7. Monachesimo
Maciej Bielawski O.S.B.
Estratto da “Il monachesimo bizantino”, ed. Abbazia San Benedetto Seregno 2003
Messo a disposizione dall’autore sul sito academia.edu
Il discorso sul monachesimo bizantino femminile si colloca all’interno di quanto si può dire sulla donna sia nel monachesimo antico e medievale in genere, sia a Bisanzio. Le donne fecero parte integrante del movimento monastico fin dai suoi inizi. Basti ricordare ad esempio l’esistenza di un monastero di monache nelle vicinanze della comunità di Pacomio, la figura di Macrina - sorella di Basilio -, donne come Marcella, Paola ed Eustochio nella ricerca monastica di Girolamo, o anche l’impegno del vescovo Ambrogio a favore delle vergini consacrate della sua diocesi. Il monachesimo antico ha lasciato alla posterità alcuni monumenti letterari di primaria importanza, a cui il monachesimo femminile farà riferimento lungo i secoli successivi. Si pensi soprattutto alla Vita di Macrina, scritta de Gregorio di Nissa, che per certi versi potrebbe essere considerata il manifesto della vita monastica femminile in assoluto. Altro esempio in questo campo è fornito dalla Vita di Sincletica, scritta da un anonimo, poi chiamato Pseudo Atanasio, che descrive le vicende di una donna macedone, vissuta in Egitto nel IV secolo. Tra gli Apoftegmi dei padri del deserto alcuni si riferiscono a Teodora, che lasciò il marito e, per non essere da lui ritrovata, si “travestì” e si nascose in un monastero maschile. Inoltre, se la Vita di Macrina individua la posizione della monaca all’interno di una comunità e nella ricerca dell’amorosa saggezza di Cristo, la Vita di Sincletica mostra una donna dedita alla vita solitaria - una forma di vita, bisogna subito chiarire, abbracciata e vissuta molto più raramente dalle donne. Invece, l’esempio di Teodora, con la sua fuga e il suo travestimento, apre a una dimensione, se non ambigua, almeno sconcertante anche per le monache del mondo bizantino. La prevalenza della vita monastica femminile comunitaria, rispetto a quella eremitica, e anche una certa difficoltà a ritrovarsi nell’ambiente ecclesiale e dei monaci, costituirono le coordinate caratteristiche del monachesimo bizantino femminile. E ancora - in via di premessa -, il poco materiale che possediamo riguardo a questo monachesimo è stato quasi esclusivamente scritto da uomini. Le monache di Bisanzio hanno scritto poco o pressoché nulla - questo mondo non ha avuto personalità femminili come Ildegarde, Gertrude o Caterina di Siena, che così profondamente segnarono il mondo monastico ed ecclesiale del cristianesimo occidentale.
Il mondo bizantino in genere ha avuto uno strano, se non ambiguo, rapporto con la donna, e ciò ha notevolmente influito sul monachesimo femminile. Da una parte, la donna era emarginata, considerata la “causa di tutte le umane tribolazioni”, e non di rado demonizzata - spesso proprio nella letteratura ascetica e nella legislazione monastica. Dall’altra parte, la storia dell’Impero bizantino è stata spesso portata avanti proprio da grande figure femminili, che o si sono poste accanto ai loro mariti imperatori (si pensi a Teodora, moglie di Giustiniano), o da sole e in prima persona hanno regnato sul trono (come per esempio Irene, durante l’epoca iconoclasta). La donna a Bisanzio era vista, lodata e destinata soprattutto come moglie, madre feconda e organizzatrice del focolare domestico. L’ideale di donna asceta, filosofa, monaca ha molto poco influenzato questa società - e ciò, almeno in parte, spiega una sua mancata dimensione monastica. La donna era inserita nell’ambiente sociale e questa particolare forma di emancipazione - come ad esempio quella di rinunciare al matrimonio, alla maternità e alla dipendenza dalla cerchia familiare - non sempre era ben vista o appoggiata. Ovviamente, non sono mancati esempi contrari a questo atteggiamento, come si vedrà, ma sono solo le eccezioni che confermano la regola. Di conseguenza, il culto, le opere agiografiche e l’iconografia, così importante per questa chiesa, dedicate alle sante monache erano a Bisanzio relativamente poche, se non rare, in confronto a quelle dedicate ai monaci. La donna poi, a differenza degli uomini, poteva molto poco godere di un’educazione appropriata - perciò le scrittrici, le poetesse, le pittrici e le musiciste nella storia della cultura bizantina erano rare. Ciò spiega anche la quasi totale mancanza di letteratura monastica femminile. D’altra parte, però, una buona quantità di materiale, da cui ricavare informazioni sulle donne bizantine in genere, proviene da fonti monastiche. Si può dire che, anche se il monachesimo bizantino non sempre metteva in risalto la donna, è stata proprio la cultura monastica a dare loro voce e una certa presenza nella storia.
