Come i monaci salvarono la civiltà
Cap. 3° Estratto da: Thomas E. WOODS,
"Come la Chiesa
Cattolica ha costruito la civiltà occidentale",
Ed. Cantagalli, Siena 2007
I monaci ebbero un ruolo determinante nello sviluppo della civiltà occidentale;
eppure, a considerare la pratica più antica del monachesimo, difficilmente si
sarebbe potuta immaginare l'enorme influenza che esso avrebbe esercitato sul
mondo esterno. Tale influenza risulta meno sorprendente se si richiamano a mente
le parole di Cristo: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte
queste altre cose vi saranno date in sovrappiù» [Matteo 6, 33; NdT]. La storia
dei monaci è racchiusa in queste semplici parole.
[...]
Benché lo scopo di un monaco nel ritirarsi in un monastero fosse quello di
coltivare una vita spirituale più disciplinata e, per meglio dire, di lavorare
per la propria salvezza in un ambiente e sotto un regime che favorisse questo
scopo, il suo ruolo nella civiltà occidentale si sarebbe dimostrato
fondamentale. Sebbene i monaci non intendessero compiere azioni memorabili per
la civiltà occidentale, tuttavia con il passare del tempo essi seppero
apprezzare la missione a cui i tempi sembravano chiamarli.
[...]
Le arti pratiche
Le persone più istruite pensano che il maggior contributo dato dai benedettini
alla civiltà occidentale sia l'attività di studio e culturale in senso lato. In
verità, i benedettini coltivarono in modo notevole un altro aspetto della
civiltà occidentale, ossia ciò che potremmo definire "le arti pratiche".
L'agricoltura è un esempio particolarmente significativo. Nel primo Novecento
Henry Goodell, presidente di quel che sarebbe poi diventato il Massachusetts
Agricultural College, celebrò «l'opera che questi grandiosi monaci svolsero
lungo un arco di millecinquecento anni. I benedettini salvarono l'agricoltura
quando nessun altro avrebbe potuto salvarla; la esercitarono nell'ambito di un
nuovo stile di vita e di nuove condizioni di vita, in un tempo in cui nessun
altro osava cimentarsi con l'agricoltura» (7). Le fonti documentarie su questo
punto sono considerevoli: «Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran
parte dell'Europa», sostiene uno studioso. «Ovunque andassero», sottolinea un
altro studioso, i benedettini «trasformarono terra desolata in terra coltivata.
Intraprendevano la coltivazione del bestiame e della terra, lavoravano con le
proprie mani, prosciugavano paludi e abbattevano foreste. Furono i benedettini a
trasformare la Germania in una terra fruttifera». Un altro storico ricorda che
«ogni monastero benedettino era una sorta di «college» agrario per l'intera
regione in cui era situato» (8). Persino lo statista e storico francese del
Novecento François Guizot, che non nutriva particolari simpatie per la Chiesa
Cattolica, osservò: «I monaci benedettini furono gli agricoltori d'Europa. La
pulirono su larga scala, associando agricoltura e predicazione» (9).
Nella vita monastica svolse un ruolo importante il lavoro manuale, al quale la
Regola benedettina si richiamava espressamente. Sebbene la Regola fosse nota per
la sua moderazione e la sua avversione per le punizioni eccessivamente severe,
cogliamo spesso i monaci nell'atto di farsi carico di un lavoro difficile e poco
attraente, dal momento che per loro tali opere erano canali di grazia e
opportunità di mortificazione della carne. Ciò fu certamente vero riguardo
all'opera da loro svolta nel disboscamento e nella bonifica delle terre.
L'opinione prevalente sugli acquitrini era che fossero fonti di pestilenza di
nessun valore. Ma i monaci prosperarono in tali luoghi e abbracciarono le sfide
che essi presentavano. In breve tempo riuscirono a costruire argini e a
prosciugare la zona paludosa e a trasformare in fertile terra agricola ciò che
era stato fonte di malattia e sporcizia (10).
[...]
