vicenda di Andronico e Atanasia è una breve finzione letteraria ispirata ai
più frequenti luoghi comuni dell’agiografia monastica, viaggi e
travestimenti, priva, quindi, di qualunque autenticità” (M.V. Brandi, in BS
I, cc.1178-1179). - Apollinaria: santa, donna travestita con abiti maschili.
“Mancano su questo personaggio fonti storiche sicura. Le narrazioni che si
possiedono riportano graziose e romanzesche vicende… Durante gli anni
giovanili compì pellegrinaggi in Palestina e presso i monasteri egiziani.
L’esempio dei monaci la spinse ad emettere il voto di verginità. Abbandonate
le ricchezze, sotto spoglie maschili fu accolta in un monastero e vi rimase
per tutta la vita sotto la direzione di s. Macario col falso nome di
Doroteo; solo dopo la sua morte e per intervento miracoloso venne scoperto
il suo sesso. Questo tema della donna travestita da monaco, ricorre con una
certa frequenza nelle vitae
leggendarie, inclini ad assecondare il gusto romanzesco dei lettori”(G.D.
Gordini, in BS II, c. 251).
-
Eufrosina: nel secolo V. Eufrosina sarebbe una vergine santa di Alessandria;
promessa sposa, decide di fuggire e si rifugia in un monastero maschile
presso Alessandria, vivendovi sotto il nome di Smaragdo e facendosi passare
per eunuco. Dopo 38 anni, nell’imminenza del suo decesso, si svelò al padre.
“Gli acta, favolosi, appartengono
a un gruppo di tipici racconti di analogo tema” (P. Bertocchi, in BS V, cc.
175-176).
-
Eugenia: martire; appartiene al gruppo dei santi martiri Filippo, Claudia,
Sergio, Abdon, Proto, Giacinto... Rifiutando le nozze, aiutata dagli eunuchi
Proto e Giacinto suoi educatori, dopo aver indossato abiti virili, è accolta
in un monastero maschile, col nome di Eugenio. I monaci lo scelsero come
loro abate. Fu falsamente accusata (accusato) di essersi innamorata
(innamorato) della matrona Melanzia che non sospettava trattarsi di una
donna; in tribunale il finto Eugenio si rivelò la vera Eugenia. “Eugenia è
senz’altro una martire romana, ma di epoca imprecisata; probabilmente il
tempo potrebbe essere quello fra Commodo e Valeriano… Le reliquie della
martire riposano nella chiesa romana dei SS. Apostoli” (G.D. Gordini, in BS
V, cc. 181-184).
-
Ilaria, santa (?), figlia dell’imperatore Zenone (474-476, 477-491).
Attratta dalla vita monastica, all’età di 12 anni, in vesti maschili, arriva
in Egitto e si reca nel deserto di Scete; l’abate Bamu le conferisce l’abito
monastico; Ilaria diventa così l’eunuco Ilario. A Scete giunge la sorella
minore di Ilaria, alla ricerca di un guaritore; provvidenzialmente la
guarigione avviene per intervento del guaritore Ilario. L’imperatore,
informato, chiama a corte Ilario che svela la sua identità, dopo aver
ottenuto la promessa che sarebbe lasciata tornare in Egitto; l’imperatore
concede ai monaci una donazione annua di frumento e di olio. “Possiamo
pensare che i redattori di questo genere di racconti avessero uno scopo più
pratico, oltre al piacere. Il collegamento con l’imperatore Zenone e con i
monaci di Scete, verso i quali è presentato tanto generoso, potrebbe essere
stato ispirato a motivi analoghi a quelli che presiedettero alla redazione
della “pseudo-donazione costantiniana” in Occidente, ricordare cioè a
qualche imperatore meno favorevole ai monaci, la benevolenza e la generosità
di un predecessore meglio disposto… Il culto di Ilaria, peraltro, malgrado
la sua diffusione, non è penetrato nel mondo bizantino” (J-M. Sauget, in BS
VII, cc. 708-711).