Una delle caratteristiche tipiche del monachesimo bizantino femminile, almeno nel periodo di passaggio dall’antichità cristiana al vero e proprio monachesimo bizantino, sono le monache travestite da monaci. Si possono elencare diverse cause di tale fenomeno. Una, forse la più ovvia e banale, era la semplice fuga e il desiderio di nascondersi. Così, ad esempio, Madre Teodora, presente nella collezione alfabetica degli Apoftegmata, lasciò suo marito (come si può vedere, in questo mondo non solo gli uomini abbandonavano le loro mogli per farsi monaci) e, per non essere da lui ritrovata, non si stabilì in un monastero femminile, ma si travestì da uomo ed entrò col nome di Teodoro nel monastero maschile di Oktokedekon, situato a una ventina di chilometri da Alessandria. Per rendere la storia ancora più pittoresca, il suo agiografo racconta che dopo alcuni anni qualcuno lasciò presso la sua cella un bambino di cui Teodoro (cioè Teodora) fu accusata di essere il padre! Teodoro (Teodora) non si oppose all’accusa, accettò l’esilio dal monastero e si prese cura del bimbo. Dopo alcuni anni tornò nel monastero, ma soltanto dopo la sua morte si scoprì che il monaco Teodoro era una donna. Forse, tale comportamento delle donne era causato anche dall’impossibilità di una vita veramente monastica, sia in un monastero, sia soprattutto nella solitudine, per cui una donna, attratta da una vocazione eremitica o monastica, per realizzarla doveva nascondersi sotto le vesti di uomo. Senza dubbio, anche tali racconti delle vite di queste monache sono stati un po’ colorati dai loro agiografi, e velati di una leggera nota polemica, con la quale questi volevano affermare che le donne forse sono più brave dei monaci nella rinuncia e nel combattere il demonio nella solitudine.
È pur certo che alcune di queste donne presero la via della vita monastica dopo aver subito abusi da parte dei loro mariti - cercavano cioè di cambiare l’inferno o il “martirio” del matrimonio con la quiete della solitudine o della vita semi-nascosta in un convento maschile. Le biografie di alcune di queste monache, come per esempio quella di santa Maria di Perge, del V secolo, sono veri e propri romanzi, dietro i quali giace tuttavia un pizzico di verità che, benché crudele e drammatica, deve essere tenuta presente quando si pensa a questo monachesimo. Maria, infatti, fuggì il proprio cattivo marito Domiziano e, travestitasi da eunuco (la questione degli eunuchi a Bisanzio è un capitolo a parte che qui non può essere discusso), riuscì ad entrare nel monastero di san Bassiano. Scoperta dal marito fuggì ad Efeso dove entrò in un altro monastero maschile e divenne col tempo persino abate della comunità (!). Ma anche qui il marito riuscì a rintracciarla, perciò Maria si spostò prima a Gerusalemme, in seguito sul Sinai e poi a Beirut, per concludere la sua fuga a Costantinopoli dove, protetta da conoscenze presso la famiglia imperiale, finalmente fondò un monastero, questa volta femminile, dove il marito non riuscì più a trovarla e, quindi, a perseguitarla. Se teniamo per vera almeno una parte di questa storia, essa mostra a quale prezzo spesso una donna acquistava la libertà e la pace di Cristo nell’ambiente sociale che, come sembra, era assai ostile a tali valori.