Ovunque andassero, i monaci portavano raccolti, industrie o metodi di produzione
che nessuno aveva mai visto prima. Introducevano qui l'allevamento del bestiame
e dei cavalli, lì la fabbricazione della birra, o l'apicoltura, o la
frutticoltura. Dovettero ai monaci la propria esistenza il commercio del grano
in Svezia, la fabbricazione del formaggio a Parma, i vivai di salmone in Irlanda
e, in moltissimi luoghi, le vigne più amene. I monaci facevano scorta di acque
provenienti dalle sorgenti, al fine di distribuirle durante le siccità. I monaci
dei monasteri di Saint Laurent e di Saint Martin, visto che le acque delle
sorgenti si disperdevano inutilmente nelle pianure di Saint Gervais e Belleville,
decisero di deviarle su Parigi. In Lombardia i contadini appresero dai monaci
l'arte dell'irrigazione, che contribuì in modo determinante a render celebre
quella regione in tutta Europa per la sua fertilità e le sue ricchezze. Inoltre,
i monaci furono i primi a lavorare per il miglioramento delle razze di bestiame,
sottraendo quest'opera al caso (15).
In molte occasioni il buon esempio dei monaci servì da ispirazione e modello,
grazie soprattutto al grande rispetto e alla grande reverenza da loro portati al
lavoro manuale in generale e all'agricoltura in particolare. «L'agricoltura era
caduta in una fase di declino», secondo uno studioso; «le paludi avevano preso
il posto di campi un tempo fertili, e gli uomini che avrebbero dovuto lavorare
la terra disprezzavano l'aratro considerandolo degradante». Ma quando i monaci
emersero dalle loro celle per andare a scavare canali di scolo e arare i campi,
«la loro fatica ebbe un effetto magico, e si tornò alla nobile, a lungo
disprezzata, industriosità» (16). Papa san Gregorio Magno (590-604) ci racconta
una storia rivelatrice a proposito dell'abate Equizio, un missionario del VI
secolo famoso per la sua eloquenza: un messo del Papa giunse al suo monastero in
cerca di Equizio, andò di filato allo scriptorium, aspettandosi di trovarlo tra
i copisti, ma non lo trovò: i calligrafisti spiegarono semplicemente: «È laggiù
nella valle, che falcia l'avena» (17).
I monaci furono pionieri anche nella produzione del vino, che usavano sia per la
celebrazione della Santa Messa sia per il loro consumo quotidiano, che la Regola
di san Benedetto espressamente permetteva. La stessa scoperta dello champagne si
può far risalire a un monaco benedettino, Dom Perignon, dell'abbazia di Saint
Pierre a Hautvillers sulla Marna.
[...]
I monaci furono anche importanti inventori e sperimentatori. I cistercensi, un
ordine benedettino tendenzialmente riformista stabilitosi a Citeaux nel 1098,
sono particolarmente famosi per la loro abilità tecnologica. Grazie alla grande
rete di comunicazione esistente tra i vari monasteri, la competenza tecnologica
poté diffondersi rapidamente, ragione per cui troviamo sistemi idraulici molto
simili in monasteri molto distanti l'uno dall'altro, anche migliaia di
chilometri (19). «Questi monasteri», scrive uno storico, «furono le unità
economicamente più efficaci mai esistite in Europa, e forse nel mondo» (20).
Il monastero cistercense di Chiaravalle, in Francia, ci ha lasciato un resoconto
del XII secolo riguardante l'uso che in quel luogo si faceva dell'energia
idraulica, che rivela in quale misura sorprendente le macchine fossero diventate
essenziali alla vita europea. Generalmente la comunità monastica cistercense
dirigeva la propria fabbrica. I monaci usavano l'energia idraulica per battere
il frumento, setacciare la farina, follare i panni, e per la conciatura (21).
Come sottolinea Jean Gimpel nel suo libro «The Medieval Machine» («La macchina
medievale»), il resoconto in oggetto si sarebbe potuto scrivere
settecentoquarantadue volte, ovvero il numero dei monasteri cistercensi presenti
in Europa nel XII secolo. Lo stesso livello di perizia e successi tecnologici si
sarebbe potuto osservare in pressoché tutti i monasteri cistercensi (22).
Il mondo dell'antichità classica non aveva adottato in alcun grado significativo
la meccanizzazione per uso industriale. Ciò avvenne, in misura enorme, nel mondo
medievale; un fatto simboleggiato e rispecchiato dall'uso che i cistercensi
fecero dell'energia idraulica [...].
[...]