-
Ildegonda, beata († 1188). Nata a Colonia, mendicante; vestita con abiti
maschili, partì in pellegrinaggio in Terra Santa; tornata in patria, “venne
giudicata colpevole di un furto non commesso e fu condannata
all’impiccagione. Scopertosi il vero ladro, questi venne impiccato, ma i
parenti di lui per vendetta impiccarono Ildegonda. Soccorsa da un angelo e
liberata da alcuni fanciulli ebbe dallo stesso angelo l’assicurazione che
sarebbe morta dopo tre anni. In ringraziamento di tutti i benefici ricevuti
da Dio, Ildegonda entrò allora nel monastero cistercense di Schönau, presso
Heidelberg, dissimulando il suo sesso e ricevette il nome di frate
Giuseppe”. La sua vera identità fu scoperta al momento del suo decesso, il
20 aprile 1188 (M.A. Dimier, in BS VII, cc. 767-768).
-
Marina (Maria) o Marino, monaca, santa. Ammessa in monastero con abiti
maschili e col nome Marino. Falsamente accusata di aver sedotto una giovane,
è espulsa dal monastero, dove sarà riammessa dopo 3 anni Al momento del
decesso, si scopre la sua identità e la calunnia di cui era stata oggetto.
“È ben difficile determinare il grado di fiducia che si può concedere a
questo racconto che presenta uno dei più celebri esempi del tema della donna
che, con un travestimento maschile, si fa passare per un eunuco (imberbe e
con la voce sottile) e può liberamente abbracciare la vita monastica” (J-M.
Sauget, in BS VIII 8, cc. 1165- 1169). Origine maronita.
-
Reparata, vergine, santa martire di Cesarea di Palestina (?). Anteriormente
alla metà del secolo IX non si trova traccia di un culto tributato a
Reparata; la sua Passio è molto diffusa in Occidente, “Con estrema
diffidenza si considera il testo della sua Passio, giacché bisogna ricordare
che lo stesso Martirologio di Beda […] non dà a Reparata altro titolo che
quello di ‘vergine’”. A proposito della breve notizia del Martirologio
Romano, J.-M. Sauget scrive: “In queste poche righe ci si rende subito conto
che sarebbe difficile trovare nel testo altro che una serie di luoghi
comuni, di cui il meno sospetto non è certamente la visione dell’anima della
martire che lascia il corpo sotto forma di colomba”. I calendari orientali
la ignorano. “Queste constatazioni inficiano fortemente le ragioni che
potrebbero dare un certo credito alle apparenti precisazioni fornite dalla
Passio, quale ne sia l’ordine cronologico o geografico. Una breve Vita
latina è intitolata De Reparata seu Margarita, Pelagius dicta. In questo documento,
Margherita, costretta dai genitori a sposarsi, lascia la camera nuziale e
sotto un travestimento maschile si rifugia in un monastero dove vive sotto
il nome di Pelagio. Accusata di aver sedotto una religiosa, subisce il
castigo per quella colpa; la sua innocenza sarà riconosciuta soltanto dopo
la morte; le si diede allora il nome di Reparata. “Anche qui ci si trova di
fronte ad un nuovo esempio di un tema ben noto, quello della donna che si
rifugia in vesti maschili in un monastero di uomini e che è accusata
falsamente di relazioni con una persona del suo vero sesso… Nel caso di cui
ora ci occupiamo bisogna notare il nome dato all’innocente: Reparata, colei
la cui reputazione era stata offesa ma che è stata reintegrata nella
innocenza. Ci si può chiedere se non sia tutto il simbolismo che si ispira a
questo nome che ha portato con sé naturalmente la fama della santa, come
valore di esempio per tutti coloro che si sentivano offesi nella loro
reputazione. Da qui a farne un martire non vi era che un passo” (J.M.
Sauget, in BS XI, cc. 124-127).
-Teodora, penitente. “Donna sposata, si comporta in modo troppo
accondiscendente con un corteggiatore; poi si pente, decide di espiare la
propria colpa, e travestitasi da uomo, fa il proprio ingresso in un
monastero situato a diciotto miglia di Alessandria, in cui vive per circa
otto anni, compiendo i più duri lavori. Un giorno però, una ragazza la
accusa di essere il padre del proprio figlio: Teodora accetta la calunnia e
si prende cura del bambino. Alla morte dell’abate, i monaci, ammirati per le
esemplari cure che ella ha avuto del bimbo, la vogliono a loro guida. Solo
dopo la morte di Teodora si scopre che era una donna” (F.A. Angarano, in BS
XII, cc. 220-221). L’episodio avvenne durante il regno dell’imperatore
Zenone (474-491).
14.
Donne solitarie
-
Ida di Fischingen, beata († ca. 1226 ca.)