Altro esempio, tanto classico quanto strano, che ha segnato la mentalità del mondo bizantino, è la storia di Maria Egiziana, originariamente scritta nel VI secolo e poi ripresa da alcuni scrittori posteriori. È impossibile stabilite le tappe precise di questa vita, come anche la sua storicità, ma la figura di questa donna divenne un simbolo e un punto di riferimento per l’intero ascetismo bizantino. Va infatti ricordato che la quinta domenica della Grande Quaresima nel calendario bizantino sta sotto il patronato e l’esempio di Maria Egiziana; nella liturgia di questa domenica, tra i tanti inni a lei dedicati, si legge: «Ha operato prodigi, o Cristo, la potenza della tua croce, poiché anche colei che prima era meretrice ha combattuto la lotta ascetica: bandita la debolezza della natura ha nobilmente resistito al diavolo. Ottenuto dunque il trofeo della vittoria, intercede per le anime nostre» (Stichirion del Vespro). La storia di Maria è semplice: come prostituta “accompagnava” i pellegrini e i viaggiatori sulle navi, ma una volta arrivata a Gerusalemme vide da lontano la reliquia della Santa Croce che provocò in lei una profonda conversione. Di conseguenza, Maria si dedicò alla penitenza in un deserto palestinese e divenne famosa solo alla fine della sua vita. La figura di questa donna ebbe la funzione di simbolo e di esempio perfetto di possibile conversione dalla vita mondana e sensuale, di vita dedicata alla penitenza, il cui fine è costituito dal misericordioso dono della pace di Cristo e della vita eterna.
Col trascorrere del tempo, dall’orizzonte monastico bizantino sono andati scomparendo tali esempi assai estremi di monache travestite, solitarie o con un passato peccaminoso come quello di Maria Egiziana. Il loro posto è stato preso da un ideale e stile di vita più conformi alla vita monastica di stampo esclusivamente cenobitico. Bisogna aggiungere che il numero di vite delle sante monache, e quindi la conoscenza che si ha di loro e del loro mondo, non è molto numeroso. Si possono però fornire alcune informazioni che, anche se meno affascinanti, godono tuttavia di un certo interesse e fanno parte integrante del monachesimo bizantino.
Normalmente, nel monastero si entrava - o piuttosto si era condotti dai genitori - in età giovane, ma non mancarono casi di “vocazioni tardive”. Un esempio di tali vocazioni è fornito dalla vita di santa Atanasia dell’isola Egina (VIII secolo). Questa donna fu costretta dai genitori a sposarsi una prima volta e, dopo la morte del marito, una seconda volta. Durante il secondo matrimonio, Atanasia riuscì a convincere il proprio marito, il cui nome rimane sconosciuto, ad abbracciare la vita monastica. Egli divenne monaco e lei monaca dedita all’ascesi, trovandosi, in seguito, circondata da un gruppo di altre monache. Già durante la sua vita, Atanasia fu considerata una donna eccezionale, intenta allo sviluppo della prosperità della sua isola, alla costruzione di chiese, alla guarigione e a consolare le persone afflitte. Il suo agiografo fa di lei anche una mistica, favorita da alcune visioni. Morta in odore di santità - presto divenne anche oggetto di culto e di venerazione. Atanasia di Egina è uno di quegli esempi che mostrano come la vita matrimoniale non necessariamente fosse di impedimento alla santità.