I monaci consiglieri tecnici
I cistercensi furono noti anche per la loro abilità metallurgica. «Nella loro
rapida espansione in tutta Europa», scrive Jean Gimpel, i cistercensi devono
aver «giocato un ruolo nella diffusione di nuove tecniche, poiché l'alto livello
della loro tecnologia agraria era pari alla loro tecnologia industriale. Ogni
monastero possedeva una fabbrica modello, spesso ampia come la chiesa, da cui
distava appena pochi passi, e l'energia idraulica guidava le macchine delle
varie industrie situate al primo piano» (24). Talvolta i monaci ricevevano in
dono depositi di minerale di ferro, quasi sempre con le forge che servivano per
estrarre il ferro, talaltra acquistavano depositi e forge. Sebbene avessero
necessità di ferro, col tempo i monasteri cistercensi avrebbero cominciato a
vendere le eccedenze di questo minerale; addirittura, dalla metà del Duecento
fino a tutto il Seicento i cistercensi furono i principali produttori di ferro
della regione della Champagne. Sempre desiderosi di aumentare l'efficienza dei
propri monasteri, i cistercensi usavano come fertilizzante le scorie prodotte
dalle fornaci, giacché la loro concentrazione di fosfati le rendeva
particolarmente utili a questo scopo (25).
Tali opere furono parte di un più ampio fenomeno di impegno tecnologico da parte
dei monaci. Come osserva Gimpel, «Il Medioevo introdusse in Europa le macchine
in una misura fino ad allora sconosciuta anche ad altre civiltà» (26). Secondo
un'altra fonte, i monaci furono «gli esperti e non pagati consiglieri tecnici
del terzo mondo del loro tempo, vale a dire l'Europa dopo l'invasione dei
barbari (...). In effetti, che fosse la macinatura del sale, del piombo, del
ferro, dell'allume o del gesso, o la metallurgia, l'escavazione del marmo, il
tener bottega di coltellinaio o una fabbrica di vetro, o il forgiare piastre di
metallo, note anche come "piastre del focolare", non vi era alcuna attività in
cui i monaci non dessero prova di creatività e di uno spirito di ricerca
fecondo. I benedettini sapevano incanalare il proprio lavoro verso la
perfezione. La perizia coltivata nei monasteri si sarebbe diffusa per tutta
l'Europa (27).
Le attività dei monaci spaziavano da curiosità interessanti al decisamente
pratico. All'inizio dell'XI secolo, per esempio, un monaco di nome Eilmer volò
con un aliante per più di 180 metri; la sua impresa fu ricordata per i
successivi tre secoli (28). Secoli dopo, il bresciano Francesco Lana Terzi
(1631-87), non un monaco ma un padre gesuita, proseguì in modo più sistematico
lo studio del volo, guadagnandosi l'onore di essere chiamato il padre
dell'aviazione. Il suo libro «Prodromo alla arte maestra», del 1670, fu il primo
a descrivere la geometria e la fisica di un vascello volante. (29)
I monaci annoverarono anche abili orologiai. Il primo orologio di cui abbiamo
notizia fu costruito dal futuro Papa Silvestro II per la città tedesca di
Magdeburgo intorno all'anno 996. Orologi molto più sofisticati furono fabbricati
in seguito da altri monaci. Nel Trecento un monaco di Glastonbury, Peter
Lightfoot, costruì uno degli orologi più antichi ancora esistenti, che oggi è
conservato, in eccellente stato, nel Museo della Scienza di Londra.
Sempre nel Trecento, Riccardo di Wallingford, abate dell'abbazia benedettina di
Saint Albans - nonché uno degli iniziatori della trigonometria occidentale - si
distinse per il grande orologio astronomico che disegnò per quel monastero.
Qualcuno ha osservato che un orologio che lo eguagliasse in finezza tecnologica
non si sarebbe visto per almeno due secoli. Il magnifico orologio, una
meraviglia del suo tempo, non è sopravvissuto, distrutto, forse, durante le
confische di monasteri effettuate nel Cinquecento per volontà di Enrico VIII.
Tuttavia, gli appunti di Richard sul disegno dell'orologio hanno permesso agli
studiosi di riprodurne un modello e persino una ricostruzione a grandezza
naturale. Oltre a registrare il passare del tempo, l'orologio poteva prevedere
con accuratezza le eclissi lunari.
Gli archeologi stanno ancora scoprendo l'estensione delle competenze e
dell'abilità tecnologica dei benedettini. Nei tardi anni Novanta del Novecento,
l'archeometallurgo Gerry McDonnell dell'Università di Bradford, in Inghilterra,
ha scoperto le prove, vicino all'abbazia di Rievaulx, nello Yorkshire
settentrionale, di un grado di raffinatezza tecnologica che va nella direzione
delle grandi macchine della Rivoluzione industriale del Settecento. (L'abbazia
di Rievaulx fu uno dei monasteri che Enrico VIII fece chiudere negli anni Trenta
del Cinquecento nell'ambito del suo piano di confisca dei beni della Chiesa).