-
Teoctista, solitaria nell’isola di Lesbo, santa (?). La base della Vita
incorporata da Simeone Metafrasta nel suo
Menologio, è un rimaneggiamento di
una narrazione di poco anteriore, elaborata da un certo Niceta Magistro e
udito da un cacciatore che ogni anno veniva all’isola di Lesbo (mar Egeo).
“Un giorno, prima di ritornare alla nave, il cacciatore era andato a pregare
nella chiesa deserta, e la sua attenzione era stata attirata da un fruscio
la cui causa, al primo momento, gli sfuggiva. Volle avvicinarsi, ma udì una
voce: ‘Non avanzare. Io sono una donna, non ho vesti e non voglio espormi
agli sguardi’. Il cacciatore gettò il suo mantello nella direzione da cui
giungeva la voce e vide subito comparire una donna il cui volto portava le
tracce della vita austera condotta per lunghi anni in solitudine. Era
Teoctista. Ella era di Lesbo. Una notte, gli Arabi di Creta avevano fatto
un’incursione sull’isola, presso Metimma, e l’avevano presa prigioniera con
un gran numero di altre persone. Al ritorno, durante una sosta a Paro,
Teoctista era riuscita a staccarsi dal gruppo dei prigionieri e si era
nascosta nei boschi. I corsari ripartirono senza notare la sua assenza, ed
ella rimase sola nell’isola, trascorrendo il tempo nella contemplazione
delle cose sante e vivendo dei prodotti naturali del suolo. A lungo andare i
suoi abiti erano caduti a brandelli senza che ella potesse trovare il modo
di sostituirli”. L’anno seguente, il cacciatore torna, portando con sé
l’eucarestia per Teoctista, a sua richiesta. Terminata la caccia, vuole
salutare la solitaria, ma la trova morta; la seppellisce, ma le taglia una
mano, per reliquia. La nave non riesce a muoversi; il cacciatore indovina il
significato di quell’avvertimento celeste, torna per riporre presso la salma
di Teoctista la mano tagliata. In seguito la nave si muove e parte come se
avesse le ali. I marinai, avvertiti, vogliono venerare le reliquie. “Si
invertì la rotta e tutti si recarono al luogo della sepoltura. Nuovo
mistero: il corpo era scomparso”.
H.
Delehaye [bollandista, specialista della letteratura agiografica] non ha
difficoltà nel riconoscere, nella storia di Teoctista raccontata da Niceta
come l’aveva saputa dal cacciatore di Eubea, la storia della penitente Maria
Egiziaca in cui il ruolo del prete Zosimo è assunto, nella presente
narrazione, dallo stesso cacciatore di Eubea. “Se l’episodio della mano
rubata e restituita potrebbe essere stato solo un artificio letterario per
aggiungere interesse al racconto, quello della scomparsa misteriosa del
corpo aveva come scopo principale quello di non suscitare diffidenza
sull’autenticità di una santa di cui non si possedevano reliquie”. Oggi le
reliquie sono custodite in un villaggio dell’isola di Icaria. La memoria
liturgica fu introdotta nei sinassari bizantini; nel
Martirologio Romano è stata
inserita dal Baronio al 10 novembre “introducendo così in Occidente il culto
di questo personaggio leggendario” (J.-M. Sauget, in BS XII, cc. 205-207). -
Teopista, reclusa, santa (?). Era una donna sposata che aveva avuto un
figlio. Alla morte del marito, si recò dal vescovo Macario di Nikiu, e si
fece reclusa; alla conclusione dell’anno di prova, il vescovo la dimenticò,
e, solo dopo una visione celeste, andò a trovarla. Era morta. “Si può dire
che se è vissuta prima del secolo V, può essere ritenuta cattolica. Però
tutti i sinassari […] sono delle Chiese dissidenti in Egitto” (S. Kur, in BS
XII, cc. 360-361).
15.
Monasteri doppi
L’autorità di governo delle comunità doppie (donne e uomini, in edifici
separati) spettava alla badessa. I monasteri doppi erano previsti dalle
Regole di Basilio, malgrado i successivi divieti di Giustiniano e del
patriarca Epifanio (520-535), e quelli del secondo concilio di Nicea (787);
furono soppressi all’inizio del secolo IX con l’intervento energico di
Niceforo e di Teodoro Studita. Cf. A. Solignac,
art. cit., cc. 1604-1605
Esempi in Occidente:
Nivelles, fondato da S. Itta († 652). Alla stessa epoca, fondazione di S.
Maria di Laon e di Chelles, Remirement, fondazione doppia, metteva
l’autorità nelle mani dell’abate.