Una delle monache sante, divenuta assai popolare a Bisanzio dal nono secolo in poi, fu santa Teodora di Tessalonica (812 - 892). La prima parte della sua vita fu piuttosto tormentata. La madre morì partorendola e il padre, di nome Antonio, quasi subito affidò la bambina a una parente, facendosi lui stesso monaco eremita. Erano i tempi dell’iconoclasmo e Antonio apparteneva sia al gruppo che si opponeva agli iconoclasti, sia a quello dirigente della chiesa e dell’impero che sosteneva tale movimento - forse ciò spiega in qualche modo la sua fuga verso l’eremo. Un altro fatto, che inquietava la gente di questo periodo, residente sull’isola Egina presso Atene, dove era nata e dove viveva Teodora, furono le scorribande dei pirati saraceni. Infatti, la famiglia si spostò a Tessalonica e proprio in questo periodo Teodora venne data in moglie - aveva compiuto appena sette anni (!), cioè l’età minima secondo la legge bizantina per un matrimonio legittimo. Due dei suoi tre figli morirono e la figlia primogenita, Teopisti, fu offerta da Teodora al monastero. Quando, alla fine di queste sventure, morì anche il marito, Teodora vendette tutti i suoi beni ed entrò nel monastero di santo Stefano a Tessalonica. Aveva appena compiuto 25 anni, ma aveva in un breve arco di tempo vissuto molto - e forse non si aspettava che la sua vita in monastero si sarebbe protratta ancora per mezzo secolo. La sua vita monastica fu segnata dalle tipiche virtù cenobitiche come obbedienza, umiltà e servizio speso per gli altri. Quando, nel 867, morì la superiora Anna, che l’aveva accolta nel monastero, Teodora fu assegnata allo stesso posto. La sua fama si diffuse dopo la morte e la sua tomba miracolosa divenne meta di pellegrinaggi. Si può affermare che con la monaca Teodora di Tessalonica il monachesimo femminile di Bisanzio prese decisamente la piega cenobitica, abbandonando quasi totalmente l’ideale (o la possibilità) della vita eremitica. Va ricordato, infatti, che Teodora divenne monaca in un periodo in cui nel monachesimo bizantino incominciava a dominare l’ideale cenobitico promosso da Teodoro Studita.
Risulta difficile oggi dire in quale misura la riforma studita abbia influito sul monachesimo femminile e la sua legislazione - soprattutto mancano i documenti. Ben chiaro invece è l’influsso esercitato su tale monachesimo dalla riforma monastica del monastero maschile di Evergetis. Lo attestano alcuni typika, come ad esempio quello del monastero della Madre di Dio Kecharitomene (cioè “piena di grazia”) a Costantinopoli, scritto nella seconda decade del XII secolo da Irene Doukaina Comnena, moglie dell’imperatore Alessio I Comneno (m. 1118). Sembra che originariamente il monastero fosse stato donato da parte del Patriarca Nicola III Grammatico alla famiglia imperiale e pensato come una cappella monastica per la sua propria sepoltura. Irene stessa, dopo la morte del marito, si ritirò in questo monastero dove morì tra il 1123 e il 1133. In seguito, sua figlia, la famosa storica Anna Comnena (m. 1148), anche lei dopo la morte di suo marito (1137), si ritirò proprio in questo monastero dove scrisse la sua storia, Alexidad. Questo typikon è dunque interessante, sia perché dà la possibilità di vedere concretamente la vita di un monastero femminile a Costantinopoli nel XII secolo, sia perché è stato scritto dalla stessa Imperatrice - cosa rara che una typikon per monache venisse scritto da una donna. Si ricorda che lo sforzo della riforma promossa dal monastero di Evergetis aveva come scopo non solo di rafforzare la vita cenobitica, ma anche di ottenere alcune regole legislative che potessero proteggere i beni e il governo del monastero da possibili abusi. Perciò buona parte del documento tratta di chi e di come deve salvaguardare i beni e curare le entrate e le uscite. Ovviamente, il ruolo centrale in tutta questa operazione era occupato dall’Imperatrice stessa, ruolo che inoltre doveva essere protetto dallo stesso Patriarca. Irene volle che il typikon fosse regolarmente letto nella comunità e che le sue tre copie fossero conservate: una nella chiesa di Haghia Sofia, una nella sacrestia del monastero e una nella camera dell’Imperatrice. Sembra che tutto il progetto abbia avuto successo, perché il monastero prosperò fino alla caduta di Costantinopoli.