Esplorando i frammenti di Rievaulx e Laskill (sede decentrata a circa sessanta
chilometri dal monastero), McDonnell ha scoperto che i monaci avevano costruito
una fornace per estrarre ferro dal minerale di ferro.
[...]
McDonnell è certo che i monaci fossero vicinissimi a costruire fornaci per la
produzione, su larga scala, di ferro battuto - forse l'ingrediente chiave che
inaugurò l'era industriale - e che la fornace di Laskill fosse servita da
prototipo. «Gli elementi chiave sono che ogni anno si teneva un raduno di abati
e che i cistercensi avevano i mezzi per far circolare da un capo all'altro
dell'Europa i progressi tecnologici», ha dichiarato McDonnell. «La disgregazione
dei monasteri spezzò questa rete di "trasferimento di tecnologia"». I monaci
«avevano il potenziale per passare ad altiforni che non producessero nient'altro
che ferro battuto. Erano pronti per farlo su grande scala. Spezzando quel
monopolio virtuale, Enrico VIII ne spezzò il potenziale» (30).
Sembra insomma che fu solo la soppressione dei monasteri per volere di un re
avido a impedire ai monaci di inaugurare l'era industriale e dare così inizio
all'esplosione economica e demografica, nonché all'innalzamento dell'aspettativa
di vita. Perché ciò avvenisse dovettero passare due secoli e mezzo.
La parola scritta
Per quanto onorato, il lavoro dei copisti era difficile e impegnativo. Su un
codice monastico sono annotate queste parole: «Colui che non sa scrivere
immagina che ciò non sia una fatica, ma sebbene soltanto tre dita tengano la
penna, è il corpo intero a stancarsi». I monaci si trovavano spesso a lavorare
nel freddo più inclemente. Un monaco copista, implorando la nostra simpatia
mentre completava una copia del commentario di san Girolamo al «Libro di
Daniele», scrisse: «Buoni lettori che usate quest'opera, vi prego, non
dimenticate colui che la copiò: era un povero fratello di nome Luigi, che,
mentre trascriveva questo volume, portato da un paese straniero, sopportò il
freddo e fu obbligato a portare a termine di notte quel che non era capace di
scrivere alla luce del giorno. Ma Tu, Signore, concedi, ti prego, piena
ricompensa alle sue fatiche» (35).
Nel VI secolo un senatore romano in pensione [senatore dell'Impero Romano
d'Oriente; NdT], di nome Cassiodoro, ebbe una precoce visione del ruolo
culturale che avrebbe avuto il monastero. Intorno alla metà del secolo,
Cassiodoro fondò nell'odierna Calabria il monastero di Vivarium e lo fornì di
una bella biblioteca - la sola biblioteca del VI secolo che gli studiosi
conoscano anche solo per sentito dire - ponendo in primo piano l'importanza
della copiatura dei codici. Alcuni importanti codici cristiani trascritti a
Vivarium sembra siano giunti sin nella Biblioteca Lateranense e nelle mani dei
papi (36).
Sorprende, però, che non sia a Vivarium, ma ad altre biblioteche e ad altri
«scriptoria» monastici che dobbiamo la sopravvivenza della letteratura latina
antica nella sua quasi totalità. Quando non furono salvate e trascritte dai
monaci, le opere dell'antichità latina furono conservate dalle biblioteche e
dalle scuole associate alle grandi cattedrali del Medioevo (37). Così, anche
quando non dava un contributo originale suo proprio, la Chiesa conservava libri
e documenti che si sarebbero rivelati di importanza cruciale per la civiltà che
avrebbe salvato.
[...]
La Chiesa, in effetti, curò, preservò, studiò e insegnò le opere degli antichi,
che altrimenti sarebbero andate perdute.
Alcuni monasteri furono conosciuti per la loro perizia in particolari rami del
sapere. Così, per esempio, i monaci di San Benigno, a Digione, impartivano
lezioni di medicina; il monastero di San Gallo, nell'odierna Svizzera, aveva una
scuola di pittura e incisione, e in certi monasteri tedeschi si poteva assistere
a lezioni di greco antico, ebraico e arabo (42).
Spesso i monaci arricchivano la propria istruzione frequentando una o più di una
delle scuole monastiche fondate durante la rinascita carolingia e oltre.
[...]
L'ammirazione che la civiltà occidentale nutre per la parola scritta e per i
classici viene dalla Chiesa Cattolica, che durante le invasioni barbariche
preservò l'una e gli altri. [...]
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21 giugno 2014 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net