Fontevraud, nel 1101, da Roberto di Arbrissel († 1117).
S.
Salvatore del Goleto, da S. Marina († ca. 1193).
S.
Pietro di Luco (Mugello), da Rodolfo, IV priore di Camaldoli (inizio secolo
XII).
Alavastra, da S. Brigida († 1371).
Attualmente, nel monastero di Bec-Hellouin (Normandia), accanto alla
comunità olivetana maschile, esiste una comunità di oblate-monache, che
emettono la professione nelle mani dell’abate di Bec, mentre la comunità
femminile è guidata da una priora e dal proprio capitolo conventuale; la
domenica la liturgia è celebrata insieme dalle due comunità.
Altra comunità monastica mista (in edifici separati), ma liturgia celebrata
in comune: Bose (Biella); Mont-Saint-Michel (Normandia).
Per tali fondazioni, che esistono ancora nella Chiesa siriaca, con le
comunità dei “figli e delle figlie del Patto”, cf. J. Leclercq,
Femminile, Monachesimo, in Dizionario degli Istituti di Perfezione
III, 1976, cc .1446.-1447; A. Solignac, Le monachisme féminin, in
Dictionnaire de spiritualité, X,
68/69, 1980, cc. 1604-1605; D. Léger-B. Hervieu,
Des communautés pour les temps
difficiles. Néo- ruraux ou
nouveaux moines, Paris 1983; A. Valerio,
Cristianesimo al femminile (Donne protagoniste nella storia della Chiesa),
Napoli 1991, pp.69-69.; F. Lenoir, Les communautés nouvelles. Interviews des fondateurs, Paris 1998.
16.
Elenco di Regole femminili
1.
Agostino († 430)
-
Ordo monasterii: trascrizione al
femminile della Regola di Agostino, redatta nel 395 per la comunità
femminile di Tagaste; ed. Cremaschi, pp. 5-9, in 14 articoli.
-
Regola: per un monastero femminile
di Ippona, redatta negli anni 411/430; ed. Cremaschi, pp. 13-25 ; 8
articoli.
2.
Cesario di Arles († 542): Regola per
le vergini: per il monastero di S. Giovanni Battista presieduto da sua
sorella Cesaria. Prima Regola femminile (le precedenti erano adattamenti di
regole maschili). Redazione: tra il 512 e il 530/534; ed. Cremaschi, pp.
31-65; 73 articoli.
3.
Aureliano († 551): Regola per le
vergini: per il nuovo monastero s. Maria in Arles, tra il 546 e il 551;
ed. Cremaschi, pp. 69-86; 42 articoli.
4.
Colombano († 615): Regola. Testo
mutilo all’inizio e alla fine. Redazione dell’inizio del secolo VII; ed.
Cremaschi, pp. 89-94. 19 articoli.
5.
Leandro di Siviglia († 600/601): De
institutione virginum et de contemptu mundi, indirizzato a sua sorella
Fiorentina intorno al 580 in occasione della sua professione monastica. Ed.
Cremaschi, pp. 97-127; 28 articoli.
6.
Valdeberto († inizio sec. VII) discepolo di Colombano. Redatta per il
monastero di Faremoutiers. Anonima
Regula cuiusdam patris, prima del 629 (quando fu eletto abate di
Luxeuil); ed. Cremaschi, pp. 141-168; 24 articoli.
7.
Regola Psallendo. Frammento
anonimo della seconda metà del secolo VII e all’inizio dell’VIII; influssi
di Cesario di Arles e della Regola di S. Benedetto trascritta al femminile;
ed. Cremaschi, pp. 171-175; 2 articoli.
8.
Donato, vescovo di Besançon (dal 626). Scrisse una
Regola per il monastero di Jussamoutier a richiesta della badessa
Gautstrude; ed. Cremaschi, pp. 177-222; 77 articoli.
9.
Abelardo († 1142). Regola scritta
per il monastero del Paracleto fondato nel 1127 per Eloisa; ed. Cremaschi,
pp. 289-373; 110 articoli. Non fu mai utilizzata; la comunità preferì
seguire le Institutiones nostrae
di Eloisa (ed. Cremaschi, pp. 377-383, 13 articoli).