Il monastero era previsto per un numero di 24 monache, aiutate da otto donne di servizio (probabilmente, a servizio di monache provenienti da famiglie nobili). Le monache dovevano dedicarsi alla vita liturgica regolare, cioè alla celebrazione delle ore canoniche e ai sacramenti. In altri momenti dovevano dedicarsi al lavoro manuale (sartoria), durante il quale ascoltavano la lettura della Scrittura scelta dalla superiora. Il tempo del noviziato doveva durare sei mesi e la professione solenne (grande abito) giungeva dopo i successivi tre anni di prova. Il regime era strettamente cenobitico e prevedeva l’uguaglianza del vestito e del cibo. Le monache dormivano in dormitorio. Tuttavia l’Imperatrice aveva il potere di escludere alcune monache da questo obbligo, dando loro una cella e qualche persona di servizio (si pensa che questa eccezione fosse prevista soprattutto per l’Imperatrice stessa). Il typikon prendeva seriamente in considerazione la cura con cui bisognava trattare le monache anziane e malate - permettendo loro per esempio di fare il bagno più frequentemente e di alleggerire il regime ascetico. Le visite dei famigliari erano ben regolate e rare - l’altro contatto con “il mondo” era quasi escluso. Le monache, risiedendo in città, erano disponibili anche per alcuni servizi caritatevoli, come la quotidiana distribuzione del pane ai poveri e alcune donazioni speciali in occasione di feste particolari.
Ovviamente, il typikon del monastero della Madre di Dio Kecharitomene non è stato né l’unico né l’ultimo documento legislativo del monachesimo bizantino femminile. Ne conosciamo altri, come per esempio quello di Teodora Palaiologina del monastero di Lipis e quello del monastero dei santi Cosma e Damiano - ambedue del XIII secolo. A questa lista si potrebbe aggiungere anche il typikon di Irene Chumanaina Palaiologina per il monastero di Philantropos, scritto nel XIV secolo, e quello del secolo successivo, scritto da Teodora Synadene per il monastero della madre di Dio Babaia Elpis. Tutti questi documenti furono scritti per i monasteri della capitale e sono in certo qual modo simili l’uno all’altro. Tutto ciò solo per accennare a una problematica che sicuramente in futuro verrà approfondita e arricchirà la conoscenza del mondo monastico femminile di Bisanzio.
Come già detto, Bisanzio purtroppo non ebbe figure femminili corrispondenti a Gertrude o Ildegarda - però negli ultimi secoli di vita dell’Impero bizantino, spesso chiamato «l’ultimo rinascimento di Bisanzio» (S. Runciman), ne sono apparse alcune, di cui è possibile tracciare il profilo spirituale e intellettuale in modo più concreto e interessante. La prima di esse è Teodora Raoulaina (ca. 1240 - 1300). Nacque durante l’esilio niceano, sotto l’occupazione di Bisanzio da parte dei latini (1204 - 1261), e crebbe in un clima segnato dallo sforzo di rinnovamento culturale e non di meno attraversato da lotte per il potere e divisioni nella chiesa (si pensi allo scisma arsenita). Andò in sposa per la prima volta, solo per due anni (1256 - 1258), a Giorgio Mouzalon e, per la seconda volta (gli anni 1261 - 1274), a Giovanni Raoul - a causa della sua provenienza e di tali matrimoni questa donna poté firmare alcuni dei suoi testi con un impressionante titolo “Teodora, nipote dell’imperatore dei Romani (si tratta infatti dell’Imperatore Michele VIII), delle famiglie di Contacuzene, Angelos, Doukas, Komenos, Palaiologos”. Fattasi monaca dopo la morte del suo secondo marito, all’età di circa 34 anni, Teodora appartiene al gruppo delle nobili ed erudite vedove e monache - un caso, si potrebbe dire, particolare, se non fosse per il fatto che ciò non era a Bisanzio così raro. Sembra che Teodora abbai ricevuto una buona educazione nella sua gioventù, ma la passione per la lettura e per lo studio si sviluppò dopo la sua entrata nel monastero di san Andrea di Creta, nel quartiere chiamato Krisis a Costantinopoli. L’erudizione di questa monaca è stata decantata da diversi personaggi del suo tempo, con i quali per giunta Teodora intrattenne una numerosa corrispondenza (purtroppo si conoscono solo le lettere dei destinatari di Teodora, perché le sue non si sono conservate). Tra i suoi amici e corrispondenti epistolari si trova un famoso monaco, erudito e traduttore dal latino in greco, Massimo Planudes. Con lui Teodora ebbe grandi discussioni riguardo a diverse copie dei manoscritti di autori greci, e fu la sua benefattrice. Alla lista di amici e corrispondenti epistolari appartengono anche l’umanista, matematico e bibliofilo Costantino Akropolita, un altro monaco, Manuele Holobolos, amico di Massimo e come lui traduttore e conoscitore della letteratura greca e latina, e lo studioso e politico Niceforo Choumnos. Ma la relazione più profonda che Teodora intrattenne fu con Gregorio di Cipro (m. 1290), che più tardi diventerà patriarca di Costantinopoli (1283 - 1289) col nome di Gregorio II. Si sono conservate almeno trenta lettere di Gregorio a Teodora, che sostenne l’amico anche nel periodo in cui fu costretto a lasciare l’incarico patriarcale e a ritirarsi in solitudine, prima in un monastero e poi in una piccola cella chiamata Pristine, situata nel recinto del monastero di Teodora: nelle sue lettere Gregorio confidava a Teodora le sue difficoltà quotidiane. Tutti questi amici e corrispondenti epistolari hanno lodato - e sembra senza alcuna retorica - l’erudizione di Teodora, la sua competenza nello studio e la sua straordinaria biblioteca. Si sa che a quell’epoca Teodora si dilettava nella lettura di Aristotele e dei suoi diversi commentatori come Alessandro di Afrodisia e Simplicio, che conosceva bene Demostene e Aristide, come anche Basilio il Grande e altri Padri della Chiesa. Una delle ultime passioni erudite fu il commento di Teofilatto d’Ocrida ai vangeli, che Teodora mandò alla Grande Lavra sul Monte Athos. Oggi si conoscono alcuni manoscritti che sono stati direttamente scritti da Teodora, come quello contenente le omelie di Elio Aristide - un retore del secondo secolo, assai apprezzato dai Bizantini -, e anche alcuni lezionari e i testi dei vangeli. Unica opera scritta da Teodora e pervenuta fino a noi è la vita dei fratelli monaci Teodoro e Teofano che, perseguitati e torturati all’epoca dell’iconoclasmo, erano considerati autentici confessori della verità. Dietro tutto questo paesaggio di personalità celebri del suo tempo, dietro i manoscritti di autori famosi e le righe della sua propria storia agiografica appare il volto affascinante di Teodora - certamente una persona particolare, che si distinse sullo sfondo piuttosto anonimo del monachesimo bizantino femminile.