Il
2° concilio del Laterano (1139) condannò le monache che non osservavano la
Regola di S. Benedetto: “Stabiliamo che sia abolito, inoltre, il dannoso e
destabile costume di certe donne che, pur non vivendo secondo la regola del
beato Benedetto, di Basilio e di Agostino, desiderano tuttavia passare per
monache dinanzi al popolo. Quelle che vivono nei monasteri secondo la loro
regola, devono condurre vita comune sia in chiesa che in refettorio e in
dormitorio. Le altre invece si fanno costruire dei luoghi di ritiro e case
private, in cui sotto l’apparenza dell’ospitalità non si vergognano di
ricevere continuamente ospiti e persone affatto religiose, contro i sacri
canoni e i buoni costumi. Poiché ogni uomo che fa il male odia la luce e
anche queste donne, nascoste nella tenda dei giusti, credono di poter
sfuggire gli occhi del Giudice che vede tutto, noi proibiamo in tutti i modi
che si perpetui uno scandalo così vergognoso e detestabile e lo vietiamo
sotto pena di anatema” (can. 26; ed. G. Alberigo,
Conciliorum Oecumenicorum
Decreta, ed. bilingue, Bologna
1991, p. 203).
10. Roberto di Arbrissel († 1117)
Regola di Fontevraud. Si tratta di una Regola per una comunità doppia,
fondata nel 1101; i fratelli (che non erano né monaci né canonici) erano a
servizio delle sorelle. Si affianca alla Regola di S. Benedetto Alla morte
di Roberto, l’Ordine comprendeva una ventina di monasteri e circa 2000
monache; ed. Cremaschi, pp. 387-391; 12 articoli.
Non si prende in considerazione la
forma vitae di S. Chiara, per le Damianite, approvata da Innocenzo IV il
9 agosto 1253 (ed. Cremaschi, pp. 397-412). L’orientamento non è
benedettino.
Conclusioni
Il
monachesimo femminile è bene attestato; le sue caratteristiche corrispondono
a quelle del monachesimo maschile, con ogni proporzione.
Sotto il profilo antropologico, si può rilevare la realtà femminile in età
medievale. È difficile oggi capire ciò che era la vita di una donna nel
medio evo, specie se entrava in comunità. “La vita della donna era
estremamente dura, e tale situazione si protrarrà a lungo nel tempo, tanto
che ne troveremo ancora conferme fin nel basso medio evo e oltre. Senza
potere economico, inserita nella struttura sociale soltanto attraverso il
matrimonio, che di solito le viene imposto, destinata a morire giovanissima
di parto, la donna della tarda antichità e del medioevo è quasi sempre
analfabeta (è il monastero che le si insegnerà a leggere perché possa
recitare il salterio), del rapporto con l’uomo conosce solo la brutalità
sessuale e l’autorità assoluta, e di se stessa è invitata a vedere solo la
sua essenza di caput malorum e di
strumento del diavolo” (I. Magli, Monachesimo, II, Il problema
antropologico-culturale del Monachesimo femminile, in
Enciclopedia delle Religioni, IV, Firenze 1972, c. 651). Partendo
dal giudizio della sociologa Ida Magli, si rileva che la donna monaca non si
limitava a leggere i salmi, ma leggeva la Bibbia per la
lectio divina (ciò implicava la necessità di conoscere il latino);
nel monastero le donne gestivano la loro esistenza, il loro sistema
lavorativo e economico: in quel gruppo tutte avevano accesso, ed erano
guidate da una badessa liberamente eletta. Soltanto il tardivo sistema della
dote divise la comunità in coriste e in converse, distinguendo le monache in
due categorie fondate sulla disponibilità finanziaria al momento
dell’ingresso (tutto dipendeva dunque dai genitori di ognuna). Ciò
corrispondeva al sistema sociale del tempo.
Bibliografia generale:
Regole monastiche femminili,
a c. di L. Cremaschi, Bose 2003.
Index de monialibus:
PL 220, cc. 713-720 (utile per l’età antica e il medio evo).
Ph. Scmitz, Histoire
de l’Orde de saint Benoit, VII,
Les moniales, Maredsous 1956.
J.
Leclercq, Femminile, Monachesimo,
in Dizionario degli Istituti di
Perfezione III, 1976, cc. 1445- 1451.
A.
Solignac, Le monachisme féminin,
in Dictionnaire de spiritualité, X
/ 68-69 (1979), cc. 1603-1609.
M.
Carpinello, Il monachesimo femminile,
Milano 2002.
Réginald Grégoire
Monastero S. Silvestro Abate
60044 Fabriano
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10 novembre 2021
a cura
di
Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net