Il summenzionato Gregorio di Cipro fu anche insegnante di retorica e filosofia di Niceforo Cumeno (1250 - 1327), che divenne primo ministro di Andronico II Paleologo; una delle figlie di Niceforo fu Irene. Questa nel 1303, a soli dodici anni, sposò il sedicenne Giovanni, figlio di Andronico II. Il felice matrimonio durò purtroppo solo quattro anni, perché Giovanni improvvisamente morì (1307). La sedicenne Irene, oramai vedova, sofferente e disperata, non sapeva che fare. Su consiglio di Teolepto, metropolita di Filadelfia (1250 - 1322), decise di abbracciare la vita monastica e divenne monaca col nome di Eulogia. Come luogo della sua dimora Irene-Eulogia scelse il monastero di Philantropos Soter, situato nella parte orientale di Costantinopoli, tra Hagia Sofia e il mare, che fece restaurare con il proprio denaro. Il monastero si sviluppò in modo straordinario e già nel 1335 contava circa cento monache - cosa piuttosto straordinaria se si tiene presente la situazione dei monasteri femminili e urbani dell’epoca. Irene e la sua fondazione, sin dagli inizi, furono fortemente appoggiate e guidate da Teolepto di Filadelfia. Questo monaco e vescovo già a quel tempo ricopriva la figura dell’eroe ecclesiale e nazionale: un esicasta che non solo aveva conosciuto Niceforo il Solitario, ma aveva con lui condiviso la prigione (1276), a causa dell’opposizione alla politica unionista di Michele VIII. Diventato metropolita di Filadelfia, nei quasi 40 anni del suo episcopato si dedicò al lavoro pastorale e alla riconciliazione dello scisma arsenita - guidò persino la difesa di Filadelfia quando fu assediata dagli Ottomani (1310 - 1311). Tra tutte queste occupazioni Teolepto, figura veramente straordinaria, trovò il tempo e il modo di occuparsi della vita spirituale di Irene e della comunità del monastero di Philantropos Soter. Si conoscono le sue lettere a Irene (anche in questo caso quelle della monaca sono andate purtroppo perse) e si pensa che la maggioranza dei suoi 23 discorsi sia stata scritta o pronunciata proprio in questa comunità. Il clima di tali discorsi si può qualificare come esicasmo moderato, comunitario e centrato sulla vita liturgica il cui cuore è Cristo - è una bellissima testimonianza, dalla quale si possono ricavare informazioni relative a come e di che cosa si nutrissero le monache dei primi decenni del trecento bizantino. Le lettere di Teolepto invece dischiudono in certo qual modo i problemi quotidiani del convento e appartengono alla categoria della direzione spirituale. Tra le righe, però, si riesce a scorgere il carattere complesso e ogni tanto capriccioso di Irene, come anche la sua difficoltà ad occupare il ruolo di superiora di una comunità monastica. Dopo la scomparsa di Teolepto il suo posto fu preso da Gregorio Acindino - persona mite, umile, profonda e squisita, a cui Irene, come a Teolepto, fu molto legata (senza escludere una sorta di dipendenza). Anche nel caso di Irene-Eulogia è possibile parlare della sua cultura, in particolare teologica, però meno lodata e sviluppata di quella di Teodora. Si sa tuttavia che questa monaca con grande fervore partecipò alla grande disputa teologica del tempo, legata a Gregorio Palamas - si oppose radicalmente alla teologia dei palamiti. Irene non esitò a manifestare le sue convinzioni in pubblico di fronte a vescovi, teologi e monaci - cosa che aggiunge un aspetto originale e un colorito particolare sia a questa figura, sia al monachesimo bizantino femminile di questo periodo.
Testimonianza di un certo risveglio teologico e spirituale tra le monache bizantine è anche un documento, cioè il famoso Materikon, ossia un florilegio patristico-monastico, composto da un certo monaco, Isaia (XIII secolo), e redatto per la monaca Teodora, figlia di Isacco II Angelo. Questo libro è un autentico testo di direzione spirituale per la vita esicasta e reclusa, radicato nella vera e propria tradizione dei padri del deserto. Certo, anche questo testo è stato scritto da un monaco per monache, e tuttavia riflette lo spirito in cui almeno alcuni ambienti monastici femminili vivevano, cercando «nell’ascesa attraverso il discernimento verso Dio» una vera «illuminazione della mente con la luce che esce da lui finché (il cuore di una monaca) non diventa dimora di Dio». Tutto ciò testimonia la ricchezza e la bellezza di questo monachesimo, che solo ora andiamo riscoprendo.
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15 luglio 2024 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net